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Nella cessione pro soluto il trasferimento al cessionario della titolarità del credito presuppone la esistenza di detto credito nella sfera giuridica del cedente

Nella cessione pro soluto il trasferimento al cessionario della titolarità del credito presuppone la esistenza di detto credito nella sfera giuridica del cedente

Tribunale Ordinario di Viterbo, Sezione Civile, Sentenza del 21/08/2019

Con sentenza del 21 agosto 2019, il Tribunale Ordinario di Viterbo, Sezione Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che Nella cessione pro soluto il trasferimento al cessionario della titolarità del credito presuppone la esistenza di detto credito nella sfera giuridica del cedente. Il credito è inesistente quando lo stesso non appartiene al cedente bensì ad altro soggetto, ovvero qualora il titolo su cui dovrebbe fondarsi è inesistente, ovvero presenta una causa di nullità, o ancora quando il credito, esistente prima della cessione, risulti estinto per una causa sopravvenuta quando si perfeziona la cessione.


Tribunale Ordinario di Viterbo, Sezione Civile, Sentenza del 21/08/2019

Nella cessione pro soluto il trasferimento al cessionario della titolarità del credito presuppone la esistenza di detto credito nella sfera giuridica del cedente

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott.ssa __, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. __ R.G., avente ad oggetto CESSIONE CREDITO, pendente

TRA

A. – OPPONENTE

E

C. S.N.C. – OPPOSTA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto n. __ il Tribunale di Viterbo in data __ ingiungeva ad A. di pagare in favore di C. S.n.c. la somma di Euro __ oltre interessi e spese quale credito nascente dalle forniture di cui alle fatture nn. (…), (…), (…) e (…) del __.

Avverso tale titolo proponeva opposizione A. il quale eccepiva l’estinzione del debito in forza della cessione pro soluto sottoscritta dalle parti il __ e avente ad oggetto il credito IVA da esso opponente maturato, nonché l’inesigibilità del credito non potendosi considerare sufficiente la dichiarazione unilaterale della cessionaria resa nella missiva del __ dovendo questi provare di aver infruttuosamente escusso il debitore ceduto.

Nella resistenza di C. S.n.c. la causa, istruita a mezzo interrogatorio formale e prova orale e all’esito di una proposta ex art. 185 bis c.p.c. rifiutata dall’opponente veniva quindi trattenuta in decisione all’udienza del __ con concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

L’opposizione è infondata.

Premesso che A. non contesta le forniture oggetto delle quattro fatture azionate da C. S.n.c. gli aspetti problematici della vicenda sono costituiti da un lato dalla qualificazione del contratto stipulato tra le parti e dall’altro dalla sussistenza di una giusta causa per la sua risoluzione.

Relativamente al primo aspetto non vi è dubbio che quella sottoscritta tra le parti è una cessione del credito pro soluto militando in tal senso l’inequivoco dettato dell’art. 3 del contratto il quale testualmente recita che “La parte cedente consegna alla parte cessionaria i documenti probatori del credito e garantisce unicamente l’esistenza del credito ceduto”.

Nel contratto di cessione del credito non sorge alcun nuovo rapporto obbligatorio ma si verifica soltanto il mutamento del soggetto attivo del precedente negozio, nel senso che il cessionario subentra nella medesima situazione del cedente mentre il titolo e il contenuto della posizione debitoria rimangono inalterate, divenendo il debitore semplicemente obbligato nei confronti del cessionario e non più del cedente, suo creditore originario.

Nella cessione pro soluto, come quella oggetto di causa, il cedente, il quale si libera al momento in cui cede il credito, non garantisce la solvibilità del debitore, ma solo l’esistenza e la validità del credito con la conseguenza che il rischio di insolvenza viene trasferito insieme al credito e il cessionario non può esercitare alcuna azione di regresso verso il cedente.

Tuttavia affinché la titolarità del credito sia trasferita al cessionario, nell’ipotesi di cessione pro soluto, è indispensabile che il credito esista nella sfera giuridica del cedente e può affermarsi l’inesistenza del credito quando lo stesso non appartiene al cedente bensì ad altro soggetto, ovvero qualora il titolo su cui dovrebbe fondarsi è inesistente, ovvero presenta una causa di nullità, o ancora quando il credito, esistente prima della cessione, risulti estinto per una causa sopravvenuta quando si perfeziona la cessione.

Considerato che il debitore ceduto nella concreta fattispecie è l’amministrazione finanziaria il secondo aspetto ai fini della validità del contratto stipulato tra A. e C. S.n.c. è indispensabile verificare allora se il credito ceduto da A. fosse o meno esistente e valido nella sua sfera giuridica.

Sotto tale profilo in realtà, come peraltro, chiarito da G., Dirigente della Agenzia delle Entrate, escussa all’udienza del __, il credito I.V.A. per il quale A. aveva presentato istanza di rimborso era inesistente nella sua sfera giuridica in quanto pur avendo i fornitori dell’opponente applicato per le prestazioni erogate in suo favore una aliquota I.V.A. più alta di quella effettivamente dovuta, tuttavia, il rimborso all’Agenzia delle Entrate non poteva essere richiesto da A. e ciò in quanto l’amministrazione “può rimborsare solo a chi emette la fattura … e nei termini di decadenza”, con la conseguenza che solo successivamente al rimborso A. avrebbe potuto agire nei confronti di ciascun fornitore per indebito arricchimento.

Ne consegue allora che il credito I.V.A. oggetto di cessione non esisteva nella sfera giuridica di A. né al momento della cessione né successivamente e ciò in quanto legittimati alla richiesta di rimborso erano solo e soltanto i vari fornitori di A., con la conseguenza che la cessione oggetto di causa non ha realizzato l’effetto estintivo della obbligazione di A. il quale è pertanto debitore dell’intero importo di cui al decreto ingiuntivo.

Le spese seguono il principio della soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

  1. A) rigetta l’opposizione proposta da A. e pertanto dichiara la definitività esecutività del decreto ingiuntivo n. __;
  2. B) condanna l’opponente alla refusione delle spese di lite che liquida nella misura complessiva di Euro __ per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Viterbo, il 21 agosto 2019.

Depositata in Cancelleria il 21 agosto 2019.

 

Tribunale_Viterbo_Sent_21_08_2019

 

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Fallimento: è ammissibile la liquidazione del danno in via equitativa

Fallimento: è ammissibile la liquidazione del danno in via equitativa

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 24431 del 30/09/2019

Con sentenza del 30 settembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di fallimento, ha stabilito che è ammissibile la liquidazione del danno di cui all’art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 in via equitativa, sia nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, qualora il ricorso a tale parametro si palesi, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile, purché l’attore abbia allegato inadempimenti dell’amministratore astrattamente idonei a porsi quali cause del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo, sia con ricorso al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, in presenza degli stessi presupposti e nell’impossibilità di una ricostruzione analitica per l’incompletezza dei dati contabili o la notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento.


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 24431 del 30/09/2019

Fallimento: è ammissibile la liquidazione del danno in via equitativa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __- Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

Fallimento (OMISSIS) Soc. Coop. a r.l. – ricorrente –

contro

P., G. e L.  – controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito l’Avvocato __, che ha concluso come in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale __, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale condizionato.

Svolgimento del processo

  1. Il Tribunale di Marsala accolse l’azione risarcitoria L. Fall., ex art. 146, proposta dalla curatela del fallimento (OMISSIS) soc. coop. a r.l. per mala gestio nei confronti dell’ex amministratore unico R., poi deceduto (il quale a seguito dell’ispezione aveva già rivestito le cariche di commissario straordinario e amministratore delegato) e per omesso controllo nei confronti dei tre sindaci G., P. e L.
  2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Palermo, che, in accoglimento degli appelli principale e incidentale proposti dai sindaci, ha respinto la domanda nei loro confronti per difetto ci prova del danno e del nesso di causalità, non essendo possibile individuare uno “specifico e determinato depauperamento del patrimonio aziendale ragionevolmente imputabile all’amministratore e, quindi, ai sindaci”.
  3. Avverso detta sentenza la curatela ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo, cui i sindaci hanno resistito con controricorso, proponendo a loro volta un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

  • Con il ricorso principale si denunzia il vizio di “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 c.c., in relazione all’art. 2394 c.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.”. Lamenta la curatela che, dopo aver dato atto degli accertamenti del tribunale (anche sulla scorta di C.T.U. e della relazione degli ispettori) circa la tenuta incompleta e irregolare delle scritture contabili, l’aggravamento del dissesto con occultamento delle perdite e l’esercizio di attività estranee all’oggetto sociale (con compimento di atti di gestione contrari alla legge, allo statuto e ai creditori, oltre che in conflitto di interessi con la stessa società), la Corte d’appello ha negato la sussistenza della responsabilità solidale omissiva dei sindaci ex art. 2407 c.c., in relazione alle condotte illecite poste in essere dall’amministratore unico per difetto del nesso di causalità con il danno prodotto, trascurando però una serie di fatti decisivi ampiamenti provati, quali, per un verso, l’assoluta mancanza di rilievi critici o iniziative dei sindaci a fronte di una situazione di insolvenza risalente al __ (come emersa dall’ispezione governativa) e, per altro verso, la limitazione riduttiva del danno ai soli oneri finanziari maturati – peraltro con gravi errori giuridici in punto di interessi sui crediti ipotecari e interessi anatocistici – senza considerare la documentazione prodotta attestante l’esistenza di componenti diverse dagli interessi (ad es. debiti erariali e previdenziali) e la riconducibilità delle ingenti perdite e dell’aggravamento dei costi alle condotte gestionali illecite dell’amministratore. Di qui la rotale legittimità della valutazione equitativa del danno adottata dal tribunale, con riferimento al noto criterio differenziale dei netti patrimoniali.
  • La censura, complessivamente considerata in base al suo effettivo tenore, supera i rilievi di inammissibilità sollevati nel controricorso e merita accoglimento.
  • La Corte territoriale, invero, dopo aver confermato la mala gestio nei limiti già circoscritti dal tribunale (pag. _), ritenuto astrattamente configurabile una responsabilità omissiva dei sindaci, in relazione alle condotte illecite poste in essere dall’amministratore unico (per come riscontrate dal primo giudice) (pag. _) e ricordato che il criterio equitativo di quantificazione del danno c.d. differenziale dei netti patrimoniali trova utilizzo specie in presenza di situazioni di prosecuzione dell’attività di impresa per un periodo di tempo considerevole, con conseguente difficoltà di ricostruire ex post le singole operazioni non conservative e di collegare ad esse un danno al netto dell’eventuale ricavo (pag. _), ha limitato la valutazione del danno da aggravamento del dissesto agli oneri finanziari derivanti dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari, in forza di clausole che anni dopo la giurisprudenza avrebbe qualificato nulle (pag. _), nonché alla maturazione degli interessi ipotecari sugli immobili della cooperativa (pag. _), per trarne sbrigativamente la conseguenza che nel determinare la differenza tra i patrimoni netti, non poteva tenersi conto delle somme non dovute e di tutti quegli oneri che sarebbero comunque maturati anche nel caso di pronta e tempestiva dichiarazione di fallimento, poiché gli oneri per capitalizzazione degli: interessi bancari a debito non dovevano essere, comunque, riconosciuti e la declaratoria di fallimento non avrebbe escluso il maturare di interessi con riferimento ai crediti ipotecari, oneri ineliminabili (in quanto tali non imputabili a titolo di danno).
  • Tale conclusione, oltre ad essere riduttiva – in relazione agli ulteriori fatti decisivi segnalati in ricorso (ove, oltre agli artifizi contabili non menzionati nella sentenza impugnata, si valorizza il fatto che nonostante dall’ispezione del __fosse emersa l’insolvenza, l’attività della cooperativa era proseguita sino al __, con raddoppio delle perdite e dismissione degli attivi) – è anche erronea, poiché non tiene conto della disciplina degli interessi ipotecari dettata dalla L. Fall., art. 54, comma 3, che rinvia all’art. 2855 c.c., con conseguente error in iudicando anche in relazione alla quantificazione del danno risarcibile L. Fall., ex art. 146.
  • Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto ammissibile la liquidazione del danno in questione in via equitativa, sia nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare – qualora il ricorso a tale parametro si palesi, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile, purché l’attore abbia allegato inadempimenti dell’amministratore astrattamente idonei a porsi quali cause del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo (Cass. 01/02/2018 n. 2500; Sez. U. n. 9100/2015) – sia con ricorso al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, in presenza degli stessi presupposti e nell’impossibilità di una ricostruzione analitica per l’incompletezza dei dati contabili o la notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento (Cass. n. 9983/2017).
  • Per completezza va ricordato che i suddetti criteri sono stati da ultimo recepiti ed anzi ampliati dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il cui art. 378, comma 2 (in vigore dal 16 marzo 2019) ha aggiunto nell’art. 2486 c.c., un comma 3 in base al quale “Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura, e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.
  • Con il motivo di ricorso incidentale condizionato si prospetta il vizio di “Erronea e falsa applicazione degli artt. 2403 e 2407 c.c., nella formulazione all’epoca vigente – violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la Corte d’appello “compiuto la verifica nel concreto dei fatti esposti se era configurabile un dovere-potere concreto ed attuale dei sindaci di intervenire in senso contrario alla scelta dell’amministratore”, la quale, sebbene “non efficiente per la risoluzione dei problemi finanziari della società amministrata, per l’inadempimento di terzi, rientrava nei limiti del suo libero apprezzamento gestorio e non comportava quella violazione dei doveri giuridici dell’amministratore che poteva essere sindacato dai Sindaci, ai quali non può opporsi una condotta omissiva nel contestare la scelta dell’amministratore di continuare nella vita della società”.
  • La censura è inammissibile perché generica, avendo la Corte territoriale specificamente confermato l’accertamento in concreto della mala gestio, nei limiti ricostruiti dal giudice di primo grado.
  • La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio in relazione al motivo accolto.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso accolto e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

 

Cass_civ_Sez_I_30_09_2019_n_24431




Le spese dell’insinuazione al passivo devono essere ammesse al passivo fallimentare

Le spese dell’insinuazione al passivo devono essere ammesse al passivo fallimentare

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 24442 del 30/09/2019

Con sentenza del 30 settembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che le spese dell’insinuazione al passivo devono essere ammesse al passivo fallimentare in virtù di un’applicazione estensiva dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999, che prevede la rimborsabilità di quelle relative alle procedure esecutive individuali, atteso che un trattamento differenziato delle due voci di spesa risulterebbe ingiustificato, potendo la procedura concorsuale ritenersi un’esecuzione di carattere generale sull’intero patrimonio del debitore.


Le spese dell’insinuazione al passivo devono essere ammesse al passivo fallimentare

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 24442 del 30/09/2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

E. – ricorrente –

contro

Fallimento della Società (OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal cons. Dott. __;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato __, con delega orale, che ha chiesto il rigetto.

Svolgimento del processo

E. chiedeva di essere ammessa al passivo del fallimento di (OMISSIS) s.r.l. (dichiarato dal tribunale di Napoli nel febbraio __) per vari crediti tributari iscritti a ruolo, oltre che per interessi di mora e accessori.

La domanda veniva accolta in misura ridotta, attesa la mancanza di prove circa la notifica di __ cartelle di pagamento.

L’opposizione di E. è stata respinta dal tribunale di Napoli con decreto del __, sul rilievo che il credito tributario non può essere ammesso al passivo fallimentare ove il concessionario non provi l’avvenuta notifica della cartella esattoriale al contribuente fallito, non potendo il ruolo, in mancanza della notifica, esser posto in riscossione né in forma di esecuzione fiscale, né in forma di esecuzione concorsuale. A tal fine il tribunale ha richiamato anche l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte formatosi sul tema della possibile impugnazione del cd. estratto di ruolo, per inferirne che è pur sempre il ruolo, e non il suo estratto, a costituire il titolo per l’ammissione al passivo fallimentare.

Infine ha rigettato l’opposizione nella parte relativa alle spese di insinuazione, affermando che codeste non erano risultate sostenute, essendo stata la domanda presentata dal concessionario in esenzione dal bollo.

E. ha proposto ricorso per cassazione in due motivi.

La curatela del fallimento ha replicato con controricorso.

Avviata in un primo momento alla trattazione camerale dinanzi alla sesta sezione civile, la causa è stata rimessa in pubblica udienza dinanzi a questa sezione con ordinanza interlocutoria del __.

Le parti hanno depositato una memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione della L. Fall., art. 93, D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 33, D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 87 e 88, D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17 e 18. Censura la sentenza perché nessuna norma prevede la necessità di allegare alla domanda di insinuazione le cartelle di pagamento con le relate di notifica. Assume esser errata anche l’interpretazione data dal tribunale alla sentenza n. 19704 del 2015 delle sezioni unite di questa Corte, poiché codesta sentenza ha in verità affermato l’ammissibilità dell’impugnazione della cartella (e conseguentemente del ruolo) che non sia stata validamente notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza mediante l’estratto rilasciato dal concessionario su sua richiesta. Donde sostiene che sia sempre possibile impugnare infine i crediti tributari iscritti a ruolo anche quando la cartella non sia stata notificata.

Il motivo è fondato.

Da tempo questa Corte va ripetendo che la società concessionaria può domandare l’ammissione al passivo dei crediti tributari maturati nei confronti del fallito sulla base del semplice ruolo, senza che occorra anche la previa notifica della cartella esattoriale; e dunque sulla base del solo estratto, in ragione del processo di informatizzazione dell’amministrazione finanziaria che, comportando la smaterializzazione del ruolo, rende indisponibile un documento cartaceo, imponendone la sostituzione con una stampa dei dati riguardanti la partita da riscuotere (v. Cass. n. 31190-17, Cass. n. 16603-18).

Da questo punto di vista, può anzi in termini più generali osservarsi che la domanda di ammissione al passivo di un credito di natura tributaria neppure presuppone necessariamente, ai fini del suo buon esito, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento e l’allegazione all’istanza della documentazione comprovante l’avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo, viceversa, essere basata anche e semplicemente sul titolo dell’obbligazione desunto da un atto ricognitivo di esso.

Ne deriva che l’insinuazione per crediti tributari non può esser rigettata sul mero rilievo circa la mancanza di prova della notifica della cartella esattoriale (v. Cass. n. 14693-17).

Fuorviante appare il riferimento del giudice a quo alla sentenza delle sezioni unite n. 19704 del 2015.

Questa sentenza ha richiamato la distinzione tra il ruolo e l’estratto allo specifico fine di affermare, nel giudizio tributario, la possibilità per il contribuente di impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell’invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso l’estratto suddetto, senza che a ciò osti l’ultima parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3.

Come esattamente osservato dalla ricorrente, il senso ultimo della richiamata sentenza è molto semplicemente rinvenibile nell’ampliamento della possibilità di impugnazione nella sede propria, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto tributario precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – impugnabilità prevista dalla norma speciale – non costituisce l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza; e quindi non esclude la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima di tale momento, giacché – si è detto – l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione.

Il collegio reputa di dover spendere qualche ulteriore considerazione sul tema, tenuto conto della sollecitazione della difesa del Fallimento a una riconsiderazione dei citati insegnamenti.

La tesi sostenuta a tal riguardo (in modo specifico nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c.) si sostanzia essenzialmente in questo: che mantenendo i principi esposti nel solco del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87 si finirebbe per svuotare gli oneri di allegazione e prova gravanti sull’agente della riscossione, giacché questi sarebbe legittimato ad allegare alla domanda di insinuazione solo gli estratti di ruolo, per loro natura evinti da modelli lacunosi. Ciò a fronte della regola che impone, invece, a tutti i creditori di riportare nella domanda la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni di essa.

Avendo un contenuto parziale e insufficiente, l’estratto di ruolo non sarebbe così neppure lontanamente assimilabile alla cartella di pagamento, potendo consentire, al più, all’interessato di apprendere di eventuali atti emessi nei suoi confronti, non di provarne le ragioni. Sicché, ai fini dell’insinuazione, sarebbe sempre necessaria la previa notifica della cartella di pagamento.

La tesi della difesa del Fallimento non può esser condivisa, poiché l’affermata necessità della previa notifica della cartella di pagamento, per le conseguenze sull’ammissione al passivo, non coglie uno dei profili essenziali della riscossione tributaria mediante ruolo.

Il ruolo è un atto amministrativo che si presenta come un elenco di debitori e relativi debiti, al punto che viene tradizionalmente ricondotto ora agli atti plurimi, ora agli atti collettivi.

Esso si caratterizza per essere l’atto principale di un procedimento che si compone di due momenti fondamentali: il primo, costitutivo dell’atto, che si concretizza nella compilazione e nella sottoscrizione; il secondo, integrativo dell’efficacia, che si concretizza nella consegna del ruolo all’agente della riscossione e nella notifica delle singole iscrizioni da parte di quest’ultimo mediante la cartella di pagamento.

La fase di compilazione del ruolo è invero a sua volta idealmente scomponibile in due momenti: l’uno riguardante il ruolo come appunto atto unitario; l’altro riguardante le singole posizioni debitorie in esso contenute.

Tali singole iscrizioni devono indicare sinteticamente gli elementi sulla base dei quali sono state effettuate e, nel caso in cui conseguano a un atto precedentemente notificato, devono indicarne pure gli estremi e la relativa data di notifica (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12).

Ora il procedimento postula che ricevuti i ruoli, l’agente della riscossione competente formi un unico titolo giuridico per ogni debitore, comprendente l’insieme dei suoi debiti (di natura tributaria e non), e poi proceda alla formazione e alla notifica della cartella di pagamento secondo il noto modello approvato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.

La cartella contiene l’intimazione ad adempiere.

Ebbene quel che la tesi del Fallimento omette di considerare è che la funzione principale della cartella di pagamento è proprio quella di comunicare al debitore l’avvenuta iscrizione a ruolo e i motivi della stessa quali emergenti dal ruolo, per quanto a tale specifica funzione si aggiunga anche l’altra, autonoma e distinta, riconducibile agli atti di precetto.

Quale atto partecipativo dell’iscrizione a ruolo, la cartella non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alle parti, sicché, redatta in conformità al relativo modello ministeriale, essa reca l’indicazione dei medesimi elementi identificativi della pretesa risultanti dal ruolo. Cosicché distinguere tra la notifica della cartella, il ruolo e l’estratto, come fatto dal tribunale di Napoli e come ancora preteso dal Fallimento controricorrente, non ha alcun senso, poiché l’estratto di ruolo è – esso pure – la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alle pretese creditorie azionate (o azionabili) verso il debitore con la cartella esattoriale. E a tanto consegue che il detto estratto costituisce prova idonea dell’entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale, a prescindere dalla notifica di questa.

Dopodiché, in sede fallimentare, la questione si sposta sul versante delle eventuali contestazioni del curatore, in vista dell’ammissione al passivo pura e semplice o con riserva (D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 87 e 88).

Col secondo motivo la ricorrente ulteriormente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 e del D.M. Finanze 21 novembre 2000 nella parte in cui ha affermato l’inammissibilità dell’insinuazione per le spese cd. tabellari.

Anche il secondo motivo è fondato.

Di nessuna rilevanza è la questione dell’esenzione dal bollo, poiché nella specie si discuteva – per quanto emerge dalla stessa motivazione del tribunale – delle spese dell’insinuazione al passivo.

Il tribunale ha escluso le dette spese poiché esse non risultavano sostenute, ma in tal modo ha violato la norma richiamata dalla ricorrente, giacché nella specie si trattava dei cd. diritti esecutivi tabellari: id est, degli oneri di riscossione e di esecuzione commisurati ai costi per il funzionamento del servizio.

Tali sono le spese che questa Corte ha chiarito debbano essere ammesse al passivo fallimentare in virtù di un’applicazione estensiva del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, che prevede la rimborsabilità di quelle relative alle procedure esecutive individuali, atteso che un trattamento differenziato delle due voci di spesa risulterebbe ingiustificato, potendo la procedura concorsuale fondatamente ritenersi un’esecuzione di carattere generale sull’intero patrimonio del debitore (v. Cass. n. 4861-10, Cass. n. 7868-14, Cass. n. 25802-15).

La curatela ha eccepito (anche in memoria) l’inammissibilità del citato secondo motivo per difetto di interesse, sostenendo che codeste spese erano state già ammesse col decreto di esecutività dello stato passivo.

Ciò tuttavia non risulta dal testo del provvedimento impugnato, né in prospettiva di autosufficienza emerge dal controricorso.

Quel che è dato di apprezzare dagli atti interni del giudizio di cassazione è semplicemente che la domanda di E. aveva fatto riferimento ai crediti privilegiati e chirografari e (anche) alla somma di __ EUR a titolo di spese di ammissione ex art. 17 citato, e che la domanda medesima era stata accolta solo parzialmente per Euro __ in privilegio e per Euro __ in chirografo.

Per quanto precede, dunque, il ricorso va accolto sotto entrambi i profili e il decreto cassato.

Segue il rinvio dinanzi al medesimo tribunale di Napoli che, in diversa composizione, riesaminerà l’opposizione al passivo uniformandosi ai principi esposti.

Il tribunale provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Napoli.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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Il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale

Il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale

Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 24068 del 26/09/2019

Con sentenza del 26 settembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale, pronunciato sul reclamo avente ad oggetto il provvedimento del giudice delegato, nella parte in cui decide la controversia concernente, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile e, dall’altro, il diritto degli ulteriori interessati ad ottenere gli accantonamenti delle somme necessarie al soddisfacimento dei propri crediti, nei casi previsti dall’art. 113 L.F. (R.D. n. 267 del 1942), si connota per i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, avverso di esso, è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost.


Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 24068 del 26/09/2019

Il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Primo Presidente f.f. –

Dott. __ – Presidente di Sez. –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

P., M. E. e M. A. – ricorrenti –

contro

S. S.p.A., in amministrazione straordinaria, L.- controricorrenti –

avverso il decreto L. Fall., ex art. 26 del Tribunale di Milano (R.G. __), depositato il __.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. __, che ha concluso per l’ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., e che pronunciando sullo stesso, cassi il provvedimento impugnato e rinvii al giudice di prime cure;

uditi gli avvocati __, __, __ e __.

Svolgimento del processo

1.- Il Commissario straordinario di S. S.p.A., in amministrazione straordinaria (d’ora in avanti, anche solo S.), depositò, in data __, un piano di riparto parziale tra i creditori ammessi al concorso avverso il quale P., M. A. e M. E. proposero un reclamo, che il giudice delegato accolse ordinando l’accantonamento di tutte le somme appostate nel piano.

1.1.- I reclamanti avevano contestato la possibilità di procedere al riparto, in quanto sarebbero stati titolari di un credito di natura prededucibile – conseguente ai danni da disastro ambientale a loro cagionato dall’attività industriale (nel settore chimico) svolta dalla società debitrice nei siti di (OMISSIS), stimato pari a circa __ Euro – che era destinato ad essere pagato in via preferenziale.

1.2.- Il giudice delegato, perciò, ritenne che fosse necessario un accantonamento integrale dell’attivo liquidato, in vista dell’accertamento dei pretesi crediti prededucibili, all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, pendente.

  1. – Tuttavia, un creditore concorrente, L., avverso il decreto di accantonamento delle somme dato dal giudice delegato propose reclamo, che venne accolto dal Tribunale, il quale affermò che, tenendo conto della risultanze dello stato passivo, non poteva tenersi in considerazione il credito vantato da P., M. A. e M. E. (escluso dal concorso e dunque senza titolo idoneo a fondare una pronuncia interinale di accantonamento), non potendosi includere i crediti degli opponenti allo stato passivo tra quelli di cui alla L. Fall., art. 110, comma 4, posto che la norma si riferirebbe esclusivamente ai crediti già inclusi nel piano di riparto, anche se contestati.

2.1.- Anche la L. Fall., art. 113, comma 2, non poteva essere invocato, poiché la nozione di debito prededucibile ivi contemplata si riferirebbe a poste non contestate o almeno già ammesse al passivo, sebbene non in via definitiva; perciò, in mancanza di una giustificazione dell’accantonamento, il tribunale dichiarò l’esecutività del progetto di ripartizione depositato dal commissario.

3.- P., M. A. e M. E. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

3.1.- Ad esso hanno resistito, con controricorso, il creditore concorrente e la stessa procedura di S., in amministrazione straordinaria, con il suo commissario.

4.- Con ordinanza interlocutoria del __, n. __, la Prima sezione civile di questa Corte, ha rimesso gli atti al Primo presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

4.1.- L’ordinanza interlocutoria ha premesso l’illustrazione dei motivi del ricorso.

4.1.1.- Con il primo, i ricorrenti hanno dedotto la violazione della L. Fall., artt. 110, 36 e 26, avendo il tribunale erroneamente ritenuto legittimato al reclamo avanti a sé un creditore, ammesso allo stato passivo, che però non aveva impugnato il piano di riparto avanti al giudice delegato, stante il rinvio operato dalla L. Fall., art. 110 all’art. 36 della stessa legge, il quale ultimo contempla quali contraddittori – in quel tipo di giudizio – solo il curatore (qui il commissario straordinario) e il reclamante (nella specie, le Amministrazioni pubbliche) e senza che, per questa via, possa trovare applicazione la L. Fall., art. 26.

4.1.2.- Con il successivo, le amministrazioni contestano che, in sede di reclamo, rientrasse tra i poteri del tribunale decidere su posizioni soggettive diverse da quelle del reclamante L., posto che gli altri creditori avrebbero fatto acquiescenza alla declaratoria di inammissibilità del rispettivo intervento pronunciata dal giudice delegato, violandosi altresì l’art. 112 c.p.c. per la rimozione officiosa della sospensione del riparto.

4.1.3. – Il terzo motivo denuncia un vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo il giudice di merito ammesso la legittimazione delle amministrazioni al reclamo, ma negato loro l’accantonamento, deferendo al commissario straordinario ogni decisione modificativa del piano di riparto.

4.1.4.- Il quarto, censura il decreto laddove ha fatto leva sull’esclusione del credito dallo stato passivo, quanto alle Amministrazioni, per statuire sulla non applicabilità dell’accantonamento, che invece conseguiva dal fatto che la contestazione aveva riguardato tutti gli altri creditori considerati nel piano di riparto e che, invece, sarebbero stati da posporre a quelli pubblici, dunque contestati ai sensi della L. Fall., art. 110, comma 4, ovvero valutandosi per il medesimo effetto l’accantonamento previsto per i debiti prededucibili dalla L. Fall., art. 113, comma 2.

4.2.- L’ordinanza interlocutoria osserva quindi che sul tema della ricorribilità, avanti alla Corte di cassazione, della decisione assunta dal giudice di merito sulle impugnative endoconcorsuali al piano di riparto, ha registrato talune pronunce negative la cui ratio decidendi si impernia sulla considerazione secondo cui le somme sottratte alla ripartizione non vengono definitivamente negate al creditore reclamante (ancorché garantito da ipoteca), o attribuite ad altri, ma soltanto rinviate, con la distribuzione sulla base del piano di riparto finale, sicché la relativa statuizione avrebbe carattere meramente ordinatorio.

4.2.1.- Sarebbe esplicitamente teorizzato, cioè, il fatto che la negazione dell’assegnazione monetaria non equivale ad un diniego assoluto e definitivo del pagamento, posto che la quota di riparto sarebbe sostituita dall’accantonamento, secondo un provvedimento di “mera gestione”, e il pagamento al creditore soltanto differito, ma non escluso, così che ben potrebbe predicarsi la non ricorribilità in Cassazione, non avendo il decreto del tribunale i requisiti della decisorietà e della definitività.

4.3.- Evidenzia poi il collegio che la giurisprudenza richiamata avrebbe avuto modo di formarsi su fattispecie in cui l’accantonamento era stato positivamente disposto con riguardo a crediti ammessi al passivo, tant’è che alcune pronunce non avrebbero mancato di porre in evidenza che ogni altra decisione, assunta dal giudice del riparto, in ordine al riconoscimento – attraverso l’ordine di pagamento – dei crediti in prededuzione, assumerebbe portata diversa, così che il ricorso straordinario per cassazione sarebbe, invece, ammissibile avverso il medesimo decreto, nella parte in cui si riconosce l’esistenza di spese in prededuzione (a norma della L. Fall., art. 111, comma 1, n. 1), disponendone altresì il pagamento, pur in presenza di contestazioni, atteso che – per tale profilo – il provvedimento assumerebbe carattere decisorio, riducendo l’entità delle somme attribuibili ai creditori ammessi e così incidendo sulle loro pretese.

4.4.- Orbene, nel caso all’esame, P., M. A. e M. E. sostengono che, dalla duplice qualità da loro posseduta quella di creditori insinuati, per il credito in prededuzione, e di opponenti, avverso il provvedimento che ha respinto la domanda di partecipazione al concorso -, discenderebbe il proprio titolo per esigere un accantonamento delle relative somme, ovvero la temporanea non distribuzione di altre, conseguenti alla liquidazione dell’attivo, formante oggetto di un riparto parziale destinato ai creditori ammessi.

4.5.- Nel caso esaminato, è sicuro P., M. A. e M. E., alla data del piano di riparto (o comunque della sua esecutività), non hanno ancora conseguito l’ammissione al passivo; Esse però assumono di vantare, comunque, un (diverso) titolo per esigere il corrispondente accantonamento.

4.6.- La L. Fall., art. 113, come modificato a seguito della riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006, è qui richiamato laddove stabilisce che devono essere trattenute e depositate, da un canto, le quote assegnate ad alcune categorie di creditori e, dall’altro, le somme necessarie per soddisfare ogni altro debito prededucibile. In questo caso, anche la misura complessiva dell’oggetto della distribuzione dovrebbe essere ridotta, posto che la legge stessa prevede un diritto all’accantonamento, che è insieme misura di protezione del credito titolato e limite alla discrezionalità del giudice delegato. Il conseguente provvedimento sull’accantonamento, in concreto negato, potrebbe esprimere un profilo decisorio e con natura definitiva e, se non impugnato, potrebbe cristallizzare, L. Fall., ex art. 114, i pagamenti nel frattempo eseguiti con il riparto esecutivo e conformare in modo irrimediabilmente limitativo la partecipazione del creditore che non abbia ottenuto l’invocato accantonamento.

4.7.- Dunque, secondo l’ordinanza interlocutoria, una prima questione di massima di particolare importanza sottoposta all’esame di queste SS.UU., concernerebbe la ricorribilità per cassazione del decreto del tribunale che, affermando l’esecutività del piano di riparto, abbia negato il diritto all’accantonamento del quantum preteso da un creditore non ammesso allo stato passivo, ma che rivendichi, per altro titolo, la propria pretesa, da dichiarare in sede di riparto, e perciò, ove negata, da correggere con la relativa impugnazione.

5.- Una seconda questione rilevante, invece, atterrebbe al problema dell’immediata esecutività del piano di riparto, che – come detto – è stata dapprima sospesa dal giudice delegato e poi ripristinata dal tribunale, sulla base di una diversa ricostruzione della relazione, dal primo ammessa e dal secondo negata, con il credito prededucibile vantato da P., M. A. e M. E.

5.1.- Secondo l’ordinanza in esame, sarebbe necessario chiarire i limiti della giustiziabilità di siffatta statuizione negativa, ponendosi il seguente problema: se il provvedimento che dispone l’esecutività del piano di riparto sia vincolante allo stato degli atti o se, al contrario, esso risulti direttamente condizionato dall’evoluzione dei costi o delle spese in prededuzione e, dunque, potenzialmente revocabile.

5.2.- Aderendo alla prima impostazione, solo l’esaurimento dei mezzi d’impugnazione metterebbe in sicurezza l’esecuzione del piano di riparto, proposto e vagliato giudizialmente, non retrocedibile di fase né ritirabile, se non se ed in quanto non raccordato con lo stato passivo o con le condizioni per l’accantonamento di alcune somme.

5.3.- Ove si ritenesse, invece, che il piano di riparto possa essere, in tutto o in parte, ritirato in ogni momento divenendo oggetto di modifica o di revoca ovvero di sospensione in ordine alla sua esecutività, lo si renderebbe permeabile all’evoluzione dei conti della procedura, dovendosi accantonare tutte le risorse necessarie a fronteggiare le spese o i debiti prededucibili inizialmente non previsti (o come nel caso di specie i debiti prededucibili di grado diverso chirografari e privilegiati, anch’essi).

5.3.1.- Ma, con una tale interpretazione, la modificabilità o la revocabilità del piano di riparto comporterebbe anche l’inammissibilità del ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., poiché il provvedimento impugnato non sarebbe mai definitivo.

6.- Le Sezioni unite della Corte sono quindi chiamate a decidere in ordine alla seguente questione di massima di particolare importanza: “se sia ammissibile il ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7, nei confronti del decreto del tribunale fallimentare che, decidendo sul reclamo contro il provvedimento del giudice delegato, abbia ordinato l’esecuzione del piano di riparto parziale, avuto riguardo alla sua idoneità a stabilire, in maniera irreversibile o meno, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile e, dall’altro, il diritto degli altri interessati ad ottenere gli accantonamenti nei casi previsti dalla L. Fall., art. 113”.

7.- Il P.M., nella requisitoria scritta, ha osservato che: “Dalla complessa motivazione dell’ordinanza interlocutoria si desume che è stata tuttavia sottoposta alle S.U. un’ulteriore questione (approfondita nelle pagg.__)”.

7.1.- Dalla premessa che non è controversa nel giudizio la questione concernente la discrezionalità degli organi della procedura concorsuale nell’approntamento dei riparti parziali (e quindi l’interpretazione della L. Fall., art. 110, comma 1, in tema di fallimento, e D.Lgs. n. 270 del 199, art. 67, comma 1, per l’a.s.), per il P.M. il secondo quesito formulato con l’ordinanza interlocutoria potrebbe essere così sintetizzato: “qualora, nelle more tra il deposito del piano di riparto parziale e l’attuazione della distribuzione, sorgano crediti di rango poziore, se tale piano possa, o addirittura debba, essere modificato e/o revocato, benché già esecutivo, ovvero se tale insorgenza ne determini di per sé l’inefficacia; in caso affermativo, resterebbe escluso il carattere della definitività del provvedimento e, quindi, la ricorribilità dello stesso ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7”.

8.- Il P.M., nella sua requisitoria scritta, al riguardo, ha concluso per l’ammissibilità del ricorso ma anche per il suo rigetto nel merito.

8.1.- Hanno depositato proprie memorie sia L., il quale sia pure con diverso percorso argomentativo – ha, al pari del P.M., chiesto la reiezione del ricorso per Cassazione, e S., la quale ha riproposto la richiesta dell’enunciazione del principio di diritto, con i conseguenti provvedimenti di accantonamento generico sino alla somma di __ Euro, e in subordine la decisione della controversia secondo giustizia.

9.- Con ordinanza interlocutoria n. 31266 del 2018, le SS.UU. di questa Corte hanno richiesto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo una relazione di approfondimento di alcune questioni.

9.1.- In particolare, sulla premessa che le SS.UU. erano chiamate, anzitutto, ad esaminare il problema (oltre che della decisorietà) della definitività dei piani di riparto parziale e, poi, sulla base di tali risultanze, a scrutinare la ricorribilità in Cassazione del decreto del tribunale fallimentare che, decidendo sul reclamo proposto contro il provvedimento del giudice delegato, ne abbia ordinato l’esecuzione (rispetto al quale thema d’indagine, la difesa di S. aveva richiamato un precedente di questa Corte (la Sentenza n. 12532 del 2014), che sebbene non massimato, aveva affermato che il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., proposto in quella sede, era inammissibile, “vertendo su un provvedimento privo del carattere di decisorietà con attitudine al giudicato”), la Corte ha stimato opportuno approfondire sia una prima questione, relativa alla affermata possibilità degli emendamenti ad un piano che sia stato formalmente approvato (e rispetto al quale si siano consumati i termini di cui alla L. Fall., art. 110, commi 3 e 4), sia una seconda, riguardante il novero dei soggetti attivamente legittimati all’impugnativa del piano (per il quale – sulla base del rinvio operato dalla L. Fall., art. 110, comma 3, all’art. 36 della stessa legge, si prevede (al comma 2) che siano sentiti soltanto il curatore e il reclamante).

9.2.- In particolare, la richiamata ordinanza interlocutoria ha osservato che, se con riferimento al primo aspetto non è chiaro come un sistema disegnato sulla regola del riparto a periodicità quadrimestrale (L. Fall., art. 110, comma 1), destinato a completarsi con l’approvazione del piano di riparto finale (L. Fall., art. 117), ben formalizzato e cadenzato nel rispetto del principio della pluralità successiva delle distribuzioni, ciascuna soggetta a regole formali di approvazione, possa tollerare continue modificazioni per il tramite di emendamenti, senza preclusione da acquiescenza; con riferimento al secondo, non è dato comprendere come lo schema processuale della L. Fall., art. 36 possa dar conto della complessità soggettiva delle contestazioni, in ipotesi molteplici e di diverso contenuto.

10.- Acquisita la relazione di approfondimento redatta a cura dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Corte, la causa è stata fissata per la discussione all’udienza odierna.

10.1.- Il P.M. ha depositato una seconda requisitoria scritta, con la quale, ribadita la preliminare richiesta di ammissibilità del ricorso, ha concluso – per le ragioni che si richiameranno – perché la Corte, decidendo sul ricorso, cassi il provvedimento impugnato e rinvii la causa al giudice di prime cure.

10.2.- Hanno depositato proprie memorie sia L., il quale ha insistito per la reiezione del ricorso, e sia S., la quale ha riproposto, da un lato, la richiesta dell’enunciazione del principio di diritto, con i conseguenti provvedimenti di accantonamento generico, sino alla somma di __ Euro, e in subordine, dall’altro, la decisione della controversia secondo giustizia.

