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La produzione degli estratti conto comprovanti gli avvenuti versamenti

La produzione degli estratti conto comprovanti gli avvenuti versamenti

Corte d’Appello di Catania, Sezione I Civile, Sentenza del 28/11/2019

Con sentenza del 28 novembre 2019, la Corte d’Appello di Catania, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il correntista che agisca in giudizio chiedendo la ripetizione di somme indebitamene versate alla banca per effetto dell’illegittimità di interessi anatocistici, ultralegali, usurari, etc., è tenuto, in conformità ai criteri di riparto dell’onere probatorio, a produrre gli estratti conto comprovanti gli avvenuti versamenti e la mancanza della “causa debendi”.


Corte d’Appello di Catania, Sezione I Civile, Sentenza del 28/11/2019

La produzione degli estratti conto comprovanti gli avvenuti versamenti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA

Prima sezione civile

nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. __ – Presidente rel.

dott. __ – Consigliere

dott. __ – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 521/2017 R.G. promossa da:

B. S.p.A. -appellante-

contro

Fallimento C.I.C. S.r.l. -appellato-

e contro

D., T., R., I.  -appellati e appellanti incidentali-

Svolgimento del processo

Con sentenza n. __ del __ il Tribunale di Catania accoglieva la domanda proposta dalla curatela del fallimento della società C.I.C. S.r.l. in liquidazione e da D., T., R. e I. nei confronti di B. S.p.A., determinando in Euro __ il saldo positivo dei rapporti di conto corrente intrattenuti dalla società e garantiti da fideiussione degli altri attori e condannando la banca convenuta al pagamento in favore della curatela del fallimento del suddetto importo oltre interessi e spese del giudizio.

Con atto ritualmente notificato la banca interponeva appello avverso la succitata pronunzia deducendone l’erroneità per i motivi ivi esposti e chiedendone la riforma.

Si costituiva la curatela del fallimento della società suindicata contestando le ragioni poste a sostegno dell’appello e chiedendone il rigetto.

Si costituivano altresì i fideiussori della società fallita chiedendo il rigetto dell’appello. Proponevano altresì appello incidentale dolendosi della scorretta applicazione dell’art. 1194 c.c. e chiedendo la rinnovazione della CTU per la rielaborazione del saldo previa disapplicazione del criterio dettato dalla citata norma.

Con ordinanza del __ la Corte rigettava la richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata e la richiesta di nuova CTU contabile e rimetteva la causa ad udienza di precisazione delle conclusioni.

La causa era dunque chiamata all’udienza del __ nella quale, sulle conclusioni delle parti, era posta in decisione con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Motivi della decisione

Ragioni di ordine logico consigliano il preventivo esame del secondo motivo di appello in quanto idoneo, se fondato, a superare ed assorbire il primo motivo inerente alla prescrizione del diritto alla ripetizione delle rimesse solutorie.

Con il secondo motivo di appello la banca lamenta che parte attrice in primo grado ha prodotto gli estratti conto con continuità a far data dal __e che ciò nondimeno il primo giudice, violando il criterio di riparto dell’onere probatorio, ha optato per la prima rielaborazione del saldo proposta dal CTU nella sua relazione, sulla base di una inammissibile operazione di raccordo contabile volta a colmare la soluzione di continuità tra gli estratti conto prodotti da parte attrice.

Rileva che, pertanto, il primo giudice così facendo ha errato perché avrebbe dovuto invece recepire il secondo conteggio elaborato dal CTU sulla base degli estratti conto prodotti senza soluzione di continuità a far data dal __.

Chiede pertanto la riforma della sentenza gravata adottando il secondo ricalcolo del saldo del conto corrente elaborato dal CTU.

Osserva la Corte che il motivo è fondato.

Dall’esame della relazione redatta in primo grado dal CTU, dott. __, si rileva che gli estratti conto relativi al conto corrente ordinario n. __ presentavano una soluzione di continuità non essendo stato prodotto l’estratto conto relativo al mese di settembre __. Le annotazioni registrate riportavano quindi il saldo al __ e riprendevano poi con il saldo al __.

Il CTU ha quindi proceduto ad elaborare due ricalcoli: il primo riguardante il periodo dal __ in poi operando un raccordo -per differenza tra il saldo alla data del __ con quello in ripresa al __- che ha portato all’accertamento del saldo a credito della correntista di Euro __ riconosciuto nella sentenza gravata; ed un secondo ricalcolo partendo dal __ in poi ed escludendo il periodo antecedente, che ha portato all’accertamento di un saldo positivo di Euro __.

Orbene, per consolidato principio giurisprudenziale il correntista che agisca in giudizio chiedendo la ripetizione di somme indebitamene versate alla banca per effetto dell’illegittimità di interessi anatocistici, ultralegali, usurari, etc., è tenuto, in conformità ai criteri di riparto dell’onere probatorio, a produrre gli estratti conto comprovanti gli avvenuti versamenti e la mancanza della “causa debendi” (v. Cass. 30822/18; 24948/17).

Ne consegue che laddove, come nel caso in esame, non vi sia continuità negli estratti conto prodotti, non è consentito procedere al ricalcolo dei rapporti di dare e avere sulla base di fittizie operazioni contabili volte a colmare le risultanze degli estratti conto mancanti che proprio perché mancanti non sono verificabili né ricostruibili se non a costo di pervenire ad arbitrarie operazioni di raccordo contabile.

Discende da ciò che la ricostruzione del saldo in un caso come quello oggetto del presente giudizio (in cui non è dato conoscere quale sia stata la movimentazione del conto nel mese in cui manca l’estratto conto) può essere effettuato solo partendo dalle annotazioni portate dal primo estratto conto disponibile (del __) senza soluzione di continuità sino all’estinzione del rapporto (comunque verificatasi a seguito dell’intervenuto fallimento).

L’avere quindi il primo giudice adottato il risultato del ricalcolo del CTU basato sul detto raccordo contabile volto a colmare la mancata verificazione dei dati registrati nell’estratto conto mancante, concreta, in effetti, una violazione dell’onere probatorio a carico degli attori in ripetizione e comporta un’errata statuizione circa l’importo dovuto a tale titolo dalla banca appellante.

Correttamente la banca ha quindi rilevato che il ricalcolo esatto è il secondo.

Il CTU, infatti, partendo dal __e sino al __ ha verificato la continuità degli estratti conto pervenendo così alla corretta rideterminazione del saldo a credito nell’importo di Euro __.

In riforma della sentenza gravata deve quindi accertarsi che il saldo a favore della curatela del fallimento è quello sopra indicato, con conseguente condanna al relativo pagamento da parte della banca appellata, oltre interessi nella misura statuita dal primo giudice (non oggetto di gravame).

Dall’accoglimento del superiore motivo di gravame consegue l’assorbimento del primo motivo.

Invero, la censura della banca attiene alla prescrizione delle rimesse solutorie relative al decennio antecedente alla proposizione della domanda di primo grado che è stata proposta con atto notificato il __ e quindi si riferisce alle rimesse antecedenti al __.

Poiché il ricalcolo esatto è, come detto, quello che parte dal __, resta assorbita la questione della prescrizione delle rimesse relative al periodo antecedente.

Resta, infine, da esaminare l’appello incidentale proposto dai fideiussori della società poi fallita.

Gli stessi lamentano l’errata applicazione da parte del primo giudice del criterio di imputazione di cui all’art. 1194 c.c.

Osserva la Corte che in relazione al gravame incidentale proposto, i suddetti appellanti sono privi di interesse ad agire (v. Cassazione civile sez. I, 01/03/2010, n.4830) avuto riguardo all’accertato saldo a credito della società fallita -e per essa della curatela del fallimento appellata- e alla natura dispositiva della norma di cui si censura la violazione.

In nessun caso, infatti, gli appellanti incidentali possono giovarsi della chiesta riforma della sentenza gravata, stante l’accertamento del credito -e non di un debito- della società da loro garantita, unica legittimata a far valere -cosa che non ha fatto- la dedotta violazione.

Va, altresì rilevato che gli appellanti incidentali dopo aver precisato le conclusioni all’udienza del __ riportandosi a quelle formulate nell’atto di costituzione, nella memoria conclusionale ex art. 190 c.p.c. hanno rinunciato all’appello incidentale riconoscendo che il diritto alla ripetizione delle somme predette compete solo alla curatela del fallimento.

Orbene, prescindendo dalla tardività della superiore rinuncia, la stessa, comunque, concreta all’evidenza una rinuncia all’azione basata sul riconoscimento della carenza di interesse in relazione al motivo di gravame incidentale. Per costante principio di diritto la rinunzia all’azione non è soggetta all’accettazione della controparte perché produce effetti in tutto equivalenti ad una pronuncia di rigetto nel merito della domanda cui consegue l’applicazione del regime della soccombenza in ordine alle spese processuali (v. Cass, 5250/18).

Tenuto conto dell’esito complessivo del giudizio e del fatto che l’accoglimento dell’appello e la consequenziale riforma della sentenza gravata, vede comunque la banca appellante soccombente, seppur in minor misura, le spese dei due gradi del giudizio vanno compensate per un terzo con conseguente condanna della banca al pagamento in favore della curatela del fallimento appellata dei restanti due terzi.

Dette spese vanno liquidate in base ai criteri tabellari di cui al D.M. n. 55 del 2014 e succ agg. -tenuto conto del valore e dalla natura della causa, ed esclusa per il presente grado, la fase istruttoria/trattazione per mancanza di attività defensionale- nei valori minimi avuto riguardo alla non complessità del giudizio e quindi nei seguenti importi: per il primo grado in complessivi Euro __ che ridotti di un terzo sono pari a complessivi Euro __ oltre rimborso forfettario, iva e cpa; per il presente grado in complessivi Euro __ che ridotti di un terzo sono pari a complessivi Euro __ oltre rimborso forfettario, iva e cpa.

La valutazione complessiva dell’esito del giudizio e la soccombenza in questo grado degli appellanti incidentali giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali tra gli stessi e la banca.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, nella causa iscritta al n. __ R.G. così dispone:

in accoglimento dell’appello proposto dalla B. S.p.A. avverso la sentenza n. __ emessa dal Tribunale di Catania il __ ed in riforma della suddetta pronunzia, determina in Euro __ il saldo positivo a favore della curatela del fallimento C.I.C. S.r.l. in liquidazione e condanna la banca appellante al pagamento del detto importo in favore della curatela del fallimento appellata, oltre interessi secondo quanto statuito nella sentenza appellata;

dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto da D., T., R. e I.;

compensa per un terzo le spese del giudizio tra la banca appellante e la curatela del fallimento appellata e condanna la prima al pagamento in favore della seconda dei restanti due terzi che liquida per il primo grado in complessivi Euro __ oltre rimborso forfettario, iva e cpa e per il presente grado in complessivi Euro __ oltre rimborso forfettario, iva e cpa;

compensa interamente le spese del giudizio tra la banca e gli appellanti incidentali.

