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Arricchimento senza giusta causa Recupero del credito fra imprenditori Opposizione a decreto ingiuntivo Fondatezza della pretesa creditoria Fondatezza della pretesa creditoria

Arricchimento senza giusta causa Recupero del credito fra imprenditori Opposizione a decreto ingiuntivo Fondatezza della pretesa creditoria Fondatezza della pretesa creditoria

Tribunale Ordinario di Ferrara, Sezione Civile, Sentenza del 29-03-2018

Con sentenza del 29 marzo 2018 il Tribunale Ordinario di Ferrara, Sezione Civile, in tema di ingiunzione civile e giudizio di opposizione, con riferimento al recupero del credito fra imprenditori, ha stabilito che il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore. L’opponente, invece, nella sua posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto


Tribunale Ordinario di Ferrara, Sezione Civile, Sentenza del 29-03-2018

Arricchimento senza giusta causa Recupero del credito fra imprenditori Opposizione a decreto ingiuntivo Fondatezza della pretesa creditoria Fondatezza della pretesa creditoria

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI FERRARA

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice _______

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di secondo grado iscritta al n. r.g. _______, promossa da:

L.C. e C. SRL, entrambi con il patrocinio dell’avv. ______, elettivamente domiciliati in _______, presso il difensore

APPELLANTI

contro

  1. SRL, con il patrocinio degli avv.ti _____, elettivamente domiciliata in _____ presso i difensori

APPELLATA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La C. s.r.l. e il dott. L.C. hanno proposto appello avverso la sentenza n. ____, emessa dal Giudice di Pace di Ferrara dott. _____, depositata il ____, chiedendo preliminarmente di sospendere l’esecutività di detta sentenza; sempre in via pregiudiziale di dichiarare la nullità della domanda riconvenzionale spiegata ex adverso; in via principale e nel merito, respingere l’opposizione nonché la domanda riconvenzionale ex adverso spiegata, perché infondata in fatto e in diritto, dandosi atto che il dott. C. è subentrato all’originario creditore; in ogni caso, dichiarare tenuta e, conseguentemente condannare la società opponente al pagamento in favore di L.C. della somma di Euro ____ o quella diversa che sarà ritenuta di giustizia o equità, oltre agli interessi dalla messa in mora al saldo effettivo; in via subordinata istruttoria, ha chiesto interrogatorio formale e prova testi.

Si è costituita S. s.r.l., chiedendo in via preliminare ex art. 348 bis per i suesposti motivi, si chiede che l’impugnazione ex adverso proposta sia dichiarata inammissibile in quanto alla luce dello svolgimento dei fatti e della corretta sentenza di primo grado non ha una ragionevole probabilità di essere accolta, essendo del tutto infondata in fatto e in diritto; in via preliminare subordinata, rigettare in quanto manifestamente infondata in fatto e in diritto l’stanza di sospensione e, per l’effetto, confermata l’efficacia esecutiva di tale decisione, condannare gli appellanti al pagamento della pena pecuniaria prevista dall’art. 283 comma 2 c.p.c.; nel merito, previa correzione di errore materiale con conseguente condanna del terzo intervenuto, dott. L.C., al pagamento solidale delle spese di lite e di c.t.u., respingere l’appello proposto da C. s.r.l. e L.C., in quanto infondato in fatto e in diritto per le ragioni esposte in narrativa, confermando integralmente la sentenza gravata; a tal fine si ribadiscono le conclusioni riportate in primo grado nelle note conclusive ed all’udienza del ___. In via istruttoria, con ciò senza voler invertire l’onere della prova gravante su C. s.r.l. ha chiesto l’ammissione delle istanze istruttorie ritualmente dedotte nelle memorie ex art. 320 c.p.c., opponendosi a quelle avversarie.

La causa è stata istruita con l’acquisizione dei documenti depositati dalle parti e trattenuta in decisione all’udienza del ____.