Motivi della decisione

1.- Assume condivisibilmente il P.M. che “deve anzitutto ritenersi pacifico, almeno nella giurisprudenza di legittimità (che dunque non occorre qui approfondire), il principio secondo cui il decreto del Giudice Delegato che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale è ricorribile al Tribunale ed il provvedimento da questo reso non è impugnabile dinanzi alla Corte di appello (per tutte, Cass. n. 24698 del 2017; v. anche Cass. n. 17948 del 2016; n. 19715 del 2015)”, sicché “la sola questione da affrontare è quindi (quella che può compendiarsi nel quesito.) se il decreto del Tribunale sia ricorribile in cassazione ex art. 111 Cost., comma 7”.

2.- Lo stesso P.M. (alle pagg. __ della prima requisitoria scritta e alla pag. _ della seconda) conviene che il secondo quesito (riportato al punto __ dei Fatti di causa) “viene in rilievo soltanto perché necessariamente sotteso al primo (..quello formalizzato al punto _ della stessa prima parte di questa sentenza), dal momento che influisce, in linea generale ed in astratto, sull’identificazione dei caratteri del provvedimento impugnato, ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario” (aggiungendo: per quanto tale questione non possa originare dalla inammissibile domanda rivolta alla Corte da S. con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.). Oggi aggiunge (alle pagg. __della seconda requisitoria) che, tale (seconda questione), “è stata (..) affrontata, ma congiuntamente alla prima, come imposto da esigenze logico-giuridiche” (anche se, ribadisce, non già per dare risposta all’inammissibile quesito come posto da S.).

2.1.- Infatti, sebbene il P.M. abbia rilevato che, per quanto il problema (della revoca e modifica del piano di riparto dichiarato esecutivo) sia stato posto esplicitamente da S. soltanto con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (….), per la prima volta, e che la questione non risulta infatti sollevata e trattata nelle fasi di merito (punto __, della prima requisitoria), Egli ha comunque convenuto che, nondimeno, la questione assume rilevanza (….) ma soltanto all’esclusivo fine (diverso da quello prospettato da S.) di stabilire se il provvedimento che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale sia connotato dal carattere della definitività, ciò che si è ritenuto di dovere affermare, anche in considerazione dell’impossibilità di una successiva modifica e/o revoca da parte del curatore (o del commissario).

2.2.- In tale condivisibile osservazione del P.M. è la risposta all’obiezione di L., il quale all’udienza di discussione ha eccepito la ellitticità del quesito proposto da S. (in relazione ai prededucibili sopravvenuti) rispetto a quello formante oggetto della rimessione della sezione semplice a queste SS.UU. civili (riguardante i crediti di P., M. A. e M. E., ancora contestati).

2.3.- E, come si è già detto (con l’ordinanza interlocutoria n. 31266 del 2018), se il problema della definitività del provvedimento che dichiara esecutivo il piano di cui alla L. Fall., artt. 110 e 113 è prioritario, sul piano logico-giuridico, ai fini della stessa ammissibilità del ricorso per cassazione proposto (ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7) verso il decreto del tribunale fallimentare che, decidendo sul reclamo contro il provvedimento del giudice delegato, abbia ordinato l’esecuzione del piano di riparto parziale, avuto riguardo alla sua idoneità a stabilire, in maniera irreversibile (o meno), il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile, la prima questione (punto _ dei Fatti di causa) non può essere anteposta all’esame della seconda (punto _ dei Fatti di causa), e ciò indipendentemente dalla rituale deduzione da parte di S.

2.4.- Da ultimo, va ancora precisato che, in tale quadro, non ha pregio l’eccezione dell’inammissibilità ex latere subiecti dell’odierno ricorso per cassazione, non potendosi affermare – come pure ha sollecitato, alla pubblica udienza, L. – il difetto di un titolo legittimante da parte di P., M. A. e M. E., poiché “la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione” (Cass. SS.UU., sentenza n. 2951 del 2016). In questa sede, infatti, rileva solo l’astratta titolarità di quel credito, indipendentemente dal suo ipotetico, concreto e successivo riconoscimento.

3.- Va ora compiuta la ricognizione dei dati acquisiti con il supplemento della ricerca, svolta dal Massimario sul problema della stabilità o meno del piano di riparto parziale che sia stato dichiarato esecutivo dal giudice delegato, per mancanza di reclami proposti nel termine prescritto dalla L. Fall., art. 110, comma 3, ovvero per l’inutile esperimento degli stessi.

3.1.- Si è già menzionata la sentenza (non massimata dall’Ufficio) n. 12352 del 2014, della prima sezione civile di questa Corte, contenente in apparenza l’enunciazione di un principio di diritto distonico rispetto alle linee già seguite dalla Corte riguardo all’affermazione della stabilità dei piani di riparto parziali.

3.2.- A tale proposito, va ricordato che la Cassazione da tempo risalente (se non immemorabile) ha affermato che il principio di diritto secondo cui il piano di riparto parziale, reso esecutivo dal giudice delegato – e a prescindere dalla sua concreta esecuzione -, non ha carattere provvisorio, sì da potere essere modificato in seguito ad ulteriori risultanze ma, al contrario, una volta decorsi i termini di impugnazione, diventa definitivo e quanto con esso sia stato disposto non può essere più oggetto di contestazione (Cass., Sez. 2, n. 2035 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 776 del 1973, a tenore della quale il provvedimento di riparto parziale, di cui alla L. Fall., art. 110, reso esecutivo non ha carattere provvisorio si dà potere essere modificato in seguito ad ulteriori risultanze, ma, una volta decorsi i termini di impugnazione, diventa definitivo e quanto con esso e disposto non può essere più oggetto di contestazione; Cass., Sez. 2, n. 594 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 2374 del 1972, secondo la quale: il decreto del giudice delegato, che stabilisce  il piano di riparto parziale e lo rende esecutivo, anche se non costituisce una vera e propria cosa giudicata preclude ogni successivo riesame o questione in ordine all’esistenza, entità ed efficacia dei crediti ammessi ed all’esistenza delle cause di prelazione; Cass., Sez. 2, n. 601 del 1972, secondo cui: un nuovo ordine di privilegi non può ricevere applicazione allorquando nella procedura fallimentare, in base a un provvedimento definitivo ed esecutivo di riparto parziale anteriore alla legge citata, formato in base all’ordine di privilegi all’epoca vigenti, siano state assegnate e pagate ai creditori le somme realizzate, poiché detto provvedimento – come risulta dall’art. 114 (possibilità di recupero delle somme pagate ai creditori solo in caso di revocazione) e 122 della L. Fall. (divieto di concorso dei creditori per le somme già percepite nelle precedenti ripartizioni) – dà luogo ad una preclusione e ad un giudicato interno alla procedura fallimentare).

3.2.1.- Una particolare vicenda legislativa, riguardante la successione di leggi in materia di privilegi, ha registrato l’emersione di tale principio di intangibilità del piano di riparto divenuto definitivo.

3.2.2.- Con l’entrata in vigore della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 66, n. 5), (successivamente abrogato dalla L. 29 luglio 1975, n. 426), introduttiva del nuovo privilegio generale mobiliare spettante ai crediti vantati dai lavoratori subordinati, la S.C. ebbe ad affermare che la disciplina sopravvenuta non poteva ricevere applicazione allorquando nella procedura fallimentare, in base a un provvedimento definitivo ed esecutivo di riparto parziale anteriore alla legge citata, formato secondo l’ordine dei privilegi all’epoca vigenti, fossero state assegnate e pagate ai creditori le somme realizzate, poiché detto provvedimento – come risulta dalla L. Fall., art. 114 (con la possibilità di recupero delle somme pagate ai creditori solo in caso di revocazione) e dalla L. Fall., art. 112 (con il divieto di concorso dei creditori per le somme già percepite nelle precedenti ripartizioni) – dà luogo ad una preclusione e ad un giudicato interno alla procedura fallimentare.

3.2.3.- Ed altrettale successiva vicenda normativa, riguardante un altro caso di successione di leggi in materia di privilegi (la disciplina transitoria dettata dalla L. 29 luglio 1975, n. 426, art. 15, recante modificazioni al codice civile in materia di questi titoli di prelazione) ha fatto ribadire i principi già emersi con l’affermazione che i nuovi privilegi attribuiti dalla detta legge assistevano anche i crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, a prescindere dal tempo in cui fossero stati azionati in sede concorsuale e, quindi, anche i crediti prima chirografari, e come tali ammessi al passivo fallimentare, ossia pure dopo l’approvazione dello stato passivo; ma rimaneva fermo, tuttavia, il limite invalicabile del riparto divenuto definitivo (Cass., Sez. 1, n. 235 del 1980; Cass., Sez. 1, n. 157 del 1979).

3.2.4.- In sostanza, i privilegi potranno essere esercitati anche dopo l’approvazione dello stato passivo (e, perciò, anche dopo la formazione del cd. giudicato endofallimentare), ma non quando il riparto – anche parziale – sia invece divenuto definitivo (Cass., Sez. 1, n. 13090 del 2015).

3.2.5.- Si comprende bene, perciò, che di tale principio sia stata fatta ancora di recente applicazione da questa Corte (Cass., Sez. 1, n. 4729 del 2018; Cass., Sez. 1, n. 20748 del 2012) laddove è stata affermata l’esistenza di un principio generale di intangibilità dei riparti dell’attivo eseguiti nel corso della procedura, con la sola eccezione contemplata espressamente dalla L. Fall., art. 114, sicché le ripartizioni, che in base ad esso sono state eseguite nella procedura fallimentare, non possono essere più rimesse in discussione.

3.3.- Il principio ha trovato conferma nel testo del vigente L. Fall., art. 114, come novellato dal D.Lgs. n. 5 del 2006 (secondo cui i pagamenti effettuati in esecuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti, salvo il caso dell’accoglimento di domande di revocazione), riprodotto esattamente nel medesimo testo dalla D.Lgs. febbraio 2019, n. 14, art. 229, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, norma inapplicabile al caso, essendo l’entrata in vigore differita (art. 388) di diciotto mesi rispetto alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma che con chiara evidenza mostra l’intento del riformatore del 2019 di confermare l’indirizzo già manifestato dal legislatore del 1942 e del 2006.

3.4.- A ciò si aggiunga che, secondo il granitico orientamento della S.C., i provvedimenti resi dal giudice delegato nel fallimento sono revocabili o modificabili, d’ufficio o su istanza di parte, sino a quando essi non abbiano avuto esecuzione, trovando applicazione il principio generale di cui all’art. 487 c.p.c., per il quale le ordinanze del giudice dell’esecuzione sono revocabili o modificabili finché non abbiano avuto esecuzione; onde, se il progetto di riparto parziale sia stato dichiarato esecutivo dal giudice delegato – perché sono decorsi i quindici giorni previsti dalla L. Fall., art. 110, comma 3, ovvero si siano esauriti i mezzi di impugnazione esperiti dagli eventuali reclamanti – e il curatore vi abbia dato pronta esecuzione, mediante la distribuzione delle somme ai creditori concorrenti, non può più sostenersi che il giudice delegato, in deroga al principio generale dettato dall’art. 487 c.p.c., possa, d’ufficio o su istanza di parte, revocare o modificare il decreto di esecutività che risulti apposto sul progetto di riparto, come detto, già eseguito.

4.- Si comprende, perciò, che la sentenza (non massimata dall’Ufficio) n. 12352 del 2014, della prima sezione civile di questa Corte, nella parte in cui ha affermato seccamente (e, come ben indica il P.M., solo attraverso un obiter reso in un caso in cui era stato disposto di non procedere ad un piano di riparto parziale, decisione che in nessun modo incideva su diritti soggettivi) che il riparto parziale (..) costituisce solo una fase intermedia della procedura fallimentare, suscettibile di emendamento, senza preclusione da acquiescenza, in sede di approvazione del progetto definitivo di distribuzione si sarebbe potuta porre in evidente contrasto con l’orientamento consolidato, ove – ancora, come osservato dal P.M. non avesse affermato un mero obiter, neppure motivato, cosicché la pronuncia non adduce il solo necessario dictum idoneo ad interrompere l’orientamento costante di questa Corte.

4.1.- Insomma, in difetto dei requisiti per individuare nel menzionato precedente giurisprudenziale i tratti della necessaria discontinuità rispetto all’uniforme e mai fratta linea ricostruttiva del regime giuridico dei piani di ripartizione in sede concorsuale, e quindi in mancanza di un vero e proprio contrasto interpretativo al riguardo, al quesito di diritto posto dall’ordinanza di rimessione della Prima sezione civile (punto _ dei Fatti di causa), così come condivisibilmente richiesto dal P.M., deve darsi la seguente risposta affermativa, e l’enunciazione del seguente principio di diritto: “il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale, pronunciato sul reclamo avente ad oggetto il provvedimento del giudice delegato, nella parte in cui decide la controversia concernente, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile e, dall’altro, il diritto degli ulteriori interessati ad ottenere gli accantonamenti delle somme necessarie al soddisfacimento dei propri crediti, nei casi previsti dalla L. Fall., art. 113, si connota per i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, avverso di esso, è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7”.

5.- Tuttavia, nel caso in esame, come si è detto, il commissario straordinario (o il curatore, in genere), chiede nella prima memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., e sollecita in quella ex art. 378 c.p.c. (depositata innanzi alle SS.UU.), una risposta alla (rispetto a quella sollevata dall’ordinanza interlocutoria di queste Sezioni Unite) diversa questione relativa alla possibilità giuridica che il piano di riparto parziale, pure dichiarato esecutivo (dal giudice delegato – per mancanza di reclami, ovvero perché tutti inutilmente esperiti -, oppure direttamente dal tribunale in sede di reclamo (è il caso in esame, dove il decreto di esecutività è stato pronunciato direttamente dal collegio), possa essere successivamente modificato o revocato su iniziativa del curatore (o del commissario), sempre che non sia stato ancora eseguito, essendo il detto progetto di riparto ancora sub iudice (pendendo, come nella vicenda che ci occupa, ricorso per Cassazione).

5.1.- La questione, come si vedrà, è pregiudicata dalla soluzione del problema che queste SS.UU. hanno sollevato d’ufficio con la propria ordinanza interlocutoria n. 31266 del 2018.

6.- Nel caso in esame, come si è detto, queste SS.UU. hanno ravvisato, d’ufficio, la necessità di verificare la questione relativa ai soggetti attivamente legittimati all’impugnativa del piano di riparto (per il quale – sulla base del rinvio operato dalla L. Fall., art. 110, comma 3, all’art. 36 della stessa legge, si prevede, al comma 2, che siano sentiti soltanto il curatore e il reclamante).

6.1.- Ha osservato il P.M. che la questione, pur nuova (perché mai sollevata né dal ricorso e neppure dai controricorsi e non evidenziata neppure dall’ordinanza della Prima sezione civile, n. 9250 del 2018) è rilevabile d’ufficio e deve essere necessariamente risolta.

6.2.- Come già ricostruito per sommi capi, il commissario straordinario di S., aveva depositato presso la cancelleria del Tribunale di Milano un progetto di ripartizione in favore dei creditori ammessi alla prededuzione e di ripartizione parziale in favore dei creditori pignoratizi, ipotecari e privilegiati generali fino al grado 9, già ammessi al concorso e il Comitato di sorveglianza aveva espresso all’unanimità parere favorevole.

6.2.1.- Il giudice delegato, con decreto del __, aveva ordinato alla procedura il deposito del detto progetto nella cancelleria e la comunicazione a tutti i creditori (eseguita a mezzo PEC il __).

6.2.2.- Il __ P., M. A. e M. E. avevano proposto reclamo L. Fall., ex art. 36 avverso il progetto di riparto parziale e il giudice delegato, con decreto del __, aveva disposto la sospensione dell’esecuzione del riparto delle somme (ordinando ai reclamanti di dare comunicazione del reclamo a mezzo PEC al commissario di S.).

6.2.2.- Il __, taluni creditori ammessi al concorso con il privilegio generale mobiliare, ex art. 2751-bis c.c., n. 2, (L., D., B., A.P., T., D.L., T.), depositarono una memoria difensiva, chiedendo il rigetto del reclamo.

6.2.3.- Il giudice delegato, con decreto del __, ritenuto inammissibile l’intervento in giudizio di S. e dei creditori non reclamanti – essendo unici contraddittori ammessi il reclamante e il commissario di S. – e, invece, ammissibile il reclamo proposto dai creditori non ancora ammessi al concorso, lo accolse rigettando la richiesta di esecutività del progetto di ripartizione parziale e disponendo che le somme indicate nel piano di riparto restassero accantonate.

6.2.4.- Avverso il detto decreto del giudice delegato, il creditore concorrente L. propose reclamo L. Fall., ex art. 26, con ricorso depositato il __; reclamo in relazione al quale il presidente della sezione fallimentare, con decreto del __, fissò l’udienza per la comparizione delle parti imponendone la notifica, a cura del reclamante, a P., M. A. e M. E. – che si costituirono con memoria difensiva -, nonché a S. e al suo commissario straordinario, che non spiegarono alcuna difesa.

6.2.5.- Il Tribunale di Milano, con provvedimento del __, ritenuta l’ammissibilità dell’intervento nel procedimento dei creditori concorrenti, accolse il reclamo proposto da L., dichiarando esecutivo il progetto di ripartizione parziale depositato dal commissario straordinario.

6.2.6.- Con ricorso notificato il __, P., M. A. e M. E. proposero l’odierno ricorso per cassazione (avverso il decreto del Tribunale di Milano) a cui hanno resistito, con controricorso, il creditore L., e, in unica difesa, S., e il suo commissario straordinario.

7.- Com’è noto, l’originario testo della L. Fall., art. 110 stabiliva che il Giudice Delegato varasse con decreto il piano di riparto, rendendolo esecutivo, poiché tale piano era atto del Giudice Delegato, ed esso era anche pacificamente reclamabile davanti al Collegio, ai sensi della L. Fall., art. 26.

7.1. A seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 42 del 1981 (che ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 26 nella parte in cui assoggettava il decreto del giudice delegato concernente il piano di riparto, al rispetto del termine di tre giorni dall’emanazione, in quanto per l’eccessiva brevità del termine vulnerava il diritto di difesa, il cui effettivo esercizio postula che il termine di decadenza sia congruo e che decorra dal momento in cui l’interessato all’impugnativa abbia avuto notizia dell’emanazione dell’atto impugnabile, o quanto meno tale notizia abbia attinto un livello di conoscibilità da parte dell’interessato medesimo) la giurisprudenza di legittimità ha via via riconosciuto il necessario rispetto del principio del contraddittorio sul piano soggettivo, travasando il regime regolatorio dei procedimenti camerali stabilito nel codice di rito (art. 737 c.p.c. e ss.).

7.1.1. Veniva così inaugurato un filone interpretativo secondo cui: poiché la sentenza n. 42 del 1981 della Corte costituzionale aveva caducato gli aspetti della disciplina positiva dell’istituto in contrasto con la tutela costituzionale del diritto di difesa (dovendo la lacuna discendente dalla pronuncia di incostituzionalità essere colmata con le regole generali disciplinanti il procedimento in camera di consiglio), il Tribunale, in sede di reclamo contro il provvedimento del giudice delegato che stabilisce e rende esecutivo il piano di riparto, è tenuto (a pena di nullità rilevabile d’ufficio in sede di impugnazione) all’osservanza del principio del contraddittorio, e quindi a sentire oltre il reclamante, il fallito, il comitato dei creditori, il curatore ed eventualmente altri controinteressati che ne facciano richiesta (nello stesso senso, successivamente, Cass. Sez. 1, sentenze nn. 7555 del 1991 e 9580 del 1997).

7.2. – Successivamente il D.Lgs. n. 5 del 2006 ha eseguito una prima modifica all’impianto del diritto concorsuale, prevedendo che il progetto di riparto non sia più atto del Giudice Delegato, bensì del curatore, sicché il Giudice Delegato, privato del potere di introdurre rettifiche o modificazioni allo stesso, ora si limita a disporne il deposito e la comunicazione (a mezzo PEC) ai creditori. E, la nuova formulazione della L. Fall., art. 110, comma 3, ora prevede che i creditori (…) possono proporre reclamo contro il progetto di riparto nelle forme della L. Fall., art. 26.

7.2.1. – Una seconda modifica è stata impressa dal D.Lgs. n. 169 del 2007, con la previsione secondo cui i creditori (…) possono proporre reclamo al giudice delegato contro il progetto di riparto ai sensi dell’art. 36, sicché – come osservato dal P.M. – contro tale pronuncia del Giudice Delegato, sarà d’allora possibile proporre reclamo al tribunale ai sensi dell’art. 26 e, contro quello che sarà reso dal Tribunale, ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.

7.2.1.1. – È stato perciò già affermato dalla Corte (Sez. 1, Sentenza n. 16633 del 2015) il principio di diritto secondo cui, in tema di fallimento, alla luce della nuova disciplina del subprocedimento di riparto dell’attivo prevista dalla L. Fall., art. 110 (come modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007), il giudice delegato deve ordinare il deposito in cancelleria del progetto di riparto delle somme disponibili predisposto dal curatore ed inoltre, al fine di un eventuale reclamo, la sua comunicazione non solo ai creditori ammessi al passivo fallimentare e a quelli che abbiano proposto impugnazione allo stato passivo, ma anche ai creditori ammessi tardivamente prima del decreto di esecutività del progetto di riparto.

7.3. – Orbene, se sulla legittimazione attiva a proporre reclamo avverso il progetto depositato dal curatore, ai sensi della L. Fall., art. 36, non sembrano sorgere soverchi dubbi, dovendosi far coincidere i creditori interessati con i destinatari della comunicazione – tramite PEC – del progetto medesimo; non è altrettanto semplice capire se il reclamo L. Fall., ex art. 26, da chiunque proposto, debba essere comunicato, oltre che al curatore, come espressamente presuppone la norma, sentito il curatore, anche a tutti gli altri creditori controinteressati.

7.3.1. – L’opinione della dottrina sul punto è pressoché unanime nel ritenere che il contraddittorio vada esteso anche ai controinteressati, da intendere quali i creditori che, in qualche modo, sarebbero potenzialmente pregiudicati dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante, poiché la relativa quota di riparto potrebbe subire una variazione ovviamente in peius.

7.3.2. – Né questa Corte ritiene di poter seguire la diversa e non condivisibile linea dottrinale minoritaria (pure enunciata da L., nel corso della discussione in Pubblica Udienza), secondo la quale basterebbe il contraddittorio incrociato in sede di approvazione dello stato passivo concorsuale a garantire la tutela delle posizioni soggettive individuali, residuando in sede esecutiva la possibilità dell’intervento volontario.

7.3.3. – Infatti, tale tesi dimentica che, in una visione di realismo giuridico, la fase dell’accertamento dei crediti (per quanto non sempre contestualmente possibile) può essere ulteriormente incisa, e a volte in maniera determinante, proprio dalla concreta ricostruzione delle precedenze (con i piani parziali o finale) dei crediti, pur ammessi, ma portati al soddisfacimento effettivo con tempistiche dilazionate e previo riconoscimento – medio tempore – di ulteriori crediti (prededucibili, tardivi o finanche supertardivi), in relazione ai quali i controlli del ceto creditorio spesso si rivelano come solo virtuali.

7.4. – Ritiene perciò la Corte, in uno con la richiesta del P.M., di dover aderire al prevalente pensiero e, quindi, affermare il seguente principio di diritto: in tema di riparto fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 110 (nel testo applicabile ratione temporis come modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007), sia il reclamo L. Fall., ex art. 36 avverso il progetto – predisposto dal curatore – di riparto, anche parziale, delle somme disponibili, sia quello L. Fall., ex art. 26 contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso il primo reclamo, possono essere proposti da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che, in qualche modo, sarebbe potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante, ed in entrambe le impugnazioni il ricorso va notificato a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale.

8.- Resta da dire delle conseguenze che derivate dal mancato rispetto di tale regula iuris.

8.1.- Infatti, nel caso di specie, il reclamo proposto il __ dalla Presidenza del Consiglio, avverso il progetto di riparto parziale (con il quale si chiedeva in sostanza di accantonare integralmente tutte le somme destinate ai creditori ammessi al menzionato riparto, così pregiudicando concretamente il soddisfacimento delle loro ragioni di credito) non è stato comunicato dal commissario straordinario a nessuno tra i creditori concorrenti, né loro notificato su iniziativa della medesima reclamante.

8.1.1. – In effetti, soltanto taluni tra i creditori controinteressati ammessi al progetto di riparto parziale hanno depositato un atto di intervento volontario – addirittura giudicato inammissibile dal giudice delegato -, mentre è certo che tutti gli altri creditori concorrenti destinatari del riparto, in base al progetto reclamato e quindi certamente controinteressati rispetto a P. che chiedeva di accantonare tutte le somme oggetto di suddivisione parziale, non hanno ricevuto comunicazioni di sorta (è il caso dei creditori in prededuzione, di quelli ipotecari e pignoratizi, dei creditori muniti di privilegio generale ex art. 2751-bis c.c., nn. 1 e 2 – esclusi gli intervenuti – e agli altri creditori privilegiati generali, tutti ammessi al riparto).

8.1.2.-Quanto al reclamo al tribunale proposto da L., creditore concorrente intervenuto nel procedimento innanzi al giudice delegato, è incontroverso che il ricorso è stato notificato – a cura del medesimo reclamante – soltanto a P., nonché a S. e al suo commissario straordinario; nessuno degli altri creditori concorrenti, compresi quelli già intervenuti spontaneamente nel giudizio di prime cure, hanno ricevuto notizia del reclamo proposto da un loro sodale innanzi al collegio.

8.1.2.- Né il tribunale, ritenuto ammissibile l’intervento volontario nel giudizio spiegato da L., come dagli altri creditori concorrenti, pure rimasti estranei al secondo grado, ha ritenuto di disporre alcuna integrazione del contraddittorio, né nei confronti dei detti creditori concorrenti, comunque intervenuti in prime cure, e tantomeno nei confronti degli altri creditori di certo controinteressati, rimasti all’oscuro dell’intero procedimento, sia nella fase celebrata innanzi al giudice delegato che in quella davanti al collegio.

8.2.- Orbene, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non abbia disposto l’integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non abbia provveduto a rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, resta viziato l’intero processo e s’impone, in sede di giudizio di cassazione, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell’art. 383 c.p.c., comma 3: principio valevole anche nell’ambito dei procedimenti in camera di consiglio, ed in quelli di impugnazione del piano di riparto dell’attivo.

8.2.1. – Così, ad esempio, la Corte (Cass., Sez. I, sent. n. 7555 del 1991) ha affermato la nullità per violazione del principio del contraddittorio – rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità – del provvedimento del tribunale intervenuto sul reclamo avverso il decreto col quale il giudice delegato aveva dichiarato l’esecutività del piano di ripartizione dell’attivo, allorché tale decisione era stata adottata senza che il reclamo fosse stato notificato ai creditori non reclamanti o, comunque, senza che gli stessi fossero stati posti in condizione di conoscere l’esistenza del relativo procedimento e di comparirvi, spiegandovi le proprie difese, al fine di non vedere modificata in peius la loro collocazione o compromessa la possibilità di soddisfacimento totale o parziale del loro credito, non rilevando in contrario né che l’esito di detto procedimento fosse stato, in concreto, favorevole a tali creditori, né che questi non avessero proposto, nella fase anteriore di accertamento del passivo, ritualmente, la domanda di ammissione (e, sempre nell’ambito dei procedimenti camerale endofallimentari, sull’esdebitazione del fallito: Cass., Sez. 1, n. 12950 del 2014; Cass., Sez. 1, n. 21864 del 2010).

8.3. – Pertanto, nella vicenda all’esame di queste SS.UU., il contraddittorio risulta violato, sia nella fase del primo reclamo innanzi al giudice delegato, sia nella successiva fase del secondo reclamo innanzi al collegio, dovendo il Giudice di legittimità, una volta rilevato d’ufficio il relativo vizio, rimettere senz’altro le parti innanzi al giudice di prime cure.

  1. – In conclusione, le SS.UU. della Corte pronunciando sul ricorso, nel rilievo ufficioso del rispetto del difettoso contraddittorio della vicenda reclamata di cui è causa, così provvedono: cassano il provvedimento impugnato e rinviano la causa, anche per le spese di questo grado, al giudice delegato investito del primo reclamo, proposto il __, da P., avverso il progetto di riparto parziale, ma non comunicato dal commissario straordinario a nessuno tra i creditori concorrenti, né loro notificato su iniziativa della medesima reclamante.

9.1.- E, in tale cassazione con rinvio, resta anche assorbito l’esame della questione sollevata da S. con riferimento ai punti __ di questa parte della motivazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, decidendo sul ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa, nei sensi di cui in motivazione, al Giudice delegato del Tribunale di Milano, in persona di diverso giudicante, per il suo nuovo esame oltre che per la regolazione delle spese del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni unite, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

 

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Società consortile a responsabilità limitata: per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio

Società consortile a responsabilità limitata: per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 08/08/2019

Con sentenza dell’8 agosto 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, in tema di società consortile a responsabilità limitata, laddove essa sia stata costituita per l’esecuzione delle opere pubbliche appaltate alle imprese consorziate, pur se già riunite in raggruppamento temporaneo di imprese, trova applicazione la regola dettata dall’art. 2472, comma 1 c.c., con la conseguenza che per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.


Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 08/08/2019

Società consortile a responsabilità limitata: per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE XVII CIVILE

Il Giudice, in persona del dr. __, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento iscritto al n. __ R.G, posto in deliberazione all’udienza del __ e promosso da:

A. S.p.A. – Opponente

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO N. __ DI G. S.C.AR.L. IN LIQUIDAZIONE – Opposta

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato in data __ A. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale G. S.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di Roma in data __, con cui le era stato intimato il pagamento in favore della controparte della somma di Euro __, oltre agli interessi legali dal dovuto al saldo, a titolo di ribaltamento dei costi sopportati per la realizzazione delle lavorazioni, del valore complessivo di Euro __, IVA inclusa, giusta fattura n. (…), di cui Euro __ già corrisposti, relativamente all’esecuzione in forma unitaria all’appalto aggiudicato da A. costituita dalle società F. S.p.A., M. S.p.A. e G. S.p.A. per la realizzazione dei lavori di costruzione della nuova S.S. n. __, tratto __, lotto I.

L’attrice esponeva:

– che, con bando del __, A. S.p.A. aveva indetto una gara d’appalto, ai sensi dell’art. 21, co. I, lett. c) della L. n. 109 del 1994, per la realizzazione dei lavori sopra descritti e che l’A. costituita dalle società F. S.p.A., M. S.p.A. e G. S.p.A. si era aggiudicata l’appalto;

– che, con atto del (…), repertorio n. (…), raccolta n. (…), le società F. S.p.A., M. S.p.A. e G. S.p.A. avevano costituito la società consortile G. a r.l. per dare esecuzione in forma unitaria all’appalto aggiudicato da A. costituita dalle medesime società per i lavori di costruzione della nuova S.S. n. __, tratto __, lotto I;

– che, in sede di costituzione della società consortile, le imprese avevano stabilito che i diritti sociali sarebbero spettati loro nelle seguenti proporzioni: F. S.p.A. in ragione del __%, M. S.p.A. per il __% e G. S.p.A. in ragione del _% e l’art. _ dello statuto prevedeva che tutti i costi diretti e indiretti e di funzionamento sopportati dalla società consortile nell’espletamento dell’attività sociale sarebbero stati versati dai soci consorziati in proporzione alla quota sociale da ciascuno rispettivamente posseduta, con conseguente obbligo di ciascun socio, ai sensi dell’art. 2603, n. 3 c.c., a pena di esclusione, di provvedere al pagamento in favore della società consortile della quota parte di sua spettanza dei costi da questa sostenuti o da sostenere, con la previsione che sugli importi richiesti ai soci e non versati nei termini stabiliti sarebbero decorsi gli interessi prime rate A. maggiorati del _%;

– che, con atto del __, ad A. S.p.A. era stato conferito il ramo di azienda costituito da attività, passività e dai rapporti giuridico-contrattuali di G. S.p.A.;

– che la controparte aveva, nel corso degli anni, rappresentato di aver sostenuto ingenti spese per l’esecuzione dell’appalto, pertanto l’opponente aveva versato le somme necessarie a ripianare i costi;

– che A. S.p.A. aveva sempre gestito i rapporti con la committente e aveva anche indicato F. ai fini della nomina ad amministratore unico di G. S.c.a.r.l.;

– che, in realtà, G. S.c.a.r.l. aveva posto a suo carico costi non dovuti, tanto che l’opponente aveva agito per il risarcimento dei danni contro A. S.p.A., i suoi amministratori e gli organi di controllo.

Tanto premesso, A. S.p.A. deduceva, oltre alla non debenza delle somme di cui al monitorio per le irregolarità nella gestione della società ingiungente, la nullità dell’art. 7 dello statuto della società consortile G. a.r.l. per violazione del principio cardine in materia di società di capitali di cui all’art. 2472, c. 1, c.c., che prevede la responsabilità esclusiva della società per le obbligazioni assunte, e dell’art. 2615-ter c.c., secondo cui, in materia di società consortili, è prevista la sola possibilità per lo statuto di porre a carico dei soci il versamento di contributi in denaro, norma che dalla giurisprudenza è interpretata nel senso che per tali contributi devono essere specificamente determinati le modalità, i tempi di versamento e la loro quantificazione, dovendo comunque trovare riscontro nella contabilità sociale, mentre nella fattispecie non erano stati approvati né il bilancio al __, né quello relativo all’esercizio scaduto il __ della società consortile, con conseguente impossibilità di verifica dei costi sostenuti da quest’ultima.

L’opponente deduceva l’infondatezza dell’avversa pretesa anche a causa della non inerenza dei costi indicati alla commessa relativa all’appalto di cui sopra, evidenziando che la controparte aveva contabilizzato ingenti costi tra il __ ed il __ e dava atto di aver versato nel corso degli anni i seguenti contributi consortili:

per l’anno __ nessun contributo, per l’anno __ Euro __, per l’anno __ Euro __, per l’anno __ Euro __, per l’anno __ Euro __ e per l’anno__ Euro __; con riferimento all’anno __, l’opposta, il __, aveva consegnato all’ingiunta il prospetto relativo all’avanzamento dei lavori e all’ammontare dei costi sostenuti nell’esercizio __, da cui emergeva che, con riferimento all’intera commessa, i costi sostenuti dalla s.c. a r.l. G. negli anni ammontavano ad Euro __, con una perdita di Euro __, importo che si riduceva ad Euro __ considerando le riserve incassate ex art. 31-bis L. n. 109 del 1994 ed iscritte con riferimento all’anno __, circostanza che aveva indotto l’opponente chiedere chiarimenti ad A. S.p.A. e ad accedere alla contabilità della società consortile, da cui era emersa una situazione diversa da quella rappresentata dalla controparte in ordine ai costi sostenuti, con conseguente infondatezza delle avverse pretese.

In particolare, dall’esame della contabilità, per quanto frammentaria, era emerso che S. S.p.A. aveva posto in essere condotte finalizzate ad addebitare in modo fraudolento alla s.c. a r.l. G. e, quindi, alla S.p.A. A. costi non dovuti, in quanto non correlati all’esecuzione dell’appalto, ma afferenti al conglomerato cementizio, all’acciaio per cemento armato, ai prefabbricati in cemento armato, alla voce noleggi-personale, agli interessi sui finanziamenti della S.p.A. S. nei confronti della società cooperativa, alla voce “Alluminio, metalli e gas nazionale”.

La s.c. a r.l. G., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi con comparsa del __, chiedeva il rigetto delle avverse domande, vinte le spese di lite.

L’opposta esponeva che la controparte aveva pagato la somma pari alla metà dell’importo di cui alla fattura azionata in sede monitoria ed avente ad oggetto i costi da ribaltare ai soci della società consortile, con effetto confessorio e che, in ogni caso, i criteri di ribaltamento dei costi erano stati determinati in modo chiaro e specifico nello statuto della società ingiungente; contestava le avverse eccezioni e deduzioni, deducendo che la società consortile a r.l. G. era stata costituita ai sensi dell’art. 13, comma II, della L. n. 109 del 1994, quale società meramente funzionale all’esecuzione dell’appalto da parte delle imprese aggiudicatarie associate in A., sicché i mezzi economici e finanziari indispensabili alla società consortile per far fronte alle opere da eseguire non potevano che essere forniti dai soci. Contestava, inoltre, le quantità relative alle voci “cemento armato” e “acciaio per cemento armato” indicate dall’opponente, confermava che le fatture emesse dalla ditta C. avevano come causale l’acquisto di gas naturale, dava atto che i tassi d’interesse riconosciuti alla società consortile sui finanziamenti ricevuti dalla mandataria del gruppo equivalevano al tasso applicato alla stessa mandataria dagli istituti di credito che le avevano erogato i prestiti necessari a costituire le provviste utilizzate in favore della società consortile, che la percentuale della mano d’opera impiegata nel biennio considerato, in rapporto alle produzioni conseguite nel medesimo periodo, era pari al __%, dato ordinario e fisiologico e che, quanto ai mezzi e alle attrezzature, il loro numero e dispiegamento erano ricollegabili ai ritardi e alle difficoltà di esecuzione dell’appalto, sfociate nell’iscrizione delle riserve nei confronti della committente.

Esperiti gli incombenti preliminari e concessi i termini ex art. 183, co. VI, c.p.c., il giudice disponeva consulenza tecnica d’ufficio e all’udienza del __, preso atto del fallimento dell’opposta per effetto della sentenza del Tribunale di Roma n. __, dichiarava l’interruzione del processo.

In seguito, con ricorso ex art. 302 c.p.c. del __, la S.p.A. A. riassumeva il giudizio nei confronti della curatela del fallimento n. __ della società consortile G. a r.l. in liquidazione, riproponendo le conclusioni rassegnate in limine litis e la curatela del fallimento della società opposta si costituiva in giudizio, riportandosi alle conclusioni già rassegnate, quindi, espletate la consulenza tecnica d’ufficio e la sua integrazione, il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del __, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.

Con i motivi di opposizione da trattarsi congiuntamente, stante la loro connessione, la S.p.A. A. contesta le avverse pretese creditorie, sia sotto il profilo della invalidità dell’art. __ dello statuto della società consortile G. a r.l. per violazione degli artt. 2472, c. 1, c.c., che prevede la responsabilità esclusiva della società per le obbligazioni da quest’ultima assunte, e 2615-ter c.c., secondo cui, in materia di società consortili, è prevista la sola possibilità per lo statuto di porre a carico dei soci il versamento di contributi in denaro, norma che dalla giurisprudenza è interpretata nel senso che tali contributi devono essere specificamente determinati circa le modalità, i tempi di versamento e la loro quantificazione, sia in ordine alla quantificazione dei costi da ribaltare sull’attrice.

L’opposizione è infondata e deve essere respinta.

Risulta dagli atti la seguente ricostruzione dei fatti:

con atto del __, repertorio n. (…), raccolta n. (…), le società S. -Società F. S.p.A., A. S.p.A. e G. S.p.A. costituivano la società consortile G. a r.l. per dare esecuzione unitaria all’appalto aggiudicato da A. costituita dalle medesime società per la realizzazione dei lavori di costruzione della nuova S.S. n. __, tratto _-, lotto I, con la previsione che i diritti sociali sarebbero spettati loro nelle seguenti proporzioni: S. S.p.A. in ragione del __%, A. S.p.A. per il __% e G. S.p.A. in ragione del _%.

Lo statuto della società consortile prevedeva che tutti i costi diretti e indiretti e di funzionamento sopportati dalla società consortile nell’espletamento dell’attività sociale sarebbero stati versati dai soci consorziati pro quota sociale da ciascuno posseduta, con conseguente obbligo di ciascun socio, ai sensi dell’art. 2603, n. 3 c.c., a pena di esclusione, di provvedere al pagamento in favore della società consortile della quota parte di sua spettanza dei costi da questa sostenuti o da sostenere e con la previsione che sugli importi richiesti ai soci e non versati nei termini stabiliti sarebbero decorsi gli interessi prime rate A. maggiorati del _%.

Con atto del __, repertorio n. __, raccolta n. (…), a S. S.p.A. veniva conferito il ramo di azienda costituito da attività, passività e dai rapporti giuridico-contrattuali di G. S.p.A. ed in seguito, con atto del __, repertorio n. (…), raccolta n. (…), S. S.p.A. conferiva il proprio ramo d’azienda a S. S.p.A.

Ciò posto, l’ingiunta, in relazione all’appalto sopra descritto, emetteva la fattura n. (…) del __ nei confronti dell’odierna opponente a titolo di ribaltamento dei costi sopportati nel corso della realizzazione delle lavorazioni per l’importo di Euro __, IVA inclusa, di cui Euro __ già corrisposti da A. S.p.A.

Ciò posto, A. S.p.A. eccepisce che, in tema di società consortili, l’art. 2615-ter c.c. dispone che l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo per i soci di versare contributi in denaro e che tale norma, alla luce dell’interpretazione costante della giurisprudenza e della dottrina, non implica, anche in presenza di una clausola contributiva, che i soci siano tenuti a far fronte a qualunque obbligazione della società consortile, posto che a quest’ultima si applicano le disposizioni codicistiche previste per le società di capitali e, in particolare, l’art. 2462, c. 1, c.c., che, fissando il principio di responsabilità limitata dei soci, prevede che delle obbligazioni sociali risponde solo la società con il proprio patrimonio, con conseguente necessità di contemperare la previsione di cui all’art. 2615-ter c.c. con il regime della responsabilità limitata dei soci, con il corollario che ai soci delle società consortili può essere richiesto un contributo ulteriore rispetto all’iniziale apporto di capitale solo se ciò sia previsto nell’atto costitutivo in maniera esplicita e specifica, circostanza che non si verificherebbe nella fattispecie, in cui l’art. _ dello statuto attoreo, stante la sua mancanza di specificità, colliderebbe con il principio di cui al citato art. 2462 c.c.

L’eccezione è infondata.