Così deciso in Catania, il 8 novembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2019.

Corte d'Appello Catania Sez. I, Sent. 28_11_2019

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L’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di affitto di azienda

L’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di affitto di azienda

Tribunale Ordinario di Napoli, Sezione IX Civile, Sentenza del 02/12/2019

Con sentenza del 2 dicembre 2019, il Tribunale Ordinario di Napoli, Sezione IX Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione (ovvero delle altre materia sottoposte al rito speciale del lavoro, come il fitto di azienda) e quindi soggetta al rito del lavoro deve essere proposta con ricorso e, ove proposta erroneamente con citazione, questa può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte.


Tribunale Ordinario di Napoli, Sezione IX Civile, Sentenza del 02/12/2019

L’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di affitto di azienda

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale Ordinario di Napoli

IX SEZIONE CIVILE

Il Giudice, dott. __, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. __ R.G. decisa mediante lettura del dispositivo contestuale alla motivazione, ai sensi dell’art. 429 c.p.c. all’udienza del __

TRA

V. – Opponente – attore in riconvenzionale

E

D. – Opposto

Oggetto: Pagamento del corrispettivo – Indennità di avviamento – Ripetizione di indebito.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso depositato il __ D. chiedeva al Tribunale di Napoli ingiungersi a V., quale titolare della ditta individuale V., il pagamento della complessiva somma di Euro __, oltre interessi e spese e competenze della procedura.

A fondamento della pretesa avanzata la ricorrente deduceva di avere concesso in locazione a V., con contratto del __, un locale terraneo sito in __ per uso di vendita al dettaglio di prodotti tessili e per un canone di Euro __ mensili; che il conduttore si rendeva moroso nel pagamento dei canoni dovuti da __ a __: di qui la richiesta di ingiunzione di pagamento della complessiva somma di Euro __.

Con decreto n. __ del __ il Tribunale di Napoli accoglieva il ricorso, ingiungendo il pagamento della chiesta somma di Euro __, oltre gli interessi e le spese e competenze di procedura.

Il decreto ingiuntivo era notificato il __.

Con atto notificato il __ V. proponeva opposizione al decreto suddetto deducendo l’improponibilità del ricorso; nel merito chiedeva accertarsi l’infondatezza giuridica della pretesa di D. e conseguentemente, provvedere alla revoca del decreto ingiuntivo opposto non avendo la stessa fornito la prova scritta del suo presunto credito; accertarsi e dichiararsi l’inadempimento contrattuale di D. e, in accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale, condannare la stessa al pagamento della complessiva somma di Euro __ così specificata: Euro __ per mancato guadagno per il periodo da __ a febbraio __; Euro __ quale ristoro della pena pecuniaria inflittagli il __, o a quella diversa somma che dovesse essere accertata in corso di causa.

La causa era iscritta a ruolo il __.

All’udienza del __, D., costituitasi regolarmente, preliminarmente eccepiva la tardività dell’opposizione proposta perché, pur essendo stata la citazione notificata nel termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, la stessa non era stata iscritta a ruolo nel medesimo termine trattandosi di fattispecie regolata dal rito del lavoro. Nel merito impugnava le richieste avanzate dall’opponente, deducendone l’infondatezza e chiedeva il rigetto della proposta opposizione, previa conferma del decreto ingiuntivo opposto, con declaratoria di inammissibilità della spiegata riconvenzionale.

Il giudice dopo aver concesso la provvisoria esecuzione dell’opposto decreto ingiuntivo, mutava il rito, fissando il termine di 15 gg per avviare la mediazione e rinviava all’udienza del __ con termine a parte opponente sino a 30 gg prima e a parte opposta fino a 10 gg prima per integrare gli atti medianti deposito di comparse e documenti in cancelleria.

Dopo aver depositato domanda di mediazione del __, parte opponente con note autorizzate depositate il __, chiedeva che, nel merito, fosse accertata l’infondatezza giuridica della pretesa di D., e che si provvedesse alla revoca del decreto opposto non avendo la stessa fornito la prova scritta del suo presunto credito. Chiedeva, altresì, accertarsi e dichiararsi l’inadempimento contrattuale di D. e, in accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale, condannarsi la stessa al pagamento della complessiva somma di Euro __ come specificata. Il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio. In via subordinata ed in caso di accoglimento dell’eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale sollevata dalla controparte, l’opponente eccepiva che l’eventuale dichiarazione di inammissibilità della stessa non impediva al giudice di considerare i fatti (o i rapporti giuridici) dedotti a suo fondamento nella più limitata ottica dell’eccezione, al limitato effetto di impedire l’accoglimento della domanda avversaria.

L’opposta, con memoria integrativa depositata il __, concludeva chiedendo preliminarmente ed in via assorbente dichiarare l’improcedibilità della proposta opposizione per non aver adempiuto l’opponente all’ordine del Giudice di proporre domanda di mediazione ovvero per essere trascorsi i termini fissati dalla legge per l’espletamento della procedura conciliativa. Sempre in via preliminare, chiedeva al Tribunale di affermare la tardività della proposta opposizione e, conseguentemente, dichiarare inammissibile la stessa e la riconvenzionale spiegata e confermare il decreto ingiuntivo N. __ del Tribunale di Napoli e la già concessa esecutorietà del provvedimento. Con vittoria di spese ed onorari, con inasprimento per la temerarietà dell’opposizione, con vittoria di spese ed attribuzione ai procuratori anticipatari.

All’odierna udienza del __ la causa è decisa ex art. 429 c.p.c.

Tanto premesso la questione preliminare di rito di tempestività dell’opposizione a decreto ingiuntivo è fondata.

Ed infatti è pacifico che “l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione (ovvero delle altre materia sottoposte al rito speciale del lavoro, come il fitto di azienda) e quindi soggetta al rito del lavoro deve essere proposta con ricorso e, ove proposta erroneamente con citazione, questa può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte” (cfr. Cassazione civile, sez. III, 02 aprile 2009, n. 8014; Cassazione civile, 14.03.1991, n.2714).

Nello stesso modo si esprime Cass Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27343 del 29/12/2016 secondo cui “L’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione, come tale soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., deve essere proposta con ricorso, sicché, ove promossa erroneamente con citazione, questa può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine previsto dall’art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che, entro tale data, sia stata notificata alla controparte”. (conforme Cass sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21671 del 19/09/2017).

Il principio è stato di recente ribadito da Cass sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7071 del 12/03/2019 secondo cui “L’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di controversie locatizie, come tale soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., che sia erroneamente proposta con citazione, deve ritenersi tempestiva, se entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c. avvenga l’iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria dell’atto di citazione, non potendo trovare applicazione l’art. 4 del D.Lgs. n. 150 del 2011, il quale concerne i giudizi di primo grado erroneamente introdotti in forme diverse da quelle prescritte da tale decreto legislativo e non anche i procedimenti di natura impugnatoria, come l’opposizione a decreto ingiuntivo”.

Orbene, la causa verte in materia locatizia, perché il petitum e la causa petendi attengono al mancato pagamento di canoni di locazione relativi ad immobile sito in __ registrato il __ tra D. (locatrice) e V. (conduttore).

Nel caso in esame con atto di citazione notificato in data __ V. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di Napoli il __ e notificato il __.

La causa è stata iscritta a ruolo il giorno __, mentre il termine ultimo di quaranta giorni concesso per legge (art. 641 c.p.c.). per proporre tempestiva opposizione scadeva il __.

Ne consegue l’inammissibilità della proposta opposizione a decreto ingiuntivo e la conferma del decreto ingiuntivo già provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c.

Va dichiarata inammissibile la domanda riconvenzionale articolata da V., che va eventualmente proposta in separato giudizio.

Tanto in conformità a Cassazione 2016 n 10927 secondo la quale “Nel rito del lavoro l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dall’opponente (che però ha la veste sostanziale di convenuto) deve avere il contenuto della memoria difensiva ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e quindi l’opponente deve compiere tutte le attività ivi previste, a pena di decadenza; pertanto, egli è tenuto a proporre con l’opposizione le eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d’ufficio, e le domande riconvenzionali, oltre a indicare i mezzi di prova e produrre i documenti, non dissimilmente da quanto è previsto per ogni convenuto nel rito del lavoro” ( cfr. altresì Cass. 1458/2005, 13467/2003, 3115/1998).

Né vale richiamare in senso contrario Cass. 9442/2010, che, in fattispecie di opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia, ha effettivamente fatto applicazione del diverso principio secondo cui l’inammissibilità dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non osta a che l’opposizione medesima produca gli effetti di un ordinario atto di citazione, nel concorso dei requisiti previsti dagli artt. 163 e 163 bis c.p.c., con riguardo alle domande che essa contenga, autonome e distinte rispetto alla richiesta di annullamento e revoca del decreto (cfr. per tutte, Cass. Sez. Un. 2387/1982).

L’applicazione di tale principio, però, non è appropriata, poiché esso è stato affermato dalla Corte di Cassazione con riferimento al rito ordinario anteriore alla modifica dell’art. 166, secondo comma, c.p.c. introdotta con l’art. 3 D.L. 21 giugno 1995, n. 238, reiterato con l’art. 3 D.L. 9 agosto 1995, n. 347, nonché con l’art. 3 D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, conv. dalla L. 20 dicembre 1995, n. 534: rito che all’epoca non prevedeva la necessità (prevista esclusivamente per il rito speciale del lavoro) di proporre la domanda riconvenzionale, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. Né, ancora, vale al ricorrente richiamare quei precedenti in cui è stato affermato che l’inammissibilità o improcedibilità dell’opposizione non preclude la possibilità di riproporre la domanda riconvenzionale in un successivo, distinto giudizio (cfr. Cass. 11602/2002, 1928/1981, 6355/1980, 185/1974), perché nulla osta a detta successiva riproposizione.

Va accolta la domanda ex art. 96 c.p.c. avanzata dalla opposta , attesa la colpa grave nell’azionare opposizione tardiva, palesemente inammissibile , per ragioni anche dilatorie e per l’effetto va pronunciata condanna di V. al pagamento in favore di D. di Euro __, somma equitatamente determinata pari ad una frazione di __ delle spese legali liquidate come compenso in dispositivo (cfr. Cass sez. 3 – , Ordinanza n. 17902 del 04/07/2019 In tema di responsabilità aggravata, la determinazione equitativa della somma dovuta dal soccombente alla controparte in caso di lite temeraria non può essere parametrata all’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001 – il quale, ha natura risarcitoria ed essendo commisurato al solo ritardo della giustizia, non consente di valutare il comportamento processuale del soccombente alla luce del principio di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c., laddove la funzione prevalente della condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è punitiva e sanzionatoria -, potendo essere calibrata su una frazione o un multiplo delle spese di lite con l’unico limite della ragionevolezza).