Per le ragioni che seguono, l’appello è infondato e non può essere accolto, sebbene debba confermarsi il rigetto della richiesta di dichiarare inammissibile l’impugnazione ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. va rigettata, mancando i presupposti per la pronuncia dell’ordinanza in commento, in ordine al giudizio di probabilità sull’accoglimento dell’impugnazione, avuto riguardo alla necessità di precisare le ragioni in diritto della fondatezza dell’opposizione. Per analoga ragione è stata rigettata, pur non essendo stata accolta l’istanza di sospensione ex art. 283 c.p.c. formulata da parte appellante, la richiesta di applicazione della pena pecuniaria di cui al secondo comma della medesima norma, non essendo l’istanza inammissibile e difettando le ragioni di manifeste infondatezza della stessa.

Venendo al merito, i fatti di causa vanno ricostruiti come segue.

La S. s.r.l. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo ____ emesso dal Giudice di Pace di Ferrara su istanza di C. s.r.l., deducendo la carenza di legittimazione ad agire in via monitoria di quest’ultima per essere stato il credito ceduto a L.C. prima della notifica del decreto ingiuntivo e, nel merito, contestando l’ammontare delle fatture, ritenendo sattisfattive le somme già versate a C. s.r.l., con domanda riconvenzionale di restituzione delle somme versate in eccesso.

La C. s.r.l., costituendosi in primo grado, ha contestato la domanda chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

È intervenuto ex art. 105 c.p.c. L.C., contestando l’opposizione e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo.

Ritenuta infondata l’eccezione relativa alla carenza di legittimazione ad agire in via monitoria ed istruita la causa con c.t.u. il Giudice di Pace ha così disposto: “accoglie l’opposizione proposta da S. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore e, per l’effetto, annulla il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Ferrara n. __ – R.G. n. ___ emesso in data ___; condanna C. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante al pagamento in favore della S. s.r.l. in persona del suo legale rappresentante pro tempore della somma di Euro __ oltre interessi dal ___ al saldo effettivo; parte opposta C. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore e il terzo intervenuto sig. A.C., in solido tra loro, al pagamento, in favore di parte opposta, delle spese di lite che liquida in complessive Euro __, oltre spese forfettarie, C.P.A. ed I.V.A. come per legge, oltre al pagamento della C.T.U. liquidata in Euro __ oltre accessori di legge; rigetta ogni ulteriore domanda proposta dalle parti”.

Parte appellante contesta, in primo luogo, l’errata statuizione circa la necessità di un accordo scritto sulla misura del compenso spettante a C. s.r.l., in quanto il compenso del professionista va determinato, in via principale, sulla base dell’accordo intercorso tra le parti e, in via subordinata, sulla scorta delle tariffe professionali. Contesta inoltre, la nullità della sentenza per totale carenza di motivazione in ordine all’accoglimento della domanda riconvenzionale avversaria, in quanto le fatture emesse dalla C. Srl nei confronti della società opponente sono state regolarmente pagate e mai contestate dalla S. srl fino alla notifica del decreto ingiuntivo opposto, per cui il giudice di prime cure non avrebbe potuto accogliere la domanda riconvenzionale, posto che nel caso di specie non ricorrono le condizioni per l’applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo. Con riferimento alla quantificazione delle spettanze della C. s.r.l., la stessa, posto che lo stesso CTU scrive nell’elaborato peritale che non esistono tariffe per i CED, contesta l’applicazione delle tariffe di settore per le sole rilevazioni contabili, poiché nel caso de quo sono state effettuate anche altre prestazioni. Infine la C. s.r.l. lamenta la mancata ammissione dei mezzi istruttori, non motivata, e rilevante perché avrebbe consentito di confermare l’esistenza di un accordo verbale inter partes circa la misura del compenso spettante alla C. Srl, in base al quale quest’ultima ha diritto di ricevere la somma di Euro __ per prestazioni di contabilità dalla stessa effettuate.

Con riferimento alla cessione tra C. s.r.l. e L.C., effettuata in data __, documentata e pacifica tra le parti e notificata a S. s.r.l. il ___, essa, pur essendo intervenuta effettivamente in data anteriore al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, comporta certamente la revoca del decreto ingiuntivo, ma non esclude di per sé la sussistenza del debito, posto che L.C., costituendosi ex art. 105 c.p.c. ha dato atto del mandato al recupero del credito conferito a C. s.r.l. anteriormente al ricorso per decreto ingiuntivo e chiesto l’accertamento del credito in suo favore, quale titolare del credito in ragione della cessione.