Giova premettere che, conformemente alla giurisprudenza prevalente, alla società consortile a responsabilità limitata costituita per l’esecuzione delle opere pubbliche appaltate alle imprese consorziate, pur se già riunite in raggruppamento temporaneo di imprese, si applica la regola dettata dall’art. 2472, comma 1, c.c., in virtù della quale nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Invero, in caso di consorzio costituito in forma di società di capitali, la causa consortile giustifica la deroga delle norme che disciplinano il tipo di società scelto, ma non anche a quelle che fissano le regole fondamentali del tipo; e la personalità giuridica propria delle società di capitali costituisce un diaframma tra i singoli soci e i terzi creditori della società, che è il tratto essenziale della disciplina in subiecta materia (cfr. Cass. civ. n. 7734 del 19/04/2016).

Osserva, in particolare, la Suprema Corte che, in materia di società consortile costituita secondo il tipo delle società di capitali (nella specie, S.r.l.), la causa consortile può comportare la deroga alle norme che disciplinano il tipo adottato ove la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, fermo restando che siffatta deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principi fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale; tra i principi inderogabili rientra quello recato dall’art. 2472, c. 1, c.c., in virtù del quale nella S.r.l., per le obbligazioni sociali, risponde soltanto la società con il suo patrimonio – fatta eccezione del caso disciplinato dall’art. 247, c. 1, c.c. – con conseguente inapplicabilità alla società consortile a responsabilità limitata dell’art. 2615, c. 2, c.c., che prevede la responsabilità solidale dei singoli consorziati con il fondo consortile per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio.

Tuttavia, prosegue il Supremo Collegio, l’art. 23-bis L. n. 584 del 1977, introdotto con L. n. 687 del 1984 – prevede che le imprese riunite possano costituire tra loro una società, anche consortile, per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, la quale subentra nell’esecuzione totale o parziale del contratto, ferme restando le responsabilità delle imprese riunite di cui all’ultimo comma del precedente art. 21: norma, questa, secondo cui l’offerta delle imprese riunite determina la loro responsabilità solidale nei confronti del soggetto appaltante. Sul punto, sulla scorta di quanto osservato dalla cit. Cass. 27 novembre 2003, n. 18113, deve rilevarsi che la normativa speciale in tema di appalti pubblici, lungi dal porre una regola generale di responsabilità illimitata e solidale dei consorziati per le obbligazioni assunte verso i terzi dalla società consortile, tale responsabilità ha inizialmente previsto soltanto nei confronti dell’ente appaltante (art. 21, ult. co. L. n. 584 del 1977 e art. 23, 70 co. D.Lgs. n. 406 del 1991), nonché – ma solo a partire dall’entrata in vigore della L. n. 109 del 1994, – nei confronti dei subappaltanti e dei fornitori, giusta l’art. 13, 2 co. (cfr. Cass. civ. n. 7473 del 23/03/2017).

È evidente dunque che la disciplina dettata per gli appalti pubblici deroga alla regola generale in materia di società consortile a responsabilità limitata.

Si osserva, inoltre, che nella specie l’art. __ dello statuto attoreo non deroga alla disciplina generale in materia di responsabilità limitata della società consortile costituita secondo il tipo delle società di capitali, poiché non prevede la responsabilità illimitata dei soci della società consortile G. a r.l. verso i terzi, bensì che tutti i costi diretti ed indiretti e di funzionamento sopportati dalla società consortile nell’espletamento dell’attività che ne costituisce l’oggetto saranno versati alla società consortile stessa dai soci consorziati in proporzione alla quota sociale da ciascuno di essi rispettivamente posseduta. Pertanto, ciascun socio si assume l’obbligo ai sensi dell’art. 2603 n. 3 c.c. …… di provvedere nei termini sopra stabiliti al pagamento in favore della società consortile della quota parte di sua spettanza dei costi da questa sostenuti o sostenendi, con la previsione pertanto dell’obbligo statutario dei consorziati di ripianare i costi di gestione dell’impresa in relazione all’esecuzione dell’appalto e non della responsabilità diretta di questi verso i terzi.

Ne consegue che l’opposta ha diritto di pretendere dall’opponente il ribaltamento dei costi sostenuti per l’esecuzione dell’appalto relativo alla realizzazione dei lavori di costruzione della nuova S.S. n. __, tratto __, lotto I.

Orbene, in tema di prova dell’adempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (cfr., ex plurimis, Cass. sez. un. n. 13533 del 30/10/2001).

Nella specie, dalla relazione tecnica depositata il __ risulta che l’attrice ha sostenuto i seguenti costi:

LAVORI A CORPO

Movimento di materie Euro __

Opere d’arte singolari: elevazioni e impalcati Euro __

Opere d’arte: appoggi e giunti di dilatazione Euro __

Opere d’arte minori Euro __

Pavimentazioni Euro __

Gallerie Euro __

Totale Lavori a corpo Euro __

LAVORI A MISURA

Scatolari, tubolari, gallerie artificiali (fondaz.) Euro __

Muri di sostegno Euro __

Viadotti Euro __

Gallerie: consolidamenti Euro __

Bonifiche: Euro __

Lavori diversi (Drenaggi, recinzioni, cordolature, cunette, ecc) Euro __

Segnaletica stradale Euro __

Guard rail – protezioni Euro __

Sistemazione alvei Euro __

Opere in verde Euro __

Impianti galleria Euro __

Totale Lavori a Misura Euro __

Totale generale dei lavori al netto della sicurezza Euro __

Oneri per la sicurezza Euro __

Totale generale dei lavori compresa sicurezza Euro __

I lavori sono stati dichiarati ultimati nell’aprile del __.

Osserva, inoltre, il c.t.u. che, nel corso dei lavori, la s.c.a.r.l. G. ha sottoscritto con la Committente A. S.p.A. un primo accordo bonario per la definizione delle riserve dalla n. 1 alla n. 13, di cui si trova traccia nella relazione di collaudo tecnico amministrativo. Nel corso delle operazioni peritali è stata acquisita la proposta della commissione incaricata, ai sensi dell’articolo 31-bis della L. n. 109 del 1994, della verifica delle prime 13 riserve, in cui è riportata una proposta finale di riconoscimento in favore di A. Appaltatrice di un importo pari ad Euro __; il __ le società A. S.p.A. e S. sottoscrivevano il verbale di accordo bonario per l’importo finale di Euro __, oltre ad Euro __ per I.V.A., a tacitazione delle riserve 1-2-4-5-6-8-11-13, rinviando l’esame delle riserve n. 3 e n. 12 alla Direzione dei Lavori ai sensi dell’art. 26 della L. n. 109 del 1994, e delle riserve 7- 9-10 in sede di redazione della perizia di variante.

Successivamente è stata aperta una seconda procedura di accordo bonario, sempre ai sensi dell’articolo 31-bis della L. n. 109 del 1994, per la risoluzione delle riserve dalla n. 14 alla n. 24, che tuttavia non risulta aver avuto una definizione transattiva; nel corso delle operazioni peritali è stata acquisita la proposta della II commissione incaricata per la verifica delle riserve dalla n. 14 alla n. 24, nella quale è riportata una proposta finale di riconoscimento di un importo pari ad Euro __, ma non risultano transazioni sottoscritte tra le società A. S.p.A. ed A.

Appaltatrice per questo secondo blocco di riserve, sebbene il collaudo tecnico amministrativo sia stato emesso in data __.

L’ausiliario del giudice ha rilevato che, dall’esame dei documenti, si può solo riferire che alcuni costi documentati con le fatture in atti non appaiono riferibili con certezza ai lavori in oggetto, ovvero presentano profili di duplicazione.

In particolare, il c.t.u. ha ritenuto non congrui, con riferimento alla contabilità della s.c.a.r.l. G., i seguenti costi:

– Euro __ quali importi per sovra-fatturazione acciaio armatura;

– Euro __ per duplicazione di fatturazione per Rbk 45 (prefabbricati);

– Euro __ per duplicazione di fatturazione per tralicci destinati ai prefabbricati;

– Euro __ per “duplicazione di fatturazione” per trasporti prefabbricati;

– Euro __ di cui alle fatture alluminio e metalli per materiali non utilizzabili in cantiere, per il totale di Euro __.

Con la citata relazione tecnica, confermata anche a seguito delle osservazioni dei consulenti tecnici delle parti, il c.t.u. ha, inoltre, rilevato che la s.c.a.r.l. G. aveva depositato la contabilità (fatture) relativa ai soli anni __ e che non risultava depositata la contabilità sulle spese sostenute degli esercizi __, dando atto che alcuni dei documenti di spesa (fatture, ordini) relativi agli esercizi degli anni __ erano contenuti negli allegati alla relazione dei consulenti della S.p.A. A., ma non erano idonei a delineare un quadro completo delle spese sostenute nel primo quadriennio di attività della società opposta.

L’ausiliario del magistrato concludeva, quindi, nel senso che, in mancanza di documenti attestanti la ripartizione, nel corso degli anni, dei costi della s.c.a r.l. G. a carico dei soci e di documenti attestanti quanto i singoli soci avessero concretamente versato alla società, non era possibile fornire una risposta documentata ed univoca al quesito concernente i costi sostenuti dai soci e quelli ribaltabili nei loro confronti.

Con la relazione tecnica integrativa depositata il __, relativamente agli interessi passivi sul finanziamento concesso dalla società S. alla s.c.ar.l. G. e da quest’ultima ribaltato pro quota alle società consorziate, il c.t.u. ha dato atto che, sebbene ragionevolmente presumibile, non è stato possibile accertare che tale finanziamento fosse inerente all’appalto, né quantificare gli interessi che avrebbero dovuto essere addebitati alla S.p.A. A., difettando la documentazione di tutti gli elementi di calcolo dei medesimi (capitale, tasso, tempo) e ha concluso ne senso che gli oneri e gli interessi bancari risultanti dai documenti utilizzabili in atti, se dovuti, ammonterebbero:

  1. a) ad Euro __, in caso di accoglimento dell’eccezione della S.p.A. A. in merito alla data di ultimazione dell’appalto (aprile __);
  2. b) ad Euro __ nel caso in cui si ritenesse condivisibile la prospettazione della parte opposta, che addebita gli interessi passivi maturati anche successivamente alla chiusura dei lavori, poiché il relativo costo sarebbe imputabile all’inadempimento delle società socie dell’opposta nel corso dell’esecuzione dell’appalto.

A seguito di integrazione peritale, con la relazione depositata il __, il c.t.u. integrava le risposte fornite ai quesiti, valutando come materiale probatorio utile anche i bilanci della s.c.a r.l. G. relativi agli __ versati in atti.

A tale ultimo riguardo, osserva il giudicante che i bilanci approvati e non tempestivamente impugnati costituiscono idonea prova delle risultanze ivi contenute sui costi sostenuti dalla s.c.ar.l. G. per l’esecuzione dell’appalto de quo, pertanto è condivisibile l’ipotesi di calcolo prospettata dal c.t.u. con la relazione integrativa depositata il __ sub (…), dovendosi includere tra i costi ribaltabili anche quelli sostenuti dall’opposta per il finanziamento concesso dalla società S. e per le polizze assicurative, a loro volta risultanti dai bilanci. Deve, inoltre, ritenersi sussistente l’inerenza del finanziamento all’appalto, avuto riguardo alla finalità per cui è stata costituita la s.c.ar.l. G. e in mancanza di prova che quest’ultima si sia resa aggiudicataria di altri appalti oltre a quello sopra descritto.

Devono porsi a carico dell’opposta anche gli interessi passivi maturati successivamente al mese di aprile del __, in quanto i relativi costi derivano dal mancato incasso dei costi ribaltati, imputabile all’inadempimento dell’opponente.

Invero, il bilancio regolarmente approvato dall’assemblea di una società (nella specie cooperativa a responsabilità limitata) ha efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci, anche se assenti o dissenzienti. Ne consegue che la relativa delibera, in deroga all’art. 2709 c.c., fa piena prova nei confronti dei soci dei crediti della società purché chiaramente indicati nel bilancio medesimo, dovendosi escludere che la mera iscrizione supplementare, in allegato al bilancio o tra i conti d’ordine (nella specie, sotto la voce conto sospesi ex presidente), sia idonea ad integrare il requisito della chiarezza, assolvendo tali sistemi supplementari cosiddetti incompleti la funzione di non influenzare la rilevazione contabile del patrimonio e del reddito (cfr. Cass. civ. n. 15394 del 19/06/2013).

Devono, quindi, ritenersi comprovati, quali costi sostenuti dalla s.c.ar.l. G. e ribaltabili alla S.p.A. A., gli oneri sostenuti a titolo di interessi per il finanziamento e per le polizze con riferimento sia agli anni per i quali sussistono bilanci approvati (__), sia per il periodo successivo, in relazione al quale, oltre alle relative fatture, può trarsi la prova dei relativi costi dalle risultanze dei bilanci approvati relativamente agli esercizi __, da cui emergevano sia il finanziamento che le polizze assicurative.

Si ritiene pertanto condivisibile l’ipotesi di calcolo sub (…) prospettata dal c.t.u., laddove vengono considerati integralmente dovuti i costi relativi al finanziamento ed alle polizze assicurative.

La S.p.A. A. deduce di aver già versato alla s.c.a r.l. G., nel corso degli anni, Euro __, comprensivi di IVA, quindi, poiché l’aliquota IVA nel periodo considerato è stata costantemente pari al _%, scorporando l’imposta dal totale, l’importo versato alla s.c.ar.l. G. al netto dell’IVA è pari ad Euro __.

La curatela del fallimento della s.c.ar.l. G. deduce, a sua volta, di aver ricevuto l’importo di Euro __ al netto dell’IVA: ebbene, in difetto di prova contraria, deve essere valorizzata la dichiarazione del fallimento, valutabile quale riconoscimento di debito.

A seguito delle osservazioni del c.t.p. della S.p.A. A., il c.t.u., accogliendole parzialmente, ha concluso nel senso che l’attrice ha diritto di pretendere:

– dalla S.p.A. S. la somma di Euro __ se si considerano i costi da ribaltare fino alla fine dell’esercizio __, Euro __ fino a fine esercizio__ ed Euro __ fino a fine esercizio __;

– dalla S.p.A. A. l’importo di Euro __ se si considera la competenza dei costi fino a fine esercizio __, Euro __ fino a fine esercizio __, ed Euro __ fino a fine esercizio __.

È condivisibile quanto dedotto dal c.t.u. in risposta alle osservazioni del c.t.p. di parte attrice circa la mancata convocazione della parte a due incontri, non rilevante ai fini del pregiudizio al diritto di difesa della parte, avuto riguardo alla mancata acquisizione di ulteriori elementi di novità nel corso dei predetti incontri, finalizzati all’integrazione della c.t.u. sulla base dei documenti già analizzati nel contraddittorio.

Ebbene, avuto riguardo alla misura del credito dell’opposta che risulta accertato all’esito del procedimento, deve rigettarsi l’opposizione proposta dalla s.c. a r.l. G.

Le spese processuali e quelle di c.t.u., liquidate con separato decreto, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

visto l’art. 281-quinquies c.p.c.;

il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sull’opposizione proposta con atto di citazione notificato in data __ dalla S.p.A. A., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la s.c. a r.l. G., in persona del legale rappresentante pro tempore, riassunta dalla S.p.A. A. nei confronti della curatela del fallimento della s.c. a r.l. G. in liquidazione, contrariis reiectis:

RIGETTA l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 11642 emesso dal Tribunale di Roma in data __ proposta dalla S.p.A. A.;

CONDANNA la S.p.A. A. S.p.A. al pagamento in favore della controparte delle spese processuali, che liquida in Euro __ per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge;

PONE le spese di c.t.u., liquidate con separato decreto, definitivamente a carico della S.p.A. A.

Così deciso in Roma, il 6 agosto 2019.

Depositata in Cancelleria il 8 agosto 2019.

 

Tribunale_Roma_Sez_XVII_Sent_08_08_2019

 

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Nel caso di parziale inadempimento dell’appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo

Nel caso di parziale inadempimento dell’appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo

Corte di Cassazione Civile, Sezione II, Ordinanza n. 21517 del 20/08/2019

Con ordinanza del 20 agosto 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione II, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nel contratto di appalto stipulato tra privati, quando il corrispettivo sia stato fissato a corpo e non a misura, il prezzo viene determinato in una somma fissa ed invariabile che non può subire modifiche, se non giustificate da variazioni in corso d’opera; sicché, nel caso di parziale inadempimento dell’appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo, con la conseguenza che da questo va detratto il costo dei lavori non eseguiti e non, invece, calcolato il costo di quelli realizzati.


 

Corte di Cassazione Civile, Sezione II, Ordinanza n. 21517 del 20/08/2019

Nel caso di parziale inadempimento dell’appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

O. – ricorrente –

contro

S. S.r.l. – intimato –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Avezzano, con sentenza n. __, accoglieva in parte la domanda proposta da S. S.r.l. avverso O. e volta ad ottenerne la condanna al pagamento del prezzo residuo (Euro __) di cui al contratto di appalto stipulato inter partes il __ per un corrispettivo di Euro __, a fronte del quale aveva ricevuto la minor somma di Euro __, benché avesse realizzato a regola d’arte anche lavori ivi non previsti. Il Tribunale riteneva non provati i dedotti lavori extra contratto e, così non provata la domanda riconvenzionale di O. di pagamento della penale di Euro __ per ogni giorno di ritardo, condannava O. al pagamento in favore della società attrice, detratto dal dovuto (Euro __) l’acconto versato, della somma di Euro 2.500,90 oltre interessi e rivalutazione da maggior danno, nonché al pagamento della metà delle spese di lite, compensava per la restante metà.

Avverso questa sentenza, interponeva appello O., censurando la decisione sotto vari profili, e concludeva per la riforma integrale della sentenza impugnata e l’accoglimento della propria domanda riconvenzionale.

Si costituiva l’appellata, contestando gli assunti di controparte e proponendo appello incidentale, censurando la sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto le opere extra contratto.

La Corte di Appello dell’Aquila con sentenza n. __ accoglieva parzialmente l’appello principale e l’appello incidentale e, per l’effetto, escludeva la rivalutazione monetaria dalla condanna di O.

Compensava le spese del giudizio. Secondo la Corte di Appello dell’Aquila, correttamente, il Tribunale aveva rideterminato il prezzo dell’appalto considerando solo i lavori che erano stati eseguiti. Fondata era, invece, l’eccezione dell’appellante relativa alla concessione di rivalutazione sulla somma dovuta di Euro __, perché la società Costruzioni non aveva dimostrato di aver subito un danno né vi era prova che il credito fosse liquido ed esigibile. Era equa la disposta compensazione delle spese del giudizio nella misura della metà. Andava rigettato l’appello incidentale perché la società Costruzioni non aveva dato la prova di aver effettuato lavori extra contratto.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da O. con ricorso affidato a cinque motivi illustrati anche da successiva memoria.

S. S.r.l. in questa sede è rimasta intimata.

Motivi della decisione

  1. O. lamenta:
  2. a) con il primo motivo, la violazione di norme di diritto e dei contratti (art. 2697 c.c. onere della prova) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo O. la Corte distrettuale avrebbe riconosciuto a S. S.r.l. il diritto al compenso per la realizzazione del massetto per la pavimentazione del piano terra, prescindendo dalla prova che l’appaltatore era tenuto a rendere della perfetta realizzazione dell’opera, considerato che O. aveva eccepito l’inadempimento sia in primo grado e sia in grado di appello.
  3. b) con il secondo motivo, omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, esistenza della contestazione circa l’esecuzione del massetto a regola d’arte. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe omesso l’esame del fatto avente ad oggetto la contestazione dei lavori di realizzazione del massetto che, ove esaminato avrebbe determinato una decisione diversa da quella data, e, in particolare, di far gravare sull’appaltatore l’onere probatorio riguardante la realizzazione del massetto a regola d’arte.
  4. c) con il terzo motivo, omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, travisamento del fatto che emerge dagli atti processuali. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe travisato i fatti perché ha creduto che sarebbero solo quattro le voci di lavori non eseguiti a fronte di 14 voci previste per un totale di Euro __, invece, sarebbe l’esatto contrario, sarebbero solo quattro le voci dei lavori eseguiti a fronte di ben 14 voci, che avrebbero dovuto realizzarsi con l’esborso di Euro __.
  5. d) con il quarto motivo, violazione dell’art. 1372 c.c., indebita variazione del prezzo contrattuale da “corpo” a “misura”, violazione art. 1218 c.c., nessuna sanzione per l’inadempimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente, seguendo l’operazione applicata dal secondo giudice si arriverebbe all’assurda conclusione di addebitare Euro __ per sole quattro voci di lavorazioni con notevole superamento, per la realizzazione delle altre voci di lavorazioni eseguite, dell’importo di Euro __ previsto a corpo per tutte le 14 voci. Piuttosto, la Corte distrettuale avrebbe dovuto detrarre dall’importo stabilito a corpo il costo dei lavori non eseguiti, i cui costi erano stati stabiliti dal CTU. e) con il quinto motivo, violazione D.P.R. n. 115 del 2002, art. 49, art. 1218 c.c. art. 111 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere remunerabile la prima consulenza tecnica sol perché non considerata invalida, non tenendo conto che, oltre i casi di nullità della consulenza, il diritto al compenso è escluso anche nei casi di inadempimento dell’incarico accertato in sentenza (consulenza tecnica non conferente all’incarico oppure errata o, comunque, non utilizzabile). A sostegno di quanto detto, la ricorrente richiama quanto affermato da Cass. n. __, a mente della quale deve escludersi il diritto al compenso del consulente tecnico in tutti i casi in cui la sua attività non sia neppure, astrattamente utilizzabile nell’ambito del processo, sia perché non conferente all’incarico a lui conferito (cfr. da ultimo: Cass. civ., sez. 2, Sent. 31 marzo 2006, n. 7632) sia in quanto svolta con l’inosservanza di norme sanzionate da nullità.

1.1 I primi due motivi che per l’innegabile connessione, vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.

Giova premettere che in base al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, l’appaltatore, il quale agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, ha l’onere – allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte. Compete, dunque, all’appaltatore provare di aver adempiuto in modo diligente alla propria obbligazione (anche ai fini dell’accoglimento dell’eventuale domanda di risarcimento danni). Epperò, nel caso in esame, la Corte distrettuale ha dato atto che l’appaltatore abbia dimostrato di aver adempiuto ma non dà atto che l’appaltatore abbia eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte.

1.2 Anche il terzo motivo è fondato.

Occorre considerare che la Corte distrettuale si è limitata ad affermare che le voci relative ai lavori considerati nel contratto di appalto non eseguite fossero solo quattro su quattordici previste senza specificare se e quando l’appaltatore abbia provato di non avere eseguito solo quattro voci su quattordici, sia pure a fronte di una specifica contestazione dell’appellante (odierna ricorrente) (al riguardo cfr. pag. __ ultimi __ periodi della pagina). Anche in questo caso, la Corte distrettuale avrebbe violato il principio dell’onere della prova secondo cui l’appaltatore (e non il committente) avrebbe dovuto provate l’esatta opera per la quale chiedeva il corrispettivo.

A ben vedere, considerando che la Corte distrettuale ha omesso di chiarire quale fosse l’opera eseguita dall’appaltatore sulla base di una prova convincente offerta dall’appaltatore stesso, la motivazione secondo la quale “Si tratta di argomentazioni non condivisibili sol che si consideri che per quattro voci, relativi a lavori non eseguiti tra quelli computati a corpo indicati in contratto che in proposito comprende ben 14 voci per un importo totale di Euro __) l’appellante pretende di detrarre da questo importo quello dei ridetti lavori non eseguiti (….)” integra gli estremi di una motivazione apparente. Come ha ricordato questa Corte in una recente decisione (Cass. 20418 del 2018) il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e, cioè, di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo, anche, di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

1.3 Fondato è il quarto motivo.

Giova premettere che nel contratto d’appalto stipulato a corpo, il prezzo viene determinato con la definizione di una somma fissa ed invariabile per la realizzazione di un’opera tecnicamente rappresentata negli elaborati progettuali, per cui l’opera deve essere descritta in modo estremamente preciso, per mezzo di un progetto molto dettagliato; viceversa, nel caso di prezzo a misura, questo può essere determinato nella sua effettiva entità, soltanto, al termine dei lavori, sommando le componenti dell’opera finita e applicando loro il prezzo unitario prefissato. Con l’ulteriore precisazione che il prezzo concordato nell’appalto a corpo non può subire modifiche, se non giustificate da variazioni nel corso d’opera. E di qui, la conseguenza che nel caso di parziale inadempimento ove necessario determinare un compenso per i lavori eseguiti, il dato di riferimento è pur sempre il prezzo concordato a corpo, tale che da quel prezzo va detratto il costo dei lavori non eseguiti e non, invece, va calcolato il costo dei lavori eseguiti. D’altra parte, a voler seguire il ragionamento della Corte distrettuale si finirebbe con il trasformare un contratto a corpo in un contratto a misura non rispondente alla volontà delle parti contrattuali.

La sentenza, dunque, nella parte in cui ha determinato il corrispettivo dovuto all’appaltatore con il calcolo del prezzo relativo alle opere eseguite, non rispetta questi principi e soprattutto si pone in contrasto con la normativa di cui all’art. 1372 c.c.

1.4 Infondato è il quinto motivo.

Va qui ribadito il principio già affermato da questa Corte con la sentenza n. 234 del 2011 secondo cui: “il diritto del consulente tecnico d’ufficio alla liquidazione del compenso non sussiste in tutti i casi in cui la sua attività non sia neppure astrattamente utilizzabile nell’ambito del processo, sia perché non conferente all’incarico conferitogli, giacché esso non trova fondamento in una disposizione dell’autorità giudiziaria, ai sensi dalla L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 1 ed attualmente del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 49 e ss. sia in quanto detta attività sia stata svolta con l’inosservanza di norme sanzionate da nullità, non potendo qualificarsi come eseguite delle prestazioni delle quali è vietato al giudice ed alle parti di giovarsi nel processo”.

Tuttavia la patologia processuale dell’attività del consulente, idonea a determinare la inutilizzabilità e/o di nullità della relazione, deve essere stata previamente oggetto di decisione da parte del giudice di merito, cui deve ritenersi competa in via esclusiva il potere di addivenire alla dichiarazione di invalidità della consulenza svolta.

Ora, nel caso di specie non emerge né tanto meno è allegato che la consulenza tecnica, di cui si dice, sia stata dichiarata invalida o inutilizzabile, né ciò potrebbe essere desunto dalla circostanza che il Tribunale abbia deciso di rinnovare la CTU. Sicché appare preclusa, in assenza di una siffatta statuizione, addurre l’invalidità dell’attività dell’ausiliario a giustificazione dell’opposizione al decreto di liquidazione. Conforta tale assunto la considerazione che ad opinare diversamente si presenta il concreto rischio di diverse e antitetiche valutazioni in ordine alla correttezza dell’operato del CTU, con la possibilità che si configuri la situazione alquanto anomala in cui, a fonte di una conclusione in punto di nullità della CTU da parte del giudice dell’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 che abbia per l’effetto negato il diritto al compenso dell’ausiliario, quella medesima attività, per la quale è stato disconosciuto il diritto al compenso, sia invece ritenuta utilizzabile dal giudice di merito, che fondi sulla stessa la sua decisione, avendo se del caso escluso la sussistenza dei dedotti profili di nullità, ovvero laddove la relativa eccezione sia stata intempestivamente sollevata dalle parti.

In definitiva, vanno accolti i primi quattro motivi del ricorso e rigettato il quinto. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello dell’Aquila la quale provvederà alla liquidazione delle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi quattro motivi del ricorso e rigetta il quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello dell’Aquila in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Sezione Seconda Civile della Suprema Corte di cassazione, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

 

Cass_civ_Sez_II_Ord_20_08_2019_n_21517




Concordato preventivo: opponibilità alla massa del credito derivante da una prestazione d’opera professionale resa in pendenza della procedura

Concordato preventivo: opponibilità alla massa del credito derivante da una prestazione d’opera professionale resa in pendenza della procedura

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 23272 del 18/09/2019

Con ordinanza del 18 settembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro VI, Sottosezione 1, in tema di concordato preventivo ha stabilito che, ai fini dell’opponibilità alla massa del credito derivante da una prestazione d’opera professionale resa in pendenza della procedura, la qualificazione dell’incarico come atto eccedente l’ordinaria amministrazione, ai sensi dell’art. 167, comma 2 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, deve aver luogo in base al duplice criterio della pertinenza ed idoneità dell’incarico stesso rispetto alle finalità della procedura, nonché dell’adeguatezza funzionale della prestazione alle necessità risanatorie dell’azienda, da valutarsi con giudizio ex ante, con la conseguenza che deve escludersi la predetta opponibilità ogni qualvolta l’incarico, non autorizzato dal giudice delegato, risulti conferito per esigenze personali e dilatorie.


 

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 23272 del 18/09/2019

Concordato preventivo: opponibilità alla massa del credito derivante da una prestazione d’opera professionale resa in pendenza della procedura

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da

D. – ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Latina depositato il __.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

D. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, illustrati anche con memoria, avverso il decreto emesso dal Tribunale di Latina il __, che ha rigettato l’istanza d’insinuazione tardiva al passivo del fallimento della (OMISSIS) S.r.l., con cui egli aveva fatto valere un credito di Euro __ a titolo di compenso per l’attività professionale prestata in favore della società fallita ai fini della presentazione di una nuova proposta concordataria, in virtù dell’incarico conferitogli in pendenza della procedura di concordato preventivo che aveva preceduto la dichiarazione di fallimento, e conclusasi con la revoca dell’ammissione al concordato, per insussistenza dei requisiti di fattibilità giuridica della proposta;

che il curatore del fallimento ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Motivi della decisione

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione della L.F., art. 167, c. 2, e dell’art. 116 c.p.c., osservando che, nel ritenere che l’incarico professionale fosse inopponibile al fallimento, in quanto non autorizzato dal Giudice delegato, il decreto impugnato ha richiamato soltanto in parte la motivazione della sentenza di rigetto del reclamo proposto dalla società fallita avverso la revoca dell’ammissione al concordato;

che, nell’escludere l’utilità della prestazione professionale, in virtù della considerazione che la modifica della proposta concordataria non aveva apportato alcun elemento di novità, il Tribunale si è infatti limitato a conferire rilievo alle critiche mosse dalla predetta sentenza alle modalità del ricorso alla finanza esterna, all’ammontare del debito per IVA ed alla riduzione del fondo per i crediti prededucibili, senza tenere conto dell’accoglimento dei motivi di reclamo concernenti l’eliminazione della suddivisione dei creditori in classi e l’insussistenza di atti di frode;

che inoltre, nell’evidenziare l’incidenza economica dell’incarico professionale, il decreto impugnato ha erroneamente ritenuto che l’inclusione del corrispettivo nel piano concordatario fosse in grado di pregiudicare la riuscita del percorso di ristrutturazione dell’impresa;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione della L.F., art. 111, c. 2, e degli artt. 1173, 1176, 1218, 2229 e 2697 c.c., affermando che, nel desumere l’inutilità del conferimento dell’incarico dal mancato raggiungimento del risultato della prestazione professionale, il decreto impugnato ha confuso la funzionalità di quest’ultima con l’inadempimento, trascurandone il nesso di occasionalità con il concordato, testimoniato dal conferimento dell’incarico in pendenza della procedura, ed attribuendo rilievo ad un profilo inconferente, peraltro valutato ex post;

che inoltre, nel ritenere non esattamente adempiuto l’incarico professionale, il Tribunale non ha considerato che ad esso ricorrente incombeva esclusivamente l’onere di provare l’avvenuto adempimento dello stesso secondo il grado di diligenza richiesto per la tipologia dell’obbligazione, mentre spettava al curatore, conformemente alle regole generali, la prova che l’adempimento non era conforme alla diligenza;

che i predetti motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente correlate;

che, nel rigettare la domanda di ammissione al passivo, il decreto impugnato si è puntualmente attenuto al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di amministrazione controllata, ma riferibile anche al concordato preventivo, secondo cui, ai fini dell’opponibilità alla massa del credito derivante da una prestazione d’opera professionale resa in pendenza della procedura, la qualificazione dell’incarico come atto eccedente l’ordinaria amministrazione, ai sensi della L.F., art. 167, c. 2, della deve aver luogo in base al duplice criterio della pertinenza ed idoneità dell’incarico stesso rispetto alle finalità della procedura, nonché dell’adeguatezza funzionale della prestazione alle necessità risanatorie dell’azienda, da valutarsi con giudizio ex ante, con la conseguenza che deve escludersi la predetta opponibilità ogni qualvolta l’incarico, non autorizzato dal giudice delegato, risulti conferito per esigenze personali e dilatorie (cfr. Cass., Sez. I, 8/11/2006, n. 23796);

che, nell’escludere la sussistenza dei predetti requisiti, il Tribunale ha conferito preminente rilievo alle conclusioni cui erano pervenuti i commissari giudiziali in epoca anteriore al conferimento dell’incarico, secondo cui erano venute definitivamente meno le condizioni di fattibilità che avevano giustificato la dichiarazione di ammissibilità della proposta concordataria, ponendole in relazione con l’inadeguatezza delle modifiche prospettate dalla debitrice, per desumerne lo scopo meramente dilatorio dell’iniziativa e la conseguente estraneità dell’incarico professionale alle esigenze di risanamento dell’azienda;

che, in tale contesto, il richiamo alle considerazioni svolte nella sentenza con cui era stato rigettato il reclamo proposto dalla società fallita avverso la revoca della dichiarazione di ammissibilità del concordato e la dichiarazione di fallimento non può considerarsi indice di una valutazione ex post dell’utilità della prestazione professionale, suonando piuttosto come un’ulteriore conferma dell’inidoneità originaria dell’incarico a consentire il superamento delle criticità rappresentate dai commissari giudiziali e dell’intento della debitrice di ostacolare o ritardare la conclusione della procedura;

che il riferimento agli oneri economici connessi al conferimento dell’incarico rappresenta a sua volta un aspetto del giudizio negativo espresso in ordine al rapporto di funzionalità/strumentalità con le finalità della procedura, ponendosi in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la valutazione in ordine al carattere di ordinaria o straordinaria amministrazione dell’atto posto in essere senza l’autorizzazione del giudice delegato, ai fini dell’eventuale dichiarazione di inefficacia ai sensi della L.F., art. 167 dev’essere compiuta tenendo conto delle utilità reali che ne derivano per la massa dei creditori, le quali devono risultare prevalenti sui vincoli ed i pesi imposti al patrimonio del debitore, restandone altrimenti pregiudicata la consistenza o compromessa la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori (cfr. Cass., Sez. I, 29/05/2019, n. 14713; Cass., Sez. V, 10/04/2009, n. 8764; Cass., Sez. I, 20/10/2005, n. 20291);

che non risulta pertinente, in contrario, il richiamo del ricorrente ad una recente pronuncia di legittimità, secondo cui il pagamento di crediti dei professionisti nominati dall’imprenditore per la predisposizione della domanda di concordato preventivo ovvero in occasione della relativa proposta, effettuato a seguito del deposito del ricorso di cui alla L.F., art. 161, c. 6, senza autorizzazione del tribunale, non comporta necessariamente la declaratoria d’inammissibilità del concordato, ai sensi della L.F., art. 173, in ragione dell’automatica classificazione di tali pagamenti tra gli atti di straordinaria amministrazione, quali crediti non prededucibili in mancanza del decreto di ammissione al concordato suddetto (cfr. Cass., Sez. I, 10/01/2017, n. 280);

che tale principio, oltre a riferirsi ad una questione diversa da quella in esame, non nega affatto, ma anzi conferma che la qualificazione dell’incarico come atto di ordinaria amministrazione postula la valutazione dell’utilità della prestazione professionale, limitandosi a precisare, in proposito, che “costituiscono normalmente atti di ordinaria amministrazione le operazioni richieste dalla legge e ragionevolmente proprie di una prassi attinente al corredo obbligatorio della domanda di apertura della procedura concorsuale, e ponendo conseguentemente a carico del curatore che ne invochi l’eccedentarietà rispetto a tale scopo l’onere di dimostrarne la superfluità, ma non escludendo la possibilità di ritenerla provata, ove la stessa, come nella specie, emerga dagli elementi acquisiti agli atti;

che inconferente risulta altresì la sottolineatura da parte del ricorrente del nesso di occasionalità tra il conferimento dell’incarico e la procedura di concordato, il quale viene in considerazione esclusivamente ai fini della collocazione in prededuzione del credito derivante dall’espletamento della prestazione professionale, mentre non assume alcun rilievo ai fini dell’autorizzazione del giudice delegato, richiesta dalla L.F., art. 167 proprio in ragione del compimento dell’atto in pendenza della procedura, nonché delle limitazioni che ne derivano per la capacità dispositiva del debitore;

che, nel ritenere esattamente adempiuto l’incarico professionale conferito al ricorrente, in virtù della mancata informazione della cliente in ordine al probabile esito negativo dell’iniziativa da assumere, il decreto impugnato si è infine attenuto puntualmente all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità professionale, secondo cui l’obbligo di diligenza previsto dall’art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c., imponendo al professionista, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, pone a suo carico l’onere di provare di aver rappresentato a quest’ultimo tutte le questioni ostative al raggiungimento del risultato previsto, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, nonché di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso, e di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire iniziative dall’esito probabilmente sfavorevole (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2016, n. 13007; 20/11/2009, n. 24544; Cass., Sez. IL 30/07/2004, n. 14597);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del contro-ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in Euro __, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 18 settembre 2019

 

Cass_civ_Sez_V_1_Ord_18_09_2019__23272




Non sussiste litisconsorzio necessario tra curatore del fallimento e fallito nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’esistenza di un credito del fallimento

Non sussiste litisconsorzio necessario tra curatore del fallimento e fallito nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’esistenza di un credito del fallimento

Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 22646 del 11/09/2019

Con sentenza dell’11 settembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione V, in tema di recupero crediti, ha stabilito che non sussiste litisconsorzio necessario tra curatore del fallimento e fallito, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’esistenza di un credito del fallimento. L’esposto principio trova applicazione anche ove il credito sia vantato dal fallito e riportato nella dichiarazione di cui all’art. 8, D.P.R. n. 322 del 1998, come modificato dall’art. 8, D.P.R. n. 435 del 2001.


 

Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 22646 del 11/09/2019

Non sussiste litisconsorzio necessario tra curatore del fallimento e fallito nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’esistenza di un credito del fallimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da:

FALLIMENTO M.  – ricorrente –

contro

A. – controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. __ depositata in data __;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Filippo D’Aquino;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale __, che ha concluso per l’accoglimento del primo e del terzo motivo e per il rigetto del secondo.

uditi gli Avv.ti __ per il ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e __ per il controricorrente, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

Il Fallimento M. ha impugnato il provvedimento di diniego di rimborso di un credito IVA relativo all’anno di imposta __, formatosi in epoca precedente la dichiarazione di fallimento e chiesto a rimborso nel __, deducendo la nullità dell’avviso sia per vizi di notifica (non essendo stato il provvedimento notificato all’imprenditore fallito), sia per violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57.

La CTP di Latina ha accolto il ricorso e, su appello dell’Ufficio, la CTR, con sentenza in data __, ha accolto l’appello rigettando la domanda del fallimento.

Ha rilevato la CTR che il Curatore del Fallimento aveva depositato tardivamente la dichiarazione dei redditi, presentata in data __, laddove il termine di quattro mesi per la presentazione della dichiarazione IVA, decorrente dalla nomina del curatore e coincidente con la dichiarazione di fallimento (in data __), come previsto dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 8, comma 4, doveva ritenersi elasso alla data del __. Conseguentemente, il giudice di appello ha ritenuto che si verta nell’ipotesi di dichiarazione tardiva e quindi omessa, in relazione alla quale il curatore, da un lato, non aveva documentato l’esistenza del credito, dall’altro aveva presentato la domanda di rimborso una volta che fosse scaduto il relativo termine di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30.

Propone ricorso il Fallimento con tre motivi di ricorso, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 22 luglio 1998, n. 322, art. 8, commi 4 e 6, nonché all’art. 2, comma 7, per avere il giudice di appello ritenuto tardiva la presentazione della dichiarazione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74-bis. Assume il ricorrente che il termine di quattro mesi per la presentazione della dichiarazione IVA, decorrente dalla designazione del curatore (all’atto della dichiarazione di fallimento in data 3.10.2002), deve intendersi prorogato di novanta giorni a termini del rinvio recettizio operato dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, al medesimo D.P.R., art. 2, comma 7. Il termine, pertanto, sarebbe, secondo il ricorrente, scaduto alla data del __, per cui la dichiarazione presentata in data __ dovrebbe ritenersi tempestiva.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 39 e 57, e all’ art. 2697 c.c., deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non provata la sussistenza del credito IVA e in cui ha assimilato la posizione del contribuente che impugni un diniego di rimborso a quella di un attore in senso sostanziale. Rileva il ricorrente come, una volta decorsi i termini per gli accertamenti relativi al periodo di imposta, il contribuente non è più tenuto a conservare le scritture contabili, per cui non può essere ancora gravato dall’onere di allegare e provare i fatti costitutivi del credito richiesto a rimborso.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo la disciplina applicabile pro tempore), per non avere ritenuto la nullità dell’avviso per mancata notificazione del ricorso al fallito.

2 – Va esaminato preventivamente il terzo motivo, attinente alla questione preliminare di rito della corretta incardinazione del contraddittorio. Il suddetto motivo è infondato e va rigettato.

2.1 – È  corretto affermare, come fa il ricorrente, che l’accertamento tributario in materia di IVA, ove riguardi crediti i cui presupposti si siano verificati anteriormente alla dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui detta dichiarazione è intervenuta, debba essere notificato non solo al curatore ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, rimanendo esposto ai riflessi, anche sanzionatori, derivanti dalla definitività dell’atto impositivo (Cass., Sez. V, 11 maggio 2017, n. 11618; Cass., Sez. VI, 28 luglio 2016, n. 15748; Cass., Sez. V, 30 aprile 2014, n. 9434; Cass., Sez. V, 13 ottobre 2011, n. 21074; Cass., Sez. V, 19 marzo 2007, n. 6476; Cass., Sez. V, 15 marzo 2006, n. 5671; Cass., Sez. V, 24 febbraio 2006, n. 4235; Cass., Sez. V, 8 marzo 2002, n. 3427; Cass., Sez. V, 2 novembre 2000, n. 14987; Cass., Sez. I, 11 luglio 1995, n. 7561).