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo di ufficio, in mancanza del deposito di apposita nota ai sensi dell’art. 75 disp. att. c.p.c., in virtù del D.M. n. 55 del 2014 e del D.M. n. 37 del 2018, considerando le riduzioni per essere il processo privo di attività istruttoria e chiusosi con pronuncia di puro rito. La pronuncia avviene con distrazione in favore degli avvocati PIACENTE TERESA e PIACENTE LUIGI, procuratori dichiaratisi anticipatari nelle note di discussione.

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

  1. DICHIARA inammissibile perché tardiva l’opposizione e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di Napoli il del __ già dichiarato esecutivo con ordinanza del __;
  2. Condanna V. al pagamento in favore di D. di importo di Euro __, somma equitatamente determinata ex art. 96 c.p.c.;
  3. Condanna V. al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro __ per compensi ed Euro __ per spese, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA con distrazione in favore de degli avvocati __ procuratori anticipatari.

Così deciso in Napoli, il 2 dicembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2019.

 

Tribunale Napoli Sez. IX Sent. 02_12_2019

 

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Dichiarazione di saldaconto costituisce prova scritta idonea ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo

Dichiarazione di saldaconto costituisce prova scritta idonea ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo

Tribunale Ordinario di Rimini, Sezione Unica Civile, Sentenza del 30/11/2019

Con sentenza del 13 novembre 2019, il Tribunale Ordinario di Parma, Sezione II Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che riguardo ai contratti bancari, ai sensi dell’art. 102 della L. 7 marzo 1938 n. 141, la dichiarazione di saldaconto costituisce prova scritta idonea ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo; tale prova scritta, già di per sé idonea a legittimare l’emissione del decreto ingiuntivo, risulta ulteriormente corroborata dalla produzione del contratto di finanziamento e del piano di ammortamento, documenti anche questi idonei a comprovare, quantomeno nella fase monitoria, la sussistenza del credito certo liquido ed esigibile.


Tribunale Ordinario di Rimini, Sezione Unica Civile, Sentenza del 30/11/2019

Dichiarazione di saldaconto costituisce prova scritta idonea ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI

Sezione Unica CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. __

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. __ promossa da:

G.- opponente

nei confronti di

B. Soc. Coop. – opposta

con l’intervento di

C. S.p.A. – terza intervenuta

avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato ed iscritto a ruolo in data __ G. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. __ notificatogli in data __ con il quale gli era stato ingiunto il pagamento entro quaranta giorni della somma di Euro __ oltre interessi e spese legali del procedimento monitorio in favore di B. Soc. Coop. chiedendo che, in via preliminare, non fosse concessa la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto e che, nel merito, ne fosse disposta la revoca in ragione della nullità del provvedimento monitorio e dell’insussistenza del credito azionato; in via riconvenzionale l’opponente ha chiesto che fosse accertata la violazione dei principio di buona fede e correttezza contrattuale e che, conseguentemente, l’Istituto bancario opposto fosse condannato a risarcirgli i danni subiti nella misura di Euro __ o nella diversa misura ritenuta di giustizia per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi; in via subordinata l’opponente ha chiesto che, in ipotesi di accertamento dell’esistenza di un credito della Banca opposta nei suoi confronti, lo stesso fosse compensato con quanto dovutogli a titolo di risarcimento del danno. A sostegno della spiegata opposizione G. ha allegato che il decreto ingiuntivo opposto traeva origine da un finanziamento che egli aveva ottenuto dall’Istituto bancario opposto unitamente al defunto avv. C.; che a seguito del decesso dell’avv. C. l’eredità era stata rinunciata dal coniuge, sig.ra A., ed accettata con beneficio di inventario dalla stessa sig.ra A. nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore V.; che l’Istituto opposto non si era insinuato nella procedura dell’eredità beneficiata; che egli aveva provveduto al regolare versamento dei canoni fino al __; che egli aveva poi chiesto di addivenire ad una soluzione bonaria con l’opposta alla luce dell’intervenuto decesso del condebitore; che con comunicazione in data __ l’opposta aveva manifestato la disponibilità ad accettare un pagamento omnicomprensivo di Euro __ entro __ giorni; che peraltro già in data __ l’opposta aveva depositato il ricorso per decreto ingiuntivo poi concesso ed opposto; che inoltre l’opposta lo aveva segnalato alla Centrale Rischi nonostante egli avesse fatto pervenire all’opposta documentazione attestante il proprio stato di invalidità al 100% e la volontà della società L. S.n.c. di affittare l’azienda nella disponibilità dell’opponente per un canone annuale di Euro __; che, in sede monitoria, l’opposta non aveva dato prova idonea del credito allegato; che il contratto di finanziamento fra le parti doveva essere considerato parzialmente nullo quanto alla clausola di determinazione dell’interesse ultra-legale mediante rinvio alla facoltà di variazione riconosciuta all’Istituto di credito; che la condotta tenuta dall’opposta violava i principi di buona fede e correttezza contrattuale; che la segnalazione alla Centrale Rischi gli aveva cagionato una pluralità di danni patrimoniali.

Si è costituita la B. Soc. Coop. che ha contestato la fondatezza dell’opposizione evidenziando che il finanziamento cointestato all’opponente ed al defunto avv. C. presentava rate non pagate da __; che il ricorso per decreto ingiuntivo era stato depositato pochi giorni prima che pervenisse la proposta conciliativa dell’opponente; che comunque alla scadenza del termine di __ giorni di efficacia della proposta transattiva della Banca opposta G. non aveva effettuato alcun pagamento; che la segnalazione a sofferenza era stata effettuata solo in data __ dopo attenta valutazione della complessiva situazione finanziaria della cointestazione; che G. non era proprietario di alcun bene immobile.

All’udienza del __ era concessa la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto ed era concesso alle parti termine per l’avvio della procedura di mediazione obbligatoria che aveva esito negativo. I Procuratori delle parti erano autorizzati al deposito delle memorie di cui all’art. 183 sesto comma c.p.c.; con ordinanza in data __ la causa era ritenuta matura per la decisione ed era fissata udienza di precisazione delle conclusioni e discussione ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c. con termine per note conclusive. All’udienza del __ il Procuratore di parte opposta faceva presente che era in corso di perfezionamento la cessione del credito per cui era causa e chiedeva disporsi un rinvio per consentire l’intervento ex art. 111 c.p.c. alla cessionaria. Con comparsa depositata in data __ è intervenuta la C. S.p.A. quale procuratrice speciale della cessionaria del credito P. S.r.l. aderendo alle domande, allegazioni ed eccezioni di parte opposta. All’udienza del __ la presente controversia, all’esito della precisazione delle conclusioni e della discussione orale dei Procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c.

Motivi della decisione

L’opposizione risulta infondata e deve essere respinta: con specifico riguardo al credito azionato in via monitoria da parte opposta si evidenzia infatti, in primo luogo, che non risulta in discussione fra le parti che, con decorrenza da __non siano più state pagate le rate semestrali del contratto di finanziamento pacificamente stipulato fra l’opposta, da un lato, e l’opponente nonché il defunto avv. C., dall’altro lato.

In secondo luogo si rileva che, in via preliminare, G. lamenta il mancato esercizio da parte opposta di azioni nei confronti della procedura di liquidazione concorsuale dell’eredità beneficiata del defunto avv. C.: la censura risulta ininfluente atteso che il contratto di finanziamento stipulato fra le parti prevede espressamente che “La parte mutuataria per sé e propri eredi ed aventi causa si obbliga in via solidale ed indivisibile fra loro a restituire la indicata somma” (cfr. doc. II di parte opposta – fascicolo opposizione – art. 2) con la conseguenza che trattandosi di obbligazione esplicitamente qualificata dalle parti come solidale ed indivisibile la creditrice poteva legittimamente chiedere l’adempimento per la totalità del credito ad uno solo dei condebitori secondo quanto previsto dall’art. 1292 c.c. e con l’ulteriore conseguenza che G. nulla può lamentare sotto questo profilo. Ancora in via preliminare G. lamenta l’insufficienza della prova documentale offerta da parte opposta a riscontro della pretesa azionata in via monitoria e la conseguente nullità del decreto ingiuntivo opposto: anche tale censura non può essere condivisa essendo stati allegati al ricorso monitorio a) l’originale della dichiarazione di saldaconto, b) il piano di ammortamento e c) la copia del contratto di finanziamento; ai sensi dell’art. 102 L. n. 141 del 1938 la dichiarazione di saldaconto costituisce prova scritta idonea ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo (cfr. da ultimo Cass. 14357/19 ed in precedenza in senso conforme Cass. 14640/18, Cass. 21092/16 e Cass. 6705/09); tale prova scritta, già di per sé idonea a legittimare l’emissione del decreto ingiuntivo, risulta ulteriormente corroborata dalla produzione del contratto di finanziamento e del piano di ammortamento, documenti anche questi idonei a comprovare, quantomeno nella fase monitoria, la sussistenza del credito certo liquido ed esigibile dell’opposta (arg. Cass. 26246/17). Ne discende che, sotto il profilo formale, deve ritenersi la piena legittimità dell’emissione del provvedimento monitorio opposto.