Posta l’autonomia del giudizio di opposizione rispetto alla fase monitoria, l’accertamento di un debito in capo a S. s.r.l. imporrebbe in ogni caso la revoca del decreto ingiuntivo ma anche, in ipotesi di accertamento di un debito, la condanna al pagamento in favore del cessionario, il quale costituendosi e chiedendo la condanna in suo favore, far venir meno nella sostanza il mandato ad agire per il recupero del credito conferito a C. s.r.l., che dunque spiegherebbe i suoi effetti solo nella fase monitoria.

Ad ogni modo, la questione non impone alcuna riforma sul punto della sentenza, posto che non è stato riconosciuto alcun debito in capo all’opponente, odierna appellata.

Orbene, il credito azionato con il decreto ingiuntivo opposto ha ad oggetto la fattura __ del ___ per un totale di Euro __  relativa ad “elaborazioni records contabili periodo da luglio __ a settembre ___”.

La S. s.r.l. deduce di avere già pagato la fattura ___ per la somma complessiva di Euro __, relativa ad “elaborazioni records contabili periodo da gennaio a giugno __” e che tale somma appare integralmente sattisfattiva del compenso dovuto anche in relazione alle prestazioni oggetto della fattura ___, apparendo eccessiva la somma complessivamente pretesa.

Parte appellante deduce che erroneamente il Giudice di Pace avrebbe fatto applicazione di compensi professionali calcolati in base a tariffe, in quanto il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa e adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti.

Pur essendo corretto il principio richiamato dall’appellante, e corroborato dalla giurisprudenza richiamata, non v’è dubbio che il Giudice di Pace si sia attenuto al disposto codicistico, considerato che nel caso di specie non è stato provato alcun accordo e che, quindi, correttamente andava quantificato il compenso mediante diverse modalità.

Pacifica infatti l’assenza di pattuizioni scritte (non necessarie, come l’appallante rileva, ma che avrebbero costituito utile fonte di prova), neppure la C. s.r.l. può dolersi della mancata ammissione della prova orale, considerato che nessuno dei capitoli formulati aveva ad oggetto circostanze la cui conferma avrebbe condotto a far ritenere provato l’accordo.

L’unica circostanza che concerne l’accordo è la numero 2 capitolata nella memoria ex art. 320 c.p.c.: essa è totalmente generica e non indica né quando l’accordo sarebbe intervenuto, tra quali soggetti e con quale contenuto; in particolare non è indicato il quantum del corrispettivo asseritamente pattuito o le modalità di calcolo dello stesso.

La conferma del capitolo, dunque, nulla avrebbe potuto provare in ordine alla congruità delle fatture emesse rispetto all’accordo.

Neppure il pagamento della precedente fattura ___ o di altre precedenti può costituire, come sostiene l’appellante, prova di un riconoscimento di debito od accettazione pro futuro della quantificazione del compenso da essa risultante, considerato peraltro che la stessa neppure contiene un riferimento al criterio di calcolo che la società destinataria avrebbe potuto in qualche modo verificare.

Non è stato dunque provata dunque l’esistenza di un accordo tra la S. s.r.l. e C. s.r.l. circa l’ammontare del compenso: tale onere gravava indubitabilmente sull’opposta, odierna appellante, posto che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione: secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, conseguentemente, nel procedimento “il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto”. (Cass., Sez. Prima, Sentenza n. 2421 del 03/02/2006).

Come detto, l’ingiunzione si fonda su una fattura ed è noto che la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito (cfr., da ultimo, Cass., Sentenza n. 299 del 12/01/2016, Rv. 638451 – 01).

La fattura non prova, quindi, l’accordo ed in assenza della prova di tale accordo e del suo contenuto, correttamente il Giudice di Pace ha demandato al c.t.u. la quantificazione del compenso dovuto, posto che comunque l’effettuazione delle prestazioni non è contestata.

Relativamente all’an del compenso, va premesso che “l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 cod. civ., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, con la conseguenza che il professionista non iscritto all’albo o che non sia munito nemmeno della prescritta qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa, sempreché la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo l’esercizio della professione subordinato per legge all’iscrizione in apposito albo o ad abilitazione” (Cass. Sez. Seconda, Sentenza n. 14085 del 11/06/2010 nonché Cass., Sez. Seconda, Sentenza n. 7310 del 22/03/2017).