Il litisconsorzio tra curatore e imprenditore dichiarato fallito, che abilita anche il fallito a impugnare l’atto impositivo (Cass., Sez. V, 14 maggio 2002, n. 6937), è, tuttavia, fondato sulla potenziale emersione di passività ulteriori rispetto a quelle già accertate o accertande in sede di formazione dello stato passivo; nel qual caso l’imprenditore fallito (come anche il legale rappresentante della società dichiarata fallita) ha un interesse personale e diretto a evitare che venga aggravata la propria posizione, per effetto della emersione di ulteriori passività (peraltro, come nella specie, nei confronti di creditori istituzionali). Del resto, il relativo giudizio non si svolge dinanzi al tribunale fallimentare (nell’ambito del cui concorso formale il fallito non ha titolarità al contraddittorio: Cass., Sez. VI, 25 marzo 2013, n. 7407), per cui non può predicarsi l’esclusività della legittimazione del curatore, in luogo del fallito, a interloquire sulle domande dei creditori di ammissione al passivo.

Diversamente, laddove si tratti di questioni attinenti (non a debiti ma a) crediti tributari vantati dal fallito, nessun interesse vi può essere per il fallito a interloquire con l’amministrazione finanziaria. Il credito viene, difatti, acquisito all’attivo dal curatore del fallimento il quale, per quanto disposto dall’art. 43 L. Fall., ha la legittimazione esclusiva nei rapporti patrimoniali del fallito compresi nel fallimento. L’imprenditore dichiarato fallito ha, invero, interesse all’accesso agli atti del fascicolo fallimentare ex art. 90 L. Fall., ma non ha una legittimazione generale a interloquire sulle modalità della liquidazione dell’attivo fallimentare, eseguita nell’interesse della massa dei creditori.

È, stato, del resto, affermato il principio secondo cui la legittimazione attiva alla presentazione di un’istanza di rimborso avverso una liquidazione di imposta (operata dall’ufficio del registro con riferimento all’atto di registrazione del piano di riparto dell’attivo di una società fallita) spetta, in via esclusiva, al curatore del fallimento, e non anche ai singoli creditori (Cass., Sez. V, 19 ottobre 2001, n. 12775). Se questa legittimazione non può essere invocata dai singoli creditori, che sono beneficiari dell’attività liquidatoria effettuata dal curatore (il quale conserva la propria legittimazione esclusiva nell’interesse della massa), a maggior ragione non può ipotizzarsi una legittimazione concorrente del soggetto dichiarato fallito, il quale non beneficia di tale liquidazione, salvo che venga prospettato un ritorno in bonis per chiusura del fallimento L. Fall., ex art. 118, comma 1, n. 2).

Ne consegue che non sussiste (in ciò confermandosi la sentenza impugnata) litisconsorzio necessario tra curatore del fallimento e fallito, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’esistenza di un credito del fallimento.

2.2 – Questo principio va affermato ancorché questo credito sia vantata dal fallito e riportato nella dichiarazione di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 8, comma 4, come modificato dal D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 8 (già prevista nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74-bis, comma 1), secondo cui “in caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, la dichiarazione relativa all’imposta dovuta per l’anno solare precedente, sempreché i relativi termini di presentazione non siano ancora scaduti, è presentata dai curatori o dai commissari liquidatori con le modalità e i termini ordinari di cui al comma 1 ovvero entro quattro mesi dalla nomina se quest’ultimo termine scade successivamente al termine ordinario”. La suddetta disposizione – la quale costituisce trasposizione della formulazione che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74-bis, aveva assunto per effetto delle modifiche operate dal D.L. 30 dicembre 1991, n. 417, convertito con L. 6 febbraio 1992, n. 66 (formulazione della norma nuovamente modificata per effetto del menzionato D.P.R. n. 322 del 1998, nonché del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 e della L. 23 dicembre 2000, n. 388) – impone al curatore del fallimento di presentare (tra le altre cose) la apposita dichiarazione infrannuale relativa al periodo compreso tra il 1 gennaio e la data di dichiarazione di fallimento (cd. segmento temporale prefallimentare).

È, quindi, il solo curatore a essere legittimato a presentare tale dichiarazione, al fine di evitare che si verifichi una frattura nella continuità del rapporto IVA dell’imprenditore dichiarato fallito, in sintonia con il principio espresso dal Giudice delle Leggi, ove aveva rilevato come il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74-bis, non prevedesse alcuna distinzione tra attività gestionale dell’impresa e liquidazione, ancorché coattiva (Corte Cost., 30 aprile 1986, n. 115).

Questa legittimazione esclusiva sussiste a dispetto del fatto che il curatore non possa essere equiparato, quanto ai debiti tributari, a un successore del contribuente dichiarato fallito, nulla sapendo (e nulla dovendo sapere, stante il disposto della L. Fall., art. 28, comma 2) delle operazioni compiute dal contribuente e delle cause che hanno prodotto le medesime.

La alterità del curatore del fallimento rispetto alla posizione tributaria del contribuente comporta – analogamente a quanto prevede l’art. 43 L. Fall. – la traslazione esclusiva a favore del curatore del fallimento, nella sua spiegata qualità, della posizione IVA attiva già facente capo al fallito, senza alcun contraddittorio con il fallito medesimo.

3 – Il secondo motivo assume valore preliminare e, in questo caso, assorbente rispetto al primo motivo di ricorso.

Appare decisivo il rilievo, anche sotto tale profilo, secondo cui non sussiste nella specie una lite relativa alla emersione di un debito nei confronti dell’Erario (relativamente alla quale diverrebbe rilevante il momento in cui l’accertamento è stato eseguito, ai fini del c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 57, comma 1 o comma 2), ma una controversia relativa a un credito IVA del contribuente chiesto a rimborso.

Una volta che, nella dichiarazione annuale IVA (ancorché non accompagnata dalla presentazione della domanda di rimborso), venga compilato il quadro relativo al credito IVA, non si applica il termine biennale di decadenza di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, e il rimborso va chiesto nel termine prescrizionale ordinario (Cass., Sez. V, 22 febbraio 2017, n. 4559; Cass., Sez. V, 9 ottobre 2015, n. 20255; Cass., Sez. V, 15 maggio 2015, n. 9941; Cass., Sez. V, 1° ottobre 2014, n. 20678; Cass., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7684; Cass., Sez. V, 30 settembre 2011, n. 20039). Tuttavia, nelle controversie di rigetto di una istanza di rimborso – in ciò confermandosi la sentenza impugnata e rigettandosi la specifica deduzione contenuta nel secondo motivo di ricorso – il contribuente assume il ruolo di attore sostanziale (Cass., Sez. V, 9 settembre 2016, n. 17811). Grava, pertanto, sul curatore l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato (Cass., Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21197; Cass., Sez. V, 2 luglio 2014, n. 15026). Né, ad esempio, il contribuente può sottrarsi all’assolvimento dell’onere sullo stesso incombente invocando la insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre il termine di cui all’art. 2220 c.c., perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (Cass., Sez. V, 18 maggio 2018, n. 12291).

Parimenti, non può ritenersi inibito all’amministrazione finanziaria contestare la sussistenza dei fatti costitutivi del credito, ancorché siano scaduti i termini per l’esercizio del potere di accertamento, atteso che i termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei crediti erariali e non dei debiti nei confronti del contribuente (Cass., Sez. U., 15 marzo 2016, n. 5069). Nel suddetto precedente è stato affermato che “i termini decadenziali in questione sono apposti solo alle attività di accertamento di un credito della Amministrazione e non a quelle con cui la Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito”, conformemente al brocardo “quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum” (art. 1442 del c.c.).

Ne consegue che il curatore, attore sostanziale, non ha provato l’esistenza del credito e, quindi, non ha assolto all’onere probatorio a lui incombente. Il motivo va, pertanto, rigettato.

È, conseguentemente, assorbito il primo motivo, non rilevando, sotto tale profilo, la natura tempestiva o tardiva della dichiarazione IVA presentata, posto che il ricorrente non ha provato il credito.

Il ricorso va, pertanto, rigettato nel suo complesso e la sentenza confermata.

4 – Le spese, data la particolarità della questione, sono soggette a integrale compensazione, stante il contrasto interpretativo in atto prima della decisione delle Sezioni Unite.

4.1 – Si dà atto che, essendo stato il ricorrente ammesso al gratuito patrocinio, la competenza sulla liquidazione dei compensi al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83, al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione (Cass., Sez. VI, 31 maggio 2018, n. 13806; Cass. sez. III, 13 maggio 2009, n. 11028; Cass. Sez. I, 12 novembre 2010, n. 23007).

4.2 – Parimenti va affermato il principio secondo cui, essendovi stata ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, il rigetto dell’impugnazione preclude l’applicazione del disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass., Sez. Lav., 5 giugno 2017, n. 13935; Sez. VI, 22 marzo 2017, n. 7368; Cass., Sez. Lav., 2 aprile 2014, n. 18523).

4.3 – Non si condivide, sul punto, il più recente e diverso orientamento espresso da questa Corte, laddove statuisce che il versamento dell’ulteriore contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, opera anche in caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato nel giudizio civile (Cass., Sez. I, 5 aprile 2019, n. 9660). Detto arresto valorizza la circostanza che il raddoppio del contributo unificato è obbligazione ex lege che prescinde dalle condizioni soggettive della parte, laddove l’ammissione al gratuito patrocinio non è causa di esenzione dal contributo; valorizza, inoltre, l’evento della revoca del provvedimento ammissivo al gratuito patrocinio, in caso di mutamento della condizione soggettiva del beneficiario, nel qual caso la mancata previsione del raddoppio nel provvedimento conclusivo del giudizio di impugnazione potrebbe rivelarsi pregiudizievole per il successivo recupero del credito; la suddetta pronuncia fa leva, infine, sull’argomento secondo cui avverso la pronuncia sfavorevole assunta dal giudice della causa sarebbe sempre possibile ricorrere in sede di riscossione.

Tali argomentazioni non appaiono convincenti. La prenotazione a debito costituisce presupposto della successiva annotazione in sede amministrativa per il recupero a futura memoria di una voce di spesa nei confronti di chi di ragione. Questo recupero, in caso di revoca del provvedimento di ammissione conseguente a muta mento della condizione soggettiva del beneficiario, non può avvenire a carico del beneficiario per le spese del giudizio in corso. In primo luogo la revoca presuppone un provvedimento di revoca del giudice della causa (salva, nel caso di specie, la competenza del giudice delegato ai fallimenti nel caso di specie a termini del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 144), provvedimento che dovrebbe essere assunto nel corso del giudizio e in limine con la decisione finale. In secondo (e più rilevante) luogo, l’eventuale revoca del beneficio non potrebbe operare retroattivamente in danno del beneficiario a termini del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 3, salvo che si verifichi la fattispecie delittuosa di cui al citato D.P.R., art. 125, di falsa attestazione finalizzata all’ottenimento del gratuito patrocinio.

La previsione del raddoppio del contributo comporterebbe, pertanto, l’onere dell’annotazione a debito nei registri del campione civile, quale formalità finalizzata a garantire il recupero delle spese civili anticipate, che non potrebbe trovare applicazione retroattiva in caso di revoca delle condizioni soggettive, circostanza, peraltro, evidenziata da Cass. n. 9660/2016, cit., ove osserva che il foglio notizie con l’iscrizione della prenotazione a debito, ove perdurino le condizioni che hanno dato origine all’ammissione al gratuito patrocinio, va chiuso.

Né può condividersi l’argomento secondo cui la questione della insussistenza dei presupposti potrebbe essere sollevata in sede di riscossione, posto che – prescindendosi dalla preclusione che comporta la definitività della statuizione del giudice che attesti i requisiti del raddoppio del contributo – l’affermazione secondo cui l’eventuale erroneità della indicazione di sussistenza dei presupposti per il versamento del raddoppio del contributo unificato possa essere segnalata in sede di riscossione si porrebbe in contrasto con l’art. 6 CEDU, con riguardo ai tempi ragionevoli del processo e al principio dell’esame equo della propria controversia e con l’art. 47 Carta Fondamentale dell’Unione Europea (Cass., Sez. Lav., 5 giugno 2017, n. 13935; Cass., Sez. VI, 5 ottobre 2017, n. 23281; Cass., Sez. I, 30 ottobre 2018, n. 27699).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il terzo e il secondo motivo e dichiara assorbito il primo; dichiara compensate le spese processuali; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

 

Cass_civ_Sez_V_11_09_2019_n_22646

 




Il fallimento del debitore ingiunto comporta l’inopponibilità del decreto ingiuntivo opposto al fallimento e l’improcedibilità del giudizio di opposizione nei confronti del fallimento

Il fallimento del debitore ingiunto comporta l’inopponibilità del decreto ingiuntivo opposto al fallimento e l’improcedibilità del giudizio di opposizione nei confronti del fallimento

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 16/08/2019

Con sentenza del 16 agosto 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il fallimento del debitore ingiunto comporta, oltre alla inopponibilità del decreto ingiuntivo opposto al fallimento, la improcedibilità, da dichiararsi anche d’ufficio, del giudizio di opposizione nei confronti del fallimento.


Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 16/08/2019

Il fallimento del debitore ingiunto comporta l’inopponibilità del decreto ingiuntivo opposto al fallimento e l’improcedibilità del giudizio di opposizione nei confronti del fallimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

XVII SEZIONE CIVILE

in persona del giudice unico dott. __ ha emesso la seguente

SENTENZA

nelle cause civili riunite iscritte nel registro generale per gli affari contenziosi al n. __ e al n. __ dell’anno __ vertenti

tra

B. – opponente

D., R., I. e F. – opponenti

Fallimento C. S.r.l. – opponente

e

D. S.p.A. (già U. S.p.A.) – opposta

oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con separati atti di citazione il sig. B. (con un primo atto) e la società C. S.r.l. in concordato preventivo e i sigg.ri D., R., I. e F. (con un secondo atto) hanno proposto opposizione avverso il decreto n. __ emesso in data __, con il quale il Tribunale di Roma aveva loro ingiunto di pagare in favore di U. S.p.A. e, per essa, in favore della sua mandataria D. S.p.A., la somma di Euro __ oltre accessori, quale saldo debitorio, alla data del __, del conto corrente affidato (…) intrattenuto dalla C. S.r.l. e garantito dalla fideiussione rilasciata da B., D., R., I. e F.

Con il primo atto di opposizione B. in via preliminare ha eccepito il difetto di legittimazione attiva di U. S.p.A. per mancanza di prova dei poteri di firma e di rappresentanza di quest’ultima; ha poi disconosciuto la conformità agli originali delle copie della documentazione allegata al ricorso monitorio; nel merito ha lamentato l’illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi, nonché l’illegittima applicazione di interessi ultra legali e di commissioni di massimo scoperto non pattuiti; da ultimo ha dedotto la nullità della fideiussione omnibus perché generica ed indeterminata.

A fondamento della seconda opposizione la società C. S.r.l. in concordato preventivo e i sigg.ri D., R., I. e F. hanno dedotto: l’incompetenza territoriale del Tribunale di Roma in favore del Tribunale di Tivoli quale foro convenzionale previsto dall’art. 12 del contratto di fideiussione; la violazione dell’art. 184 L.F. in considerazione del fatto che la C. S.r.l. era stata ammessa al concordato preventivo; la carenza di prova del credito azionato dalla banca opposta; l’illegittima applicazione di interessi anatocistici ed usurari, della commissione di massimo scoperto e delle spese. La società opponente ha chiesto in via riconvenzionale la restituzione degli indebiti quantificati in complessivi Euro __.

In entrambi i giudizi, iscritti al ruolo generale rispettivamente con il n. __ (quello proposto da B.) e con il n. __ (quello proposto da C. S.r.l. e dai sigg.ri D., R., I. e F.), si è costituita U. S.p.A. e, per essa, la sua mandataria D. S.p.A. La parte opposta ha contestato tutti i motivi di opposizione chiedendone il rigetto unitamente alla domanda riconvenzionale di ripetizione dell’indebito, rispetto alla quale ha altresì eccepito la prescrizione ed il difetto di legittimazione dei fideiussori.

I due giudizi sono stati riuniti ed istruiti attraverso l’acquisizione di documenti e l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio di natura contabile.

Nel corso del giudizio è intervenuto il fallimento della C. S.r.l. che si è costituito in prosecuzione ex art. 302 c.p.c. facendo proprie le difese già svolte dalla società in bonis.

All’udienza del __, le due cause riunite sono state trattenute in decisione, previa assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per le repliche.

In via pregiudiziale va dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla C. S.r.l. in concordato preventivo.

Ed invero, nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito, il creditore opposto deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo, attesa la inopponibilità, al fallimento, di un decreto non ancora definitivo e, pertanto, privo della indispensabile natura di sentenza impugnabile, esplicitamente richiesta dall’art. 95, c. 3, L.F., norma di carattere eccezionale, insuscettibile di qualsivoglia applicazione analogica. Ne discende in tal caso che, essendo il decreto ingiuntivo inefficace e inopponibile alla massa, la domanda deve essere riproposta al giudice fallimentare, la cui competenza inderogabile prevale sul criterio della competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione (così Cass. 20/03/2006 n. 6098).

Il fallimento del debitore ingiunto, dunque, comporta, oltre alla inopponibilità del decreto ingiuntivo opposto al fallimento, la improcedibilità – da dichiararsi anche d’ufficio – del giudizio di opposizione nei confronti del fallimento (cfr. ancora Cass. 20/03/2006 n. 6098).

Di conseguenza deve ritenersi assorbito il motivo di opposizione con il quale la C. S.r.l. in concordato preventivo aveva denunciato la violazione dell’art. 184 L.F.

Con riferimento all’opposizione proposta da B., D., R., I. e F. occorre anzitutto esaminare le eccezioni pregiudiziali sollevate dai citati opponenti.

In primo luogo va disattesa l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata da D., R., I. e F., i quali hanno indicato come giudice competente il Tribunale di Tivoli nel cui circondario gli stessi risiedono. A supporto della proposta eccezione gli opponenti hanno invocato il foro convenzionale di cui all’art. 12 dell’atto di fideiussione che testualmente prevede: “qualora il Fideiussore rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 o sia persona fisica (qualificabile o meno come consumatore) per ogni controversia è competente il Foro nella cui circoscrizione si trova il luogo di residenza o domicilio elettivo del Fideiussore medesimo”.

L’eccezione, per come è stata formulata dagli opponenti, è inammissibile.

Ed invero nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato da uno dei coobbligati, l’eccezione di incompetenza territoriale del giudice adito, fondata sulla previsione pattizia di un foro esclusivo, sollevata dal medesimo, deve essere dichiarata inammissibile laddove questi non abbia contestato l’incompetenza anche in base ai criteri degli artt. 18 e 19 c.p.c., in quanto richiamati dall’art. 33 c.p.c. ai fini della modificazione della competenza per ragione di connessione (così Cass. ordinanza n. 33150 del 21/12/2018). Nel caso di specie gli opponenti si sono limitati a richiamare il foro convenzionale previsto dall’art. 12 dell’atto di fideiussione e ad affermare la propria qualità di consumatori o comunque di persone fisiche che hanno rilasciato una fideiussione, ma nulla hanno dedotto in ordine alla competenza territoriale per connessione oggettiva con la domanda rivolta da U. S.p.A. nei confronti della società debitrice principale.

In ogni caso, l’eccezione di incompetenza è priva di fondamento.

Ed invero, secondo la dominante giurisprudenza di legittimità “la designazione convenzionale di un foro territoriale, anche se coincidente con uno di quelli previsti dalla legge, non attribuisce a tale foro carattere di esclusività in difetto di pattuizione espressa in tal senso, pattuizione che, pur non dovendo rivestire formule sacramentali, non può essere desunta in via di argomentazione logica da elementi presuntivi, dovendo per converso scaturire da una non equivoca e concorde manifestazione di volontà delle parti ad escludere la competenza degli altri fori previsti dalla legge” (Cass. 18/5/2005 n. 10376). La stessa Corte di legittimità ha poi chiarito che proprio l’espressione “per qualsiasi controversia” è inidonea a identificare un foro esclusivo, perché è diretta soltanto ad individuare l’ambito oggettivo di applicabilità del foro convenzionale (Cass. ordinanza n. 17449 del 9/8/2007).

Nel caso di specie nell’atto di fideiussione manca una concorde e non equivoca manifestazione di volontà delle parti volta a considerare il foro individuato convenzionalmente come l’unico applicabile e ad escludere la competenza degli altri fori previsti dalla legge che, pertanto, devono ritenersi operativi in alternativa al foro convenzionale.

Ebbene la competenza del Tribunale di Roma si radica proprio in forza del criterio legale, previsto dall’art. 20 c.p.c., del forum destinatae solutionis, che per le obbligazioni pecuniarie si identifica, ai sensi dell’art. 1182, c. 3, c.c., con quello del domicilio del creditore (U. S.p.A.) che, nel caso di specie, ha sede in __.

Né appare applicabile il foro inderogabile del consumatore, dal momento che la fideiussione è stata prestata nell’interesse di un soggetto imprenditore (la C. S.r.l.). Ed infatti, secondo quanto più volte statuito dalla Corte di Cassazione “in presenza di un contratto di fideiussione, è all’obbligazione garantita che deve riferirsi il requisito soggettivo della qualità di consumatore, ai fini dell’applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore … attesa l’accessorietà dell’obbligazione del fideiussore rispetto all’obbligazione garantita” (cfr. tra le tante Cass. 29/11/2011 n. 25212). In forza di tale principio il fideiussore, persona fisica, non può essere qualificato come consumatore, laddove abbia prestato garanzia nell’interesse di un soggetto professionale, quale in particolare una persona giuridica.

Sempre in via preliminare va disatteso il primo motivo di opposizione proposto da B., il quale ha eccepito il difetto di legittimazione attiva di D. S.p.A., sostenendo che la stessa non aveva documentato i propri poteri di rappresentanza rispetto alla mandante U. S.p.A. Il motivo deve ritenersi superato e smentito dall’avvenuta produzione della procura datata __ allegata alla comparsa di costituzione e risposta della parte opposta.

Parimenti deve ritenersi superato il disconoscimento, operato dallo stesso B., della conformità agli originali delle fotocopie della documentazione allegata al ricorso monitorio. Ed infatti, nel corso del giudizio di opposizione la banca opposta ha provveduto al deposito degli originali del contratto di conto corrente, dei due contratti di affidamento e dell’atto di fideiussione, consentendo così di verificare che gli originali acquisiti risultano pienamente conformi alle copie inizialmente prodotte.

Passando ad esaminare gli altri motivi di opposizione concernenti il merito è bene premettere che la pretesa creditoria azionata in via monitoria da U. S.p.A. (per il tramite della sua mandataria) trae fondamento dal rapporto di conto corrente intrattenuto con la società C. S.r.l. e contrassegnato dal n. (…) poi ricodificato con il n. (…). Lo svolgimento del rapporto contrattuale è documentato dagli estratti conto analitici e dai riassunti scalari che la banca opposta ha prodotto nel giudizio di opposizione ad integrazione del saldaconto finale accompagnato dalla certificazione del funzionario, ex art. 50 del D.Lgs. n. 385 del 1993 depositato nella fase monitoria. La documentazione contabile definitivamente acquisita copre l’intera durata del rapporto contrattuale e cioè a far data dall’apertura del conto corrente fino al passaggio in sofferenza. Il predetto rapporto contrattuale è stato garantito dai sigg.ri B., D., R., I. e F., i quali con atto sottoscritto in data __ hanno rilasciato una fideiussione omnibus fino ad un massimale di Euro __ destinata a coprire tutte le obbligazioni contratte dalla C. S.r.l. per operazioni bancarie di qualunque natura intrattenute con U. S.p.A.

L’eccezione – sollevata da B. – di nullità della fideiussione omnibus per genericità ed indeterminatezza dell’oggetto si mostra del tutto priva di pregio, se sol si considera che la lettera fideiussoria in esame indica chiaramente l’importo massimo garantito in misura pari ad Euro __. La previsione di un massimale è di per sé sufficiente ad escludere la nullità della fideiussione, in quanto tale requisito è l’unico previsto dall’art. 1938 c.c. (così come novellato dalla L. n. 154 del 1992) che non richiede anche la specificazione del tipo di obbligazione oggetto della garanzia. La fideiussione omnibus si caratterizza proprio per il fatto che la garanzia si estende a qualsiasi obbligazione condizionale o futura e l’indicazione dell’importo massimo garantito è l’unico requisito richiesto dalla legge a tutela del garante che, in tal modo, è reso consapevole dell’impegno economico assunto con la sottoscrizione.

Tutti i fideiussori, qui opponenti, lamentano la mancata pattuizione in forma scritta delle competenze applicate dalla banca nel corso del rapporto ed in particolare degli interessi eccedenti la misura legale, delle commissioni di massimo scoperto e delle altre spese in violazione degli artt. 117 TUB e 1284 e 1346 c.c.

L’assunto di parte opponente non è stato compiutamente smentito dalla banca opposta che ha prodotto un contratto di conto corrente datato __ che non coincide con l’apertura del citato conto corrente che, per quanto risulta dagli estratti conto allegati in atti, risale al __.

Pertanto, in mancanza di valide convenzioni scritte, si deve ritenere illegittima qualunque competenza applicata da U. S.p.A. nel periodo antecedente al __. Per tale periodo è, quindi, necessario eliminare le c.m.s. e le altre spese e sostituire i tassi di interesse convenzionali applicati dalla banca con i tassi determinati ai sensi dell’art. 117 co. 7 TUB ovvero con i tassi B. minimi per le operazioni a credito per la banca e con i tassi B. massimi per le operazioni a debito per la banca relativi all’anno solare precedente ad ogni chiusura annuale dei conti correnti. Per il periodo successivo al __ si devono, invece, conservare tutte le competenze così come applicate dalla banca, in quanto le stesse trovano specifica previsione nel citato contratto e nelle successive modifiche comunicate alla correntista quale legittimo esercizio dello ius variandi.

Tutti gli opponenti hanno poi denunciato l’illegittima applicazione di interessi anatocistici contra legem.

La censura è fondata.

Al riguardo è bene evidenziare che il conto corrente in esame è stato acceso in data antecedente all’entrata in vigore della CICR del 9 febbraio 2000 che, in attuazione della nuova disciplina contenuta nell’art. 120 TUB così come modificato dall’art. 25 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, ha consentito la capitalizzazione degli interessi sia pure improntata ad un criterio di simmetria. Pertanto, in adesione all’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ha sancito la nullità delle clausole anatocistiche antecedenti alla nuova disciplina e comunque contrarie al criterio di reciprocità previsto dalla CICR del 9 febbraio 2000 (Cass. S.U. 4/11/2004 n. 21095), deve ritenersi illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per la correntista C. S.r.l. operata dalla banca in regime asimmetrico rispetto agli interessi attivi. Occorre, quindi, sostituire all’anatocismo illegittimo la capitalizzazione semplice (in conformità a quanto statuito da Cass. SU n. 24418/2010) e conservare la capitalizzazione trimestrale per il periodo successivo alla stipulazione del contratto del __, con il quale la banca opposta si è adeguata al criterio della reciprocità, prevedendo la medesima capitalizzazione trimestrale sia per gli interessi debitori che per gli interessi creditori.

Anche la successiva doglianza relativa all’applicazione di interessi usurari ha trovato parziale riscontro nell’elaborato peritale redatto dal consulente d’ufficio, il quale ha rilevato il superamento della soglia d’usura limitatamente al secondo, al terzo e al quarto trimestre dell’anno __.

A questo punto, prima di procedere ad una nuova determinazione del saldo del c/c n. (…), occorre esaminare l’eccezione preliminare di prescrizione sollevata dalla banca opposta.

L’eccezione di prescrizione è fondata nei limiti di seguito precisati.

Al riguardo è bene premettere che l’azione di ripetizione di indebito è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale per la cui decorrenza si deve richiamare il principio espresso con la sentenza sopra menzionata n. __ del __ dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, superando il precedente orientamento giurisprudenziale (che, senza distinzione alcuna, rinviava esclusivamente al termine del rapporto la decorrenza della prescrizione proprio in considerazione dell’unitarietà del rapporto), da rilevanza all’autonomia delle singole operazioni individuando un diverso termine di decorrenza della prescrizione a seconda della natura solutoria o ripristinatoria della rimessa. Per la Suprema Corte nel caso di contratto di conto corrente accompagnato da un’apertura di credito il termine di prescrizione decennale, cui l’azione di ripetizione è soggetta, decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Qualora, invece, i versamenti debbano essere considerati alla stregua di pagamenti, in quanto eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o perché destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento (c.d. scoperto), la prescrizione decennale del diritto di ripetizione decorre dalla data di ciascun versamento avente natura solutoria.

Ora, si deve escludere che la banca, convenuta in ripetizione, sia onerata dell’allegazione specifica delle rimesse solutorie, e dunque dell’indicazione degli importi con cui il correntista abbia provveduto a ripianare esposizioni debitorie che si collocavano oltre il limite dell’affidamento (cfr. in tal senso Cass. ordinanza n. 4372 del 22.02.2018). Un tale incombente è estraneo alla disciplina positiva dell’eccezione di prescrizione che è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene (per tutte: Cass. 29 luglio 2016, n. 15790). D’altro canto, ai fini della valida proposizione della domanda di ripetizione non si richiede che il correntista specifichi una ad una le rimesse, da lui eseguite, che, in quanto solutorie, si siano tradotte in pagamenti indebiti a norma dell’art. 2033 c.c.

Tornando al caso in esame per l’individuazione delle rimesse solutorie si deve preliminarmente osservare che per il conto corrente oggetto di causa l’unico affidamento documentato dalle parti risale all’anno __ e trova riscontro nel relativo contratto datato __ prodotto da U. S.p.A. sin dalla fase monitoria. Gli opponenti non hanno specificamente allegato né tanto meno documentato l’esistenza di linee di credito precedenti al citato affidamento. Quindi, le rimesse intervenute sul conto corrente in esame nel periodo antecedente al __ devono considerarsi di natura solutoria, per l’assenza di prova sull’esistenza di un fido da ripristinare o comunque sul limite concesso in affidamento. Ne consegue che deve ritenersi prescritto il diritto alla ripetizione di tutte le competenze illegittimamente addebitate fino al primo trimestre del __ ovvero fino al decennio antecedente la notifica del primo atto di opposizione perfezionatasi in data __.

A questo punto si deve procedere ad una nuova determinazione del saldo del conto corrente in esame e, a tal fine, occorre far riferimento alla quarta ipotesi di conteggio elaborata dal CTU nella relazione integrativa depositata in data __. Il consulente d’ufficio, in applicazione dei criteri sopra delineati, ha depurato il conto dalle competenze illegittimamente applicate dalla banca fino al __, mantenendo invece le condizioni economiche validamente pattuite con il citato contratto del __ e con quello successivo relativo all’affidamento concesso in data __. Il consulente d’ufficio in particolare: ha eliminato le c.m.s. e le spese non pattuite; ha sostituito ai tassi convenzionali applicati dalla banca fino al __ i tassi B. ex art. 117 TUB; ha adottato il regime della capitalizzazione semplice fino al __, conservando la capitalizzazione trimestrale per il periodo successivo allorquando la banca si è adeguata alla pari periodicità richiesta dalla CICR del 9 febbraio 2000. Il conteggio di cui al punto __ della relazione peritale integrativa tiene conto anche della prescrizione maturata fino al primo trimestre __ (ovvero dieci anni prima la notifica dell’atto di citazione). La citata ipotesi di conteggio ha prodotto un abbattimento del saldo debitorio complessivo, alla data del __, che è sceso da Euro __ (calcolato dalla banca) ad Euro __ (ricalcolato dal CTU).

Le risultanze contabili sopra riportate devono essere condivise e fatte proprie da questo Tribunale in ragione della correttezza dei conteggi effettuati e della conformità dei criteri di computo rispetto ai quesiti formulati.

In conclusione, l’opposizione proposta da B., D., R., I. e F. va parzialmente accolta e, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, gli opponenti devono essere condannati a pagare in favore di U. S.p.A. e, per essa, della sua mandataria D. S.p.A., la minor somma ammontante ad Euro __ oltre agli interessi di mora al tasso convenzionale dalla domanda giudiziale fino al soddisfo.

Da ultimo va respinta la domanda riconvenzionale di ripetizione dell’indebito già proposta dalla C. S.r.l. in concordato preventivo e ribadita dalla curatela fallimentare della citata società. Tale domanda – alla quale non si estende la pronuncia di improcedibilità dell’opposizione – si è rivelata infondata, essendo comunque emerso un saldo finale a debito per la società correntista.

In considerazione dell’esito della lite e della significativa riduzione del credito accertato rispetto a quello richiesto in via monitoria, le spese di giudizio devono essere compensate per un mezzo, riversando il residuo mezzo – liquidato direttamente in dispositivo – sulla curatela fallimentare e sugli altri opponenti riconosciuti comunque debitori e quindi soccombenti. Le spese relative alla CTU contabile, già liquidate in corso di causa, devono essere ripartite internamente per un mezzo a carico degli opponenti e per un mezzo a carico della parte opposta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle due opposizioni al decreto ingiuntivo n. __ emesso in data __ proposte rispettivamente da M.B. e dalla C.C.I. S.r.l. in concordato preventivo unitamente a D., R., I. e F. nei confronti di U. S.p.A. e, per essa, della sua mandataria D. S.p.A., ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:

– dichiara l’improcedibilità dell’opposizione proposta dalla C. S.r.l. per intervenuto fallimento di quest’ultima;

– in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da B., D., R., I. e F. revoca l’ingiunzione emessa a carico dei citati opponenti e condanna gli stessi, in solido, a pagare in favore di U. S.p.A. e, per essa, della sua mandataria D. S.p.A. la somma di Euro __ oltre agli interessi di mora al tasso convenzionale dalla domanda giudiziale fino al soddisfo;

– respinge la domanda riconvenzionale di restituzione dell’indebito;

– compensa per un mezzo le spese di lite tra tutte le parti e condanna il fallimento della C. S.r.l., B., D., R., I. e F., in solido tra loro, a rifondere alla parte opposta il restante mezzo liquidato in complessivi Euro __, per compensi professionali oltre accessori come per legge;

– pone le spese di CTU, già liquidate in corso di causa, per un mezzo a carico degli opponenti e per un mezzo a carico della parte opposta.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositata in Cancelleria il 16 agosto 2019.

 

Tribunale_Roma_Sez_XVII_Sent_16_08_2019

 

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Il pignoramento presso terzi si perfeziona con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito

Il pignoramento presso terzi si perfeziona con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito

Tribunale Ordinario di Brescia, Sezione II Civile, Sentenza del 13/08/2019

Con sentenza del 31 luglio 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il pignoramento presso terzi si perfeziona non con la sola notificazione dell’atto di intimazione di cui all’art. 543 c.p.c. – che rende immediatamente indisponibili da parte del terzo le cose o le somme da lui dovute, così segnando l’efficacia e l’esistenza dello stesso pignoramento – ma con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito, in questi due modi soltanto potendo avvenire l’esatta e concreta specificazione di quali cose o somme il terzo sia debitore o si trovi in possesso e del momento in cui ne deve il pagamento o la consegna; ne consegue che, in caso di pignoramento a carico di ente pubblico, eseguito sulle somme giacenti presso il suo tesoriere, il vincolo d’impignorabilità derivante dalla delibera di destinazione delle somme stesse a fini sociali (come il pagamento di retribuzioni del personale, rate di mutui o altro) richiede che l’efficacia esecutiva della delibera dell’ente pubblico intervenga anteriormente alla dichiarazione del terzo.


 

Tribunale Ordinario di Brescia, Sezione II Civile, Sentenza del 13/08/2019

Il pignoramento presso terzi si perfeziona con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Brescia, Sezione seconda civile, nella persona del giudice unico dott. __

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile n. __ R.G. promossa

DA

C. – ATTORE OPPONENTE

contro

M. S.r.l. – CONVENUTO OPPOSTO

Svolgimento del processo

C. il __ ha depositato ricorso in opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. e agli atti esecutivi ex art. 617, comma 2, c.p.c. nei confronti di M. S.r.l.

Nel ricorso in opposizione si deduce che M. S.r.l. – appaltatrice delle opere di costruzione di nuovo parcheggio multipiano interrato in __ per importo di Euro __ oltre IVA per l’esecuzione delle quali è insorta controversia definita in primo grado con lodo del __ n. __del Collegio Arbitrale di Roma, reso esecutivo il __, che ha intimato a C. il pagamento della somma di Euro __ – ha notificato il __ a C. atto di precetto per il complessivo importo di Euro __, oltre interessi e spese di notifica, e, in data __, atto di pignoramento presso terzi di somme, crediti e partecipazioni di C. fino a concorrenza con l’importo di Euro __ aumentato della metà ai sensi dell’art. 546 c.p.c., intimando ai terzi pignorati di non disporre delle somme e partecipazioni pignorate senza ordine del giudice.

In opposizione al precetto e al pignoramento C. ha in quella sede contestato: 1) l’erronea quantificazione del credito oggetto di precetto in quanto diritti e onorari professionali sono stati calcolati secondo scaglione (fino a Euro __) superiore a quello da applicarsi (fino a __) in ragione dell’importo del credito; 2) l’impignorabilità delle somme sottoposte ad esecuzione forzata presso B. per effetto della Delib. Del __, n. _ della giunta comunale che, in applicazione dell’art. 159 del D.Lgs. n. 267 del 2000 ha determinato in Euro __ l’ammontare delle somme destinate a pagamento di (a) retribuzioni e contributi del personale, (b) rimborso rate di mutui e prestiti obbligazionari scadenti nel semestre, (c) servizi locali indispensabili, e perciò non assoggettabili ad esecuzione forzata, e così pure delle somme di titolarità di terzi (Regione Lombardia).

Con ordinanza in data __ il giudice dell’esecuzione ha rigettato la domanda di sospensione dell’esecuzione, non ravvisando vincolo di indisponibilità ex art. 159 D.Lgs. n. 267 del 2000 in assenza di notifica della Delib. __, n. __ alla tesoreria comunale, e ha assegnato termine perentorio di 45 giorni per l’introduzione della causa di merito.

Con atto di citazione in opposizione notificato il __ C. ha convenuto avanti al Tribunale il creditore procedente Impresa M. S.r.l. e – ribadite l’erronea quantificazione di diritti e onorari calcolati nell’atto di precetto sulla base di scaglione di valore superiore rispetto a quello da applicare e l’impignorabilità della somma di Euro __ in forza della delibera di giunta __ dichiarata immediatamente esecutiva ex art. 134, c. 4, D.Lgs. n. 267 del 2000 e notificata alla tesoreria comunale il __, e precisato inoltre che la somma ulteriore impignorabile (perché di proprietà della Regione Lombardia e a destinazione vincolata in quanto erogata a C. per attuazione di accordo di programma) ammonta a Euro __ – ha chiesto accertarsi l’inesistenza del diritto a procedere esecutivamente per l’importo di Euro __ e la illegittimità/nullità/inefficacia dell’atto di precetto e del pignoramento presso terzi, e pronunciarsi in conseguenza condanna di Impresa M. S.r.l. alla restituzione di quanto pignorato (e, nel frattempo, incassato) in eccedenza rispetto all’importo dovuto e/o pignorabile e al risarcimento dei danni.

La convenuta, costituitasi con comparsa depositata il __, ha eccepito l’inammissibilità dell’opposizione per essere cessata la materia del contendere a seguito della conclusione del processo esecutivo n. __ (il __ il giudice dell’esecuzione ha assegnato al creditore procedente la somma che il terzo B. ha dichiarato dovuta all’esecutato, sino a concorrenza con l’importo precettato di Euro __); in subordine ha eccepito la tardività e inammissibilità dell’eccezione di impignorabilità ex art. 159 D.Lgs. n. 267 del 2000 con riguardo alla deduzione di avvenuta notificazione e di esecutività della deliberazione __ (non dedotte e non provate in sede di ricorso ex art. 615, c.2, e 617 c. 2 c.p.c.) e, comunque, l’insussistenza e inopponibilità di impignorabilità e vincolo di destinazione delle somme e l’infondatezza della contestazione sulla quantificazione di diritti e onorari di avvocato computati nel precetto e della domanda di risarcimento danni.

Rigettata la richiesta del convenuto di sospendere il giudizio sino a decisione dell’appello proposto da C. avverso il lodo arbitrale n. __, assegnati i termini ex art.183 c. 6 c.p.c. e depositate le memorie di parte, il giudice ha ritenuto la causa matura per la decisione e fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni.

È intervenuta nel frattempo la soppressione della sezione distaccata di __ e la causa è stata trasferita presso la sede centrale e riassegnata, e trattenuta infine in decisione, con termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica, all’udienza del __, in occasione della quale M. S.r.l. ha prodotto copia della sentenza della Corte di Appello di Roma __ n. _-, che ha rigettato l’appello proposto da C. avverso il lodo arbitrale n. __ in forza del quale precetto e pignoramento presso terzi furono notificati.

Motivi della decisione

Il creditore procedente, all’atto della costituzione nel giudizio di merito, ha preliminarmente dedotto la cessazione della materia del contendere in quanto il giudice dell’esecuzione, con Provv. in data __, ha assegnato in suo favore la somma che B. ha dichiarato dovuta al debitore esecutato C., sino a concorrenza con l’importo precettato di Euro __.

Afferma perciò il convenuto che, conclusa la procedura esecutiva n. __ RG con assegnazione al creditore della somma portata dal precetto, l’interesse di C. a coltivare la domanda di merito, da qualificarsi come opposizione agli atti esecutivi in quanto volta a far valere il vincolo di destinazione e l’impignorabilità di somme di denaro e a contestare perciò la legittimità dello svolgimento della procedura esecutiva e non l’esistenza del titolo esecutivo o del credito, sia venuto meno e debba perciò dichiararsi la cessazione della materia del contendere.