Nel merito G. lamenta l’inesattezza dell’importo ingiuntogli in forza della nullità della clausola relativa alla pattuizione di un tasso interesse superiore a quello legale in quanto correlata ad uno ius variandi riservato alla banca equiparabile alle cd. “condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” già valutate in termini di nullità dal Supremo Collegio: la censura risulta mal posta in quanto non ha riguardo alla clausola con la quale viene pattuita l’applicazione del tasso ultra-legale variabile collegato all’andamento dell’Euribor (che recita Il tasso di interesse annuo nominale posticipato che la parte mutuataria si obbliga a corrispondere alla Banca sulla somma o residuata somma è oggi convenuto nella misura del 3,05% (tre virgola zerocinque percento). Con decorrenza 1 gennaio e 1 luglio di ogni anno la Banca varierà il predetto tasso e conseguentemente le rate di ammortamento a scadere, applicando, tempo per tempo, un tasso pari all’Euribor 6 mesi media mese precedente, così come riportato da Il Sole 24 Ore, (utilizzando due decimali con arrotondamento ai cinque centesimi superiori), più uno spread di 2,00 punti, stabilito comunque che a partire dal 31/12/2009 il tasso da corrispondere in ogni caso non sarà inferiore al 3,50% (tre virgola cinquanta percento). La Banca, nell’apportare variazioni al tasso di interessi in funzione del variare del succitato indicatore si atterrà, per quanto concerne le relative modalità di comunicazioni al mutuatario, alle disposizioni vigenti in materia di trasparenza (D.Lgs. n. 385 del 1993)) bensì all’ulteriore facoltà per la banca, espressamente contemplata dall’art. 118 T.U.B. e puntualmente richiamata nel contratto, di variare le condizioni di tasso, aumentando lo spread che viene applicato sull’Euribor, e/o ogni eventuale altro prezzo e condizione, qualora sussista un giustificato motivo ed a patto che ciò avvenga con opportuna comunicazione secondo le modalità previste dalla legge. Tale previsione non solo non risulta in alcun modo equiparabile al rinvio alle “condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” come allegato da parte opponente a pag. 11 dell’atto di citazione ovvero al rinvio agli usi di cui all’art. 117, comma 6, T.U.B., ma risulta pienamente conforme al disposto di cui all’art. 118 T.U.B. e non risulta in alcun caso idonea ad incidere sulla determinatezza e determinabilità del tasso di interesse applicabile al contratto di finanziamento che rimane disciplinato dalla previsione della clausola 3 più sopra citata. Si tratta, infatti, della diversa e lecita facoltà attribuita al mutuante di modificare il tasso di interesse in presenza di giustificato motivo; si rileva, inoltre, che nel caso di specie parte opponente non ha allegato che tale facoltà sia stata esercitata e dalle risultanze istruttorie positivamente acquisite non emerge in alcun modo che la stessa sia stata esercitata, ciò che esclude, in radice, la rilevanza dell’eccezione nell’ambito della presente opposizione (nel senso che la facoltà non sia stata esercitata depongono i dati contenuti nel piano di ammortamento – doc. I di parte opposta – fascicolo opposizione).

Si deve, a questo punto, esaminare la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni azionata dal G. nei confronti di parte opposta e fondata sulla violazione dei canoni di buona fede e correttezza contrattuale da parte della B. per aver segnalato alla Centrale dei Rischi la sofferenza della propria posizione debitoria: il Supremo Collegio ha, infatti, chiarito che ai fini della legittimità di tale segnalazione è necessaria una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come deficitaria, ovvero come di ‘grave difficoltà economica (cfr. Cass. 26361/14 che ha ravvisato tale condizione nella sospensione dei pagamenti protrattasi per diversi mesi, cfr. anche Cass. 15609/14 e Cass. 7958/09). Nel caso di specie può ritenersi positivamente acquisito che l’ultima rata semestrale effettivamente pagata del piano di rimborso del finanziamento concesso dall’Istituto bancario opposto all’opponente ed all’avv. C. è stata quella di __, mentre non trova alcun riscontro probatorio l’affermazione contenuta nel doc. 4 di parte opponente secondo la quale sarebbero state pagate anche le rate di __ e __; ne discende che, per quanto positivamente acquisito nell’ambito del presente giudizio, al __, quando è stata effettuata la segnalazione alla Centrale Rischi, l’inadempimento del debitore si era protratto per oltre un anno. Tale circostanza, ad avviso di questo giudicante, legittimava una valutazione complessiva della condizione economica di G. e dell’eredità del condebitore avv. C. (relativamente a quest’ultima lo stesso legale di G. ammette nel __ la sussistenza di una grave e perdurante situazione di difficoltà finanziaria – cfr. doc. 4 di parte opponente) in termini di grave difficoltà e non di temporanea crisi di liquidità anche alla luce della stessa documentazione offerta da G. attestante (già da __ – cfr. doc. 6 di parte opponente) il suo stato di invalidità al 100% che, in assenza di beni immobiliari di proprietà, lasciava legittimamente supporre la sua incapacità di produrre redditi idonei a soddisfare il creditore (rimborso di oltre Euro __ all’anno). In senso contrario non vale far leva sulla dichiarazione di intenti finalizzata all’affitto dell’azienda nella disponibilità della società di cui G. era socio amministratore unitamente al defunto avv. C. in quanto, da un lato il soggetto persona fisica G. è distinto ed autonomo rispetto al soggetto persona giuridica R. S.r.l. e, d’altro lato, si tratta di documento successivo di oltre __ mesi all’ultimo pagamento effettuato dall’opponente e comunque successivo rispetto alla segnalazione, pertanto ininfluente rispetto alla situazione valutata dall’Istituto bancario al momento della segnalazione. Si rileva, in ogni caso, che trattasi di mera dichiarazione di intenti e che nell’ambito del presente giudizio non è stato documentato il perfezionamento di alcun contratto. Neppure vale far leva sull’esito della procedura esecutiva avviata da altra società di cui G. era socio innanzi al Tribunale di Ravenna in quanto anche di tale esito non si ha alcun riscontro probatorio oltre a dover nuovamente rilevare la distinzione fra la persona fisica G. e la persona giuridica R. S.r.l. di cui G. era socio. Si rileva, ancora, che il debito residuo, pur in assenza di effettiva e circostanziata contestazione dello stesso da parte di G., non è stato pagato neppure a fronte dell’emissione del decreto ingiuntivo e neppure in pendenza dell’opposizione. Si osserva infine che non è stata fornita alcuna prova del fatto che G. abbia effettivamente subito un danno in conseguenza della segnalazione alla Centrale Rischi operata da B. (al di là delle affermazioni contenute nell’atto di citazione, nessun riferimento ai danni subiti è contenuto nella memoria ex art. 183 sesto comma n. 2 c.p.c. e si rileva che parte opponente non ha depositato alcuna nota conclusiva) avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che anche il danno da illegittima segnalazione alla Centrale Rischi deve essere allegato e provato e non può ritenersi in re ipsa (cfr. Cass. 31537/18 e Cass. 7594/18).

Residua la pronuncia in ordine alle spese di lite che, secondo la regola generale (art. 91 c.p.c.) seguono la soccombenza e che, avuto riguardo alla relativa semplicità della questione oggetto del giudizio, alle attività processuali effettivamente espletate ed al valore della causa, sono liquidate in complessivi Euro __ oltre rimborso spese generali, IVA (se dovuta) e CNPA secondo quanto previsto dai valori medi della Tabella A allegata al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018 diminuiti del 50% solo con riferimento alla fase di trattazione ed istruttoria non essendo stata di fatto espletata alcuna attività istruttoria Euro __ per fase di studio + Euro __ per fase introduttiva + (Euro __: 2) Euro __ per fase di trattazione ed istruttoria + Euro ___ per fase decisionale.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) Respinge l’opposizione e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo n. __;

2) Condanna l’opponente a rifondere all’opposta le spese di lite liquidate in complessivi Euro __ oltre rimborso spese generali, IVA (se dovuta) e CNPA.

Così deciso in Rimini, il 28 novembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2019.

Tribunale Rimini Sez. Unica Sent. 30_11_2019

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Concordato preventivo con riserva: contratti ancora pendenti tra le parti

Concordato preventivo con riserva: contratti ancora pendenti tra le parti

Tribunale Ordinario di Parma, Sezione II Civile, Sentenza del 13/11/2019

Con sentenza del 13 novembre 2019, il Tribunale Ordinario di Parma, Sezione II Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che al concordato preventivo con riserva non si applica l’art. 72 L.F. (R.D. n. 267 del 1942) che prevede la sospensione ex lege dei contratti ancora pendenti tra le parti al momento della dichiarazione di fallimento, bensì l’art. 169 bis L.F., il quale attribuisce al debitore che ha chiesto la concessione dei termini di cui all’art. 161, comma 6, c.p.c. la facoltà di chiedere al Tribunale l’autorizzazione a sciogliersi o a sospendere i contratti pendenti alla data di presentazione del ricorso. In caso contrario, i contratti continuano ad essere validi ed efficaci.


Tribunale Ordinario di Parma, Sezione II Civile, Sentenza del 13/11/2019

Concordato preventivo con riserva: contratti ancora pendenti tra le parti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PARMA

SEZIONE SECONDA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. __

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al N. __ R.G. promossa da:

S. S.r.l. in liquidazione in concordato preventivo – attore

contro

C. S.p.A. – convenuta

in punto: restituzione a favore della società ammessa al concordato delle somme incassate dall’Istituto di credito nelle more della decorrenza dei termini di cui all’art. 161 comma sesto L.F.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione di data __ S. S.r.l. in Liquidazione in concordato preventivo conveniva in giudizio C. S.p.A. al fine di ottenerne la condanna alla restituzione, in suo favore, della somma di Euro __ (oltre interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002), lamentando che la Banca aveva illegittimamente trattenuto il ridetto importo in compensazione, nelle more della decorrenza dei termini di cui all’art. 161 comma sesto L.F., in forza del Contratto di concessione di linee di credito a fronte di presentazione di portafoglio e/o anticipi su presentazione documenti, n. (…), (Cfr. doc. 3 parte attrice) e del Contratto quadro di affidamento a breve termine, n. (…), entrambi privi di data certa e pertanto inopponibili alla procedura.

Si costituiva in giudizio P. S.r.l. in qualità di cessionaria del credito, deducendo che entrambi i contratti erano muniti di data certa a mezzo dell’apposizione del timbro postale, che le somme per cui è causa erano state dedotte in compensazione dalla Banca a titolo di meri rientri di portafoglio in epoca antecedente all’ammissione della società alla procedura di concordato, nonché la mancanza nella visura della data in cui il Conservatore del registro aveva provveduto ad annotare la pendenza dei termini di cui all’art. 161 comma sesto L.F.

La causa veniva istruita solo documentalmente e, all’esito, precisate le conclusioni, veniva trattenuta a sentenza con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Al fine di decidere la presente controversia, occorre affrontare essenzialmente le tre seguenti questioni di diritto: l’individuazione del dies a quo rilevante ai fini della produzione dei c.d. “effetti prenotativi” del concordato in bianco o con riserva, i presupposti in forza dei quali la data apposta su una scrittura privata possa definirsi “certa” ed infine la legittimità/illegittimità delle compensazioni poste in essere dalla Banca.

Quanto alla prima questione, la norma di riferimento è costituita dall’art. 168 L.F., il quale statuisce che “Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore…”.

In altre parole, il legislatore ha espressamente chiarito che i c.d. “effetti prenotativi” del concordato con riserva (consistenti nel divieto di azioni esecutive e nell’applicabilità delle norme richiamate dall’art. 169 L.F.) si producono a far data dalla pubblicazione del ricorso di concessione dei termini di cui all’art. 161 comma sesto L.F. nel registro delle imprese.