Al di fuori di tali attività vige, invece, il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione: l’attività di elaborazione di dati, che costituisce oggetto dell’attività svolta da C. s.r.l., non è attività riservata a professionisti. In particolare, la C. s.r.l. ha provato l’oggetto dell’attività con i documenti 8-16 allegati alla memoria ex art. 320 c.p.c., dai quali è possibile evincere che trattasi essenzialmente di stampe mastrini, tenuta libri contabili e registri IVA, dunque di attività materiali di elaborazione dei dati forniti dal cliente relative alla tenuta della contabilità.

Dunque il rapporto contrattuale svolto tra le parti in causa non è nullo.

Quanto alla determinazione del compenso, come già rilevato, con l’art. 2233 c.c., il legislatore ha stabilito quali sono le fonti per la determinazione dello stesso, dettando una gerarchia dei criteri di liquidazione.

Come detto, la prima di tali fonti consiste nell’autonomia negoziale delle parti, le quali possono pattuire liberamente l’ammontare del compenso: si è avuto già modo di rilevare come, nel presente giudizio, non vi sia stata la dimostrazione dell’esistenza di un accordo tra le parti avente ad oggetto il quantum del compenso.

In mancanza di accordo tra le parti, si applicano le tariffe, fonte pertanto di rango sussidiario, con la funzione di assoggettare tutti i professionisti appartenenti a una medesima categoria a un eguale trattamento economico: per i centri di elaborazione dati non sono previste tariffe, posto che non sono applicabili quelle previste dagli albi professionali, essendo diverso l’oggetto dell’attività e contraria alla ratio della determinazione tariffaria, strettamente legata all’appartenenza alla categoria professionale.

Sempre rimanendo nel solco dell’art. 2233 c.c., va rilevato che, ove le precedenti fonti non possano trovare applicazione, la determinazione del compenso è rimessa al giudice, che è chiamato ad adeguare la misura del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

Correttamente il giudice si è affidato alla determinazione effettuata dal c.t.u., il quale si è attenuto ai corrispettivi praticati da diversi soggetti del settore, dando conto dell’applicabilità di due doversi criteri di calcolo del compenso: quello che si basa sulle rilevazioni/registrazioni contabili effettuate e quello che si basa sul computo di tutte le righe di registrazioni che comportano un accredito o un addebito.

Utilizzando tali valori, il corrispettivo per l’attività di cui alla fattura ___, oggetto del decreto ingiuntivo opposto ammonta, considerando per entrambi i metodi il valore medio, ad euro sarebbero di Euro ___ (utilizzando il primo metodo) e di Euro ___ (utilizzando il secondo).

Posti questi valori, correttamente il Giudice di Pace è passato all’esame della domanda riconvenzionale formulata da S. s.r.l., domanda ritualmente e correttamente formulata, dovendosi rigettare sul punto il motivo di appello relativo alla nullità della sentenza per totale carenza di motivazione in ordine all’accoglimento della domanda riconvenzionale avversaria: ciò in quanto la domanda appare chiara nel suo presupposto (il versamento in eccesso di somme quantificate in Euro ___) e nel petitum (restituzione di tale somme). Del resto, dal tenore dell’atto e dell’elaborato peritale di parte allegato emerge chiaramente che il titolo della pretesa è il pagamento della fattura ___ per la somma complessiva di Euro __, relativa ad “elaborazioni records contabili periodo da gennaio a giugno __” per un importo ritenuto eccessivo.

Il titolo della pretesa restitutoria è individuato nell’assunto che la somma pagata a C. s.r.l. per la fattura __ costituisce un indebito oggettivo, per essere stata addebitata a C. s.r.l. una somma eccessiva per l’attività svolta.