C. deduce al contrario che la contestazione della impignorabilità delle somme oggetto di azione esecutiva costituisce motivo di opposizione all’esecuzione, e non agli atti esecutivi, e che perciò il provvedimento di assegnazione della somma e la chiusura della procedura esecutiva non fanno cadere l’interesse dell’opponente all’accertamento del vincolo di indisponibilità del denaro e della illegittimità del pignoramento.

All’udienza di precisazione delle conclusioni è inoltre stata prodotta la sentenza della Corte di Appello di Roma __ n. __ che, rigettata l’impugnazione proposta da C. di Legno avverso il lodo arbitrale n. __, ha confermato la condanna di C. al pagamento di somma di denaro in forza del quale precetto e pignoramento presso terzi furono notificati: la medesima somma, dunque, di cui C. ha chiesto in atto di citazione in opposizione la condanna alla restituzione nei confronti di M. S.r.l., e in ordine alla quale in comparsa conclusionale sembra riconoscere, a seguito della pronuncia di appello, cessazione della materia del contendere e mero interesse alla decisione dell’opposizione “e all’accertamento dell’illegittimità dell’esecuzione, non fosse altro che per ottenere la condanna dell’Impresa M. al pagamento delle spese legali per avere promosso e coltivato una procedura contra ius avente ad oggetto somme impignorabili”.

Ciò premesso va in primo luogo rilevato che, per la parte in cui si contesta l’erronea applicazione dei criteri previsti dalla tariffe professionali per il processo di esecuzione e si chiede la riduzione dell’importo oggetto di precetto e di pignoramento, l’opponente afferma l’inesistenza del credito e propone perciò opposizione all’esecuzione in ordine alla quale non è cessata materia del contendere (la pronuncia della Corte di Appello non investe logicamente tale parte dell’importo portato dal precetto e pignorato) e che, sia pure per importo minimo rispetto a quello oggetto di controversia, è fondata: l’atto di precetto notificato il __ quantifica diritti ed onorari per il precetto applicando le tariffe forensi 2004 all’epoca vigenti e vincolanti ma avendo riguardo a scaglione superiore a quello fino a Euro __ da applicarsi in relazione all’importo precettato (irrilevante che il lodo abbia accertato credito superiore, posto che nel contempo ha accertato anche controcredito a favore di C. ed è divenuto così titolo per l’esecuzione della somma inferiore, al netto della compensazione, alla quale deve aversi riguardo per la tariffa professionale per l’esecuzione) e esponendo inoltre voci non dovute, come indicate dall’attore in atto di citazione.

La differenza (riconosciuti per diritti Euro __ laddove se ne espongono Euro __; ridotti a Euro __ e Euro __ i diritti per dattilo/collazione e stampa/collazione; esclusi diritti per procura speciale, posizione archivio formazione fascicolo; riconosciuto onorario di Euro __anziché Euro __; ricalcolati in conseguenza spese generali, IVA e CPA) a favore del debitore ammonta in tutto a Euro __ (al creditore spettano in tutto diritti e onorari per Euro __, spese generali Euro __, CPA Euro __, IVA __, e così in totale Euro __, a fronte dell’importo di Euro __ complessivamente esposto in precetto per gli stessi titoli; la differenza è dunque calcolata a credito dell’opponente), oltre a interessi dal __ al saldo.

Quanto al tema essenziale proposto a fondamento dell’opposizione, va rilevato che correttamente C. afferma che l’azione proposta, in quanto volta a far valere la non pignorabilità delle somme sottoposte ad esecuzione per essere le stesse vincolate alla destinazione a finalità pubblica, costituisce secondo la giurisprudenza di legittimità opposizione all’esecuzione e non agli atti esecutivi. E tuttavia va rilevato che la stessa giurisprudenza richiamata dall’opponente (Cass. Sez. 3, 23 agosto 2011, n. 17524) distingue in tali casi fra l’opposizione che il comune proponga avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione di assegnazione del credito che l’ente assume impignorabile, la quale integra opposizione agli atti esecutivi, e quella proposta allorché il giudice non abbia, d’ufficio o su eccezione di parte, dichiarato la nullità del pignoramento, sempre che, tuttavia, ancora non si sia addivenuti alla chiusura del processo con l’ordinanza di assegnazione, nel qual caso l’opposizione da proporsi è appunto quella agli atti esecutivi (“Nell’espropriazione forzata presso terzi, è inquadrabile come opposizione agli atti esecutivi l’opposizione proposta da un comune avverso l’ordinanza di assegnazione del credito, con la quale si deduca l’esistenza di un vincolo d’impignorabilità per la destinazione delle somme a pubbliche finalità. Qualora, invece, nel processo esecutivo si ponga la questione se, rispetto alle somme sottoposte a pignoramento da parte del creditore, ricorrano o no le condizioni stabilite dalla legge perché le somme di competenza del comune restino sottratte alla esecuzione, ed il giudice dell’esecuzione non abbia, d’ufficio o su istanza di parte, dichiarato nullo il pignoramento, né si sia ancora addivenuti alla chiusura del processo con l’ordinanza di assegnazione, il debitore può proporre l’opposizione all’esecuzione per far valere l’impignorabilità” – Cass. 17524/2011 cit.).

Principio coerente con quello in precedenza enunciato da Cass. Sez. 3, 16 novembre 2005, n. 23084, nella quale si afferma che la decisione del giudice dell’esecuzione che accerti il vincolo di destinazione delle somme spettanti all’ente locale e le sottragga perciò all’esecuzione è impugnabile con atto di opposizione agli atti esecutivi e che per contro il rigetto dell’eccezione al riguardo proposta dal debitore esecutato legittima quest’ultimo all’opposizione all’esecuzione, e chiarisce inoltre, con riguardo alle conseguenze nel giudizio di merito della estinzione della procedura esecutiva, che “l’estinzione del processo esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il processo, rispetto alle opposizioni agli atti esecutivi, mentre rispetto alle opposizioni aventi per oggetto il diritto a procedere ad esecuzione forzata, in rapporto all’esistenza del titolo esecutivo o del credito, permane l’interesse alla decisione, con la precisazione che, se oggetto dell’opposizione è la pignorabilità dei beni, l’interesse torna a cessare quando il pignoramento è caduto su somme di danaro o di altre cose fungibili, perché il vincolo imposto dal pignoramento su questo genere di cose (che consiste nell’inefficacia dei successivi atti di disposizione per una somma equivalente) si esaurisce con la sopravvenuta inefficacia del pignoramento” (così anche Cass. Sez. 3, 24 febbraio 2011 n. 4498; Cass. Sez. 3, 22 marzo 2011 n. 6546): vero che la chiusura della procedura esecutiva non importa cessazione della materia del contendere laddove l’opposizione all’esecuzione verta sull’esistenza del titolo o del credito, qualora la controversia verta invece sulla pignorabilità l’ordinanza di assegnazione del denaro e di beni fungibili – fatta salva l’impugnazione della stessa con opposizione agli atti esecutivi – importa, con la cessazione degli effetti del pignoramento (ed incontestati in questa sede la sussistenza del titolo e del debito – confermato dalla pronuncia della Corte di Appello citata – frattanto estinto con l’assegnazione e l’incasso del denaro pignorato presso il terzo, ed escluso perciò comunque diritto di ripetizione del bene fungibile), la cessazione della materia del contendere.

Fatta applicazione di detti principi, all’epoca della notifica dell’atto di citazione in opposizione all’esecuzione, già disposta l’assegnazione al creditore procedente della somma pignorata sino a concorrenza con l’importo precettato con ordinanza del __ che non consta essere stata impugnata, la procedura esecutiva era conclusa e l’interesse all’opposizione in esame inesistente.

Escluso per quanto esposto diritto di ripetizione (se non negli stretti limiti sopra indicati delle maggiori spese legali esposte per notifica di precetto), e infondata la domanda di risarcimento del danno sofferto in quanto del tutto genericamente evocato e in nessun modo provato, quanto alla inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione per cessazione della materia del contendere (quanto al tema della impignorabilità) all’epoca dell’introduzione della causa di merito, tenuto conto che certamente la domanda era ammissibile all’epoca del ricorso ex art. 615 c. 2 e 617 c. 2 c.p.c., si reputa opportuno – seppure la pronuncia sia in questa sede, avendo riguardo alla citazione in opposizione nel giudizio di merito, di inammissibilità per carenza di interesse e non di cessazione della materia contendere – esaminare anche il profilo della soccombenza virtuale ai fini della pronuncia sulle spese del giudizio.

All’epoca del ricorso ex art. 615 c. 2 e 617 c. 2 c.p.c. sussistevano i presupposti dell’impignorabilità – ma la chiara prova è stata solo successivamente raggiunta con le produzioni effettuate nella causa di merito – ove si consideri che:

– la Delib. __, n. __, dichiarata immediatamente esecutiva, produce effetto dal deposito (il __) e dalla notifica in pari data alla tesoreria, e seppure ciò avvenga in data successiva alla notifica del pignoramento (il __) il vincolo di destinazione ex art. 159 D.Lgs. n. 267 del 2000 è comunque divenuto opponibile al creditore procedente, in quanto la notificazione del pignoramento produce sì nei confronti del terzo gli effetti previsti dall’art. 546 c.p.c., ma è solo con la dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. (o con l’accertamento giudiziale del credito) che si individuano le somme o i beni della cui consegna il terzo sia debitore verso l’esecutato, ed è dunque a tale data (in questo caso – v. doc. 10 – il __, successiva alla notificazione e all’efficacia della delibera di giunta __) che può valutarsi se il vincolo di destinazione esiste (v. Cass. Sez. 3, 27 gennaio 2009, n. 1949: “Il pignoramento presso terzi si perfeziona non con la sola notificazione dell’atto di intimazione di cui all’art.543 cod. proc. civ. – che rende immediatamente indisponibili da parte del terzo le cose o le somme da lui dovute, così segnando l’efficacia e l’esistenza dello stesso pignoramento – ma con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito, in questi due modi soltanto potendo avvenire l’esatta e concreta specificazione di quali cose o somme il terzo sia debitore o si trovi in possesso e del momento in cui ne deve il pagamento o la consegna; ne consegue che, in caso di pignoramento a carico di ente pubblico (…) eseguito sulle somme giacenti presso il suo tesoriere, il vincolo d’impignorabilità derivante dalla delibera di destinazione delle somme stesse a fini sociali (come il pagamento di retribuzioni del personale, rate di mutui o altro) richiede che l’efficacia esecutiva della delibera dell’ente pubblico (…) intervenga anteriormente alla dichiarazione del terzo”;

– il vincolo di destinazione della somma di Euro __ erogata dalla Regione Lombardia (della quale invero in ricorso si fa solo cenno, allegandone come la titolarità in capo al diverso ente) non richiede previa dichiarazione in delibera di giunta ex art. 159 D.Lgs. n. 267 del 2000 e viene comunicato il __ alla tesoreria, che ne prende atto il __ (doc. 8 e 9 opponente); in ogni caso la non assoggettabilità a esecuzione della somma indicata dalla Delib. __ era di per sé sufficiente a rendere incapiente l’importo depositato presso la tesoreria;

– la produzione nella causa di merito di documenti in aggiunta rispetto a quelli allegati al ricorso ex art. 615 c. 2 e 617 c. 2 c.p.c. e non potuti valutare dal giudice dell’esecuzione non importa inammissibilità e tardività delle deduzioni su pubblicazione e notificazione della delibera di giunta, attenendo ciò alla prova del fatto medesimo (non pignorabilità per effetto della delibera ex art. 159 D.Lgs. n. 267 del 2000) immediatamente dedotto.

Tutto ciò considerato, tenuto conto che l’opposizione e le domande proposte da C. sono fondate per minimo e quasi irrilevante profilo e che per l’aspetto principale la domanda era per un verso correttamente proposta in sede di ricorso ma ormai superata dalla chiusura della procedura esecutiva già all’atto della citazione nel giudizio di merito non accompagnata da opposizione all’ordinanza di assegnazione, sussistono i presupposti per integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando,

1) in parziale accoglimento dell’opposizione all’esecuzione, accerta la parziale inesistenza del credito di cui al precetto e al pignoramento notificati ed eseguiti e condanna M. S.r.l. alla restituzione a C. della somma di Euro __, oltre ad interessi dal __ al saldo;

2) dichiara l’opposizione all’esecuzione inammissibile quanto alla domanda di accertamento dell’impignorabilità dei crediti;

3) rigetta nel resto le domande dell’attore;

4) compensa per intero le spese di lite.

Così deciso in Brescia, il 12 agosto 2019.

Depositata in Cancelleria il 13 agosto 2019.

 

Tribunale_Brescia_Sez_II_Sent_13_08_2019

 

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Il processo esecutivo costituisce un sistema chiuso di rimedi e non tollera azioni di contestazione dei suoi atti diverse da quelle espressamente previste

Il processo esecutivo costituisce un sistema chiuso di rimedi e non tollera azioni di contestazione dei suoi atti diverse da quelle espressamente previste

Tribunale Ordinario di Frosinone, Sezione Civile, Sentenza del 13/08/2019

Con sentenza del 13 agosto 2019, il Tribunale Ordinario di Frosinone, Sezione Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il processo esecutivo costituisce un sistema chiuso di rimedi e non tollera azioni di contestazione dei suoi atti diverse da quelle espressamente previste.


 

Tribunale Ordinario di Frosinone, Sezione Civile, Sentenza del 13/08/2019

Il processo esecutivo costituisce un sistema chiuso di rimedi e non tollera azioni di contestazione dei suoi atti diverse da quelle espressamente previste

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale Ordinario di Frosinone

Sezione Civile

Nella persona del Giudice, dott.ssa __, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al ruolo generale degli affari civili contenziosi n. __ e vertente tra

C. – OPPONENTE

e

A. S.R.L. – OPPOSTA

e contro

S. – OPPOSTA CONTUMACE

OGGETTO: opposizione all’esecuzione avverso precetto.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con atto di citazione in opposizione all’esecuzione ritualmente notificato, C. ha convenuto in giudizio la A. S.r.l. e S., domandando di dichiarare, previa sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo, l’inesistenza del diritto della società A. a procedere ad esecuzione forzata sulla base del titolo costituito dall’ordinanza di assegnazione di somme ex art. 548 c.p.c., per l’importo di Euro __, oltre interessi e spese di procedura, emessa in data __ dal GE (notificata a C. il __ e impugnata con opposizione ex art. 617 c.p.c., nella quale era respinta l’istanza di sospensione e di cui pendeva il merito avente R.G. n. __) nell’ambito della procedura esecutiva R.G.es. n. __, intrapresa dalla creditrice procedente società A. con pignoramento mobiliare presso terzi, notificato a C. in data __, non essendo mai esistito il credito del debitore esecutato S., anche quale impresa individuale, nei confronti di S.; conseguentemente di dichiarare l’inefficacia e/o l’illegittimità del precetto fondato sul detto titolo esecutivo e notificato a C. in data __, recante l’importo di Euro __, nonché dei successivi atti esecutivi, con condanna di parte avversa al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

A tal fine ha eccepito l’inesistenza di un rapporto di debito di C. nei confronti della debitrice esecutata S. per mancanza di un valido titolo esecutivo e del diritto sostanziale posto a suo fondamento: nessun documento a sostegno dell’esistenza di un corrispondente diritto sostanziale di S. era prodotto con il pignoramento presso terzi; né il titolo esecutivo azionato conteneva un accertamento di tale debito, trattandosi di un provvedimento emesso all’esito di un procedimento sommario, dotato di efficacia esecutiva, ma privo di attitudine al giudicato, potendo essere rimessa in discussione l’esistenza del diritto di credito in un giudizio a cognizione piena, quale è l’opposizione all’esecuzione; d’altronde, pur legittima l’indicazione generica delle somme nel pignoramento in base all’art. 543 c.p.c., l’effetto di non contestazione del credito associato dall’art. 548 c.p.c., nella versione introdotta con la L. n. 228 del 2012, alla mancata comparizione del terzo all’udienza successiva a quella in cui il creditore pignorante ha dato atto della mancata dichiarazione del terzo, ricorre solo in caso di esatta indicazione del credito verso il terzo pignorato, mentre nel caso di specie si è fatto solo riferimento a somme per prestazione di servizi verso C. eseguite da S.; la previsione per cui tale efficacia esecutiva è subordinata alla identificazione del credito, introdotta dal D.L. n. 83 del 2015 conv. in L. n. 132 del 2015 nell’art. 548 c.p.c., deve considerarsi di interpretazione autentica e dunque applicarsi retroattivamente.

Con decreto del __ è stata respinta l’istanza di sospensione inaudita altera parte del titolo. La medesima richiesta cautelare non è stata reiterata in prima udienza.

Si è costituita la convenuta A. S.r.l., chiedendo che, disattesa l’istanza di sospensione, sia dichiarata l’inammissibilità della presente opposizione all’esecuzione in quanto a) con una opposizione ex art. 615 c.p.c. si è inteso elevare una questione processuale, inerente la notificazione dell’ordinanza costituente titolo esecutivo, ciò che può essere, invece, oggetto di opposizione agli atti esecutivi, giudizio peraltro già intentato e pendente innanzi al Tribunale sub R.G. n. __; b) la domanda spiccata è volta ad introdurre un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 c.p.c. abrogato dalla L. n. 228 del 2012; c) anche ad intendere l’avversa iniziativa come accertamento negativo del credito verso S., non può essere coinvolta la società A., carente di legittimazione attiva a fronte di una tale domanda giudiziale; in subordine, sia respinta l’avversa azione nel merito, in quanto infondata in fatto e in diritto; in ogni caso, sia condannato l’opponente C. al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.c. in favore di A. S.r.l. ovvero, in subordine, al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c..

Ha, perciò, rappresentato che: A. S.r.l. disponeva di un valido titolo esecutivo, costituito dall’ordinanza del __, su cui è stata apposta formula esecutiva in data __ e poi notificato a C. il __; sicché, rispettato il termine speciale di 120 giorni in favore delle amministrazioni pubbliche, si è proceduto alla notificazione del precetto in data __; la modifica dell’art. 548, commi 2 e 3, c.p.c. non è applicabile al caso di specie, poiché introdotta non con il D.L. n. 83 del 2015, ma con modifica al d.l. apportata dalla legge di conversione n. 132/2015, in vigore dal 21.08.2015, sicché non sussisteva alcun obbligo di allegazione specifica che consentisse l’identificazione del credito verso del terzo; tale ordinanza poteva essere impugnata solo per vizi di notifica o mancata conoscenza per caso fortuito o forza maggiore ai sensi dell’art. 617 c.p.c., sicché ormai C. non può più rimettere in discussione, tanto più attraverso il presente giudizio di opposizione all’esecuzione, gli esiti di una procedura esecutiva mobiliare definita con ordinanza di assegnazione (formatasi in conseguenza del comportamento processuale di C. che non reagiva alle notificazioni del pignoramento in data __, del provvedimento si fissazione d’udienza ex art. 548 c.p.c. del __ e alla notificazione dell’ordinanza di assegnazione in data __, attendendo la notificazione della stessa ordinanza munita di formula esecutiva il __), contro la quale solo tardivamente ed infondatamente ci si opponeva con il richiamato giudizio R.G. n. __; non solo deve ritenersi infondata la domanda di ristoro del danno per responsabilità processuale aggravata promossa dalla controparte contro A. S.r.l., ma, al contrario, è la presente ulteriore iniziativa giudiziaria dell’ente che denota colpa grave di C. opponente ex art. 96, comma 1, c.p.c. e ha determinato il ritardo nel pagamento del dovuto, oltre a costringere la creditrice procedente a sopportare i costi della difesa in giudizio.

Con la memoria ex art. 183, comma secondo, n. 2, c.p.c. l’opponente ha, vi è più, eccepito la carenza dell’avvertimento di cui all’art. 543, comma 2, n. 4, c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 132 del 2014 conv. in L. n. 162 del 2014) circa gli effetti di non contestazione del credito della omessa dichiarazione e partecipazione all’udienza fissata dal GE, con conseguente invalidità del pignoramento e della successiva procedura esecutiva (effetto invalidante evidenziato nella comparsa conclusionale).

L’opposta società ha replicato censurando la tardività dell’eccezione e la sua pretestuosità in ragione dell’inapplicabilità dell’avviso invocato al pignoramento de quo stante l’introduzione della relativa disposizione ad opera della legge di conversione del D.L. n. 132 del 2014, con vigenza a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione della detta legge, avvenuta in data __, a fronte della notificazione del pignoramento presso terzi il precedente __.

La causa è stata istruita documentalmente.

Nella udienza di precisazione delle conclusioni e nelle successive note conclusionali la parte opponente, previa reiterazione delle istanze istruttorie formulate nella seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., ha insistito sulle difese e domande già svolte; l’opposta società ha ribadito le medesime conclusioni di cui alla comparsa di costituzione.

  1. Deve ravvisarsi l’inammissibilità dell’opposizione spiccata per le ragioni che seguono.

L’azione sperimentata, indubbiamente da intendersi come di opposizione all’esecuzione, in quanto mira a bloccare l’esecuzione forzata minacciata con il precetto opposto, sostenendo la carenza del diritto di A. S.r.l. di procedere esecutivamente contro C., è fondata, in sintesi, sull’argomento per cui difetta il titolo esecutivo (ordinanza di assegnazione di credito in pagamento) poiché non sussiste il diritto sostanziale di credito a monte (del debitore esecutato nei confronti del terzo destinatario di pignoramento ex art. 543 c.p.c..). Nella sua più suggestiva versione tale tesi è espressa sostenendo che in mancanza di una specificazione nell’atto di pignoramento del credito vantato dal debitore esecutato verso il terzo pignorato il GE non avrebbe potuto pronunciare il titolo-ordinanza di assegnazione del credito per effetto dell’operare del meccanismo di non contestazione predisposto dall’art. 548 c.p.c. E ciò non solo perché – in tesi -, avendo natura di norma di interpretazione autentica, va applicata retroattivamente l’interpolazione del comma 2 dell’art. 548 c.p.c. inserita ad opera dell’art. 13, comma 1, lett. m bis), D.L. n. 83 del 2015, conv., con modificazioni, nella L. n. 132 del 2015 (ma contenuta nella legge di conversione e perciò entrata in vigore il giorno seguente la pubblicazione in G.U. della detta legge, ossia nella data del 21.08.2015, non essendo operante per il caso di specie in cui l’ordinanza di assegnazione era emessa antecedentemente, il __); ma anche in ragione della necessità di interpretare il disposto dell’art. 543, comma 2, n. 2 c.p.c. circa la indicazione generica del credito in relazione alla fictio di cui all’art. 548 c.p.c., non ben coordinati nel corso degli interventi legislativi di rimodellamento della detta disciplina stratificatisi nel tempo, nel senso della non operatività del detto meccanismo nel caso di genericità del titolo e della misura del diritto nei confronti del terzo (cui si è tardivamente aggiunta l’eccezione di carenza dell’avviso di cui al n. 4 dell’art. 543 c.p.c., introdotto in forza dell’art. 19, comma 1, lett. e), n. 2, D.L. n. 132 del 2014 conv., con modificazioni, in L. n. 162 del 2014, in vigore fin dal 13.09.2014 poiché presente già nel corpo del d.l., entrato in vigore il giorno dopo la pubblicazione in GU nella data del 12.09.2014).

In ciò il thema su cui è stato adito questo Giudice, non può che ritenersi non sperimentabile un mezzo d’impugnazione dell’ordinanza di assegnazione diverso dall’opposizione agli atti esecutivi (ciò che è stato in buona sostanza eccepito dalla società opposta sub a) delle conclusioni in rito dell’atto di costituzione come sopra sintetizzate, per come interpretabile alla luce della narrativa dell’atto stesso).

Infatti ai sensi dell’art. 617, comma 1, c.p.c. l’ordinanza è impugnabile nelle forme e nei termini dell’art. 617, comma 1, c.p.c. (l’inciso relativo al comma è stato eliminato per effetto dell’art. 13, comma 1, lett. m bis), n. 2, D.L. n. 83 del 2015, conv., con modificazioni, in L. n. 132 del 2015) per non averne avuto tempestiva conoscenza stante l’irregolarità della notificazione ovvero per caso fortuito o forza maggiore.

È escluso che possa rimettersi in discussione un titolo esecutivo giudiziale (tra le innumerevoli pronunce in termini Cass. 21954/2017; Cass. 3712/2016; Cass. 3850/2011; Cass. S.U. 1238/2015), quale è l’ordinanza di assegnazione di crediti, per vizi di rito o di merito se non coi mezzi impugnatori propri di quello e tranne i soli casi di reale ed effettiva inesistenza del titolo stesso (nel caso di specie neppure prospettata né rinvenibile officiosamente).

Per consolidata interpretazione giudiziale, il processo esecutivo costituisce un sistema chiuso di rimedi e non tollera azioni di contestazione dei suoi atti diverse da quelle espressamente previste (vedi Cass. 6521/2014; Cass. 7708/2014; Cass. 23182/2014; Cass. 11172/2015; Cass. ord. 12242/2016; Cass. 5175/2018).

La domanda è stata, nella specie, elevata assolutamente oltre il termine di 20 giorni dalla notifica dell’ordinanza (avvenuta il __ e poi in forma esecutiva il __ a fronte di una citazione in opposizione notificata a controparte il __). Invero, una opposizione agli atti esecutivi è stata promossa, ma per profili di censura diversi da quelli prospettati nel presente giudizio.

Né le descritte doglianze possono essere censurabili in una successiva opposizione all’esecuzione.

Ha chiarito, infatti, la pronuncia della Cass. n. 11493/20015, citata dalla stessa parte opponente, che il rimedio è quello dell’opposizione agli atti esecutivi se “il terzo pignorato intenda far valere, in tale sua qualità, vizi dell’ordinanza di assegnazione, pronunciata, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., a conclusione del processo esecutivo per espropriazione presso terzi introdotto dal creditore del suo debitore. Presuppone, cioè, che i vizi lamentati riguardino la formazione o il contenuto dell’ordinanza medesima, anche nel caso in cui si intenda contestare la misura del credito assegnato ovvero la liquidazione delle spese fatta dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 553 c.p.c. (…). Tuttavia, l’ordinanza di assegnazione è, a sua volta, titolo esecutivo che, munito della relativa formula, può essere portato ad esecuzione dal creditore assegnatario (già pignorante) contro il terzo pignorato. Nel caso in cui il creditore assegnatario agisca esecutivamente in danno del terzo pignorato inadempiente questi assume la qualità di debitore esecutato. In siffatta qualità, si può avvalere dei rimedi riconosciuti dall’ordinamento in favore della generalità dei debitori che siano esecutati in forza di un titolo di formazione giudiziale (quale è l’ordinanza di assegnazione, anche se non idonea al giudicato). In particolare il terzo pignorato che sia assoggettato ad esecuzione può valersi dell’opposizione all’esecuzione, per opporre al creditore assegnatario fatti estintivi od impeditivi della sua pretesa sopravvenuti alla pronuncia del titolo esecutivo (quali, ad esempio, i pagamenti successivi all’emissione dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c.) ovvero per contestare la pretesa azionata con il precetto (quale, ad esempio, l’eccesso degli importi per le spese o le competenze che ben possono essere auto-liquidate con l’atto di precetto (…)” (sentenza citata in parte motiva).

Sicché avverso l’ordinanza di assegnazione, in quanto di formazione giudiziale, non è ritualmente sperimentabile l’opposizione all’esecuzione per rimuovere i descritti effetti del procedimento di esecuzione presso terzi conclusosi con l’assegnazione, ossia per censurare il procedimento di formazione del titolo esecutivo giudiziale fondante l’esecuzione di cui si discute, sulla base di argomenti non inerenti fatti sopravvenuti incidenti sull’an dell’attuazione coattiva del diritto, ma evocando la carenza dell’originario credito pignorato (ciò che si sarebbe dovuto esporre nella dichiarazione di terzo, resa al creditore o al giudice in udienza, adempimenti cui il terzo, onerato onde impedire la formazione del titolo esecutivo e pur correttamente interpellato, non provvedeva) e i vizi del pignoramento inficianti l’ordinanza.

Innegabile che l’ordinanza di assegnazione non costituisce accertamento consolidabile in giudicato, ma solo titolo endoesecutivo (in termini Cass. 11404/2009; Cass. 6788/2013; Cass. 22050/2014), sottendente la ratio di provocare la definizione del procedimento di attuazione del diritto del creditore procedente, resta possibile per il terzo pignorato promuovere, nei confronti del debitore esecutato, un giudizio di accertamento negativo del credito e di ripetizione di quanto indebitamente pagato in forza dell’ordinanza di assegnazione. La domanda contenuta nell’opposizione de qua non lascia spazio ad una reinterpretabile in termini.

L’esito in rito conforta la statuizione di rigetto delle istanze istruttorie.

  1. La soccombenza della parte opponente che ha elevato la domanda di ristoro del danno per lite temeraria reca con sé l’inaccoglibilità della stessa.
  2. Non è fondata neppure la domanda di risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96, c. 1, c.p.c. promossa dalla opposta società A. S.r.l.

Difatti “Oltre al carattere totale e non parziale della soccombenza, la domanda per responsabilità aggravata postula che l’avversario deduca e dimostri la concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima, nonché la ricorrenza in detto comportamento, del dolo o della colpa grave, cioè della consapevolezza, o dell’ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle proprie tesi, ovvero del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio” (Cass. 6637/1992). Ed è onere della parte che richiede il ristoro del danno dedurre e dimostrare l’an e il quantum del danno (consentendosi la liquidazione d’ufficio se tali elementi siano almeno desumibili dagli atti di causa Cass. 9080/2013; Cass. 13395/2007; Cass. 3388/2007; Cass. 21393/2005; ovvero negandosi la liquidazione equitativa se non sia data prova dell’esistenza del danno Cass. 13355/2004; Cass. 18169/2004).

Non emergono, nella specie, sufficienti elementi per ritenere sussistente la colpa grave (non essendo sufficiente a riconoscere l’elemento psicologico la promozione di una azione giudiziaria dall’esito infausto e visto l’indirizzo giurisprudenziale che consente la sperimentazione della opposizione all’esecuzione avverso l’ordinanza di assegnazione, sebbene nei limiti sopra evidenziati, e della qualificazione dell’ordinanza come titolo stragiudiziale tentata dall’opponente non senza un serio argomento, fondato sull’affermazione, giurisprudenzialmente sostenuta, della natura di atto di trasferimento dal lato attivo del credito dell’ordinanza, ciò che, se condiviso, avrebbe evitato d’incorrere nei detti limiti dell’oggetto dell’opposizione all’esecuzione elevabile avverso l’ordinanza di assegnazione inteso quale titolo giudiziale, consentendo un vaglio di merito della tesi dell’opponente; merito rispetto al quale l’opponente non si è limitato a richiamare, come sostenuto dall’opposta società, l’applicazione di una disciplina non ancora vigente a supporto delle proprie domande, dovendosi, invece, cogliere l’intento di utilizzare l’argomento per persuadere nel senso di una applicazione meno letterale della disciplina efficace per il caso in disamina, tale da indurre la conclusione della non valida formazione del titolo); né sono state addotte prospettazioni specifiche circa il danno che si assume patito e la prova dello stesso.

Neppure pregevole può ritenersi la domanda ex art. 96, c. 3, c.p.c.

“La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, c. 3, c.p.c., aggiunto dalla L. n. 69 del 2009, presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile” (in termini Cass. ord. 21570/2012); sebbene non richiede necessariamente un danno, trattandosi di fattispecie a carattere sanzionatorio, quale forma di danno punitivo finalizzata a scoraggiare l’abuso del processo (in termini Trib. Verona 13.08.2011; Trib. piacenza 15.11.2011).

Come detto, non si rinvengono adeguate emergenze processuali a supporto della sussistenza del detto elemento soggettivo nella mens dell’Ente attore.

  1. Le spese del presente giudizio, con riferimento al rapporto processuale tra il Comune e la società A. S.r.l., seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate, come in dispositivo, in base al D.M. n. 55 del 2014, applicando una riduzione della metà del parametro di riferimento in base al valore della causa in ragione della semplicità delle questioni e del mancato espletamento di istruttoria in senso stretto.

Nulla sulle spese della parte rimasta contumace.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

– rigetta l’opposizione spiegata;

– condanna il Comune di Frosinone a rifondere, in favore della A. s.r.l., le spese del presente procedimento, che liquida in Euro __ per compensi, 15% di spese generali, iva e cpa come per legge;

– nulla sulle spese di lite della opposta contumace.

Così deciso in Frosinone, il 8 agosto 2019.

Depositata in Cancelleria il 13 agosto 2019.

 

Tribunale_Frosinone_Sent_13_08_2019




Il debitore, nel proporre opposizione all’esecuzione, può solo dedurre il difetto della portata esecutiva del titolo e i fatti estintivi o modificativi del diritto consacrato nel titolo verificatisi successivamente alla sua formazione

Il debitore, nel proporre opposizione all’esecuzione, può solo dedurre il difetto della portata esecutiva del titolo e i fatti estintivi o modificativi del diritto consacrato nel titolo verificatisi successivamente alla sua formazione

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 07/08/2019

Con sentenza del 7 agosto 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che qualora l’esecuzione civile venga promossa sulla base di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, il debitore, nel proporre opposizione, può solo dedurre il difetto della portata esecutiva del titolo e i fatti estintivi o modificativi del diritto consacrato nel titolo verificatisi successivamente alla sua formazione, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione del titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l’impugnazione della sentenza che costituisce il titolo medesimo.


Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 07/08/2019

Il debitore, nel proporre opposizione all’esecuzione, può solo dedurre il difetto della portata esecutiva del titolo e i fatti estintivi o modificativi del diritto consacrato nel titolo verificatisi successivamente alla sua formazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA

QUARTA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. __ ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. R.G. __ promossa da:

G. – OPPONENTE

contro

C. – OPPOSTO CONTUMACE

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione G. riassumeva il merito del giudizio di opposizione all’esecuzione, a seguito di ordinanza emessa nell’ambito della procedura esecutiva RGE __ con la quale il G.E. rigettava l’istanza di sospensione e assegnava termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito sino al __.

L’opponente contestava il precetto di pagamento ricevuto da C., rappresentato da R. S.p.A., con il quale gli si intimava il pagamento della somma di Euro __ a titolo di risarcimento danni dalla data del __ per l’occupazione abusiva di immobile, oltre Euro __ mensili oltre rivalutazione Istat, il tutto oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme rivalutate nonché al pagamento delle spese di lite, sulla base della sentenza emessa dal Tribunale di Roma n. __ in data __, munita di formula esecutiva in data __ e notificata contestualmente al precetto.

G. eccepiva: 1) carenza di legittimazione attiva della R.G.; 2) nullità della procedura esecutiva per inesistenza/nullità dell’atto di precetto e della sua notifica, essendo stati notificati tali atti in via __ e non presso la residenza dell’opponente in via __; 3) estinzione del pignoramento ex art. 52 comma 1 lett. G. L. n. 98 del 2013 cd. Decreto del fare con improseguibilità del pignoramento se unico immobile non di lusso del proprietario; 4) malafede del creditore, abuso del diritto e carenza di titolo esecutivo, mancanza di certezza, liquidità ed esigibilità del credito. Contestava l’opponente di non avere mai avuto conoscenza dell’atto di citazione con il quale C. chiedeva il rilascio e l’indennità di occupazione inerente il locale di via __, causa dalla quale era scaturito il titolo esecutivo; mancata esecuzione dell’ordine di rilascio per oltre dieci anni; 5) prescrizione dei crediti oggetto di procedura esecutiva in quanto l’indennità per occupazione abusiva si prescrive in cinque anni.

Chiedeva dichiararsi nullo, annullabile, estinto improcedibile e comunque privo di efficacia il pignoramento immobiliare, non dovute e/o estinte per intervenuta prescrizione le somme, con condanna per risarcimento del danno a carico di C., spese da distrarsi a favore del procuratore antistatario.

Non si costituiva C., di cui veniva dichiarata la contumacia previa verifica della regolarità della notifica in data __.

Concessi termini ex art. 183 c.p.c. la causa veniva ritenuta matura per la decisione senza bisogno di attività istruttoria e trattenuta in decisione all’udienza del __.

L’opposizione non merita accoglimento.

Relativamente alla notifica del titolo esecutivo, si dà atto nel precetto di precedente notifica eseguita in data __; inoltre, nel verbale d’udienza del __ nel sub procedimento di opposizione nella procedura esecutiva __ alla presenza di C. e di R. S.p.A., quest’ultima esibiva originale del titolo ritualmente notificato unitamente all’atto di precetto ex art. 140 c.p.c. Il G.E affermava, pertanto, che la sentenza posta alla base del processo esecutivo era stata ritualmente notificata nel decennio.

Quanto al precetto, lo stesso G. afferma che la notifica sia stata eseguita per compiuta giacenza presso l’indirizzo non completo di via __ in luogo di __ dacché lo stesso non ha potuto averne conoscenza.

Tuttavia, si deve rilevare che presso quello stesso indirizzo veniva notificato l’atto di pignoramento in data __ (in via __) con sottoscrizione dello stesso da parte della moglie. Dal punto di vista fattuale è smentita l’insufficienza dell’indirizzo.

Dal punto di vista del diritto è ben noto che ove si contesti la regolarità della notifica dell’atto di precetto e del titolo esecutivo ex art. 617 c.p.c., la giurisprudenza considera sanato tale vizio dalla proposizione dell’opposizione, salvo che l’opponente non dimostri di avere avuto un danno dalla irregolare notifica.

L’opposizione di vizi formali della notifica del precetto e del titolo esecutivo può essere sanata dalla proposizione di opposizione non in modo automatico ma laddove il debitore opponente non lamenti un concreto pregiudizio ai diritti tutelati (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3967 del 12/02/2019, Rv. 652822 – 01).

A monte, tuttavia, e nell’impossibilità di predicare l’inesistenza o l’omessa notifica del titolo esecutivo, l’opposizione ex art. 617 c.p.c. deve considerarsi tardiva, in quanto il pignoramento è stato notificato in data __ ed il ricorso in opposizione in data __.

Quanto ai motivi di opposizione del diritto di procedere ad esecuzione, il richiamo all’art. 52 comma 1 lett. G L. n. 98 del 2013 è inconferente non trattandosi di procedura per la riscossione di entrate tributarie.

Il D.L. n. 69 del 2013, convertito con modificazioni in L. n. 98 del 2013, all’articolo 52, prevede che l’agente della riscossione possa solo intervenire ma non rendersi creditore procedente laddove il pignoramento abbia ad oggetto l’unico immobile del debitore, nel quale egli risieda anagraficamente e che abbia adibito ad uso abitativo, con esclusione delle abitazioni di lusso, delle ville e dei castelli.

La norma in questione modifica l’art. 76, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in materia di riscossione di imposte sul reddito, all’evidente scopo di arginare i pignoramenti immobiliari promossi per crediti fiscali.

La disposizione in esame prevede che l’agente della riscossione non possa dare corso alla esecuzione sull’unico immobile di residenza del debitore, eccetto case di lusso, ville o castelli, salvo che si tratti di crediti di valore superiore ad euro centoventimila (comma 1, lett. b).

Tuttavia, tale norma ha un ben preciso ambito applicativo e non può essere estesa a rapporti iure privatorum di un ente locale in relazione ad una causa di risarcimento del danno.

Quanto, alla pretesa carenza, illiquidità di titolo esecutivo, è principio consolidato che, qualora l’esecuzione venga promossa sulla base di un titolo esecutivo di formazione giudiziale (abbia esso o meno valore di giudicalo), il debitore può solo dedurre il difetto del titolo esecutivo e i fatti estintivi o modificativi del diritto consacrato nel titolo verificatisi successivamente alla sua formazione (cfr., ex multis, Cass. civ. n. 22402/2008; Cass. Civ. n. 20594/2007, Cass. Sez. 3. n. 8928 del 18/04/2006; Cass. 28.8.1999 n. 9061).

Non è pertanto possibile riesaminare l’effettiva occupazione abusiva da parte anche di G. dell’immobile di proprietà di C., sicché non potevano essere ammesse prove articolate al fine di attestare che lo stesso non fosse nel possesso dell’immobile.

Quanto alla ipotizzata mala fede di C. rispetto alla mancata pregressa esecuzione della sentenza, dall’atto di precetto risulta una previa notifica del titolo e di precetto nel __ e dalla lettura della sentenza si evince che l’occupazione era provata sulla base degli accertamenti della polizia urbana e che già in data __ C. avesse inutilmente ordinato lo sgombero dei locali.

In punto di prescrizione quinquennale del credito per indennità di occupazione, si deve ribadire la non sindacabilità del titolo giudiziale rispetto ad eventuale prescrizione non tempestivamente eccepita ed il decorso di un termine decennale dal deposito della sentenza per la prescrizione del credito in essa cristallizzato.

Pertanto, è stato efficacemente interrotto il termine decennale della sentenza depositata il __.

Quanto all’eccezione di carenza di legittimazione attiva di R. S.p.A. che nel precetto e nel successivo atto di pignoramento si qualificava come rappresentante di Roma Capitale nella sua qualità di impresa affidataria dei servizi gestionali afferenti il patrimonio immobiliare comunale giusto contratto di appalto rep. (…) del __ per atto di C., si deve ritenere che la precisa indicazione della fonte dei poteri rappresentativi costituita da contratto pubblico redatto da C. sia del tutto sufficiente a dar prova dell’effettiva sussistenza di questo mandato processuale e sostanziale. Inoltre, come si è accennato, in sede di sub procedimento, C. autonomamente citata non ha certo smentito la legittimazione della R. S.p.A.

Per tali ragioni l’opposizione deve essere respinta.

Le spese seguono la soccombenza

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

1) Rigetta l’opposizione formulata da G. nei confronti di C., rappresentata da R. S.p.A.;

2) Condanna altresì la parte G. a rifondere alla parte C., rappresentata da R. S.p.A. le spese di lite, che si liquidano in Euro __ per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e 15 % per spese generali.