Sul punto la Banca sembra sostenere che, poiché nell’annotazione leggibile nella visura camerale relativa al ricorso ex art. 161 comma sesto L.F. non è specificata la data in cui è stata materialmente compiuta la trascrizione, allora i c.d. “effetti prenotativi” devono farsi decorrere dal decreto di ammissione della società alla procedura di concordato.

L’assunto non è condivisibile.

Anzitutto perché si pone in palese contrasto con la previsione di cui agli artt. 168 e 169 L.F.

In secondo luogo perché, in assenza di prova contraria (a carico della parte che contesta la circostanza), deve presumersi che la pubblicazione sul registro imprese sia avvenuta il giorno in cui la cancelleria ha provveduto alla comunicazione.

Nel caso di specie, vi è in atti la prova che la cancelleria ha trasmesso la comunicazione relativa al ricorso ed al decreto di assegnazione dei termini all’ufficio del registro in data __, mentre la società veicolo convenuta si è limitata a contestare genericamente che non è dato sapere quando la trascrizione sarebbe avvenuta.

In applicazione dei principi dianzi espressi ed in assenza di una contestazione maggiormente circostanziata, deve pertanto presumersi che la pubblicazione di cui all’art. 168 L.F. sia avvenuta in data __, e poiché le somme per cui è causa sono state incassate dalla Banca tra __ e __, sono astrattamente revocabili.

Tuttavia, prima di verificare l’effettiva revocabilità degli incassi de quibus, è necessario stabilire se i contratti (e le clausole in essi contenute) siano o meno muniti di data certa e conseguentemente opponibili alla procedura.

La norma di riferimento è costituita dall’art. 2704 c.c., il quale statuisce che “La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”.

Tale norma, secondo la giurisprudenza di legittimità, non contiene un’elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data della scrittura privata non autenticata deve considerarsi certa e opponibile ai terzi, demandando all’interprete stabilire, caso per caso, se ad un fatto determinato possa essere attribuita efficacia probante.

Con particolare riferimento al timbro postale, la giurisprudenza si è ormai da tempo assestata nel ritenere che esso sia idoneo a conferire data certa “se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro, (…) perché la timbratura eseguita da un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita. Grava sulla parte che contesti la certezza della data di provare la redazione del contenuto della scrittura in un momento diverso; a tal fine basta la prova contraria non occorrendo far ricorso alla querela di falso” (cfr. Cass. sent. n. 13912/2007; in senso conforme anche Cass. sent. nn. 21814/2006; 9482/2002; 10873/1999; 8692/1990).

Si tratta quindi di definire quando un documento costituisca un corpo unico.

Ritiene questo giudice che tale condizione debba essere verificata caso per caso, esaminando il contenuto e la struttura del documento.

Esemplificativamente, può ragionevolmente ritenersi che un determinato documento costituisca un unicum in presenza di timbri di congiunzione, e/o quando la prima pagina indichi precisamente il numero di pagine dalle quali questo è composto e vi sia effettiva corrispondenza, e/o quando tra l’ultima parola di una pagina e la prima della pagina successiva vi sia consequenzialità logica e grammaticale, in modo tale da formare uno scritto anche contenutisticamente coerente ed unitario.

Nel caso di specie, i contratti scansionati e depositati telematicamente da entrambe le parti risultano dotati di timbro postale solamente sulla prima pagina, non risultano apposti i timbri di congiunzione, tuttavia proprio accanto al timbro postale è specificato il numero di pagine che compongono ciascun documento, pagine che risultano tutte effettivamente presenti e progressivamente numerate, tali per cui l’ultima parola di una pagina e la prima di quella successiva, e/o l’ultimo paragrafo di una pagina ed il primo di quella successiva, formano un testo logicamente e strutturalmente coerente ed unitario.

Peraltro, è appena il caso di rilevare che è incontestato tra le parti che i contratti per cui è causa abbiano avuto regolare esecuzione, ne è in discussione che siano state applicate condizioni e/o clausole non espressamente pattuite, di talché manca qualsiasi contestazione in ordine a qualsivoglia fatto anomalo tale da far ritenere che la redazione del contenuto delle due scritture sia avvenuta in un momento diverso dalla data impressa con il timbro postale.

Ne consegue pertanto che sia il Contratto di concessione di linee di credito a fronte di presentazione di portafoglio e/o anticipi su presentazione documenti, n. (…), sia il Contratto quadro di affidamento a breve termine, n. (…) risultano opponibili alla procedura, in quanto muniti di data certa rispettivamente in data __ e __.

Non resta quindi che decidere in ordine alla revocabilità o meno degli incassi delle posizioni creditorie eseguite dalla Banca cedente.

Dalla giurisprudenza dimessa in atti dalle parti, risulta chiaramente la complessità della questione da decidere, rendendo necessario capire se nel caso di specie rilevi la distinzione tra cessione di crediti e mandato all’incasso o se, piuttosto, la problematica trovi soluzione nella specificità strutturale del concordato con riserva e nella relativa normativa, nonché nella regolamentazione contrattuale in essere.

Com’è noto, la giurisprudenza ormai consolidata, ha chiarito che “l’elemento caratteristico di quest’ultima fattispecie la cessione di credito dev’essere individuato nel trasferimento immediato della titolarità del credito, in virtù del quale il cessionario diviene l’unico soggetto legittimato a pretendere il pagamento dal debitore ceduto, laddove nel mandato all’incasso viene conferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito, del quale resta titolare il mandante. Sebbene entrambe le figure possano essere utilizzate in funzione di garanzia, nel mandato irrevocabile all’incasso tale funzione si realizza in forma meramente empirica e di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo e della prevista possibilità che, al momento dell’incasso, il mandatario trattenga le somme riscosse, soddisfacendo cosi il suo credito, sicché gli atti solutori sono autonomamente revocabili, ai sensi dell’art. 67 della legge fall., indipendentemente dalla revocabilità del mandato” (cfr. Cass. nn. 21694/2018; 9387/2011; 7074/2005; 1391/2003).

Tale principio, seppur condiviso da questo Giudice, non è pertinente al caso specifico, alla luce delle peculiarità che lo contraddistinguono.

È infatti vero che, in virtù del richiamo operato dall’art. 169 L.F., dalla data di presentazione della domanda di concordato si applica, tra gli altri, anche l’art. 45 L.F. tale per cui “le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento rectius, dopo la presentazione della domanda di concordato, sono senza effetto rispetto ai creditori”, nonché l’art. 56 L.F., in tema di compensazione.

Tuttavia, nel caso di specie, la compensazione per cui è causa è stata applicata dalla Banca non in forza delle summenzionate disposizioni legislative, bensì di una espressa clausola contrattuale, contenuta in un contratto regolarmente stipulato tra le parti e rispetto al quale non risultano essere intervenute né la sospensione né lo scioglimento ex art. 169 bis L.F.

È infatti appena il caso di ricordare che al concordato preventivo con riserva non si applica l’art. 72 L.F. (sia perché non richiamato dall’art. 169 L.F. sia perché incompatibile con l’istituto in esame) che prevede la sospensione ex lege dei contratti ancora pendenti tra le parti al momento della dichiarazione di fallimento, bensì il già richiamato art. 169 bis L.F., il quale attribuisce al debitore che ha chiesto la concessione dei termini di cui all’art. 161 comma sesto c.p.c. la facoltà di chiedere al Tribunale l’autorizzazione a sciogliersi o a sospendere i contratti pendenti alla data di presentazione del ricorso.

In caso contrario, i ridetti contratti continuano ad essere validi ed efficaci, come deve ritenersi nella fattispecie oggi in esame, in assenza di allegazioni e/o prove contrarie sul punto.

Si tratta quindi di capire come il Contratto di concessione di linee di credito a fronte di presentazione di portafoglio e/o anticipi su presentazione documenti, n. (…), ed il Contratto quadro di affidamento a breve termine, n. (…) regolino i rapporti tra le parti.

In particolare, l’art. 1.1, pag. 4 del contratto di concessione di linee di credito a fronte di presentazione di portafoglio e/o anticipi su presentazione di documenti n. (…), statuisce che: “la linea di credito è utilizzabile, fino alla concorrenza dell’importo concesso e con le modalità previste in contratto, a fronte di presentazione di portafoglio allo sconto o a fronte di presentazione di portafoglio al salvo buon fine (s.b.f.), con conferimento del relativo mandato all’incasso s.b.f. (…)”.

Il successivo art. 2.6. a pag. 6 prevede che “la Banca porta le somme incassate in dipendenza della cessione a decurtazione o estinzione di quanto dovuto dal Cliente in dipendenza dell’utilizzo della linea di credito, dei relativi interessi e degli accessori”.

Il contratto quadro di affidamento nel breve termine, che espressamente poggia sul c/c n. (…), inoltre, all’art. 4.1 statuisce che “La Banca consente al Cliente di effettuare utilizzi sul conto corrente entro il limite dell’importo dell’apertura di credito concessa a condizione che il Cliente presenti al salvo buon fine (sbf) portafoglio commerciale”, nonché, al successivo art. 4.3: “…se invece accoglie il portafoglio presentato, attribuisce al medesimo la relativa valuta media e accredita il relativo importo sul conto corrente infruttifero bloccato. 4.4 Alla data di maturazione della valuta media, la Banca accredita salvo buon fine l’importo del portafoglio presentato sul conto corrente del Cliente a addebita di pari importo e con identica valuta il conto corrente infruttifero bloccato”.

Ancora, l’art. 2 pag. 11 prevede che “2.1. Con l’affidamento per anticipi su portafoglio, la Banca anticipa al Cliente l’importo del portafoglio che quest’ultimo presenta per l’incasso. 2.2. Il portafoglio è accolto dalla Banca salvo buon fine (s.b.f.) e pertanto il Cliente può disporre dell’importo accreditato solo ad avvenuto incasso dell’importo medesimo”.

In altre parole, le parti avevano stipulato un contratto di concessione di linee di credito a fronte di presentazione di portafoglio “salvo buon fine”, tant’è che in tutti gli accrediti eseguiti, in forza degli effetti presentati, dall’Istituto di credito nei confronti di S.A. vi è la specificazione “s.b.f.” (cfr. documenti depositati da parte attrice).

Tale precisazione è rilevante in quanto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che quando la clausola “salvo buon fine” è inserita in una pattuizione diretta a chiarire che l’Istituto di credito provvede ad anticipare la liquidità, salvo l’obbligo di restituzione, che si concretizza con il pagamento da parte del terzo dell’importo enunciato nei titoli (rectius: nel portafoglio) e diritto della banca di trattenere l’equivalente delle somme anticipate, integra a tutti gli effetti l’istituto della compensazione (cfr. Cass. 17999/2011).