Il pagamento della fattura costituisce il presupposto dell’indebito, e quindi della pretesa restitutoria, non potendo in alcun modo essere interpretato come un riconoscimento di debito, del quale non ha il requisito di espressione di volontà circa la quantificazione del credito risultante dalla fattura e che, comunque, sarebbe irrilevante ai fini decisori, in quanto il meccanismo di astrazione processuale di cui all’art. 1988 c.c. consente al debitore di liberarsi fornendo la prova contraria. Nella specie, tale prova risulterebbe comunque fornita, in ragione della dimostrazione della misura esorbitante del compenso preteso da C. s.r.l..

Difatti, mancando la prova di un accordo sull’ammontare del compenso, il c.t.u. ha determinato il compenso dovuto sulla base dei medesimi criteri di cui si è detto per la fattura __. Dai calcoli del c.t.u., i valori medi sono individuati in Euro ___ utilizzando il primo criterio e di __, utilizzando il secondo.

La domanda restitutoria svolta da S. s.r.l. ha trovato quindi dimostrazione, posto l’incontestato pagamento per tale periodo, che riguarda peraltro una fase in cui l’impresa era sostanzialmente inattiva, come si evince dal numero di rilevazioni, della somma di Euro ___.

Procedendo alla compensazione, il Giudice di Pace ha ritenuto di considerare come dovuta, per le due fatture, la somma di Euro ___ indicata dall’opponente, sulla scorta della perizia di parte.

Tale valutazione è esente da censure, essendo prossima ai valori medi nell’ipotesi più vantaggiosa alla C. s.r.l. (Euro ___).

Il Giudice ha fatto dunque corretta applicazione del potere a lui rimesso ai sensi dell’art. 2233 c.c.

Essendo pacifico il pagamento da parte di S. s.r.l., della somma di Euro __, l’obbligazione restitutoria appare correttamente quantificata in Euro __.

Consegue a quanto detto il rigetto dell’appello.

L’appellata ha formulato istanza di correzione dell’errore materiale della sentenza impugnata, nella parte in cui condanna al pagamento delle spese di lite e di c.t.u. il terzo intervenuto “sig. A.C.”, laddove l’intervenuto era L.C.

L’istanza può essere accolta, posto che la Corte di Cassazione ha più volte avuto modo di affermare che nell’ipotesi in cui la sentenza contro la quale è stato proposto gravame contenga un errore materiale, l’istanza di correzione dello stesso, non essendo rivolta ad una vera e propria riforma della decisione, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, neppure in via incidentale, ma può essere proposta in qualsiasi forma e può anche essere implicita nel complesso delle deduzioni difensive svolte in appello (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Terza, Sentenza n. 19284 del 2014 nonché App. Bari Sez. I, Sent., 21/12/2017).

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto, per quanto riguarda i compensi professionali, dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, alla luce dell’attività complessivamente svolta e dello scaglione di riferimento da Euro __ ad Euro __ (Euro __ per fase di studio, Euro __ per fase introduttiva, Euro __ per fase decisoria).

Trattandosi di impugnazione, è applicabile l’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dalla L. n. 228 del 24 dicembre 2012: poiché nel caso di specie l’appello è stato respinto integralmente, occorre darsi atto della ricorrenza dei presupposti di cui alla citata norma, con la conseguenza che la parte appellante è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’iscrizione a ruolo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. ___, emessa dal Giudice di Pace di Ferrara dott. ____, depositata il _____, proposto da C. S.R.L. e L.C. nei confronti di S. S.R.L., ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) rigetta l’appello e conferma la sentenza n. ___ del Giudice di Pace di Ferrara, salvo quanto si dispone al punto 2);

2) ordina la correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza impugnata, nel senso che, ove, nel dispositivo, a pag. 10 della sentenza, penultimo rigo, è riportato il nome A.C.” deve leggersi ed intendersi “L.C.”;

3) ordina alla Cancelleria di annotare la presente statuizione in calce alla sentenza impugnata;

4) dichiara tenuti e condanna gli appellanti in solido fra loro alla rifusione in favore di S. s.r.l., in persona del legale rappresentante, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro ____ per compensi professionali, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15%, IVA e c.p.a. con aliquote di legge e se dovute;

5) dichiara che sussistono i presupposti dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con conseguente obbligo in capo alla parte appellante di versare ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello già corrisposto.

Così deciso in Ferrara, il 23 marzo 2018.

Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2018.

Tribunale_Ferrara_ Sentenza_29_03_2018

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