Così deciso in Roma, il 7 agosto 2019.

Depositata in Cancelleria il 7 agosto 2019.

 

Tribunale_Roma_Sez_IV_Sent_07_08_2019

 

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Concordato preventivo – il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni e di resistervi, nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio

Concordato preventivo – il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni e di resistervi, nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio

Tribunale Ordinario di Savona, Sezione Civile, Sentenza del 02/08/2019

Con sentenza del 2 agosto 2019, il Tribunale Ordinario di Savona, Sezione Civile, in tema di concordato preventivo, ha stabilito che la procedura mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni e di resistervi, nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio.


Tribunale Ordinario di Savona, Sezione Civile, Sentenza del 02/08/2019

Concordato preventivo – il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni e di resistervi, nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI SAVONA

In persona del giudice unico dott. __

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nella causa tra:

C. – Attore Opponente

CONTRO

Z. S.r.l. – Convenuto Opposto

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Z. S.r.l. in liquidazione in concordato preventivo, in persona del liquidatore giudiziale, ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Savona il decreto ingiuntivo __ nei confronti del comune di Sassello, sostenendo di vantare nei confronti di quest’ultima un credito ammontante ad Euro __.

C. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo, evidenziando che:

Z. si era aggiudicata un contratto di appalto con C. avente ad oggetto lavori di rifacimento della rete fognaria di C.;

Parte del corrispettivo convenuto era stato pagato ed i lavori erano stati eseguiti e le opere collaudate;

Tuttavia, a seguito dei lavori eseguiti da Z., si erano prodotti vistosi avvallamenti sull’asfalto comunale, ragion per cui non solo nulla era dovuto all’appaltatore per i lavori eseguiti ex art. 1460 c.c., ma, anzi, Z. doveva risarcire i danni patiti da C. per il ripristino del manto stradale.

Ha, quindi, chiesto di revocare il decreto ingiuntivo con condanna di parte opposta al risarcimento dei danni.

Z. si è costituita in giudizio, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto ed il rigetto della domanda riconvenzionale proposta.

Dopo l’esecuzione dei lavori e dopo il collaudo, Z. S.r.l., con decreto del __, è stata ammessa dal Tribunale di Mondovì alla procedura del concordato preventivo, con nomina del commissario giudiziale.

In data __, il concordato è stato omologato dal Tribunale di Mondovì, con nomina del liquidatore giudiziale che ha, poi, intrapreso il presente giudizio.

Si pone, quindi, il problema di valutare se il concordato può legittimamente pretendere l’adempimento del credito vantato dall’impresa nei confronti di C. e se può essere convenuta in giudizio per un debito dell’impresa medesima.

Il liquidatore giudiziale nel concordato non assume i compiti assegnati dal codice civile ai liquidatori della società, né quelli assegnati al curatore, né la rappresentanza della società stessa, come si evince del resto dall’art. 182, 2 co., L.F., che non richiama né l’art. 31 L.F. né l’art. 35 L.F.

Sussiste, quindi, un’evidente differenza rispetto al curatore fallimentare e ciò è la conseguenza del fatto che il fallito perde la sua capacità in ordine ai rapporti patrimoniali con la conseguente attribuzione della rappresentanza del fallimento al curatore che – sostituendosi in toto al fallito – diventa titolare di una serie di diritti e di doveri; nel caso di concordato preventivo, invece, il debitore non perde la sua capacità sostanziale e processuale, che continua così a esercitare, sia pure in forma attenuata.

In sostanza, il debitore ammesso al concordato preventivo è sottoposto a quello che viene definito uno spossessamento attenuato: mantiene, cioè, oltre alla proprietà, l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura (la quale gli impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato).

Per l’effetto, egli mantiene la legittimazione processuale per tutti gli atti che attengono al suo patrimonio, com’è confermato dal fatto che non esiste nel concordato preventivo una norma analoga all’articolo 43 L.F. dettato solo per il fallimento.

In giurisprudenza, è costante l’affermazione secondo cui la procedura di concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni e di resistervi, nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, e, solo quando il debitore ammesso al concordato con cessione dei beni sia convenuto in giudizio con azione di condanna, si è talora ritenuta necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore nominato dal Tribunale, qualora la controversia investa lo scopo liquidatorio della procedura (Cass. 17606/15; Cass. 10738/00; Cass. 6106/00).

Il liquidatore nel concordato con cessione di beni è, non più e non meno, un mandatario. Trattasi di mandato irrevocabile, perché conferito anche nell’interesse dei terzi creditori, avente ad oggetto la gestione e la liquidazione dei beni ceduti (Cass. 4801/98; Cass. 1909/95), ragion per cui il suo potere di gestione è limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed a causa delle operazioni di liquidazione (Cass 7661/05).

Il liquidatore, quindi, non si sostituisce in alcun modo all’imprenditore ammesso al concordato, né ne è un successore a titolo particolare (Cass. 8102/13), non potendo attuare, se non in ipotesi eccezionali, atti gestori diretti dell’impresa, ma, assume, viceversa, lo specifico incarico di esercitare i diritti patrimoniali relativi ai beni ricompresi nella cessione a fini liquidatori.

Se l’azione che si intende intraprendere, ovvero di cui si subisce l’esercizio da parte di terzi, attiene ai rapporti obbligatori sorti nel corso e in funzione delle operazioni legate alla liquidazione, allora, sussiste la legittimazione ad agire e/o resistere del liquidatore concordatario.

Se, invece, detta azione pertiene all’ambito esclusivo dell’attività imprenditoriale, tale legittimazione competerà in via esclusiva al solo imprenditore ammesso al concordato.

“La legittimazione del liquidatore è definita dall’ambito del suo mandato (art. 182 L.F.) ed è perciò limitata ai rapporti obbligatori sorti nel corso e in funzione delle operazioni legate alla liquidazione, mentre è irrilevante a tali fini che la controversia abbia ad oggetto l’accertamento di una ragione di credito e la condanna al pagamento del correlativo debito, idonee – l’uno e l’altra – ad influire sul riparto destinato a far seguito alle operazioni liquidatorie. Perché venga in rilievo la sua legittimazione è necessario che la controversia attenga ai rapporti che nel corso ed in funzione della liquidazione vengono in essere e che siano, quindi, riconducibili al mandato a lui conferito” (Cass. 17606/15).

Tali principi sono stati fatti propri dalla giurisprudenza più recente (Cass. 26211/17; Cass. 18823/17; Cass. 17606/15; Cass 11520/10).

Nel caso di specie, non è stato chiarito – e la parte attrice in senso sostanziale non ha assolto a tale onere -, se il liquidatore giudiziale sia dotato del potere di rappresentare i creditori nella presente controversia, quale sia il contenuto del mandato di liquidazione, se il liquidatore, che ha agito in giudizio, azionando il decreto ingiuntivo, sia abilitato e autorizzato e se sia a ciò legittimato processualmente.

Nel caso di specie, non ci sono elementi per poter qualificare l’azione intrapresa come riconducibile al mandato ricevuto ed all’attività di liquidazione, ragion per cui la domanda proposta dall’opposta deve essere respinta ex artt. 75 e 83 c.p.c. anche in riferimento all’art. 182 L.F.

In ogni caso, anche a voler entrare nel merito qualora si ritengano superabili le argomentazioni di cui sopra, la domanda proposta da parte di Z. non è fondata.

Infatti, il CTU ha accertato la sussistenza di vizi che consistono in diffusa presenza di zone interessate da contenute depressioni della pavimentazione e/o rilievi, con un generalizzato dilavamento della sabbia di intasamento dei giunti ed ha, però, concluso che le cause di ciò sono imputabili:

1) alla mancanza di indagini preliminari di tipo geotecnico: non sono presenti, nella documentazione agli atti e di archivio, resa disponibile da C., relazioni geotecniche preliminari (causa imputabile al Responsabile del Procedimento secondo il CTU)

2) alla disomogeneità del sottofondo della sovrastruttura (o pavimentazione),

3) all’assenza dello strato di fondazione della pavimentazione,

4) alla disomogeneità dello strato di base della pavimentazione,

5) alla disomogeneità dello strato superficiale di pavimentazione.

Le cause ai punti 2) – 3) – 4) – 5) sono imputabili a carenze progettuali e della Direzione Lavori e quindi ai Progettisti / Direttori dei Lavori.

Tuttavia, ciò non è sufficiente per escludere una responsabilità dell’appaltatore.

Infatti, la giurisprudenza afferma costantemente: “L’appaltatore risponde per i difetti della costruzione derivanti da vizi ed inidoneità del suolo anche per mancanza dell’ordinaria diligenza e pure quando gli stessi siano ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente, potendo andare esente da responsabilità, che si presume ai sensi dell’art. 1669 c.c., solamente ove le condizioni geologiche non risultino in concreto accertabili con l’ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell’attività esercitata” (Cass. 15321/18).

“L’appaltatore è responsabile per i difetti della costruzione derivanti da vizi ed inidoneità del suolo anche ove gli stessi siano ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente, atteso che l’indagine sulla natura e sulla consistenza del suolo rientra tra i compiti dell’appaltatore che deve estendere il suo controllo anche alla rispondenza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono porsi le fondazioni, in quanto l’esecuzione a regola d’arte dell’opera dipende dall’adeguatezza dell’uno alle altre” (Cass. 23665/16).

“Ai fini della costruzione di opere edilizie l’indagine sulla natura e consistenza del suolo edificatorio rientra, in mancanza di diversa previsione contrattuale, tra i compiti dell’appaltatore, trattandosi di indagine -implicante attività conoscitiva da svolgersi con l’uso di particolari mezzi tecnici- che al medesimo, quale soggetto obbligato a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell’opera commessagli con conseguente obbligo di adottare tutte le misure e le cautele necessarie ed idonee per l’esecuzione della prestazione secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto idoneo a soddisfare l’interesse creditorio, spetta assolvere mettendo a disposizione la propria organizzazione, atteso che lo specifico settore di competenza in cui rientra l’attività esercitata richiede la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell’attività necessaria per l’esecuzione dell’opera, sicché è onere del medesimo predisporre un’organizzazione della propria impresa che assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l’obbligazione di eseguire l’opera immune da vizi e difformità. Ed atteso che l’esecuzione a regola d’arte di una costruzione dipende dall’adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono essere poste le relative fondazioni, e la validità di un progetto di una costruzione edilizia è condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo da parte dell’appaltatore va esteso anche in ordine alla natura e consistenza del suolo edificatorio. Ne consegue che per i difetti della costruzione derivanti da vizi ed inidoneità del suolo – anche quando gli stessi sono ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente- l’appaltatore risponde ( in tal caso prospettandosi l’ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d’opera professionale ex art. 2235 c.c. ) nei limiti generali in tema di responsabilità contrattuale della colpa lieve, presupponente il difetto dell’ordinaria diligenza, potendo andare esente da responsabilità solamente laddove nel caso concreto le condizioni geologiche non risultino accertabili con l’ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell’attività esercitata” (Cass. 12995/06).

Da quanto precede ne discende che le domande proposte sia da parte opponente che da parte attrice devono essere respinte.

Le spese di lite stante la reciproca soccombenza, sono compensate.

Le spese di CTU rimangono a carico solidale delle parti.

P.Q.M.

Revoca il decreto ingiuntivo del Tribunale di Savona __;

Respinge la domanda riconvenzionale;

Compensa le spese di lite tra le parti;

spese di CTU a carico solidale delle parti

Così deciso in Savona, il 2 agosto 2019.

Depositata in Cancelleria il 2 agosto 2019.

 

Tribunale_Savona_Sent_02_08_2019

 

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Quando la contestazione svolta dal debitore in merito alla nullità del precetto integra un’opposizione all’esecuzione

Quando la contestazione svolta dal debitore in merito alla nullità del precetto integra un’opposizione all’esecuzione

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 31/07/2019

Con sentenza del 31 luglio 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la contestazione svolta dal debitore in merito alla nullità del precetto per omessa indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, per erronea indicazione delle parti, per inesistenza di procura in favore del difensore e per mancanza della prova del credito, da intendersi tempestiva ove proposta entro il termine di venti 20 giorni previsto dalla legge dalla notifica del precetto opposto, integra un’opposizione ex art. 617, comma 1, c.p.c.


Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 31/07/2019

Quando la contestazione svolta dal debitore in merito alla nullità del precetto integra un’opposizione ex art. 617, comma 1, c.p.c.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Roma

QUARTA SEZIONE

nella composizione monocratica della dott.ssa __

ai sensi degli articoli 281 quater, 281 quinquies primo comma del codice di procedura civile vigente ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al numero __ del R.G.A.C.C., posta in decisione nell’udienza del __, pubblicata come da certificazione in calce e vertente tra le seguenti parti

D., M. e G. (opponenti)

E

F. S.r.l. (opposta)

Oggetto: Opposizione a precetto (artt. 615 e 617 I comma c.p.c.)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che si omette di circostanziare lo svolgimento del processo, atteso che, a norma dell’art. 132 c.p.c., come novellato a seguito della L. 18 giugno 2009, n. 69, la sentenza deve contenere unicamente la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Tanto premesso, quanto agli elementi di fatto nella prospettazione delle parti e alle loro rispettive domande, eccezioni e difese, si rinvia all’atto di citazione in opposizione al precetto e alla comparsa di costituzione.

Con atto di citazione ritualmente notificato D., M. e G., rispettivamente coniuge legalmente separato e figli dei A. deceduto nel __, proponevano opposizione avverso l’atto di precetto notificato dalla F. S.r.l., in data __ ed avente ad oggetto il pagamento della somma complessiva di Euro __, a titolo di spese di esecuzione, dovute da A. a U. S.p.A. in forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma in data __ n. __ (R.G. __), credito oggetto di cessione pro soluto in favore della F. S.r.l. nell’ambito di un’ operazione di cartolarizzazione conclusa nel __.

A sostegno della propria opposizione, gli attori lamentavano l’inesistenza del credito e di titolo idoneo nei propri confronti da parte della F. S.r.l., e per essa B. S.p.A., e il difetto di legittimazione passiva per accettazione dell’eredità con beneficio di inventario con violazione dell’art. 490 co. 2 c.c., nonché rilevavano la nullità del precetto per omessa indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, erronea indicazione delle parti, inesistenza di procura in favore dell’Avv __ e mancanza della prova del credito e inesistenza della notifica della cessione.

Si costituiva la F. S.r.l. chiedendo il rigetto dell’opposizione e la liquidazione del patrimonio del de cuius mediante la concorrenza di tutti i creditori dell’asse ereditario.

La causa veniva trattenuta in decisione all’udienza del __, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Va preliminarmente qualificata la domanda sia come opposizione preventiva all’esecuzione, attinendo essa all’accertamento della sussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata di F. S.r.l. e per essa B. S.p.A. in danno di D., M. e G. in forza del titolo esecutivo azionato; sia come opposizione al precetto ex art. 617 c.p.c. primo comma, vertendo essa sulla contestazione della regolarità formale degli atti o della procedura (cfr. Cass. 16262\05).

Quest’ultime, riferite all’invocata nullità del precetto per omessa indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, erronea indicazione delle parti, inesistenza di procura in favore dell’Avv __ e mancanza della prova del credito e inesistenza della notifica della cessione, integrano un’opposizione ex art. 617 co. 1 c.p.c., da intendersi tempestiva in quanto proposta entro il termine di venti 20 giorni previsto dalla legge dalla notifica del precetto opposto (notificato il __ e non oggetto di contestazione), ed è agli atti la ricevuta di avvenuta accettazione e consegna dell’opposizione notificata ai sensi della L. n. 53 del 1994 in data __.

In relazione a tali eccezioni l’opposizione risulta infondata atteso che l’atto di precetto si presenta dettagliato in ogni sua parte e con espressa indicazione di tutti gli elementi utili ad individuare le parti, il titolo esecutivo, gli atti pubblici e le formalità che ebbero a concretare la cessione del credito e le deleghe e procure che hanno condotto a legittimare la F. S.r.l. a notificare il precetto opposto a firma dell’Avv __, così conferendo, altresì, assoluta regolarità al precetto opposto risultando pienamente soddisfatta così anche l’esigenza di individuazione del titolo attraverso gli elementi contenuti nel precetto medesimo.

L’opposizione risulta invece parzialmente fondata in relazione alla lamentata mancata indicazione della notifica del decreto ingiuntivo.

Sul punto la consolidata giurisprudenza della S.C. afferma che la mancata indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, di per sé, non produce la nullità del precetto purché dal contenuto complessivo di esso, sia consentito identificare senza incertezza il titolo esecutivo e la sua avvenuta notifica, precedente alla notifica del precetto stesso, al fine di consentire al debitore esecutato di poter provvedere spontaneamente al pagamento dell’importo precettato.

D’altronde per giurisprudenza consolidata in sede di legittimità l’omessa indicazione del titolo esecutivo azionato non determina la nullità del precetto ai sensi dell’art. 480, co. 2 c.p.c., quando l’esigenza di individuazione del titolo risulti comunque soddisfatta attraverso altri elementi contenuti nel precetto stesso, la cui positiva valutazione da parte del giudice di merito può essere utilmente ancorata al successivo comportamento del debitore” (Cass. n. 15316/17 e 25433/2014).

Orbene, controparte ha provato con la documentazione allegata alla comparsa di costituzione la avvenuta notifica del titolo esecutivo, costituito dal decreto ingiuntivo R.G. __ n. __, antecedente al precetto, ai medesimi opponenti in data __.

Con riferimento all’opposizione all’esecuzione, è opportuno rilevare, in primis, che il petitum della presente controversia consiste esclusivamente nell’accertamento del diritto di F. S.r.l. a procedere ad esecuzione forzata nei confronti di D., M. e G. in virtù del titolo costituito dal decreto ingiuntivo N. __ R.G. __ emesso dal Tribunale civile di Roma.

Nessuna altra domanda volta all’eventuale accertamento che gli attori nulla hanno percepito dalla massa ereditaria del Sig. A. o alla liquidazione del patrimonio del de cuius (così come richiesto rispettivamente da parte opponente e da parte opposta) sono da ritenersi ammissibili.

Gli opponenti, invero, lamentano il difetto della propria legittimazione passiva e l’inesigibilità del presunto credito fatto valere nei loro confronti dall’opposta, in considerazione della loro qualità di eredi beneficiati con la conseguenza che, nel caso in esame, la questione si incentra nell’invocata limitazione di responsabilità intra vires hereditatis degli opponenti, limitazione che, secondo la tesi dell’opposta, non risulterebbe preclusa stante la notifica del precetto agli opponenti non in proprio ma quali eredi di A.

Tale opposizione è parimenti parzialmente fondata.

Vero è e risulta per tabulas che, come sostenuto da parte opposta, il precetto è stato notificato agli opponenti quali eredi di A. (v. ultima riga pag. – dell’atto di precetto).

È vero è che la Suprema Corte ha chiarito che la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario è pur sempre dichiarazione di volere accettare l’eredità, sicché l’erede beneficiato acquista i diritti caduti nella successione e diventa soggetto passivo delle relative obbligazioni e legittimato passivo nella esecuzione forzata. Come tale, a differenza del chiamato che non abbia ancora accettato, l’erede beneficiato è legittimato in proprio a resistere e a contraddire, tant’è che l’eventuale pronuncia di condanna al pagamento dell’intero debito ereditario va emessa nei suoi confronti. Ma, in concreto, la responsabilità andrà contenuta intra vires hereditatis nel caso in cui egli abbia fatto valere il beneficio, proponendo la relativa eccezione (Cass., 26.7.2012, n. 13206).

Ne consegue che l’incontestata accettazione con beneficio di inventario degli opponenti, legittimamente e tempestivamente eccepita in questa sede, comporta da una parte un accertamento positivo del diritto della F. S.r.l. a procedere a esecuzione forzata nei confronti degli opponenti in forza del titolo esecutivo azionato con il precetto opposto, in quanto eredi di A., ma al contempo, dall’altra parte, all’accertamento di tale diritto nei limiti del patrimonio del de cuius e in tale limiti l’opposizione risulta meritevole di accoglimento.

Le evidenze relative ai presunti crediti degli opponenti nei confronti del de cuius e la asserita esclusiva consistenza da passività della massa ereditaria sono irrilevanti ai fini del decidere.

La natura della controversia e le ragioni contrapposte giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, nella composizione monocratica in epigrafe, definitivamente pronunziando tra le parti in causa, disattesa ogni altra domanda od eccezione:

1) Accoglie solo parzialmente l’opposizione e per l’effetto accerta il diritto di F. S.r.l. a procedere ad esecuzione forzata nei confronti di D., M. e G. in virtù del titolo costituito dal decreto ingiuntivo N. __ R.G. __ emesso dal Tribunale civile di Roma, quali eredi beneficiati e nei limiti del patrimonio di A. così come indicato dall’inventario.

2) Compensa per intero le spese di lite.

Così deciso in Roma, il 30 luglio 2019.

Depositata in Cancelleria il 31 luglio 2019.

 

Tribunale_Roma_Sez_IV_Sent_31_07_2019

 

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L’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone, invero, in irrimediabile contrasto con la volontà di avvalersi dell’impugnazione

L’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone, invero, in irrimediabile contrasto con la volontà di avvalersi dell’impugnazione

Corte di Appello di Catania, Sezione I Civile, Sentenza del 26/07/2019

Con sentenza del 26 luglio 2019, la Corte di Appello di Catania, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la manifestazione dell’intento di procedere ad esecuzione, espressa attraverso la notifica dell’atto di precetto, non rappresenta, per l’intimante parzialmente soccombente, un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. L’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone, invero, in irrimediabile contrasto con la volontà di conseguire, attraverso il gravame, quanto non ottenuto nelle pregresse fasi processuali.


 

Corte di Appello di Catania, Sezione I Civile, Sentenza del 26/07/2019

L’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone, invero, in irrimediabile contrasto con la volontà di avvalersi dell’impugnazione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI CATANIA

Prima Sezione Civile

composta dai magistrati:

  1. __ – Presidente
  2. __ – Consigliere
  3. __ – Consigliere rel./est.

riunito in camera di consiglio ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n.__ R.G. promossa

DA

C., S., D., C. e F., quale erede di M. deceduta in data __, O., E., D., questi ultimi tre quali eredi di F. deceduta in data __ ed erede di M. – APPELLANTI

CONTRO

Comune di P. – APPELLATO

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data __, gli attori come indicati in epigrafe convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Caltagirone sezione distaccata di Grammichele, il Comune di P. premettendo di essere comproprietari, per successione legittima di M., di un vasto appezzamento di terreno sito nel territorio del comune convenuto, al catasto foglio (…) particella (…), dell’estensione di mq. __. Deducevano che, nel __, il Comune di P. aveva occupato illegittimamente una porzione di tale particella al fine di realizzare un’opera di urbanizzazione primaria e che tale occupazione era avvenuta in assoluta carenza di titolo, non essendo mai stata emanata la dichiarazione di pubblica utilità né adottato alcun provvedimento di occupazione e, tantomeno, di espropriazione.

Ciò premesso, chiedevano l’accoglimento delle seguenti domande: 1) condannare il Comune di P. alla restituzione dei terreni in questione agli attori ed alla riduzione in pristino degli stessi; 2) condannare il Comune di P. a risarcire agli attori i danni patiti consistenti nel mancato godimento del bene illecitamente sottratto ed al risarcimento degli altri danni subiti, come sopra descritti, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; 3) in assoluto subordine, ove per qualsiasi motivo non fosse possibile eseguire la materiale restituzione dei beni occupati, condannare il comune convenuto al risarcimento dei conseguenti danni derivanti dalla perdita della proprietà e dal deprezzamento del fondo residuo, oltre al risarcimento degli altri danni subiti come sopra descritti, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; 4) condannare il comune convenuto alle spese processuali.

Si costituiva in giudizio il Comune di P. che, negando di avere abusivamente occupato parte del terreno di proprietà degli attori e, comunque, sostenendo che nessuna responsabilità potesse farsi risalire al comune nel caso che erroneamente la direzione dei lavori avesse permesso o effettuato l’occupazione di parte di terreno non prevista in progetto, chiedeva il rigetto della domanda siccome pretestuosa ed infondata con condanna degli attori al pagamento delle spese processuali.

Con la sentenza n. __ pubblicata in data __, il Tribunale di Caltagirone (previo espletamento di c.t.u. volta ad accertare lo stato dei luoghi, il valore venale del fondo e i danni subiti dal fondo residuo) osservava che la domanda è fondata e meritevole di accoglimento entro i limiti di seguito indicati. Il comune convenuto ha occupato illegittimamente dal dicembre __ una porzione di terreno estesa mq. __, parte della particella (…) del foglio (…) del Catasto Terreni, realizzandovi un’opera di urbanizzazione primaria (sede stradale), e tale occupazione -in assenza di dichiarazione di pubblica utilità- va qualificata come usurpativa. Per tale ragione, accoglieva la domanda subordinata di risarcimento dei danni derivanti da perdita della proprietà, ritenendo non accoglibile la domanda principale di restituzione per via dell’intervenuta costruzione dell’opera pubblica che ha comportato l’irreversibile trasformazione del terreno occupato, preclusiva della tutela in forma specifica. Ostano, infatti, proseguiva il decidente, alla tutela in forma specifica il limite dell’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 c.c. e l’ulteriore limite del pregiudizio all’economia nazionale di cui all’art. 2933 c.c. In punto di quantificazione del danno per la perdita della proprietà del fondo illegittimamente occupato, riteneva che lo stesso fosse liquidabile in Euro __ così come determinato dalla consulenza tecnica d’ufficio, oltre rivalutazione ed interessi a decorrere dal __. Al riguardo, riteneva infondati i rilievi sollevati dagli attori avverso la c.t.u. considerato che il valore del terreno occupato è stato stimato previa qualificazione dello stesso come edificabile talché non può farsi luogo al risarcimento dei danni per l’estirpazione degli alberi di agrumi. Né può ritenersi che il terreno residuo abbia subito una perdita di valore trattandosi di terreno in stato di abbandono e privo di varchi, e non risultando alcuna richiesta di parte attrice (né prima né dopo la costruzione della strada) di autorizzazione all’apertura di varchi per consentire l’accesso al terreno per la coltivazione dello stesso. Pertanto, in parziale accoglimento della domanda subordinata proposta dagli attori, condannava il Comune di P. al pagamento della somma di Euro __ in favore di questi ultimi, con rivalutazione monetaria dal __ ad oggi e con gli interessi legali su tale somma siccome annualmente rivalutata fino al soddisfo. Condannava, altresì, il comune convenuto al pagamento in favore degli attori delle spese processuali.

Gli odierni appellanti, avverso la detta sentenza proponevano appello, con atto di citazione notificato in data __, specificatamente lamentando: 1) la nullità parziale della sentenza per violazione dell’art.101 comma 2 c.p.c. per omesso contraddittorio su questioni rilevate d’ufficio nella fase decisoria e non sottoposte al previo contraddittorio delle parti, quali quella relativa all’eccessiva onerosità per il debitore di cui all’art. 2058 c.c. e quella relativa al pregiudizio all’economia nazionale di cui all’art.2933 c.c.; 2) l’erroneità della motivazione per quanto attiene al mancato accoglimento della domanda principale di restituzione del terreno: le motivazioni del giudice non sono condivisibili perché in contrasto con la giurisprudenza che ha più volte chiarito che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, talché il giudice avrebbe dovuto disporre la restituzione del fondo previa rimessione in pristino dello stato dei luoghi; 3) l’erroneità della motivazione per quanto attiene al mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni per mancato uso del terreno agricolo: con riferimento a tale domanda, il giudice di primo grado ha ritenuto che gli attori non abbiano subito alcun danno per il mancato utilizzo del fondo condividendo a riguardo, in modo acritico, le conclusioni del c.t.u., mentre avrebbe dovuto riconoscere i danni per mancato utilizzo sia del fondo occupato, sia del terreno residuo rimasto intercluso, avendo gli attori di fatto perduto la disponibilità dell’intero compendio che, sino al momento della costruzione della strada, era occupato da un agrumeto produttivo; 4) l’omessa motivazione sulla domanda risarcitoria per la perdita di valore del fondo residuo sia per l’interclusione, sia per la modifica del comparto edilizio: il giudice di primo grado, una volta affermato che il terreno in oggetto non poteva essere restituito dall’amministrazione agli odierni appellanti, avrebbe dovuto accogliere, come logica conseguenza, anche la domanda risarcitoria per la perdita di valore del terreno residuo, derivante sia dall’interclusione causata dall’asse stradale, sia dalla modifica del comparto edificabile del vigente PRG con conseguente minor possibilità edificatoria.

Concludevano chiedendo di: 1) condannare il Comune di P. alla restituzione dei terreni in esame agli attori previa riduzione in pristino degli stessi ovvero, nell’ipotesi in cui l’effettivo ripristino non possa essere realizzato, condannare l’amministrazione anche al risarcimento dei relativi danni consistenti nel costo necessario per ricondurre il terreno all’originaria situazione; 2) condannare il Comune di P. a risarcire agli attori i danni patiti consistenti nel mancato godimento del bene illegittimamente appreso dalla data dell’occupazione illegittima (__) fino all’effettiva restituzione, secondo i criteri indicati ovvero nella misura ritenuta equa dall’adita Corte, ed al risarcimento degli altri danni patiti come indicati nella narrativa del presente atto; 3) nell’ipotesi subordinata che la domanda di restituzione del terreno non possa essere accolta, confermare la sentenza di primo grado nella parte in cui condanna il comune convenuto a risarcire agli attori i danni derivanti dalla perdita della proprietà nella misura di Euro __, come determinata dal c.t.u., oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data dell’occupazione al saldo; condannare il comune al risarcimento dei danni per il mancato godimento del fondo, come sopra indicato, ovvero nella misura che l’adita Corte riterrà equa; condannare il comune convenuto al risarcimento dei danni per il deprezzamento del terreno residuo a causa della modifica del comparto edificabile, nonché a causa dell’interclusione, che ammonta ad Euro __.

Costituitosi in giudizio con comparsa di costituzione e risposta depositata il __, il comune odierno appellato preliminarmente eccepiva la tacita acquiescenza alla sentenza oggi impugnata da parte degli appellanti, ai sensi dell’art. 329 c.p.c. Nel merito, concludeva chiedendo di “rigettare integralmente l’appello confermando la sentenza di prime cure, operando al contempo una riduzione dell’indennizzo statuito dal giudice di prime cure attesa l’infondatezza del gravame, compensando le spese legali del giudizio di prime cure”, con vittoria di spese e compensi di causa. All’udienza del __ il Collegio, sulle conclusioni precisate dalle parti, poneva la causa in decisione con i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

Motivi della decisione

Quanto alla preliminare eccezione di acquiescenza tacita ex art. 329 c.p.c. determinante l’inammissibilità del gravame sollevata dal comune appellato, se ne rileva l’infondatezza. È, infatti, consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui la manifestazione dell’intento di procedere ad esecuzione, espressa attraverso la notifica dell’atto di precetto, non rappresenta (per l’intimante parzialmente soccombente) un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione, in quanto l’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone in irrimediabile contrasto con la volontà di conseguire, attraverso il gravame, quanto non ottenuto nelle pregresse fasi processuali (ex multis, Cass. n. 13399/15). Nel caso di specie, pertanto, la circostanza che la sentenza di primo grado, munita della formula esecutiva, sia stata notificata dagli odierni appellanti in data __ al comune convenuto non integra i presupposti dell’acquiescenza tacita ai sensi dell’art. 329 c.p.c. e, dunque, non comporta l’effetto del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Ne discende che l’eccezione di inammissibilità del gravame è infondata e va respinta.

Con i motivi di appello primo e secondo (che, per la stretta connessione esistente tra le questioni poste, è opportuno congiuntamente esaminare) gli appellanti in via preliminare deducono la parziale nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 101 comma 2 c.p.c., per avere il primo giudice posto a base della decisione questioni rilevate d’ufficio in fase decisoria e non sottoposte al previo contraddittorio delle parti, e, nel merito, l’erroneità della sentenza medesima nella parte in cui il giudice ha ritenuto non accoglibile la domanda principale di restituzione del bene illegittimamente appreso per via dell’avvenuta costruzione dell’opera pubblica adducendo quali fattori ostativi alla restituzione i limiti rispettivamente previsti dall’art. 2058 comma 2 c.c. e dall’art. 2933 comma 2 c.c.

Al riguardo, deve osservarsi che (come correttamente evidenziato dagli appellanti) la più recente giurisprudenza sia amministrativa che di legittimità, prendendo le mosse dai principi enunciati dalla CEDU (vedi sentenza 30 maggio 2000 in cui la Corte ha affermato che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisce impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità, occupazione acquisitiva o usurpativa, di acquisizione del terreno), ha ritenuto il previgente quadro normativo e giurisprudenziale nazionale non coerente con la Convenzione Europea (ed, in particolare, con il Protocollo addizionale n.1) ed ha, pertanto, enunciato il principio secondo cui l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso posto che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto non in grado di assurgere a titolo di acquisto della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi, rinunziativi o abdicativi che dir si voglia, della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi di cui appresso, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta. L’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie, strumenti ai quali va, altresì, aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, ed ora, successivamente alla sentenza della Corte Costituzionale n.293/10, nuovamente regolamentato dall’art. 42 bis del medesimo testo, come introdotto dall’art. 34 comma 1 del D.L. n. 98 del 2011 (in tal senso Consiglio di Stato, 2 settembre 2011, n.4970).

Né può l’amministrazione validamente opporre l’eccessiva onerosità della rimozione delle opere nel frattempo realizzate. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che, in tema di occupazione usurpativa, nell’ipotesi in cui il proprietario del bene illecitamente occupato faccia ricorso alla tutela reale, mediante azione di restituzione ancorché accompagnata dalla richiesta di riduzione in pristino, non sono predicabili i limiti intrinseci alla disciplina risarcitoria, come l’eccessiva onerosità prevista dall’art. 2058 comma 2 c.c. (Cass. n. 14609/12), atteso che, stante il carattere assoluto dei diritti reali, la tutela degli stessi mediante reintegrazione in forma specifica non è soggetta al limite ex art. 2058 comma 2 c.c., tranne che lo stesso titolare danneggiato chieda il risarcimento per equivalente (così Cass. S.U., del 2016 n. 10499; cfr. Cass. n. 1607/17). Nemmeno in tema di occupazione usurpativa può trovare applicazione il limite previsto dal comma 2 dell’art. 2933 c.c. ove non risulti che la distruzione della res indebitamente edificata sia di pregiudizio all’intera economia del Paese ma abbia, al contrario, riflessi di natura individuale o locale (in tal senso Cass. n. 14609/12 cit.). Nel caso in esame, non è desumibile dagli atti di causa alcun elemento che consenta di affermare che la demolizione della strada per cui è causa possa recare nocumento all’economica nazionale dovendosi la norma di cui all’art. 2933 comma 2 c.c. intendere, come più volte affermato dalla giurisprudenza, con riferimento alle soli fonti di produzione o distribuzione della ricchezza dell’intero paese (Cass. n. 25890/17, Cass. n. 12557/92). Una volta chiarita la non applicabilità nel caso in esame dei limiti previsti dalle norme sopra richiamate, e rilevata la conseguente censurabilità sotto tale profilo della motivazione adottata dal primo giudice, rimane assorbita la questione sollevata da parte appellante relativa alla violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 comma 2 c.p.c. sulle questioni fattuali sottese a tali norme.

Ne consegue che, in accoglimento delle doglianze degli appellanti, la domanda di restituzione da essi riproposta in sede di gravame deve trovare accoglimento.

Quanto alla connessa domanda di riduzione in pristino del fondo illegittimamente occupato, gli odierni appellanti chiedono che il Comune di Palagonia venga condannato, oltre che a rimuovere le opere stradali ed accessorie eseguite sul fondo, anche a ricostruire la recinzione demolita, riaprire i varchi di accesso preesistenti rimasti chiusi a seguito della costruzione della strada, ripristinare le colture esistenti al momento dell’occupazione. Deve, tuttavia, osservarsi che non si rinviene in atti alcuna prova relativa allo stato dei luoghi preesistente alla realizzazione dell’asse stradale abusivamente costruito, dal momento che il c.t.u. (il cui sopralluogo è avvenuto nel __) ha preso visione del fondo già modificato dalla costruzione dell’opera pubblica e che manca del tutto, stante il carattere ab origine illegittimo dell’occupazione di cui si discute, un verbale di immissione in possesso e di consistenza (i verbali di immissione in possesso presenti in atti come allegati della relazione di c.t.u., recanti data __, attengono invero a particelle diverse da quella oggetto di causa, talché le descrizioni ivi contenute non sono in alcun modo riferibili alla particella n. __ occupata sine titulo nel dicembre __). Ne consegue che il comune odierno appellato va condannato alla restituzione del fondo illegittimamente occupato e all’integrale demolizione delle opere ivi realizzate.

Il secondo motivo di appello è, pertanto, fondato e va accolto nei termini sopra indicati.

Con il terzo motivo di appello parte appellante lamenta il mancato accoglimento da parte del tribunale, che avrebbe sul punto acriticamente recepito le considerazioni svolte dal c.t.u., della domanda di risarcimento danni derivanti dal mancato godimento del fondo per tutta la durata dell’occupazione illegittima. Sostengono gli appellanti che il giudice di primo grado avrebbe dovuto riconoscere i danni da mancato utilizzo sia della porzione di fondo abusivamente occupata sia del terreno residuo, rimasto intercluso avendo la realizzazione dell’asse stradale chiuso le stradelle interpoderali (che consentivano l’accesso al fondo con i mezzi agricoli) ed eliminato le condotte dell’irrigazione, così costringendo i proprietari all’abbandono dell’agrumeto ivi esistente coltivato fino al momento della costruzione della strada. Deducono che, in ogni caso, verrebbe nella specie in rilievo un danno in re ipsa individuabile di per sé nella perdita della disponibilità del bene da parte del titolare e nell’impossibilità, per questi, di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene, in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso.

Al riguardo, in materia di illegittima occupazione di beni immobili, deve darsi atto della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, talché all’indirizzo interpretativo recentemente invalso nella giurisprudenza di legittimità evocato da parte appellante (secondo cui, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario è in re ipsa discendendo dal solo fatto della perdita di disponibilità del bene, così Cass. n.20545/18, Cass. n.21239/18) si contrappone l’orientamento secondo cui il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento di fatto produttivo del danno ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., costituisce pur sempre un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di avere subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non avere potuto, ad esempio, locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per avere perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per avere sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può, peraltro, al riguardo pur sempre avvalersi di presunzioni gravi precise e concordanti (così Cass. n. 378/05; in senso analogo Cass. n. 13071 del 25.05.18 ove si precisa che “il danno da occupazione sine titulo, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tal natura non può includere anche l’esonero dall’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto”).

Orbene, anche a voler accedere all’interpretazione secondo cui, in caso di abusiva occupazione di un immobile, il danno subito dal proprietario sia correlato al solo fatto della perdita della disponibilità del bene dall’inizio dell’occupazione sino all’effettiva restituzione (c.d. danno in re ipsa), e ritenuto dunque provato l’an, rimane il problema della quantificazione di tale danno da mancato godimento, in relazione al quale deve rammentarsi che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità ma ad un giudizio di diritto che, pertanto, presuppone non solo che il danno sia provato nella sua esistenza ma anche che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, fornire la prova del danno nel suo preciso ammontare (ex multis, Cass. n. 10607/10, Cass. n. 4310/18). La Suprema Corte ha, come è noto, altresì precisato che, in tema di liquidazione equitativa del danno, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità economica del danno e gli elementi su cui ha basato la propria decisione in ordine al quantum (Cass. n.2327/18, Cass. n.16595/19).

Ciò premesso, si osserva che, nel caso di specie, l’assunto degli attori (che essi avrebbero utilizzato il fondo come agrumeto sino al momento dell’abusiva costruzione della strada e che sul detto fondo esistesse, quindi, sino a tale momento, un agrumeto coltivato e produttivo) è rimasto privo di adeguato supporto probatorio non avendo gli attori prodotto né documentazione fotografica riproducente lo stato del fondo preesistente all’inizio dell’occupazione, né documentazione comprovante ad es. i costi sostenuti e la produttività dell’agrumeto. Invero, quanto allo stato del fondo antecedente all’inizio dell’occupazione, gli appellanti fanno riferimento (vedi pag.8 dell’atto di appello) a stralci di riprese aeree del __ ove sono evidenti l’accesso al fondo e la preesistente stradella di accesso poderale, circostanza questa che dimostrerebbe come prima della realizzazione dell’opera abusiva da parte del comune fosse possibile l’accesso al fondo dalla pubblica strada con i mezzi agricoli a fini di coltivazione. Trattasi, tuttavia, di documenti (indicati come allegati della consulenza tecnica di parte attrice del __) non prodotti dagli attori in sede di gravame e, perciò, non consultabili da parte Corte. Ciò che emerge dalle risultanze istruttorie è, dunque, unicamente quanto desumibile dall’accertamento svolto dal c.t.u. il quale, preso atto dell’avvenuta costruzione della strada sulla particella n.(…) oggetto di causa, ha rilevato che il terreno residuo è occupato (come evidenziato dalle foto allegate alla relazione del __) da un agrumeto in stato di totale abbandono, sprovvisto di recinzione nonché di varchi pedonali e/o carrai per l’accesso, con l’ulteriore precisazione che la documentazione acquisita al giudizio non offre positivo riscontro all’assunto degli attori che vi fossero varchi di accesso dalla pubblica via al fondo preesistenti all’abusiva occupazione (giacché detti varchi ove esistenti avrebbero dovuto, come ovvio, essere regolarmente autorizzati dalle autorità competenti). Né (come sembra il caso di soggiungere) alcun riferimento a varchi di accesso dalla strada pubblica (la cui chiusura a seguito della costruzione dell’opera abusiva avrebbe impedito ai proprietari di proseguire proficuamente l’attività di coltivazione del fondo per l’impossibilità di accesso da parte dei mezzi agricoli) si rinviene nel  verbale in contraddittorio del __ prodotto da parte attrice, in cui la ditta proprietaria segnala al comune l’avvenuta abusiva occupazione, nel corso dei lavori per la costruzione della strada (oggetto di un progetto regolarmente approvato), della particella n.(…) non facente parte del piano particellare di esproprio, senza nulla rilevare in ordine all’avvenuta chiusura di varchi. Pertanto, il solo dato relativo all’esistenza sul fondo residuo di un agrumeto, in stato di totale abbandono già nel __ (ossia a distanza di soli quattro anni dall’inizio dell’occupazione illegittima), non appare sufficiente a ritenere provata l’esistenza anteriormente all’inizio dell’occupazione medesima di un agrumeto coltivato e produttivo, alla cui produttività parametrare la quantificazione del chiesto danno. Ne consegue che, in assenza di qualsivoglia ulteriore elemento che era onere di parte attrice fornire, non sussistono le condizioni per l’esercizio del potere discrezionale di liquidazione in via equitativa del danno.