Di qui la conclusione secondo cui la compensazione fatta valere dalla Banca non è quella disciplinata dall’art. 56 L.F. richiamato dall’art. 169 L.F., bensì quella contrattuale.

Ricapitolando, poiché nel caso di specie il diritto della Banca (alla quale è subentrata la società veicolo) di operare la compensazione è contrattualmente previsto, attraverso le clausole “salvo buon fine” contenute nel contratto di concessione di linee di credito a fronte di presentazione di portafoglio e/o anticipi su presentazione documenti, nonché in quello quadro di affidamento a breve termine, entrambi opponibili alla procedura, quanto trattenuto dalla Banca a tale titolo non può essere oggetto di restituzione.

Del resto tale principio è stato già espresso sia dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 3336/2016; 17999/2011), sia da quella di merito (cfr. in particolare Tribunale di Modena, sent. 01.03.2018).

Viceversa, la giurisprudenza di legittimità citata da parte attrice (Cass. 22277/2017) ha ad oggetto un caso in cui viene azionata la compensazione ex art. 56 L.F.; con riferimento, invece, alla giurisprudenza di merito citata sempre da parte attrice, trattasi di provvedimenti adottati dalle sezioni fallimentari dei Tribunali, proprio al fine di decidere in ordine all’autorizzazione alla sospensione e/o scioglimento di contratti di siffatta natura, e pertanto non pertinenti, e/o che comunque hanno ad oggetto la compensazione ex art. 56 L.F. e non quella contrattualmente prevista.

Pertanto, le compensazioni poste in essere dalla Banca in virtù dei contratti di cui sopra sono legittime e la domanda attorea risulta infondata e pertanto deve essere rigettata.

Per quanto riguarda la liquidazione delle spese, tenuto conto della presenza di orientamenti giurisprudenziali in materia che possono apparire non univoci, e considerati i principi espressi da Corte Cost. n. 77/2018, sussistono i presupposti per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando nella causa n. 2532/2018 R.G. promossa da S. S.r.l. in liquidazione, contro C. S.p.A., alla quale è subentrata la cessionaria P. S.r.l., ogni altra diversa domanda ed eccezione respinta:

RIGETTA le domande attoree;

compensa le spese di lite.

Così deciso in Parma, il 13 novembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2019.

 

Tribunale Parma Sez. II Sent. 13_11_2019

 

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L’estensione della prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali

L’estensione della prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 32417 del 11/12/2019

Con ordinanza dell’11 dicembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, in tema di fallimento e procedure concorsuali, ha stabilito che l’estensione della prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali, di cui all’art. 111, comma 2 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, costituisce un’eccezione al principio della “par condicio creditorum”, introdotta per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, e quindi priva di restrizioni, e la sua funzionalità è ravvisabile ogni qualvolta le prestazioni compiute dal terzo, per il momento e il modo con cui sono state assunte in un rapporto obbligatorio con il debitore, confluiscano nel disegno di risanamento da quest’ultimo predisposto, in modo da rientrare in una complessiva causa economico-organizzativa almeno preparatoria di una procedura concorsuale, a meno che non ne risulti dimostrato il carattere sovrabbondante o superfluo rispetto all’iniziativa assunta.


Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 32417 del 11/12/2019

L’estensione della prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. ___ R.G. proposto da:

F. – ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.r.l. in liquidazione – controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Arezzo depositato il __.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del __ dal Consigliere Mercolino Guido.

Svolgimento del processo

che il Dott. F. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso il decreto del __, con cui il Tribunale di Arezzo ha rigettato l’opposizione da lui proposta avverso lo stato passivo del (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, escludendo la prededucibilità del credito di Euro __, oltre IVA e CAP, da lui fatto valere ed ammesso al passivo in chirografo, a titolo di compenso per l’attività professionale prestata in favore della società fallita ai fini dell’elaborazione e della presentazione di una precedente domanda di ammissione al concordato preventivo;

che i curatori del fallimento hanno resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.

Motivi della decisione

che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 111, osservando che, nell’escludere che il credito fosse sorto in funzione del concordato preventivo, a causa della mancata omologazione del concordato, il decreto impugnato non ha tenuto conto della ratio della predetta disposizione, volta a promuovere l’impegno dei professionisti nei confronti di imprese in crisi, avendo erroneamente subordinato il riconoscimento della prededuzione alla verifica del risultato della prestazione o della sua concreta utilità per la massa, senza considerare che la domanda era stata ritenuta ammissibile, in quanto la procedura era stata dichiarata aperta;

che, nell’escludere la consecuzione tra le procedure, in virtù del tempo trascorso tra la presentazione della domanda di ammissione al concordato e la dichiarazione di fallimento, il Tribunale ha inoltre conferito rilievo ad un fatto mai eccepito dalle parti, senza concedere ad esso ricorrente la possibilità di difendersi e senza tener conto dell’intervenuta abrogazione del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, art. 11, comma 3-quater, la cui applicazione non poteva ritenersi d’altronde limitata ai soli casi in cui la dichiarazione di fallimento avesse fatto immediatamente seguito al rigetto della domanda di concordato;

che il ricorso è fondato;

che, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, il credito fatto valere da un professionista a titolo di compenso per l’assistenza prestata in favore del debitore ai fini della redazione e della presentazione di una domanda di concordato preventivo rientra de plano tra quelli sorti in funzione della procedura, e nel successivo fallimento deve essere pertanto soddisfatto in prededuzione, ai sensi della L.F., art. 111, comma 2, senza che ai fini di tale collocazione debba accertarsi, con valutazione ex post, se la prestazione resa sia risultata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (cfr. Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22467; 4/11/2015, n. 22450);

che, nel richiamare il predetto principio, il decreto impugnato ha reputato peraltro essenziale, ai fini del riconoscimento della strumentalità del credito, l’adeguatezza funzionale della prestazione rispetto agl’interessi della massa, affermando che, in tale prospettiva, la proposta di concordato elaborata con l’ausilio del professionista deve rivelarsi quanto meno ammissibile, cioè dotata di fattibilità giuridica, e negando pertanto che nella specie il credito potesse essere collocato in prededuzione, in virtù della constatazione che il concordato, pur dichiarato ammissibile e votato dai creditori, non era stato omologato per difetto di fattibilità giuridica della proposta;

che tale affermazione trova smentita in una recente pronuncia di questa Corte, che, in riferimento ad una fattispecie analoga quella in esame, in cui l’ammissione al concordato preventivo era stata revocata per difetto di fattibilità giuridica della proposta, ha ribadito il principio secondo cui la verifica del nesso di funzionalità/strumentalità deve essere compiuta controllando se l’attività professionale prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, indipendentemente dall’evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale;

che, a sostegno di tale conclusione, è stata posta in risalto la ratio dello art. 111, comma 2, osservandosi che l’estensione della prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali costituisce un’eccezione al principio della par condicio creditorum, introdotta per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, e quindi priva di restrizioni, e concludendosi quindi che la funzionalità è ravvisabile ogni qualvolta le prestazioni compiute dal terzo, per il momento e il modo con cui sono state assunte in un rapporto obbligatorio con il debitore, confluiscano nel disegno di risanamento da quest’ultimo predisposto, in modo da rientrare in una complessiva causa economico-organizzativa almeno preparatoria di una procedura concorsuale, a meno che non ne risulti dimostrato il carattere sovrabbondante o superfluo rispetto all’iniziativa assunta (cfr. Cass., Sez. I, 19/02/2019, n. 4859);

che, nella medesima ottica, non può ritenersi condivisibile l’affermazione del decreto impugnato, secondo cui, anche a voler valutare l’operato del professionista sotto il profilo dell’adempimento contrattuale, il compenso andrebbe escluso o ridotto, alla luce dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento, tenendo conto del fatto che l’attività prevista dall’incarico professionale, proprio a cagione dell’anticipato arresto della procedura di concordato, non sia stata portata a compimento;

che, con riguardo all’ipotesi in cui l’incarico del professionista sia culminato nella presentazione della domanda, cui abbia fatto seguito l’apertura della procedura, questa Corte ha infatti ritenuto che non possa negarsi la nascita del diritto al compenso in favore del professionista, chiarendo che l’eccezione di inadempimento eventualmente formulata dal curatore in sede di ammissione al passivo può trovare accoglimento solo in quanto sia stato precisato il concreto pregiudizio prodotto da eventuali inesattezze contenute nella domanda, posto che tali inesattezze non hanno pregiudicato l’astratta idoneità della stessa a realizzare il risultato dell’apertura del concordato (cfr. Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22467);

che, quanto infine al rapporto di consecuzione tra le procedure concorsuali, il cui accertamento non postula un’apposita eccezione di parte, trattandosi di un presupposto di fatto indispensabile per il riconoscimento della prededuzione, l’intervallo di tempo eventualmente intercorso tra la proposizione della domanda di concordato e l’apertura del fallimento non determina di per sé una soluzione di continuità fra le procedure, che costituiscono di norma espressione della medesima crisi economica dell’impresa, a meno che detto intervallo non costituisca uno degli elementi dimostrativi della variazione dei presupposti (soggettivi ed oggettivi) dell’unificazione delle procedure (cfr. Cass., Sez. I, 28/07/1999, n. 8164; 14/12/1998, n. 12536);

che, in applicazione dei predetti principi, il decreto impugnato va pertanto cassato, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Arezzo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato; rinvia al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019




Opposizione agli atti esecutivi: l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento

Opposizione agli atti esecutivi: l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento

Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 31090 del 28/11/2019

Con sentenza del 28 novembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione V, in tema di recupero crediti, ha stabilito che in materia di esecuzione forzata tributaria, l’opposizione agli atti esecutivi riguardante l’atto di pignoramento, che si assume viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli altri atti presupposti del pignoramento), è ammissibile e va proposta, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1 e art. 617 c.p.c., davanti al giudice tributario.


Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 31090 del 28/11/2019

Opposizione agli atti esecutivi: l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

C. S.r.l. – ricorrente –

contro

E. S.p.A. – intimata –

e da:

E. S.p.A. – controricorrente incidentale –

contro

A. S.r.l. – controricorrente all’incidentale

avverso la sentenza n. __ della COMM. TRIB. REG. di GENOVA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __ che ha concluso per il rigetto del ricorso con assorbimento del ricorso incidentale;

udito per il ricorrente l’Avvocato __ che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato __ per delega dell’Avvocato __ che si riporta agli atti.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. __ la CTP di Genova dichiara il difetto di giurisdizione del giudice tributario in relazione all’impugnativa proposta da C. avverso un pignoramento presso terzi eseguito da E. che lo aveva proposto con le modalità previste dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 72 bis, a seguito della morosità di varie cartelle.

Avverso tale decisione proponeva appello C. avanti alla CTR di Genova che lo rigettava.

Rilevava la correttezza della procedura seguita dall’ente di riscossione ai sensi dell’art. 72 bis la cui legittimità costituzionale era stata già vagliata dalla Corte Costituzione Nel merito sottolineava la correttezza del procedimento notificatorio risultano le cartelle debitamente notificate alla società contribuente che aveva sedi secondarie a Genova o mediante consegna a mani di una persona qualificatasi come addetta al ritiro o mediante successivo deposito alla casa comunale. Avverso tale decisione la società C. propone ricorso per cassazione affidato a 8 motivi cui resiste con controricorso E. e ricorso incidentale.

La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso.

Lamenta in particolare che la CTR non avrebbe spiegato le ragioni per le quali il giudice tributario si sarebbe spogliato del diritto a decidere relativamente ad un contenzioso riguardante non già il pignoramento quanto la liceità della richiesta del creditore a pignorare e quindi nella sostanza il titolo ad agire. Afferma infatti di aver appreso degli atti prodromici all’esecuzione solo con la notifica del pignoramento.

In relazione alla questione di giurisdizione la società concessionaria sviluppa un preciso motivo sostenendo il difetto di giurisdizione del giudice tributario ritenendo che le conclusioni del ricorso introduttivo sarebbero chiaramente indirizzate all’atto esecutivo non senza sottolineare che nell’atto di appello la contribuente oltre a contestare le modalità di pignoramento affermava la carenza dei titoli per iniziare la procedura esecutiva svolgendo una eccezione ex art. 615 c.p.c. estranea anche essa alla giurisdizione tributaria.

È dunque preliminare ad ogni altro aspetto sottoporre al vaglio della Corte l’esame di tale censura che investe il rito.

A tal fine occorre infatti considerare che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, demanda alla giurisdizione tributaria le contestazioni del titolo (normalmente, la cartella di pagamento) su cui si fonda la riscossione esattoriale. Pertanto, il contribuente che intenda contestare il titolo della riscossione coattiva, deve rivolgersi al giudice tributario mediante ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, (che può essere proposto avverso il ruolo e la cartella di pagamento). Saldando questa previsione a quella di cui al D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602, art. 57, comma 1, lett. a), – che pone il divieto di proporre opposizione all’esecuzione per contestare il diritto dell’amministrazione finanziaria o dell’agente della riscossione di procedere in executivis – si ottiene che, in tutti i casi in cui è esperibile il primo strumento di tutela, lo sbarramento alla proponibilità dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., non genera un vuoto di tutela del contribuente, ma è volto solamente ad evitare una tutela giurisdizionale concorrente. Dunque, precisa la Corte costituzionale, “l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., – che non è soggetta a termine di decadenza – in tanto non è ammissibile, come prescrive l’art. 57 citato, in quanto non ha, e non può avere, una funzione recuperatoria di un ricorso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, non proposto affatto o non proposto nel prescritto termine di decadenza”.

Sulla base di tali premesse, il citato art. 57, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui impedisce al contribuente assoggettato ad esecuzione forzata tributaria di ottenere tutela (innanzi al giudice ordinario in funzione di giudice dell’esecuzione) per ragioni che, essendo relative ad atti della procedura successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui al medesimo D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, non possono essere fatte valere innanzi alla giurisdizione tributaria con ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19.

Tale ricostruzione del sistema di tutela giurisdizionale del contribuente esecutato reca come corollario quello della inammissibilità delle opposizioni ex art. 615 c.p.c., che abbiano funzione recuperatoria di doglianze che potevano – e dovevano – farsi valere innanzi al giudice tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19. Là dove il contribuente esecutato possa far valere le proprie ragioni ricorrendo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, innanzi al giudice tributario, non vi è spazio per proporre, per le medesime ragioni, l’opposizione ex art. 615 c.p.c. Sotto l’aspetto letterale, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, secondo periodo, individua il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria nella notificazione della cartella di pagamento (ovvero, a seconda dei casi, dell’avviso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, dell’avviso cosiddetto impoesattivo o dell’intimazione di pagamento): prima di tale notifica la controversia è devoluta al giudice tributario, dopo, al giudice ordinario. La disposizione richiede dunque, per radicare la giurisdizione del giudice ordinario, la notificazione del titolo esecutivo (o degli altri atti costituenti presupposti dell’esecuzione forzata tributaria). Ne deriva che l’impugnazione di un atto dell’esecuzione forzata tributaria (come il pignoramento effettuato in base a crediti tributari) che il contribuente assume essere invalido perché non preceduto dalla suddetta notificazione integra una opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. nella quale si fa valere una nullità derivata dell’atto espropriativo (sulla riconducibilità di siffatta impugnazione all’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c., ex plurimis, Cass. n. 252 del 2008) e che è devoluta alla cognizione del giudice tributario, proprio perché si situa (beninteso, secondo la deduzione difensiva del contribuente) prima della notificazione in discorso. In questa prospettiva, ai fini della giurisdizione, non ha importanza se, in punto di fatto, la cartella (o un altro degli atti equipollenti richiesti dalla legge) sia stata o no effettivamente notificata: il punto attiene al merito e la giurisdizione non può farsi dipendere dal raggiungimento della prova della notificazione e, quindi, secundum eventum. Rileva invece, ai fini indicati, il dedotto vizio dell’atto di pignoramento (mancata notificazione della cartella) e non la natura, propria di questo, di primo atto dell’espropriazione forzata (art. 491 c.p.c.).

Va poi osservato, sempre da un punto di vista letterale, che l’orientamento secondo cui è ammissibile davanti al giudice ordinario l’impugnazione del pignoramento incentrata sulla mancata notifica della cartella di pagamento (o dei suddetti atti assimilabili) si scontra con il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c. riguardanti la regolarità formale e la notificazione.

Sotto l’aspetto sistematico, poi, l’atto di pignoramento non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento integra (come sottolineato dalla CTR) il primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario e pertanto, in quanto idoneo a far sorgere l’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c., rientra nell’ambito degli atti impugnabili davanti al giudice tributario in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (quale interpretato estensivamente dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte: ex plurimis, Sezioni Unite n. 9570 e n. 3773 del 2014). Il sopra indicato più recente orientamento interpretativo, nell’attribuire alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente un atto compreso tra quelli di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 19, risulterebbe disarmonico rispetto al disegno del legislatore di riservare al giudice tributario la cognizione delle controversie relative a tali atti.

Infine, con l’adozione del primo orientamento giurisprudenziale, troverebbe una più agevole sistemazione il disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c. riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo. Tale inammissibilità, infatti, può ben essere interpretata nel senso di comportare il divieto di proporre dette opposizioni davanti al giudice ordinario, senza però che ciò impedisca di proporre la questione al giudice tributario, facendo valere, come nella specie, l’invalidità del pignoramento per la mancata notificazione della cartella di pagamento.

In tal modo, tutto sembra ricomporsi in armonia con l’originario disegno del legislatore che, nel prevedere nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, l’inammissibilità davanti al giudice ordinario di alcune opposizioni in sede di esecuzione forzata, ha evidentemente presupposto che le situazioni soggettive poste a base di esse possano essere preventivamente tutelate davanti al giudice tributario.

In conclusione va riaffermato il principio di diritto secondo cui “in materia di esecuzione forzata tributaria, l’opposizione agli atti esecutivi riguardante come nella specie l’atto di pignoramento, che si assume viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli altri atti presupposti dal pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 19, degli artt. 57 e 617 – davanti al giudice tributario” Cassazione civile, sez. un. 05/06/2017 n. 13913 Da quanto sopra consegue che con l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale e l’assorbimento degli ulteriori motivi nonché il rigetto di quello incidentale, va cassata la statuizione della CTR che nel rigettare l’appello ha nella sostanza confermato il difetto di giurisdizione del giudice tributario sicché la causa andrà rimessa alla CTP che regolerà anche le spese della presente fase per l’esame delle questioni riguardanti le cartelle di pagamento poste a base del pignoramento e, in particolare, sia per l’accertamento della correttezza della loro notificazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso ed assorbiti i restanti, rigetta il ricorso incidentale; cassa la decisione impugnata; rimette le parti avanti alla CTP di Genova che regolerà le spese di giudizio anche di questa fase; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

Cass_civ_Sez_V_28_11_2019_ n_31090




Espropriazione forzata presso terzi: opposizione agli atti esecutivi

Espropriazione forzata presso terzi: opposizione agli atti esecutivi

Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 32203 del 10/12/2019

Con sentenza del 10 dicembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione V, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il pignoramento del credito presso terzi previsto dall’art. 72-bis del D.P.R. 602/1973, è una forma speciale di esecuzione, con procedimento semplificato interamente stragiudiziale, che non prevede neppure l’intervento del giudice dell’esecuzione se al comando segue l’adempimento del terzo pignorato, il quale ha immediato effetto satisfattivo del credito. E tuttavia, come per tutti i procedimenti esecutivi, anche ad esso va applicato il principio di diritto secondo cui in materia di esecuzione forzata tributaria l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta, ai sensi degli artt. 2 comma 1, e 19, del D.Lgs. n. 546/1992, dell’art. 57, del D.P.R. n. 602/1973 e dell’art. 617 c.p.c., davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario.


Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 32203 del 10/12/2019

Espropriazione forzata presso terzi: opposizione agli atti esecutivi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

M. – ricorrente –

contro

A. e E. – controricorrenti –

avverso la sentenza n. __ della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __ che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo, rigetto dei motivi 2^ e 3^, assorbito l’esame dei restanti motivi di ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato __ per delega orale dell’Avvocato __ che ha chiesto il rigetto;

udito per il resistente l’Avvocato __ che ha chiesto il rigetto.

Svolgimento del processo

A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. __ depositata il __ dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la quale, confermando la decisione di primo grado, era rigettata l’impugnazione dell’atto di pignoramento presso terzi, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 72 bis, notificato da E. a due istituti di credito presso i quali il ricorrente aveva rapporti di conto corrente, al fine del recupero di Euro __, relativi a più cartelle di pagamento.

Il ricorrente aveva impugnato la procedura esecutiva speciale con specifico riguardo alla cartella asseritamente notificata il __, dell’importo di Euro __, relativa all’avviso di accertamento ai fini Irpef per l’anno d’imposta __, asseritamente notificato il __. Si doleva che tanto della cartella quanto dell’avviso di accertamento non aveva mai avuto conoscenza.