Né risulta applicabile la norma di cui all’art.42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 invocata dagli odierni appellanti (con particolare riguardo al criterio ivi sancito per la liquidazione dell’indennizzo dovuto per l’occupazione senza titolo) essendo tale norma riferibile alla fattispecie (del tutto diversa) in cui la p.a. abbia adottato un provvedimento di acquisizione sanante che ha determinato un effetto traslativo in favore della stessa. La domanda di risarcimento del danno da mancato godimento del fondo illecitamente occupato non può, dunque, trovare accoglimento.

Ne consegue che il terzo motivo di appello è infondato e va respinto.

Con il quarto motivo di appello gli appellanti lamentano l’omessa motivazione da parte del primo giudice sulla domanda risarcitoria per la perdita di valore del fondo residuo, sia per l’interclusione, sia per la modifica del comparto edilizio. Tale motivo, subordinatamente formulato da parte appellante, non va preso in esame in relazione all’accoglimento della domanda principale di restituzione del bene.

Conclusivamente, l’appello va parzialmente accolto con conseguente riforma della sentenza di primo grado.

Quanto alle spese del doppio grado di giudizio (liquidate come in dispositivo secondo i parametri dettati dal D.M. n. 55 del 2014 per il giudizio di primo grado e dal D.M. n. 37 del 2018 per il giudizio di appello, tenuto conto del valore della causa e dell’attività difensiva concretamente svolta), le stesse vanno poste, avuto riguardo all’esito finale della controversia (che deve il parziale accoglimento della domanda attorea), a carico del comune appellato in favore di parte appellante nella misura dei 2/3 e, per il resto, compensate.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Catania, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. __ resa in data __ dal Tribunale di Caltagirone proposto, con atto di citazione notificato in data __, dagli odierni appellanti, così provvede:

– in parziale accoglimento dell’appello e riforma della sentenza di primo grado, condanna il Comune di P., in persona del Sindaco pro tempore, a restituire agli odierni appellanti la porzione di terreno catastalmente individuata al foglio (…) particella (…) del N.C.T. del Comune di P., previa demolizione (a cura e spese del comune) delle opere ivi realizzate;

– condanna il Comune di P. al rimborso, in favore di parte appellante, delle spese processuali che liquida (nella misura già dei 2/3), per il giudizio di primo grado, in Euro __ per compensi, oltre rimborso spese, Iva e Cpa come per legge, e per il giudizio di appello, in Euro __ per compensi, oltre rimborso spese, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte d’Appello in data 22 luglio 2019.

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2019.

 

Corte_Appello_Catania_Sez_I_Sent_26_07_2019

 

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Il pagamento eseguito dal terzo pignorato, pur ritenuto tempestivo, si rivela comunque parziale, essendo tenuto lo stesso a corrispondere alla creditrice assegnataria, anche gli interessi maturati

Il pagamento eseguito dal terzo pignorato, pur ritenuto tempestivo, si rivela comunque parziale, essendo tenuto lo stesso a corrispondere alla creditrice assegnataria, anche gli interessi maturati

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione III, Sentenza del 25/07/2019

Con sentenza del 4 aprile 2019, il Tribunale Ordinario di Velletri, Sezione Lavoro, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il pagamento eseguito dal terzo pignorato, pur ritenuto tempestivo, si rivela comunque parziale, essendo tenuto lo stesso a corrispondere alla creditrice assegnataria, anche gli interessi maturati, su ogni importo costituente oggetto dell’assegnazione, con decorrenza dalla data di deposito dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c., stante la natura di titolo esecutivo di quest’ultima ed in ragione della sussistenza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità di quei crediti, ai sensi dell’art. 1282 c.c., secondo il quale i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi, a prescindere della mora del debitore.


Tribunale Ordinario di Roma, Sezione III, Sentenza del 25/07/2019

Il pagamento eseguito dal terzo pignorato, pur ritenuto tempestivo, si rivela comunque parziale, essendo tenuto lo stesso a corrispondere alla creditrice assegnataria, anche gli interessi maturati

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

SEZIONE CIVILE TERZA

Il Tribunale civile di Roma, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. __, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di appello iscritta al n. ___ r.g., trattenuta in decisione all’esito dell’udienza del __, una volta precisate le conclusioni dalle parti, e pendente

tra

I. S.p.A. – appellante –

e

T. – appellata –

contro

la sentenza n. __ emessa dal Giudice di Pace di Roma nella causa n. __ r.g., pubblicata in data __ e non notificata; sentenza con la quale il giudice di prime cure ha rigettato nel merito l’opposizione all’esecuzione e compensato integralmente le spese di lite tra le parti, ed a fronte delle

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Con atto di appello ritualmente notificato, parte attrice, I. S.p.A., ha chiesto la riforma integrale della sentenza impugnata e, per l’effetto, l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione proposta ex art. 615, co. 2, c.p.c. dal medesimo istituto bancario nell’ambito della procedura esecutiva presso terzi r.g.e. n. __, attraverso la proposizione dei motivi seguenti: 1) violazione delle norme sul procedimento e violazione dei principi regolatori della materia ex art. 339, co. 3, c.p.c. in tema di ritenuta di acconto operata dal terzo pignorato, I. S.p.A., nel momento dell’adempimento dell’obbligazione di pagamento, avendo il giudice di prime cure ritenuto erroneamente l’inesattezza dell’adempimento stesso da parte dell’istituto, oltre che non avendo accertato l’erroneità dei conteggi effettuati dalla creditrice nell’atto di precetto con riferimento alle somme dedotte a base di calcolo della ritenuta di acconto ed a quelle non dovute per interessi, spese, diritti ed onorari, in quanto prescritte e non documentate 1a.) omesso accertamento della non debenza dell’imposta di registro sull’ordinanza di assegnazione emessa in data 20.06.2003, all’esito della procedura esecutiva presso terzi r.g.e. n. __, e, comunque, della mancata prova dell’avvenuto pagamento; 1b.) omesso accertamento della non debenza e, comunque, dell’erroneità e dell’illegittimità delle spese, dei diritti e degli onorari di precetto; 1c.) omesso accertamento dell’erroneità del calcolo degli interessi riportato nell’atto di precetto (Euro __); 1d.) omesso accertamento dell’estinzione per prescrizione quinquennale del diritto agli interessi ex art. 2948 c.c., ed in tema di rilevato difetto di integrazione del contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta della ritenuta ricorrenza del litisconsorzio necessario; 2) violazione delle norme sul procedimento e violazione dei principi regolatori della materia ex art. 339, co. 3, c.p.c. in ragione dell’erroneo accertamento dell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria in termini di pagamento parziale della sorte capitale ed in ragione dell’errata ritenuta di acconto, così come operata nell’atto di precetto, nonché per mancato accertamento dell’erroneità e della non debenza degli interessi, delle spese, dei diritti e degli onorari indicati nell’atto di precetto 1a.) omesso accertamento della non debenza dell’imposta di registro sull’ordinanza di assegnazione emessa in data __, all’esito della procedura esecutiva presso terzi r.g.e. n. __, e, comunque, della mancata prova dell’avvenuto pagamento; 1b.) omesso accertamento della non debenza e, comunque, dell’erroneità e dell’illegittimità delle spese, dei diritti e degli onorari di precetto; 1c.) omesso accertamento dell’erroneità del calcolo degli interessi riportato nell’atto di precetto (Euro __); 1d.) omesso accertamento dell’estinzione per prescrizione quinquennale del diritto agli interessi ex art. 2948 c.c.; 3) vizio di erroneità della rilevanza accordata dal giudice di prime cure al disconoscimento compiuto dalla parte opposta in ordine alla conformità all’originale dei documenti depositati dall’istituto bancario nel giudizio di merito dell’opposizione all’esecuzione; 4) gli stessi motivi dedotti nella fase di merito del procedimento di opposizione all’esecuzione, riproposti integralmente in questa sede (omessa pronuncia in merito al motivo di abuso del diritto e del processo esecutivo sollevata dal debitore opponente; omesso accertamento della violazione delle regole di correttezza ex art. 1175 c.c. e di buona fede ex art. 1375 c.c. da parte della creditrice attraverso la notificazione, a distanza di sette anni circa dalla sua adozione, dell’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., non già singolarmente, bensì unitamente all’atto di precetto, in difetto di un preavviso che consentisse al terzo pignorato di prendere cognizione del provvedimento e di adempiere spontaneamente di conseguenza, senza vedersi addossati sia gli interessi non dovuti, in quanto l’adempimento a distanza di tanti anni è dipeso non già dall’inerzia o dal rifiuto dello stesso terzo, ma dalla condotta inerte tenuta dalla stessa creditrice, sia le spese ed i compensi per l’atto di precetto). Dunque, l’odierna appellante ha domandato, in accoglimento dell’appello, in via principale, la riforma o l’annullamento della sentenza impugnata e, specificamente, l’accertamento e la declaratoria dell’inesistenza del diritto dell’avv. T. di agire in executivis nei confronti del medesimo istituto bancario in forza dell’ordinanza emessa da questo Tribunale in data __, a definizione della procedura esecutiva r.g.e. n. __, e, quindi, la declaratoria conseguente di illegittimità della procedura esecutiva presso terzi r.g.e. n. __, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.

2 – Costituitasi in giudizio, l’appellata, avv. T., ha dedotto ex adverso ed ha eccepito nella comparsa di risposta: 1) in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342, co. 1, bis c.p.c.; 3) l’infondatezza, nel merito, dell’appello.

3 – Acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, nell’udienza del __, una volta che le parti hanno proceduto alla precisazione delle rispettive conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione.

4 – In via preliminare è da ritenersi infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata dalla convenuta ai sensi dell’art. 342, co. 1, c.p.c., avendo l’appellante richiamato espressamente e specificamente le parti della motivazione della sentenza, costituenti oggetto di censura, le nome di legge violate e le modifiche da apportare alla pronuncia di primo grado.

5 – In via pregiudiziale, è da rilevare, d’ufficio, la sussistenza della giurisdizione dell’autorità giurisdizionale ordinaria ed il difetto della giurisdizione di quella tributaria in relazione ai profili concernenti la misura ed il pagamento della ritenuta d’acconto operata dal terzo nella qualità di sostituto d’imposta.

A sostegno della declaratoria di appartenenza della controversia de qua alla giurisdizione del giudice ordinario è da richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le controversie tra sostituto d’imposta e sostituito, concernenti il legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, bensì rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, a cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario (Cass. civ., sez. VI – 5, 29.01.2013, n. 2133; Cass. civ., SS.UU, 08.11.2012, n. 19289).

6 – In ragione di quanto esposto e considerato nel punto immediatamente precedente ed in forza della richiamata giurisprudenza, dunque, è da ritenersi fondato il primo motivo di appello proposto da I. S.p.A., dovendo escludersi la ricorrenza tanto nel giudizio di primo grado, quanto nel presente giudizio, dell’ipotesi di litisconsorzio necessario con l’ente impositore, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, talché non sussiste violazione delle norme degli artt. 101 e 102 c.p.c. e, in specie, per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

7 – Nel merito, è da ritenersi fondato parzialmente anche il secondo motivo di appello.

In primis, il giudice di primo grado ha ravvisato la ricorrenza di un pagamento parziale ex art. 1181 c.c. da parte di I. S.p.A., in qualità di terzo pignorato, e, quindi, la legittimità del rifiuto opposto dalla creditrice al pagamento delle somme eseguito da quest’ultimo, adottando la motivazione seguente: “poiché non rispettose del calcolo evidenziato nell’atto di precetto notificato in quanto mancanti della ritenuta di acconto prevista e di cui alla ordinanza RGE n. __ senza il necessario scorporo delle spese non imponibili effettuate dalla opposta. Altresì non venivano, come concordemente riconosciuto, i dovuti interessi legali susseguenti all’avvenuto deposito del titolo esecutivo in questione”. Invero, il giudice di primo grado non ha tenuto in debito conto e, quindi, ha trascurato di esaminare circostanze di fatto dedotte specificamente dall’istituto bancario a sostegno dell’opposizione all’esecuzione e risultanti documentate, in base agli atti di causa. Specificamente, l’ordinanza di assegnazione della somma di Euro __, emessa da questo Tribunale in data __ e depositata in data __ all’esito della procedura esecutiva presso terzi r.g.e. n. __, promossa dall’avv. T. contro l’I. e presso il terzo, I. S.p.A., è stata notificata a quest’ultima, unitamente all’atto di precetto di Euro __, in data __, vale a dire una volta decorsi sette anni circa dal suddetto deposito. Il terzo pignorato ha eseguito il pagamento in data __ con unico assegno circolare, recapitato in data __ alla creditrice (all.to n. 3 del fascicolo di parte opponente, depositato nella fase cautelare) e comprendente diversi importi assegnati con diverse e distinte ordinanze ex art. 553 c.p.c., tra i quali l’importo di Euro __, riferito alla suddetta ordinanza e liquidato al netto della ritenuta di acconto, calcolata in Euro __ e versata all’Erario. L’assegno in discorso è stato restituito dall’avv. T. con missiva del __ ad I. S.p.A. (all.to n. 4 del fascicolo dell’opponente, depositato nella fase cautelare dell’opposizione), sull’assunto dell’erroneità dell’importo recato nell’assegno rispetto a quello precettato. Il medesimo assegno è stato trasmesso di nuovo dalla banca alla creditrice con missiva del __ (all.to n. 5 del fascicolo dell’opponente, depositato nella fase cautelare dell’opposizione) ed è stato incassato da quest’ultima in data __ (all.to n. 15 del fascicolo dell’opponente, depositato nel giudizio di merito di primo grado). Quindi, costei ha promosso in data __ la procedura esecutiva r.g.e. n. __ nei confronti di I. S.p.A., ponendo a fondamento di essa la predetta ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. Con questo provvedimento il giudice dell’esecuzione ha ordinato al terzo pignorato di corrispondere la somma di Euro __, di cui Euro __ per sorte capitale ed Euro __ per spese di esecuzione, inclusi compenso ed accessori di legge, a favore della creditrice assegnataria, T., a soddisfo integrale sia delle spese di esecuzione, sia del credito azionato, “purché entro il limite massimo della somma dichiarata dovuta dal terzo pignorato …”. I. S.p.A., a sua volta, ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, co. 2, c.p.c., deducendo di aver già estinto l’obbligazione a suo carico mediante il pagamento integrale di quanto dovuto e deducendo, ciò nonostante, il comportamento contrario a buona fede ed a correttezza tenuto dall’avv. T. con l’avvio della procedura esecutiva anzidetta. Con ordinanza depositata in data __, il giudice dell’esecuzione ha sospeso l’esecuzione ex art. 624 c.p.c. (all.to del fascicolo dell’appellata), sulla scorta della verosimile fondatezza dei motivi di opposizione all’esecuzione. Ebbene, l’ordinanza in discorso non contiene alcun riferimento ad interessi legali, né a spese vive, successivamente al suo deposito. Nell’atto di precetto notificato unitamente alla predetta ordinanza di assegnazione, la creditrice procedente ha chiesto il pagamento della somma di Euro __ a titolo di interessi legali, maturati sulla sorte capitale di Euro __, dalla data di adozione dell’ordinanza di assegnazione fino all’atto di precetto.

La soluzione della questione relativa alla sussistenza dell’obbligazione di pagamento degli interessi fin dalla formazione del titolo esecutivo, presuppone l’approfondimento preliminare della natura, della disciplina e dell’efficacia dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c. nei confronti del terzo, tenendo conto di quanto affermato di recente dalla Suprema Corte in subjecta materia (Cass. civ., sez. VI-3, ordinanza 13.4.2018, n. 9254). In particolare, non è dato discutere della natura di titolo esecutivo dell’ordinanza di assegnazione, che, riconosciuta in via interpretativa dalla migliore dottrina e dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, ha trovato recente conferma normativa nella formulazione dell’art. 548 c.p.c., così come modificata con la L. n. 228 del 2012, che, nel disciplinare la fattispecie della dichiarazione tacita del terzo, riconosce che l’espropriazione forzata possa fondarsi su un’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. Devono essere esaminate, invece, le peculiarità del titolo esecutivo in argomento, le quali non possono che riverberarsi anche sulla relativa disciplina in punto di formazione ed efficacia esecutiva dello stesso provvedimento. Ebbene, è da osservare che nell’espropriazione presso terzi, il terzo pignorato non è legato al creditore procedente da alcun rapporto sostanziale preesistente, né è parte del processo esecutivo, e pertanto, di regola, egli viene a conoscenza dell’esito del processo esecutivo a seguito della comunicazione da parte degli interessati – conoscenza che, di regola, si consegue con la notificazione ad opera del creditore procedente – dell’ordinanza di assegnazione, le cui spese, infatti, sono poste, a monte, a carico del debitore esecutato. Inoltre, fino all’adozione dell’ordinanza di assegnazione e finché non venga a conoscenza della stessa, il terzo pignorato, in ragione degli effetti sostanziali del pignoramento, non può procedere al pagamento nei confronti di alcuno (si vedano gli artt. 543, co. 2, n. 2, e 546 c.p.c.), e ciò ben diversamente dai normali casi di obbligazione fondata su un titolo esecutivo giudiziale, nei quali, instaurandosi il rapporto processuale tra le stesse parti del rapporto sostanziale, il debitore ha il dovere ed il potere di adempiere spontaneamente, prima della notificazione del titolo esecutivo e, finanche, prima della sua formazione.

Pertanto, il rapporto obbligatorio tra creditore procedente e terzo pignorato, scaturente dall’ordinanza di assegnazione, è connotato da elementi specializzanti, tali da imporre una specifica integrazione della disciplina ordinaria del rapporto stesso mediante il ricorso agli obblighi di agire secondo correttezza, in virtù del disposto dell’art. 1175 c.c., che vieta l’abuso del diritto, ossia l’esercizio del diritto secondo modalità non necessarie, implicanti un sacrificio ingiustificato degli interessi del debitore (Cass. civ., nn. 10568/2013, 20106/2009, 9924/2009; Cass. civ., SS.UU., n. 23726/2007). Tale integrazione, nel caso in esame, si traduce, ai fini del perfezionamento dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza di assegnazione, nella necessità della notificazione dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c. al terzo pignorato e nell’assegnazione a costui di un termine congruo ed adeguato per l’adempimento, in pendenza del quale non può ancora ritenersi che l’ordinanza abbia acquisito efficacia di titolo esecutivo e che il terzo possa considerarsi in mora ex artt. 1218 e ss. c.c. La lettura interpretativa appena illustrata si impone in un’ottica costituzionalmente orientata al principio di eguaglianza sostanziale ex art. 3, co. 2, Cost., giacché applicare al terzo debitore il regime ordinario di esecutività dei titoli giudiziali (fissata, di regola, al momento del deposito del provvedimento) comporterebbe un ingiustificato aggravio della posizione del terzo medesimo e, con esso, una sua irragionevole disparità di trattamento rispetto alla generalità dei soggetti debitori in forza di titoli giudiziali diversi dall’ordinanza ex art. 553 c.p.c. Il terzo, infatti, nella sua posizione sostanziale di debitore, finirebbe con il dover sopportare integralmente il regime della mora e le spese di precettazione, pur non avendo, sino alla comunicazione dell’ordinanza di assegnazione, avuto mai la possibilità di evitarli adempiendo in modo spontaneo; ciò senza alcuna giustificabile utilità rispetto all’interesse del creditore ed in via eccezionale nell’ambito della categoria dei debitori, tenuti in forza di titolo giudiziale.

Siffatta interpretazione sta alla base della prassi consolidata nella giurisprudenza di questo Tribunale che, nell’ordinanza ex art. 553 c.p.c., inserisce una compiuta disciplina della fase successiva all’emissione dell’ordinanza di assegnazione, funzionale alla conoscenza della stessa da parte del terzo ed all’adempimento spontaneo di quest’ultimo, in quanto ritenuta rientrare ancora nella fase esecutiva che precede il perfezionamento dell’esecutività del titolo costituito dall’ordinanza di assegnazione: a) riconoscendo a carico del debitore le spese successive di copia e comunicazione dell’ordinanza al terzo; b) concedendo a quest’ultimo un termine per l’adempimento pari a venti giorni dall’avvenuta comunicazione del provvedimento che lo costituisce, ex novo, debitore del creditore procedente; c) disponendo che l’obbligo di pagamento, gravante sul terzo, è limitato nel quantum alla somma dichiarata dovuta dal terzo stesso al debitore esecutato ovvero accertata con i meccanismi disciplinati dagli artt. 548 e 549 c.p.c. nel processo esecutivo definito con l’ordinanza di assegnazione di cui si tratta. Conseguentemente, nella situazione descritta e diversamente da quanto stabilito in linea generale nell’art. 479, co. 3, c.p.c., il precetto non può essere notificato al terzo pignorato unitamente all’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. e, ove siffatta contestuale notificazione sia stata comunque eseguita, come nel caso di specie, essa è da aversi per inefficace, quantomeno con riferimento al profilo sostanziale dell’obbligo dell’intimato di rimborsarne le spese al creditore (vedasi Cass. civ. n. 20106/2009 in tema di inefficacia degli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto).

La conclusione appena tratta e la prassi seguita da questo Tribunale hanno ricevuto l’autorevole avallo della Suprema Corte nella sentenza n. 9390/2016, secondo cui: “In tema di esecuzione presso terzi, l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., assegna in pagamento al creditore procedente la somma di cui il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo ed a favore dell’assegnatario, ma acquista tale efficacia soltanto dal momento in cui sia portata a conoscenza del terzo assegnatario o dal momento successivo a tale conoscenza che sia specificamente indicato nell’ordinanza di assegnazione” (vedasi, altresì, Cass. civ., n. 13112/2017, anche se relativa ad una fattispecie in cui nell’ordinanza di assegnazione era stato espressamente fissato il termine per consentire al terzo di adempiere).

Si tratta del primo arresto giurisprudenziale di legittimità che tratta le questioni legate agli elementi specializzanti, propri del rapporto obbligatorio corrente tra procedente e terzo pignorato in conseguenza dell’ordinanza di assegnazione, chiarendo quale sia il momento in cui l’ordinanza di assegnazione acquisti efficacia esecutiva; acquisto che, nell’interpretazione di questo Tribunale, così come confermata nella sentenza della Corte di Cassazione sopra richiamata, consegue all’avvenuta notificazione dell’ordinanza ed al decorso di un congruo termine per l’adempimento del terzo.

La ricostruzione interpretativa ora illustrata deve essere ribadita anche per i casi, come quello in esame, in cui il provvedimento di assegnazione non contenga una disciplina espressa della fase successiva all’adozione dell’ordinanza di assegnazione, funzionale alla conoscenza della stessa da parte del terzo, ed all’adempimento spontaneo di quest’ultimo. In questi casi, il tempo dell’adempimento da parte del terzo va stabilito dal giudice ex art. 1183 c.c., risultando evidente che, in ragione degli elementi di specialità più volte richiamati, la prestazione del terzo non può essere eseguita immediatamente, necessitando di un termine. Invero, anche interpretando la questione in modo differente, alla luce delle pronunce della Corte di Cassazione intervenute di recente in subjecta materia (Cass. civ., sez. VI-3, ordinanza 12.04.2018, n. 9173; Cass. civ., sez. VI-3, ordinanza 13.04.2018, n. 9246), le conclusioni cui si perviene non sono diverse in quanto, aderendo alla citata interpretazione della Suprema Corte, “l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., assegna in pagamento al creditore procedente la somma di cui il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato, ha efficacia di titolo esecutivo nei confronti del terzo ed a favore dell’assegnatario anche prima della sua comunicazione o notificazione al terzo, e il creditore assegnatario può procedere alla notificazione di detta ordinanza anche unitamente all’intimazione dell’atto di precetto ma, in tale ultimo caso, laddove il terzo debitore intimato provveda all’integrale pagamento di tutte le somme dovute in un termine ragionevole (anche eventualmente superiore a quello di dieci giorni previsto dall’art. 480 c.p.c.), da accertarsi in concreto in base a tutte le circostanze rilevanti nella singola fattispecie, dovrà ritenersi inapplicabile l’art. 95 c.p.c., e le spese di precetto e funzionali all’intimazione resteranno a carico del creditore intimante” (Cass. civ., sez. VI-3, ordinanza 12.04.2018, n. 9173). Dunque, fermo quanto sopra esposto e considerato, in applicazione dei suddetti principi di diritto al caso in esame, si perviene alle conclusioni qui di seguito illustrate.

8 – In primo luogo, per quanto attiene alla tempestività dell’adempimento, il tempo trascorso tra la notificazione dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c., avvenuta in data __, e l’emissione dell’assegno circolare, avvenuta in data __, con consegna alla creditrice assegnataria in data __, come si ricava dalla visura di spedizione della S.E. (doc. n. 3 contenuto nel fascicolo di primo grado dell’opponente ed odierna appellante), è consistito in ventuno giorni circa, mentre alcun rilievo assume, a tal fine, la missiva successiva del __ con la quale I. S.p.A. ha inviato di nuovo all’avv. T. il suddetto assegno circolare. Tale termine deve valutarsi ex art. 1183 c.c. in termini di ragionevolezza ed adeguatezza in funzione di garanzia delle opposte esigenze, ossia, da un lato, quella della creditrice procedente ad un tempestivo adempimento e, dall’altro, quella del terzo debitore all’esame della richiesta, peraltro formulata a distanza di sette anni dalla dichiarazione dallo stesso resa ex art. 547 c.p.c., ed all’approntamento dei mezzi necessari all’adempimento ad opera di costui. Nel caso concreto, dunque, il lasso temporale trascorso tra la notificazione dell’ordinanza di assegnazione e dell’atto di precetto e la consegna dell’assegno circolare, pari a ventuno giorni circa, conduce a ritenere il pagamento eseguito in un tempo ragionevole da I. S.p.A. con l’invio per la prima volta dell’assegno circolare emesso in data __, unitamente ad altri assegni emessi in attuazione di diverse altre ordinanza di assegnazione a favore della medesima creditrice, secondo una valutazione improntata all’ineludibile canone di correttezza e di buona fede che deve ispirare la condotta delle parti del rapporto obbligatorio ex art. 1175 c.c. e in particolare, nel caso di specie, la creditrice. Di conseguenza, nel caso concreto, l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria da parte di I. S.p.A. è risultato essere tempestivo ma parziale, in ragione: a) del mancato pagamento delle spese vive di copia e notificazione dell’ordinanza di assegnazione, come specificato di seguito, atteso che la rivisitazione dell’indirizzo seguito da questa Sezione sul punto, attraverso l’interpretazione letterale del titolo esecutivo, induce a ritenere che nelle spese di esecuzione, liquidate nell’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. e comprendenti anche c.p.a. ed i.v.a., non possano ricomprendersi anche le spese successive, quali quelle di registrazione, copia e notificazione della medesima ordinanza, mancando nel suddetto provvedimento ogni riferimento alle suddette spese vive; b) della mancata corresponsione degli interessi al tasso legale maturati sulla somma assegnata dalla data di deposito dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c. ( in data __) alla notificazione dell’atto di precetto (in data __), nonché dalla notificazione de qua fino alla consegna dell’assegno circolare alla creditrice (in data __).

9 – Pertanto, il pagamento eseguito dal terzo pignorato, pur ritenuto tempestivo, si rivela comunque parziale, essendo tenuto lo stesso istituto a corrispondere alla creditrice assegnataria, anche gli interessi maturati, su ogni importo costituente oggetto dell’assegnazione, con decorrenza dalla data di deposito dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c., stante la natura di titolo esecutivo di quest’ultima ed in ragione della sussistenza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità di quei crediti, ai sensi dell’art. 1282 c.c., secondo il quale i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi, a prescindere della mora del debitore (Cass. civ., sez. VI-3, ordinanza 13.04.2018, n. 9246: Cass. civ., ordinanza n. 9254/2018). Ciò nonostante, preme rammentare che il titolo esecutivo, ossia l’ordinanza di assegnazione, si è formato all’esito di una procedura esecutiva, di cui il terzo non era parte in senso tecnico. Come ben noto, il terzo diviene debitore del creditore procedente soltanto in virtù di un meccanismo processuale che, con l’adozione dell’ordinanza di assegnazione, produce un effetto giuridico – in qualche modo analogo a quello caratterizzante la cessione del credito – costituito dal trasferimento, in favore del creditore procedente, della titolarità attiva del diritto di credito originariamente vantato nei confronti dal terzo dal debitore esecutato. In ogni caso, l’ammontare del credito trasferito non corrisponde, necessariamente, all’ammontare del credito che il creditore procedente vantava nei confronti del debitore esecutato, e ciò ancora in virtù del meccanismo processuale che produce il trasferimento del credito e, in particolare, in forza del disposto dagli artt. 552 e 553 c.p.c. Infatti, l’obbligo di pagamento del terzo in favore del creditore procedente: a) è limitato alla somma complessivamente assegnata con l’ordinanza ex art. 553 c.p.c., giacché entro tale limite si verifica il trasferimento della titolarità del credito vantato dal debitore esecutato nei confronti del terzo; b) in ogni caso non può superare l’ammontare della somma che aveva costituito oggetto del pignoramento, come determinata nel primo processo esecutivo dalla dichiarazione del terzo, resa ai sensi dell’art. 547 c.p.c., oppure dall’accertamento presuntivo svolto con le modalità previste nell’art. 548 c.p.c. oppure, ancora, dall’accertamento svolto nel subprocedimento endoesecutivo e secondo le modalità previste nell’art. 549 c.p.c. Da quanto sopra considerato consegue ulteriormente che: a) il giudice dell’esecuzione non può disporre l’assegnazione per un importo complessivo che ecceda quanto dichiarato dal terzo ex art. 547 c.p.c. o in altro modo accertato; b) anche indipendentemente da quanto specificato nel provvedimento, l’ordinanza di assegnazione non costituisce titolo esecutivo per somme eccedenti quanto dichiarato dal terzo o in altro modo accertato. D’altra parte, l’obbligo di pagamento del terzo nei confronti del creditore procedente sorge soltanto a seguito dell’assegnazione – prima della quale alcun rapporto obbligatorio sussiste tra costoro – ed il credito dell’assegnatario nei confronti del debitore esecutato si estingue soltanto con la riscossione del credito assegnato, ai sensi dell’art. 2928 c.c., ed entro il limite di quanto sia stato riscosso. In conclusione, il terzo non paga con moneta propria, bensì con moneta propria del debitore esecutato, né oltre il limite di quanto risulti pignorato ed assegnato nel processo esecutivo. Coerentemente, il creditore procedente viene soddisfatto esclusivamente con quella moneta. Ciò significa che il creditore assegnatario può agire nei confronti del terzo anche al fine di ottenere gli interessi maturati successivamente all’assegnazione, nonché prima di essa se ed in quanto previsto nell’ordinanza di assegnazione, ma in ogni caso non potrà ottenere in pagamento dal terzo una somma eccedente quella dichiarata nel primo processo esecutivo o accertata ex artt. 548 o 549 c.p.c. Per l’effetto, si rivela fondato parzialmente il motivo di appello n. 2) per violazione delle norme sul procedimento e violazione dei principi regolatori della materia ex art. 339, co. 3, c.p.c.: infondato sotto il profilo della non debenza degli interessi maturati sulla sorte capitale di Euro __, assegnata con la suddetta ordinanza, e fondato sotto il profilo dell’omesso accertamento dell’erroneità del calcolo degli interessi effettuato nell’atto di precetto e, quindi, della debenza della minor somma a titolo di interessi, oltre che infondato e, prima ancora, inammissibile con riferimento all’eccezione di estinzione per prescrizione quinquennale. Specificamente, gli interessi calcolati al tasso legale sulla sorte capitale di Euro 2.248,80, dalla data di deposito dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c. (in data __) alla data di notificazione dell’atto di precetto (in data __), nonché dal giorno successivo alla notificazione de qua fino alla consegna dell’assegno circolare alla creditrice (in data __), ammontano ad euro __, quindi in misura inferiore rispetto all’importo di Euro __ indicato nell’atto di precetto. Dunque, si rivela fondato parzialmente il secondo motivo di appello con riferimento all’omesso accertamento dell’erroneità del calcolo degli interessi riportato nell’atto di precetto, mentre l’appello è infondato quanto all’omesso accertamento dell’estinzione per prescrizione quinquennale del diritto agli interessi ex art. 2948 c.c. Infatti, dagli atti rinvenuti sia nel fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado innanzi al Giudice di Pace di Roma, sia nel fascicolo di parte opponente, non risulta neppure copia della comparsa di costituzione e risposta di quest’ultima, cosicché non è possibile verificare l’avvenuta proposizione della suddetta eccezione preliminare di merito, né risultando dal verbale di udienza del __ alcun richiamo specifico alla suddetta eccezione, bensì il richiamo generico alla stessa comparsa di costituzione e risposta (nella prima udienza del __ nessuna delle parti è comparsa).

10 – È da ritenersi parimenti fondato parzialmente il secondo motivo di appello per violazione delle norme sul procedimento e violazione dei principi regolatori della materia ex art. 339, co. 3, c.p.c. sotto il profilo dell’omesso accertamento dell’erroneità e dell’illegittimità, quanto meno parziale, delle spese, dei diritti e degli onorari così come riportati e calcolati nell’atto di precetto, atteso che il pagamento parziale eseguito da I. S.p.A. con l’assegno circolare anzidetto ha implicato la debenza, in capo allo stesso istituto, delle spese, dei diritti e dell’onorario spettanti per lo stesso precetto. Nello specifico, l’analisi delle spese, dei diritti e degli onorari riportati e calcolati nell’atto di precetto, compiuta alla luce delle Tabelle A e B del D.M. n. 127 del 2004, vigenti alla data della redazione e notificazione dell’atto di precetto e comprese nello scaglione da Euro __ ad Euro __, stante il valore precettato di euro __ complessivi (Euro __ + Euro __), conduce a ritenere quanto segue: a) non è dovuta la somma di Euro __ per IVA e CPA, in quanto duplicazione degli accessori di legge, già compresi nelle spese di esecuzione di Euro __, così come liquidate dal G.E. nella ordinanza di assegnazione; b) è dovuto l’importo di euro __ a titolo di diritto, in luogo di Euro __ indicato per la voce “DISAMINA TITOLO ESECUTIVO” (n. 46); c) il diritto per la voce “APPOSIZIONE FORMULA ESECUTIVA” è da riconoscere, pur in difetto di una voce espressa ed apposita in tal senso, ed è da ricondurre, comunque, alla voce “ACCESSO IN CANCELLERIA” (n. 45) nell’importo di euro __ in luogo di Euro __, come invece indicato nel precetto; d) non sono dovuti gli importi di Euro __, bensì quelli di euro __ ciascuno (n. 48 – Richiesta di notificazione del titolo esecutivo e dell’atto di precetto) per “NOTIFICA ORDINANZA”, “RITIRO ORDINANZA NOTIFICATA” e “DISAMINA RELATA”, in quanto duplicazione delle attività di “NOTIFICA PRECETTO”, “RITIRO PRECETTO NOTIFICATO” e “DISAMINA RELATA”, stante la notificazione congiunta dell’ordinanza di assegnazione e dell’atto di precetto, talché spetta la somma complessiva di euro __ a titolo di diritti per sole tre delle suddette voci di attività, nonché la sola somma di euro __ per spese di notificazione del titolo esecutivo e dell’atto di precetto insieme; e) è dovuto l’importo di euro __ in luogo di quello indicato di Euro __ a titolo di diritto per “RITIRO FASCICOLO”(n. 45), riferito al fascicolo di parte depositato nella procedura esecutiva; f) non è dovuto l’importo di Euro __ richiesto a titolo di diritto per “VISURA SEDE ESECUTATO” in difetto della prova documentale dell’attività riferita; g) non è dovuto il diritto relativo all’ “ACCESSO IN CANCELLERIA” (n. 45), indicato in Euro __, stante la genericità dell’attività in questione, senza riferimento specifico ad un adempimento determinato; h) nulla è dovuto per “REGISTRAZIONE ORDINANZA” in difetto della relativa prova documentale; i) riguardo alla voce “FASCICOLAZIONE ED INDICE” nulla è dovuto, sia per spese (Euro __), sia per diritti (indicati in Euro __), trattandosi di redazione dell’atto di precetto, sicché non è rinvenibile alcun indice; l) parimenti, nulla è dovuto per “REDAZIONE NOTA” e, quindi, non sono dovuti Euro __ ivi indicati, richiamando la stessa l’attività di redazione nota spese giudiziali (n. 40) e, in ogni caso, costituente una duplicazione della voce relativa alla redazione dell’atto di precetto, costituendo quest’ultima, in sostanza, una nota spese; m) sono dovute sia le spese (euro __), sia i diritti (indicati in euro __) riguardo alla “DATTILOGRAFIA E COLLAZIONE”; n) in luogo dell’importo indicato in Euro __ è dovuto quello di euro __ (n. 47 – II Processo esecuzione) per diritti per l’ “ATTO DI PRECETTO”; o) in luogo dell’importo indicato in Euro __ è dovuto quello di euro __ (n. 52 – Tab. A onorari) per onorari per l’ “ATTO DI PRECETTO”; p) è dovuto l’importo di euro __ in luogo di quello indicato di Euro __ a titolo di diritto per “DELEGA ED AUTENTICA” (n. 6); q) non è dovuto alcun importo, né quello di euro __ (n. 1), né quello indicato in Euro 45,00 per “POSIZIONE ED ARCHIVIO”, trattandosi di diritto previsto una tantum nel corso del giudizio (nel caso concreto, con riferimento alla procedura esecutiva presso terzi definita con l’ordinanza di assegnazione), così come nulla è dovuto per spese indicate in Euro __; r) è dovuto l’importo di euro __ in luogo di Euro __ a titolo di diritto per “COPIE ORDINANZA” (n.30). Pertanto, a fronte dell’importo complessivo di euro __ per diritti, euro __ per onorari ed euro __ per spese vive, in luogo di Euro __ indicato a titolo di “RIMBORSO SPESE EX ART. 15 D.M. n. 392 del 1990” è dovuto l’importo di euro __, a titolo di rimborso forfettario per spese generali, corrispondente al 10% dell’importo effettivamente dovuto per onorari e diritti, pari ad euro __ complessivi. Di conseguenza, stante la debenza dell’importo totale di Euro __, di cui Euro __ per sorte capitale, inclusa la ritenuta di acconto, euro __ per interessi calcolati al tasso legale sulla sorte capitale di Euro __, dalla data di deposito dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c. (in data __) alla data di notificazione dell’atto di precetto (in data __), nonché dal giorno successivo alla notificazione de qua fino al pagamento effettivo alla creditrice (in data __), ed euro __ per diritti, onorari e spese di precetto, il pagamento di Euro __ eseguito da I. S.p.A. con il predetto assegno circolare è risultato essere parziale, residuando una differenza di Euro __ (Euro __ – Euro __ – Euro __ di ritenuta di acconto) non pagata alla creditrice esecutante.

11 – Risulta fondato, invece, il motivo di appello dell’omesso accertamento della legittimità sia dell’an che del quantum della ritenuta di acconto, così come operata dal terzo pignorato all’atto del pagamento, atteso che, a norma dell’art. 21, co. 15, della L. n. 449 del 1997, come modificato dall’art. 15, co. 2, del D.L. n. 78 del 2009, convertito nella L. n. 102 del 2009, il terzo pignorato è stato costituito quale sostituto di imposta nei confronti del creditore assegnatario. Conseguentemente, ai sensi dell’art. 1, co. 2, del successivo provvedimento attuativo emanato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate in data __, per espressa previsione dell’art. 21, co. 15, citato, “Il terzo erogatore non effettua la ritenuta solo se è a conoscenza che il credito è riferibile a somme o valori diversi da quelli assoggettabili a ritenuta alla fonte…” (vedasi sul punto anche la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 8/E del 2.3.2011, seppure emanata successivamente ai fatti per cui è causa). Nel caso in esame, peraltro, la stessa creditrice procedente, nell’atto di precetto notificato, aveva evidenziato al terzo debitore che sul credito intimato dovesse operarsi la ritenuta d’acconto. Tanto premesso e venendo alla valutazione del quantum della ritenuta de qua operata dal terzo, si ritiene che quest’ultimo, sulla base del precetto intimato, non è stato posto in condizione di conoscere con esattezza quale parte delle somme richieste fosse riferibile ad importi non assoggettabili a ritenuta alla fonte. Ergo, è da ritenersi che, a fronte della scarsa chiarezza in ordine alla quantificazione degli importi non imponibili, il terzo ha operato correttamente la ritenuta di acconto sull’ammontare complessivo della somma precettata, come imposto dalla normativa sopra richiamata, rimanendo impregiudicato il diritto della creditrice di operare le necessarie rettifiche in occasione della dichiarazione dei redditi.

12 – È fondato e va accolto, infine, il terzo motivo di appello, formulato in punto di asserita erroneità della rilevanza accordata dal giudice di prime cure al disconoscimento compiuto dalla parte opposta in ordine alla conformità all’originale dei documenti depositati dall’istituto bancario nel giudizio di merito dell’opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 2719 c.c., stante l’omesso rilievo, da parte del giudice di prime cure, della genericità del disconoscimento operato dalla creditrice opposta nel giudizio di merito (Cass. civ., 29.07.2016, n. 15790), indipendentemente dalla modalità di contestazione ex art. 215 c.p.c. e dalla tempestività dell’eccezione sollevata direttamente nella fase di merito dell’opposizione all’esecuzione, in difetto della relativa proposizione nella fase sommaria e cautelare da parte della creditrice opposta.

13 – Per quanto sopra esposto, l’appello proposto da I. S.p.A. deve essere parzialmente accolto e la sentenza appellata deve essere riformata nella parte in cui il giudice di primo grado ha accertato la sussistenza del diritto della creditrice procedente di avviare l’esecuzione forzata nei confronti di I. S.p.A. con riferimento all’intera somma richiesta in precetto, oltre che riguardo alla ritenuta di acconto operata, mentre è parzialmente infondato sotto il profilo dell’adempimento integrale dell’obbligazione pecuniaria portata nello stesso atto di precetto, in difetto di pagamento degli interessi legali sulla somma assegnata con l’ordinanza ex art. 553 c.p.c., residuando l’importo di euro __ non corrisposto, fermo restando il limite dell’importo dichiarato dal terzo ex art. 547 c.p.c.

14 – In considerazione della soccombenza reciproca e della natura interpretativa della soluzione di quasi tutte le questioni trattate, il Tribunale in composizione monocratica ritiene di compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale civile di Roma, in composizione monocratica, pronunciandosi definitivamente sull’appello proposto da I. S.p.A. nei confronti dell’avv. T. avverso la sentenza n. __ del Giudice di Pace di Roma; ogni diversa domanda, eccezione, difesa ed istanza disattesa, così decide:

1) in accoglimento parziale dell’appello ed in riforma parziale della sentenza impugnata, dichiara la sussistenza del diritto di T. di procedere all’esecuzione forzata nei confronti di I. S.p.A. limitatamente alla somma residua di euro __, previo accertamento tanto della debenza di euro__ a titolo di interessi legali maturati sulla somma assegnata con l’ordinanza ex art. 553 c.p.c. dal deposito di questa (in data __) fino alla notificazione dell’atto di precetto congiuntamente allo stesso titolo esecutivo (in data __), nonché dal giorno successivo alla notificazione de qua fino al pagamento effettivo alla creditrice (in data __), quanto della debenza di euro __ per diritti, onorari e spese di precetto, il tutto entro il limite della somma dichiarata come dovuta dal terzo ex art. 547 c.p.c. nell’ambito del processo esecutivo in cui si è formato il suddetto titolo esecutivo;

2) rigetta l’appello per la parte restante;

3) compensa in toto le spese del presente giudizio di appello tra le parti.

Si comunichi.

Così deciso in Roma, il 24 luglio 2019.

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2019.

 

Tribunale_Roma_Sez_III_Sent_25_07_2019

 

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L’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo

L’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo

Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 20418 del 29/07/2019

Con ordinanza del 29 luglio 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, in tema di recupero crediti, ha stabilito che l’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti.


Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 20418 del 29/07/2019

L’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

A., S., D., G. – ricorrenti –

contro

M. S.r.l., (già M. S.p.A.) – intimata –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il __ R.G.N. __.

Svolgimento del processo

CHE:

  1. Con sentenza n. __ depositata il __ la Corte di appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, respingeva la domanda proposta da A. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, informatori medico-scientifici della linea __ della società M. S.r.l., di accertamento dell’inefficacia del trasferimento del ramo d’azienda effettuato dalla M. S.r.l. con conseguente persistenza del rapporto di lavoro con la detta società sin dal dicembre __ e con condanna della M. S.r.l. al risarcimento del danno.
  2. La Corte distrettuale (in conformità con altre decisioni già adottate) ha rilevato la sostanziale inoppugnabilità della cessione del ramo di azienda a seguito della sottoscrizione del verbale di conciliazione in sede sindacale, avendo i lavoratori in detta sede espressamente rinunciato a qualsiasi pretesa collegata al pregresso rapporto di lavoro con la società cedente a fronte della percezione di somma corrispondente a 19 mensilità di retribuzione, oltre ad ulteriore somma netta a titolo di transazione novativa, non potendosi, inoltre, ravvisare vizi del consenso relativi alla transazione.
  3. Avverso la detta sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La società è rimasta intimata.

Motivi della decisione

CHE:

  1. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere, la Corte distrettuale, omesso l’esame dei motivi da 1 a 7 del ricorso in appello (concernenti la simulazione di un contratto di cessione di azienda tra M. S.r.l., cedente, e X. S.r.l., cessionaria, la nullità della cessione per illiceità della causa, del motivo e dell’oggetto, la mancanza dei requisiti di cui all’art. 2112 c.c., la nullità del verbale di conciliazione sindacale, il diritto alla reintegrazione presso la società cedente).
  2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti deducono vizio di motivazione, avendo, la Corte distrettuale, trascurato che la verifica della simulazione del contratto di cessione del ramo di azienda avrebbe certamente consentito di ritenere fondata la domanda proposta dai lavoratori.
  3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2112, 1343 e 1344 c.c., avendo, la Corte distrettuale, trascurato che secondo la normativa comunitaria e i principi costituzionali, il ramo d’azienda oggetto del trasferimento deve rappresentare un’entità economica con propria identità, la cui prova è posta a totale carico del datore di lavoro.
  4. Con il quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 2113, 1427, 1328, 1429, 1439 e 1440 c.c., e art. 420 c.p.c., comma 5, in relazione alla nullità/annullabilità dell’atto transattivo sottoscritto il __, avendo, la Corte distrettuale, trascurato di procedere alla preliminare verifica della illegittimità/inefficacia della cessione del ramo, dovendo ritenersi limitata, la transazione, ai soli diritti di natura economica rinvenienti dal rapporto di lavoro e, in secondo luogo, non preclusiva della possibilità di far legittimamente valere eventuali vizi della volontà.
  5. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente vista la stretta connessione, sono inammissibili e, per la parte residua, infondati.
  6. Preliminarmente, va osservato che le censure sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto dell’atto di transazione stipulato in sede sindacale tra i lavoratori, informatori medico-scientifici, e la società, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. n. 3224 del 2014; Cass. SU n. 5698 del 2012; Cass. SU n. 22726 del 2011).
  7. Difetta, inoltre, la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha espressamente affrontato i contestati profili di validità del contratto di cessione di azienda in quanto ha rilevato che “risulta ostativa alle pretese rivendicate dai lavoratori nel presente giudizio la sottoscrizione di verbale di conciliazione in sede sindacale, che presenta, a norma dell’art. 2113 c.c., caratteri di sostanziale inoppugnabilità”, avendo, i lavoratori, percepito, a fronte della rinuncia a qualsiasi pretesa collegata al pregresso rapporto di lavoro, una somma corrispondente a 19 mensilità di retribuzione, oltre una ulteriore somma netta a titolo di transazione novativa, ed aggiungendo che “In forza di tale transazione, dunque, i lavoratori non hanno alcun titolo giuridico per far valere nei confronti della società cedente vizi quali quelli denunciati, attinenti a rapporti tra cedente e cessionario ed a comportamenti del cessionario, poiché con la società cedente è intervenuta una transazione e poiché la società cessionaria non è parte in causa nel presente giudizio”.
  8. le censure non colgono, dunque, la ratio decidendi perché i ricorrenti insistono sulla mancata considerazione delle domande originarie (trasfuse nei motivi di appello, peraltro solo riassuntivamente indicati e non trascritti) ma nulla deducono sull’effetto preclusivo svolto dalla transazione novativa stipulata con la M. S.r.l., considerato che questa Corte ha ripetutamente affermato che l’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti (cfr. Cass. n. 4217 del 2017, Cass. n. 23064 del 2016).
  9. non sussiste, infine, l’omessa valutazione dei dedotti vizi della transazione, avendo la Corte territoriale, sulla scorta di orientamenti giurisprudenziali espressamente indicati (in specie Cass. n. 72 del 2011, concernente la esclusiva rilevanza, in tema di contratto di transazione, dell’errore di diritto sulla situazione costituente presupposto della res controversa) rilevato che “l’errore sui motivi… non è rilevante e non è configurabile violenza, viste le dimostrate difficoltà aziendali che hanno comportato la riduzione del personale” ed avendo osservato che nessuna questione era stata posta con riguardo ad un difetto di assistenza o di scarsa chiarezza del contenuto della transazione.
  10. il ricorso va pertanto rigettato, nulla provvedendosi sulle spese in assenza di parte controricorrente.
  11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2019

 

Cass_civ_Sez_lavoro_Ord_29_07_2019_n_20418




Il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato

Il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato

Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Ordinanza n. 21798 del 29/08/2019

Con ordinanza del 29 agosto 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione V, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il decreto ingiuntivo ottenuto dal garante nei confronti del debitore principale inadempiente per il recupero delle somme pagate al creditore principale in virtù di polizza fideiussoria, è soggetto all’imposta di registro con aliquota proporzionale al valore della condanna. In tal caso, invero, il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato.


Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Ordinanza n. 21798 del 29/08/2019

Il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da:

A. – ricorrente –

contro

S. – controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. __, depositata il giorno __;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 settembre 2018 dal Consigliere __.

Svolgimento del processo

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: S. aveva ottenuto un decreto ingiuntivo con il quale era stato intimato a terzi, propri garantiti, il pagamento di quanto dalla stessa corrisposto, quale garante, in adempimento di un contratto di fideiussione stipulato a garanzia di un contratto preliminare di compravendita di immobili; A. aveva notificato alla suddetta società un avviso di liquidazione dell’imposta di registro, pari al __% della somma ingiunta con il decreto ingiuntivo richiesto; avverso il suddetto atto aveva proposto ricorso la società contribuente, contestando la liquidazione dell’imposta di registro in misura proporzionale al valore della somma ingiunta, dovendosi invece applicare la misura fissa; la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente, nel contraddittorio con A.;

la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha accolto l’appello, ritenendo che, in forza del principio di alternatività dell’imposta di registro e dell’Iva, l’applicazione dell’imposta fissa di registro operava anche nel caso in cui veniva in considerazione il rapporto di fideiussione, non applicandosi l’imposta di registro quando la prestazione è attratta nel regime impositivo dell’IVA; avverso la suddetta pronuncia A. ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte; S. ha resistito depositando controricorso.

Motivi della decisione

che:

con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 40, per avere erroneamente ritenuto applicabile la disciplina in materia di imposta di registro fissa nel caso di azione di regresso fatta valere dal fideiussore nei confronti del proprio garantito per ottenere la restituzione di quanto corrisposto al creditore principale;

il motivo è fondato;

la questione prospettata con il motivo in esame ha riguardo alla determinazione della misura, proporzionale al valore della condanna, o fissa, dell’imposta di registro da applicare al decreto ingiuntivo ottenuto dal garante nei confronti del debitore principale inadempiente per il recupero delle somme pagate al creditore principale in virtù di polizza fideiussoria;

sul punto, a composizione del ravvisato contrasto giurisprudenziale, questa Corte (Cass. civ., Sez. Unite, 10 luglio 2019, n. 18520) ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema d’imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato”;

in particolare, è stato precisato che non può essere seguita la tesi interpretativa secondo cui il titolo da cui deriva il debito principale è distinto dalla polizza fideiussoria, dalla quale trae origine la prestazione di garanzia, e che assume la configurazione di contratto autonomo di garanzia, non potendosi configurare, in realtà, alcuna operazione complessiva e inscindibile, in quanto la polizza fideiussoria non mira a garantire l’adempimento dell’obbligazione principale, bensì a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore: la prestazione che ne è oggetto è quindi qualitativamente altra rispetto a quella oggetto dell’obbligazione principale;

se ne è quindi fatta derivare l’autonomia della garanzia, che risponde appunto a funzione indennitaria e non satisfattoria, perché è volta al trasferimento da un soggetto a un altro del rischio economico derivante dalla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale oppure dall’insussistenza dei presupposti per ottenere il rimborso dell’iva (Cass., sez. un., 18 febbraio 2010, n. 3947, nonché, tra varie, 9 maggio 2019, n. 12228);

per quanto sopra esposto, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed il ricorso originario della contribuente va rigettato;

le spese processuali dei giudizi di merito nonché del presente grado di giudizio vanno compensate tra le parti attesa l’evoluzione nel tempo della giurisprudenza in materia e del recente intervento di questa Corte, a Sez. U., sopra citato.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.

Le spese processuali relative ai giudizi di merito e del presente grado di giudizio sono compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 21 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

 

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Il creditore munito di titolo esecutivo nei confronti della società può avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci

Il creditore munito di titolo esecutivo nei confronti della società può avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 21768 del 28/08/2019

Con ordinanza del 28 agosto 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione III, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il creditore munito di titolo esecutivo nei confronti della società può avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci. Il creditore sociale titolato, infatti, anche se può agire in executivis nei confronti del socio illimitatamente responsabile, non può iscrivere ipoteca sui beni del socio avvalendosi del titolo giudiziale ottenuto nei confronti della società.

Nel caso di specie, pertanto, deve affermarsi che i due creditori della società, già in possesso di un titolo nei confronti della stessa, avevano interesse ex art. 100 c.p.c. a domandare un decreto ingiuntivo nei confronti dei due soci illimitatamente responsabili.


Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 21768 del 28/08/2019

Il creditore munito di titolo esecutivo nei confronti della società può avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

S. e G. – ricorrenti –

contro

P. e F. – intimati –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

  1. La società F.lli A. S.n.c. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze P. e F. La domanda venne rigettata con sentenza n. __ e la società attrice, soccombente, venne condannata alle spese in favore dei convenuti vittoriosi.

Quella sentenza passò in giudicato.

  1. Le due parti vittoriose, in forza della suddetta sentenza di condanna, iniziarono l’esecuzione forzata nei confronti della società, con esito infruttuoso.
  2. e F. chiesero allora ed ottennero dal Tribunale di Firenze un decreto ingiuntivo nei confronti dei due soci della F.lli A. S.n.c., e cioè S. e G.

Oggetto del ricorso monitorio e del conseguente decreto fu il pagamento delle stesse spese giudiziali che la F.lli A. era stata condannata a rifondere a P. e F. con la sentenza __ del Tribunale di Firenze.

  1. S. e G. proposero opposizione al suddetto decreto, deducendo che:

– il ricorso monitorio era inammissibile per carenza d’interesse ex art. 100 c.p.c., poiché la condanna pronunciata nei confronti della società era titolo per agire in executivis ed iscrivere ipoteca anche nei confronti dei soci;

– le spese del ricorso monitorio dovevano restare a carico dei ricorrenti, perché gli opponenti debitori non vi avevano dato causa.

  1. Il Tribunale di Firenze, con sentenza i cui estremi non sono indicati né nel ricorso, né nella decisione d’appello, rigettò l’opposizione e condannò gli opponenti alle spese e ai danni ex art. 96 c.p.c.

Ritenne il Tribunale che i due intimanti avessero interesse a chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti dei soci della F.lli A. s.n.c., “per ovviare ad un probabile rifiuto del conservatore di iscrivere ipoteca sui beni dei soci” sulla base del titolo esecutivo pronunciato nei confronti della sola società.

  1. La Corte d’appello di Firenze, adita dai soccombenti, con sentenza __ accolse in parte il gravame.

Ritenne il Giudice di secondo grado che:

– l’azione monitoria era sorretta da giuridico interesse, rappresentato dall’obiettivo di ottenere un titolo esecutivo che consentisse di iscrivere ipoteca sui beni dei soci, dal momento che non è consentito iscrivere ipoteca sui beni dei soci, sulla base di una sentenza pronunciata contro la società;

– la responsabilità degli opponenti ex art. 96 c.p.c., non sussisteva;

– andavano compensate per metà le spese di tutti e due i gradi, e posta l’altra metà a carico di S. e G.

  1. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S. e G., con ricorso fondato su due motivi.

Gli intimati non si sono difesi.

Motivi della decisione

  1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2291, 2808, 2829 c.c.; art. 447 c.p.c.

Sostengono che il creditore di una società in nome collettivo, già munito di un titolo esecutivo nei confronti di quest’ultima, non abbia interesse ex art. 100 c.p.c., a chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti dei soci.

Osservano i ricorrenti che il titolo esecutivo ottenuto nei confronti d’una società in nome collettivo legittima il creditore sia ad iscrivere ipoteca sui beni dei soci, sia ad iniziare l’esecuzione nei loro confronti, e che di conseguenza nessun ulteriore vantaggio ritrarrebbe il creditore dall’acquisizione di un ulteriore titolo esecutivo.

1.2. Il motivo è infondato poiché non esiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto di duplicazione dei titoli esecutivi; né, quand’anche esistesse, quel divieto sarebbe applicabile nel caso di specie.

I p.p. che seguono saranno dedicati separatamente all’esposizione di questi due principi.

1.3. (A) Sul divieto di duplicazione dei titoli esecutivi. Che nel nostro ordinamento non esista un divieto assoluto, per il creditore, di munirsi di più titoli esecutivi per la stessa ragion di credito, e finanche nei confronti del medesimo creditore, è principio che da tempo si è venuto consolidando nella giurisprudenza di questa Corte ed in quella della Corte costituzionale.

1.4. Il problema si pose, già molti anni fa, nell’ipotesi in cui il creditore munito di titolo esecutivo stragiudiziale, invece di iniziare l’esecuzione sulla base di questo, avesse preferito domandare un decreto ingiuntivo, allegando il titolo stragiudiziale quale prova scritta del proprio credito.

Chiamata a stabilire se ciò fosse consentito, questa Corte rispose affermativamente, sul presupposto che il decreto ingiuntivo era in grado di offrire al creditore una tutela maggiore e più stabile di quella offerta dal titolo stragiudiziale, ed in particolare l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (Sez. 1, Sentenza n. 1467 del 03/05/1969, Rv. 340269 – 01).

Tale principio, da allora, è stato costantemente ribadito ed ampliato ad altre ipotesi.

Si è ammesso, ad esempio, che il consulente tecnico d’ufficio, già in possesso del decreto di liquidazione dei compensi pronunciato dal giudice che l’aveva nominato, possa sulla base di quel provvedimento chiedere un decreto ingiuntivo, in quanto l’azione monitoria è diretta a far valere una situazione giuridica che non ha trovato esaustiva tutela, suscettibile di conseguimento di un risultato ulteriore rispetto alla lesione denunziata (Sez. 2, Sentenza n. 15084 del 30/06/2006, Rv. 590865 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 14737 del 26/06/2006, Rv. 590457 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 13518 del 21/07/2004, Rv. 576445 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10911 del 25/07/2002, Rv. 556188 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 135 del 05/01/2001, Rv. 542974 – 01).

Allo stesso modo, si è ammesso che il creditore munito di titolo esecutivo stragiudiziale, e che abbia già iscritto ipoteca volontaria a garanzia del proprio diritto non perde l’interesse ad agire in via monitoria: sia perché l’ipoteca giudiziale iscritta a seguito dell’emissione del decreto ingiuntivo potrebbe riguardare anche ulteriori beni del debitore, diversi da quelli su cui è stata originariamente iscritta l’ipoteca volontari ed acquisiti successivamente, sia perché la stabilità tipica dell’accertamento giudiziale assicura alla successiva esecuzione coattiva basi più solide, restringendo i margini di errore e di possibile opposizione da parte del debitore (Sez. 1, Sentenza n. 23083 del 10/10/2013, Rv. 628184-01).

1.5. Quando, invece, è stato da questa Corte negato l’interesse del creditore a dotarsi di un secondo titolo esecutivo, ciò si è fatto non in ossequio ad un supposto divieto di duplicazione dei titoli esecutivi, ma in base a principi ben diversi: ora affermando che, consumata l’azione con la formazione di un titolo esecutivo giudiziale, la medesima azione non poteva essere riproposta per conseguirne un secondo (Sez. L, Sentenza n. 873 del 28/03/1974, Rv. 368768 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6525 del 16/07/1997, Rv. 506051 – 01); ora, invece, negando l’interesse ex art. 100 c.p.c., del creditore titolato ad agire per conseguire un secondo titolo esecutivo, quando quest’ultimo nessuna maggiore garanzia, tutela o vantaggio avrebbe offerto rispetto al primo (Sez. 2, Sentenza n. 1298 del 08/09/1970, Rv. 347002 – 01, con riferimento all’ipotesi della domanda di condanna specifica proposta dopo che il creditore aveva già ottenuto una condanna generica, provvisoriamente esecutiva; nonché Sez. 1, Sentenza n. 18248 del 10/09/2004, Rv. 576964 – 01, la quale ha ritenuto improponibile, per difetto di interesse ad agire, la domanda di condanna all’adempimento del credito derivante dall’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione consensuale, sul presupposto che il relativo decreto di omologazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 1988, costituiva di per sé un titolo esecutivo in forza del quale era possibile iscrivere ipoteca giudiziale).

1.6. I principi fissati da questa Corte già negli anni Sessanta del secolo scorso, e ricordati nei due paragrafi che precedono, vennero condivisi dalla Corte costituzionale nella sentenza 31.12.1986 n. 303.

In quel caso la Consulta era chiamata a pronunciarsi sulla conformità a Costituzione dell’art. 641 c.p.c., comma 3, nel testo risultante dalle modifiche apportate della L. 10 maggio 1976, n. 385, art. 2, il quale stabiliva che nel decreto (ingiuntivo), eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni, il giudice liquida le spese e le competenze e ne ingiunge il pagamento.

La Corte costituzionale ritenne costituzionalmente illegittimo il complemento di limitazione, eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni. Condividendo i dubbi del giudice rimettente, affermò in quel caso la Consulta che sarebbe irrazionale accordare al creditore, se già munito di titolo esecutivo, la possibilità di ottenere la condanna del debitore alle spese se decidesse di dotarsi di un secondo titolo giudiziale introducendo un ordinario giudizio di cognizione; e negargliela invece se, essendo già munito di un titolo esecutivo, decidesse di dotarsi di un ulteriore titolo giudiziale depositando un ricorso per decreto ingiuntivo.

Tale decisione conferma, dunque, che anche nel giudizio della Corte costituzionale non è affatto inibito al creditore già in possesso di un titolo esecutivo procurarsene un secondo.

1.7. Che al creditore titolato sia, sempre e comunque, inibito munirsi di un ulteriore titolo esecutivo, è principio poi non sostenibile anche dal punto di vista dogmatico.

È noto che la dottrina, chiamata a fornire una definizione di titolo esecutivo dal punto di vista della struttura e della funzione, si è divisa da cent’anni, ed è tuttora divisa: taluni ravvisando l’elemento unificante dei vari titoli esecutivi nel loro contenuto di accertamento; altri nella loro qualità di prova legale; altri ancora nella loro funzione di semplificazione della fattispecie, intesa a separare il comando precettivo dall’accertamento dei suoi presupposti, in ossequio al principio ab executione non est inchoandum; altri ancora hanno addirittura negato che il titolo esecutivo sia un fenotipo unitario.

Quale, tuttavia, che fosse l’opinione cui si volesse aderire a tal riguardo, nessuna delle soluzioni offerte dalla dottrina sarebbe incompatibile con la duplicazione dei titoli: non la teoria dell’accertamento, ben potendo ipotizzarsi che l’accertamento d’una situazione giuridica possa formare oggetto di più negozi o più giudizi; non la teoria della prova legale, dal momento che la prova dei fatti giuridici non soffre mai limitazioni quantitative; e nemmeno la teoria della semplificazione della fattispecie, dal momento che proprio la totale cesura tra accertamento del diritto e titolo esecutivo, propugnata da tale orientamento, rende teoricamente inconcepibile qualsiasi accertamento del diritto in sede esecutiva, ed irrilevante per converso l’esistenza d’un (altro) titolo in sede di cognizione.

1.8. In conclusione, deve negarsi che esista un principio, generale ed assoluto, ostativo alla duplicazione dei titoli esecutivi (nel senso che nulla vieti tale duplicazione, da ultimo, si veda Sez. 5 -, Ordinanza n. 6526 del 16/03/2018, Rv. 647490 – 01).

Così, ad es., il creditore che abbia già una cambiale, può in teoria chiedere un decreto ingiuntivo adducendo la cambiale quale prova scritta del credito; il creditore che abbia stipulato un contratto per atto pubblico, può in teoria introdurre un ordinario giudizio di condanna del debitore adducendo quel contratto come prova.

La possibilità per il creditore titolato di munirsi di un secondo titolo esecutivo trova ostacolo non già nel (supposto) divieto di duplicazione dei titoli esecutivi, ma in tre limiti derivanti da altri ed espliciti principi dell’ordinamento, e cioè:

  1. a) il principio di consumazione dell’azione ed il divieto del bis in idem, i quali impediscono al creditore di iniziare un secondo giudizio di accertamento dell’esistenza del medesimo credito già dedotto in giudizio;
  2. b) il principio dell’interesse (art. 100 c.p.c.), che non consente l’introduzione di giudizi dai quali il creditore non possa trarre alcun vantaggio giuridico concreto;
  3. c) il principio (desumibile dagli artt. 1175 e 1375 c.c.) che vieta l’abuso del diritto (Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009, Rv. 610223 – 01) e del processo (ex multis, Sez. U, Sentenza n. 9935 del 15/05/2015 (Rv. 635325 – 01).

Così, per restare in tema di ricorso monitorio, non potrà domandare un decreto ingiuntivo il creditore che abbia già ottenuto una sentenza od un altro decreto ingiuntivo per il medesimo titulus obligationis e nei confronti della medesima persona, perché ha ormai consumato l’azione, e si tratterà dunque solo di stabilire se la sua domanda sia impedita da litispendenza o giudicato; non potrà farlo chi ha già un titolo che gli consenta l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni della medesima persona, perché nessun vantaggio ulteriore ne trarrebbe; non potrà farlo chi, in considerazione delle specificità del caso concreto, risulti mosso unicamente da intenti emulativi, fraudolenti o vessatori.

Nel caso di specie, nessuno di questi limiti sussiste: non quello del giudicato, giacché la sentenza posta da P. e F. a fondamento del ricorso monitorio venne pronunciata nei confronti della società F.lli A. S.n.c., ma non nei confronti dei suoi soci; non quello della carenza di interesse, perché – lo si dirà meglio tra breve – la sentenza pronunciata nei confronti della società non consentiva ai creditori di iscrivere ipoteca giudiziale sui beni dei soci; non, infine, quello dell’abuso del diritto o del processo, mai dimostrato nel presente giudizio.

1.9. (B) Sulla inesistenza di duplicazioni di titoli nel caso di specie. I ricorrenti hanno molto insistito nel sostenere che colui il quale possieda un titolo esecutivo giudiziale nei confronti d’una società di persone possa metterlo in esecuzione nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.

Tale principio, tuttavia, non viene in rilievo nel presente giudizio. E’ esatto che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile (salvo, ovviamente, il beneficio d’escussione, che nel caso di specie non è invocato dagli odierni ricorrenti), in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio, salvo il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale (Sez. 3, Sentenza n. 19946 del 06/10/2004, Rv. 577542 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 613 del 17/01/2003, Rv. 559807 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7353 del 08/08/1997, Rv. 506564 – 01).

Da ciò tuttavia non discende affatto, come vorrebbero i ricorrenti, che chi abbia un titolo esecutivo nei confronti della società non possa avere, sempre e comunque, interesse a munirsi d’un titolo anche nei confronti dei soci.

La questione oggi in esame non è infatti stabilire se il creditore titolato della società possa agire in executivis nei confronti del socio illimitatamente responsabile, il che come già detto è indiscutibile.

La nostra questione è ben diversa: e cioè lo stabilire se il creditore titolato della società possa avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo, questa volta nei confronti dei soci.

Ed a tale quesito va data risposta affermativa.

1.10. Il creditore sociale titolato, infatti, anche se può agire in executivis nei confronti del socio illimitatamente responsabile, non può iscrivere ipoteca sui beni del socio avvalendosi del titolo giudiziale ottenuto nei confronti della società (vedasi più oltre). Sicché nel caso di specie i due creditori avevano interesse ex art. 100 c.p.c., a domandare un decreto ingiuntivo nei confronti dei due soci illimitatamente responsabili.

1.11. Che il creditore sociale, munito di titolo esecutivo nei confronti della società, non possa, sulla base di quel titolo, iscrivere ipoteca sui beni personali dei soci illimitatamente responsabili, è conclusione che si impone in base alle seguenti considerazioni:

(a) l’art. 2818 c.c., attribuisce alla sentenza la qualità di titolo per iscrivere ipoteca sui beni del debitore, e il debitore non può che essere la persona che ha partecipato al giudizio che quella sentenza ha concluso;

(b) se così non fosse, si perverrebbe a conseguenze paradossali in tutti i casi di obbligazioni garantite da terzi: così, ad esempio, la sentenza pronunciata nei confronti del debitore principale potrebbe essere utilizzata per iscrivere ipoteca sui beni del fideiussore; quella pronunciata nei confronti di un condebitore potrebbe essere utilizzata per iscrivere ipoteca sui beni del coobbligato, e via fantasticando;

(c) nulla rileva, in senso contrario, che il creditore sociale titolato possa agire esecutivamente nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, dal momento che l’ordinamento ammette in non poche ipotesi che un certo titolo esecutivo consenta l’esecuzione forzata, ma non l’iscrizione di ipoteca;

(d) i titoli che consentono l’iscrizione dell’ipoteca sono tassativi (artt. 2818-2820);

(e) l’art. 2939 c.c., comma 2, esige che l’iscrizione dell’ipoteca debba indicare il debitore, e questi non può che essere la persona a carico della quale fu pronunciata la condanna contenta nel titolo esecutivo.

1.12. Anche questi principi sono stati ripetutamente affermati da questa Corte, allorché è stata chiamata ad affrontare il tema connesso a quello odierno – della possibilità per il creditore sociale, onerato dal beneficium excussionis, possa agire in sede di cognizione per ottenere un titolo nei confronti dei soci: e questa Corte ha ripetutamente ammesso tale possibilità proprio sul presupposto che l’art. 2304, pur inibendo al creditore sociale aggredire esecutivamente il patrimonio del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, non gli impedisce d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo (Sez. 3 -, Ordinanza n. 25378 del 12/10/2018, Rv. 651164-01; Sez. 1, Sentenza n. 1040 del 16/01/2009, Rv. 606371-01; Sez. L, Sentenza n. 15713 del 12/08/2004, Rv. 576756-01; Sez. 3, Sentenza n. 15700 del 08/11/2002, Rv. 558341-01; Sez. 1, Sentenza n. 13183 del 26/11/1999, Rv. 531525-01; Sez. 1, Sentenza n. 5434 del 03/06/1998, Rv. 516037-01; Sez. L, Sentenza n. 7100 del 26/06/1993, Rv. 482938-01; Sez. 1, Sentenza n. 7582 del 23/12/1983, Rv. 432181-01).

Affermazione, quest’ultima, che ovviamente non avrebbe avuto senso alcuno se il creditore sociale avesse potuto iscrivere ipoteca sui beni del socio avvalendosi del titolo da lui ottenuto nei confronti della società.

1.13. Per completezza, è opportuno chiarire che non confliggono con le conclusioni sopra esposte i due precedenti di questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 24746 del 21/11/2006, e Sez. 3, Sentenza n. 13547 del 13/06/2014) nei quali si è affermato che l’iscrizione dell’ipoteca legale avrebbe la natura di atto esecutivo: formula, quest’ultima, non del tutto felice, e talora richiamata da parte della giurisprudenza di merito per giustificare la possibilità di iscrivere ipoteca nei confronti del socio (illimitatamente responsabile), sulla base di un titolo formato nei confronti della società.

Questa lettura che è stata data della giurisprudenza di questa Corte è tuttavia frutto di un fraintendimento. I due precedenti sopra ricordati, infatti, si occupavano di problema tutt’affatto diverso rispetto al presente: e cioè lo stabilire se il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo potesse, anche d’ufficio, ordinare la cancellazione dell’ipoteca iscritta in base a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ma revocato con la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione.

Chiamata a risolvere tale quesito, questa Corte gli diede risposta affermativa, affermando essere l’iscrizione dell’ipoteca mero atto esecutivo della concessione della clausola di provvisoria esecutività del decreto.

Con tale affermazione, dunque, questa Corte non intese affatto affermare che quando il titolo formato nei confronti della società sia eseguibile nei confronti del socio, esso consenta per ciò solo altresì l’iscrizione di ipoteca sui beni di quest’ultimo.

Affermò, invece, un principio ben diverso, e cioè che l’iscrizione dell’ipoteca è atto consequenziale alla concessione della clausola di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo: sicché, caduta questa, cadrà di risulta anche quella, senza ulteriori accertamenti.

Se l’iscrizione dell’ipoteca fu detta dunque in passato atto esecutivo, quella fu una formula metonimica per indicare che si trattava di atto consequenziale alla clausola di provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, e non che costituisse atto dell’esecuzione forzata.

  1. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Il secondo motivo contiene due censure, l’una formulata in via subordinata al rigetto dell’altra.

Con la prima censura i ricorrenti sostengono che la Corte d’appello non avrebbe esaminato un motivo di gravame, e precisamente quello con cui essi avevano domandato che dalla condanna alle spese del primo grado fossero espunte quelle del procedimento monitorio, cui essi non avevano dato luogo.

Con la seconda censura deducono che, nell’ipotesi in cui il loro motivo d’appello concernente il capo di condanna relativo alle spese del decreto ingiuntivo fosse stato implicitamente rigettato, tale valutazione sarebbe illegittima, perché il decreto ingiuntivo era stato chiesto non per inadempimento di essi ricorrenti, ma per autonoma iniziativa dei creditori a maggior garanzia del loro credito.

2.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di omessa pronuncia (prima censura) il motivo è infondato.

La Corte d’appello, infatti, ha statuito sulle spese del primo grado, così implicitamente decidendo sul relativo motivo d’appello.

2.3. Nella parte in cui prospetta il vizio di violazione di legge (seconda censura) il motivo è parimenti infondato.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, gli odierni ricorrenti avevano invocato l’inammissibilità della domanda monitoria, e rispetto a tale motivo di opposizione rimasero soccombenti: correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha regolato le spese in base al principio di cui all’art. 91 c.p.c..

  1. Le spese.

3.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio degli intimati.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

– rigetta il ricorso;

– dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di G. e S., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2019

 

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Nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi

Nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 21764 del 28/08/2019

Con ordinanza del 28 agosto 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione III, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi, del danno che si presume essergli derivato dall’impossibilità di disporre tempestivamente della somma dovuta e di impiegarla in maniera remunerativa. Ne deriva che la liquidazione del danno da ritardato adempimento, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito; b) detraendo l’acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi mediante l’individuazione di un saggio scelto in via equitativa, da applicare prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva. In ogni caso, resta fermo il principio secondo il quale la somma da pagare eventualmente in restituzione a seguito del nuovo conteggio, dovrà essere maggiorata dei soli interessi dalla data dei pagamenti ricevuti.


Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 21764 del 28/08/2019

Nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

T. – ricorrente –

contro

G. S.p.A. – controricorrente –

e contro

M. – resistente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

che:

  1. T. ricorre, affidandosi a tre motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che riformando parzialmente la pronuncia del Tribunale e riquantificando, anche in considerazione degli ulteriori acconti ricevuti, la somma a lei spettante a titolo di risarcimento per i gravi danni alla persona subiti, in conseguenza del sinistro stradale del quale era stata riconosciuta l’esclusiva responsabilità di un mezzo di M. – l’aveva condannata a restituire alla compagnia convenuta la somma percepita in eccedenza.
  2. Entrambi gli intimati hanno resistito con controricorso, e la Compagnia ha depositato anche memorie ex art. 380 bis c.p.c.

Motivi della decisione

che:

  1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “anomalia motivazionale quale motivazione apparente in ordine al fatto storico del 5% del danno esistenziale” (cfr. la rubrica pag. 2 del ricorso).

1.1. Censura la statuizione della Corte – assumendo che doveva ritenersi affetta da vizio di motivazione – in quanto era stato escluso che il danno estetico esplicasse incidenza sui postumi invalidanti; e che, in ragione di ciò, la decisione non aveva assegnato alcun significato alla quantificazione del 5% ad esso riferita, omettendo di considerare che il CTU, nell’indicare tale percentuale come danno estetico, intendeva suggerire un aumento del danno biologico come quantificato.

  1. Con il secondo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 32 Cost.

2.1. Contesta che la Corte abbia disconosciuto l’esistenza del danno estetico come danno esistenziale, riconoscendo il pregiudizio soltanto sotto il profilo del danno patrimoniale per spese future: assume, al riguardo, che tale posta risarcitoria doveva farsi rientrare nel danno non patrimoniale e doveva, quindi, essere risarcito nell’ambito del danno biologico; che, pertanto, era da ritenersi corretta l’ulteriore liquidazione del 5% riconosciuta con la sentenza di primo grado.

  1. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso e contraddittorio esame in ordine al fatto storico della determinazione delle somme oggetto di restituzione.

3.1. Deduce l’erroneità del calcolo formulato dai giudici d’appello che nella detrazione degli acconti avevano impropriamente computato gli interessi e la rivalutazione.

  1. I primi due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto sono intrinsecamente connessi.

4.1. Essi sono entrambi inammissibili.

In primo luogo, infatti, viene dedotto un vizio non più esistente: questa Corte ha chiarito, con orientamento ormai consolidato, che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella “motivazione apparente, nel contrasto, irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (cfr. Cass. 8053/2014; Cass. 23940/2017; Cass. 22598/2018).

4.2. Né è stato indicato, dalla ricorrente, il fatto storico di cui sarebbe stato omesso l’esame, in quanto la censura esprime soltanto una critica sull’impianto motivazionale della decisione che non è più consentita ove il percorso argomentativo, come nel caso in esame, sia esaustivo e logico.

4.3. A ciò si aggiunge – passandosi all’esame del secondo motivo – che non è stata colta la ratio decidendi della sentenza impugnata con la quale è stato correttamente affermato che il danno estetico doveva essere incluso nel danno biologico: la Corte territoriale, infatti, ha aderito alle conclusioni della CTU che, pur quantificandolo nella misura del 5%, lo aveva ricompreso nella percentuale complessiva (del 40%) di invalidità permanente, precisando che tale determinazione era riferita allo stato attuale, esclusi interventi estetici ulteriori; ed ha affermato che ove tali interventi ci fossero stati, l’incidenza del danno estetico doveva essere quantificata nel 5%, con ciò sottendendo, addirittura, la possibilità di una decurtazione.

4.4. La Corte, quale peritus peritorum, ha ritenuto di mantenere ferma la percentuale complessiva ascrivibile al danno non patrimoniale, applicando correttamente i principi affermati da questa Corte in materia, secondo i quali “il grado di invalidità permanente espresso da un medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, quali il danno alla vita di relazione e alla vita sessuale, il danno estetico e il danno esistenziale. Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione” (cfr. Cass. 11950/2013; Cass. 21716/2013; Cass. 23778/2014); ed ha riconosciuto, altresì, il danno patrimoniale da pregiudizio estetico nella misura quantificata, con motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale, laddove ha affermato che l’ulteriore somma riconosciuta poteva essere ascritta unicamente alle spese future (cfr. pag. 4, primo cpv, della sentenza impugnata).

4.5. La critica proposta, pertanto, risulta incoerente con la motivazione e, non denunciando un errore riscontrabile, non può trovare ingresso in questa sede.

  1. Il terzo motivo, invece, è fondato.

5.1. Nonostante che la censura sia impropriamente rubricata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si ritiene che le argomentazioni sviluppate consentano di riqualificarla in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

5.2. Deve infatti richiamarsi l’orientamento, pienamente condiviso da questo Collegio secondo il quale “il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (cfr. Cass. 17931/2013; Cass. 24553/2013; Cass. 10862/2018).

5.3. Nel caso in esame, ricorre proprio l’ipotesi sopra descritta, in quanto la Corte, pur enunciando principi di legittimità ormai consolidati, in base ai quali devono essere detratte somme conteggiate con riferimento a criteri omogenei, ha errato nella formulazione del successivo conteggio.

Infatti i due acconti corrisposti, pur essendo stati correttamente devalutati alla data del sinistro, sono stati poi impropriamente corredati da interessi e rivalutazione fino alla data della sentenza di primo grado: in tal modo, dette somme sono state incrementate dagli accessori per un periodo durante il quale non erano state affatto godute dal danneggiato, con un calcolo che ha contraddetto il criterio di omogeneità sopra enunciato.

5.4. Questa Corte, al riguardo, ha affermato il principio di diritto, pienamente condiviso da questo Collegio, secondo in quale “nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi, del danno che si presume essergli derivato dall’impossibilità di disporre tempestivamente della somma dovuta e di impiegarla in maniera remunerativa, sicché la liquidazione del danno da ritardato adempimento, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito; b) detraendo l’acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi mediante l’individuazione di un saggio scelto in via equitativa, da applicare prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva” (cfr. Cass. 25817/2017 ed in termini Cass. 6619/2018).

“In ogni caso, resta fermo il principio secondo il quale la somma da pagare eventualmente in restituzione a seguito del nuovo conteggio, dovrà essere maggiorata dei soli interessi dalla data dei pagamenti ricevuti” (cfr. Cass. 21699/2011).

5.5. La motivazione resa nella quale il calcolo finalizzato alla determinazione dell’importo dovuto contrasta con la premessa enunciata, volta ad affermare la detraibilità di poste omogenee, risulta dunque illogica ed apparente: in quanto tale, essa deve ritenersi viziata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

  1. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione per il riesame della controversia in relazione al motivo accolto, alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati.

La Corte dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il terzo motivo e dichiara inammissibili i primi due.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2019

 

Corte di Cassazione Civile Sezione III Ordinanza n 21764 del 28_08_2019