Aveva dunque proposto ricorso avverso l’atto di pignoramento e gli atti presupposti dinanzi alla Commissione Tributaria di Milano, eccependo la giuridica inesistenza degli atti impositivi, mai ritualmente notificati, e la prescrizione dell’azione accertatrice. Il giudice di primo grado con sentenza n. __ aveva rigettato il ricorso relativamente all’atto impositivo e alla cartella di pagamento, dichiarando il difetto di giurisdizione relativamente all’impugnazione del pignoramento ex art. 72 bis cit.

Era seguito l’appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, rigettato con la pronuncia ora oggetto di impugnazione. In sintesi il giudice regionale riteneva ritualmente notificati l’avviso di accertamento e la cartella di pagamento. Sosteneva inoltre che legittimamente M. aveva proposto il ricorso avverso il pignoramento, costituendo il primo atto con cui aveva avuto conoscenza degli atti impositivi e della cartella. Tuttavia aveva poi dichiarato il difetto di giurisdizione quanto al medesimo pignoramento presso terzi, perché nella giurisdizione del giudice ordinario.

Il contribuente censura con cinque motivi la decisione:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1 e art. 19, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 4, nonché per motivazione contraddittoria su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver dichiarato il difetto di giurisdizione per ciò che attiene il pignoramento presso terzi;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 3, 41, 43 e 60, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, dell’art. 43 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115, 116 e 139 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nonché l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver erroneamente dichiarato la regolarità della notifica dell’avviso di accertamento;

con il terzo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 25 e 26, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, degli artt. 43, 2697 e 2909 c.c., degli artt. 115, 116 e 139 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nonché l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver erroneamente affermato la regolarità della notifica della cartella di pagamento;

con il quarto per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver riconosciuto la decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento;

con il quinto per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver riconosciuto l’invalidità della cartella di pagamento.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale provvedimento.

Si è costituita A., che ha contestato i motivi di ricorso, del quale ne ha chiesto il rigetto.

Ha chiesto il rigetto per infondatezza dei motivi anche E., a sua volta costituitasi con controricorso.

E. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

All’udienza del __, il P.G. e le parti hanno discusso e concluso. La causa è stata riservata per la decisione.

Motivi della decisione

Esaminando il primo motivo, con il quale il ricorrente si duole della declaratoria di difetto di giurisdizione per ciò che attiene il pignoramento presso terzi, esso è fondato e trova accoglimento.

La Commissione Regionale ha sostenuto che il pignoramento previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 72 bis, costituisce un atto esecutivo, non compreso tra quelli impugnabili dinanzi al giudice tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19.

Il pignoramento del credito presso terzi previsto dal cit. art. 72 bis è una forma speciale di esecuzione, con procedimento semplificato interamente stragiudiziale, che non prevede neppure l’intervento del giudice dell’esecuzione se al comando segue l’adempimento del terzo pignorato, il quale ha immediato effetto satisfattivo del credito (cfr. Cass., ord. 30706/2018; 26830/2017). E tuttavia, come per tutti i procedimenti esecutivi, anche ad esso va applicato il principio di diritto secondo cui in materia di esecuzione forzata tributaria l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1 e art. 19, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57 e dell’art. 617 c.p.c. – davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario (Cass., Sez. U., sent. n. 13913/2017; 14667/2011). Il principio, sebbene non ignorato dal giudice regionale, non è stato correttamente applicato, tanto più che l’impugnazione del pignoramento afferiva agli atti prodromici, non a questioni relative al procedimento propriamente esecutivo.

Deve pertanto riconoscersi la giurisdizione del giudice tributario su tutti i motivi che il contribuente ha introdotto con il ricorso.

L’accoglimento del primo motivo assorbe i restanti, poiché, una volta spogliatosi della giurisdizione in riferimento all’atto di pignoramento, per logica consequenzialità il giudice d’appello non avrebbe potuto pronunciarsi sul merito della vicenda.

La sentenza va pertanto cassata e rinviata alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che, in diversa composizione, oltre che sulle spese, deciderà sulla opposizione al pignoramento ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 72 bis e sulle questioni afferenti i vizi degli atti prodromici.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

Cass_civ_Sez_V_10_12_2019_n_32203




Opposizione a decreto ingiuntivo: inesistenza di fatti impeditivi o estintivi

Opposizione a decreto ingiuntivo: inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, Ordinanza n. 31340 del 30/11/2019

Con ordinanza del 30 novembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nel caso in cui il decreto ingiuntivo, afferente a canoni di locazione non corrisposti, non sia stato opposto, il giudicato così formatosi fa stato tra le parti non solo sull’esistenza e validità del rapporto corrente “inter partes” e sulla misura del canone preteso, ma anche circa I‘inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili nel giudizio di opposizione.


Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, Ordinanza n. 31340 del 30/11/2019

Opposizione a decreto ingiuntivo: inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

M. – ricorrente –

contro

I. S.r.l. – controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Relatore Dott. __.

Svolgimento del processo

che:

– M. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi nei confronti di I. S.r.l., per la cassazione della sentenza n. __, depositata il __ dalla Corte d’Appello di Ancona, con la quale, a conferma della decisione di primo grado, veniva rigettata la sua opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla società, per Euro __ circa, in relazione al mancato pagamento dei canoni di locazione di un immobile sito in (OMISSIS) relativi al biennio __, sulla base del giudicato formatosi su precedente sentenza del Tribunale di Ancona, avente ad oggetto il mancato pagamento di canoni relativi alle annualità precedenti dello stesso rapporto di locazione, all’interno della quale era stata respinta analoga opposizione avente identico oggetto, in cu si era ugualmente discusso della sottoposizione o meno del contratto di locazione alla condizione sospensiva che l’immobile venisse adibito a sede del __;

– I. S.r.l. resiste con controricorso;

– essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati;

– nessuna delle parti ha presentato memoria.

Motivi della decisione

che:

Il collegio ritiene di condividere le valutazioni del relatore in ordine all’esito del giudizio.

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 2909 c.p.c. nonché della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, degli artt. 1418 e 1421 c.c., perché la corte d’appello non avrebbe rilevato d’ufficio un vizio di nullità estraneo al giudicato, relativo alla mancata registrazione del contratto di locazione.

Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione della L. n. 135 del 2012, art. 3, comma IV, che avrebbe imposto autoritativamente una riduzione dei canoni di locazione nei contratti stipulati dalla Amministrazioni con effetti retroattivi, la cui applicabilità alla fattispecie in esame sarebbe immediata in quanto rilevabile d’ufficio.

Introduce due questioni, che non deduce aver prima dedotto nei giudizi di merito, sostenendo che esse siano questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado, e quindi tali da poter capovolgere l’esito del giudizio nonostante il formarsi del giudicato sulla questione di base.

Il primo motivo è infondato.

Sostanzialmente, il ricorrente non contesta l’intervenuta formazione del precedente giudicato, formatosi nella ricostruzione del provvedimento impugnato in quanto con la prima sentenza, passata in giudicato, era stata dichiarata tardiva la precedente opposizione a decreto ingiuntivo promossa da M. e relativa allo stesso rapporto contrattuale, con statuizione che copriva il dedotto e il deducibile, e quindi anche l’inefficacia del contratto in quanto sottoposto alla condizione sospensiva, non avveratasi, che l’immobile locato potesse essere adibito a sede del comando provinciale dei carabinieri.

La questione della mancata registrazione del contratto di locazione, che potrebbe rilevare come questione afferente alla nullità del contratto, non introdotte come domanda di accertamento della nullità del contratto, ma ugualmente considerabile benché domanda nuova, qualificandola come eccezione della nullità (v. Cass. n. 26243 del 2014), cozza invalicabilmente contro l’intervenuto formarsi del giudicato.

Quando il decreto ingiuntivo, ottenuto per canoni di locazione non corrisposti, non sia stato opposto, il giudicato così formatosi fa stato tra le parti non solo sull’esistenza e validità del rapporto corrente “inter partes”, e sulla misura del canone preteso, ma anche circa l’inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili nel giudizio di opposizione (in questo senso v. Cass. n. 13207 del 2017). In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, sul presupposto dell’inoppugnabilità del decreto ingiuntivo relativo a canoni non corrisposti, aveva escluso che in un diverso giudizio il conduttore potesse invocare la nullità della clausola di determinazione del canone in misura superiore a quella legate L. 9 dicembre 1998, n. 431, ex art. 2, commi 3 e 5.

Il secondo motivo è parimenti infondato, in quanto il D.L. n. 95 del 2012, art. 3, comma 4, conv. in L. n. 135 del 2012, laddove prevede una riduzione del 15% del canone dovuto dalle Amministrazioni centrali, in funzione di contenimento della spesa pubblica, non introduce una ipotesi di nullità del contratto, ma piuttosto una riduzione d’imperio della controprestazione a carico dell’amministrazione pubblica per ragioni di contenimento della spesa (v. Cass. n. 6389 del 2018) che, non essendo essa stata dedotta in precedenza deve considerarsi questione nuova e come tale inammissibile.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente;

pertanto egli non è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte ridetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro __ oltre Euro __ per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento dà parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2019

 

Cass_civ_Sez_VI_ 3_Ord_30_11_2019_n_31340




Le opposizioni ex art. 617 c.p.c. sono necessariamente devolute al Tribunale

Le opposizioni ex art. 617 c.p.c. sono necessariamente devolute al Tribunale

Tribunale Ordinario di Reggio Emilia, Sezione Civile, Sentenza del 07/11/2019

Con sentenza del 7 novembre 2019, il Tribunale Ordinario di Reggio Emilia, Sezione Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che le opposizioni ex art. 617 c.p.c. sono necessariamente devolute al Tribunale, sia che siano proposte prima che dopo l’inizio dell’esecuzione, con conseguente incompetenza per materia del giudice di pace.


Tribunale Ordinario di Reggio Emilia, Sezione Civile, Sentenza del 07/11/2019

Le opposizioni ex art. 617 c.p.c. sono necessariamente devolute al Tribunale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA

in persona del Giudice unico, dott.ssa Simona Di Paolo ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado, iscritta al n. __ RG del Tribunale di Reggio Emilia, trattenuta in decisione all’udienza del __, promossa da

M. – attore

nei confronti di

E. S.r.l. – convenuta

nonché nei confronti di

G. – convenuto

avente ad oggetto: opposizione esecuzione mobiliare

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato, M. ha introdotto la fase di merito del giudizio di opposizione mobiliare a seguito della opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta dal terzo pignorato E. S.r.l. e a seguito del provvedimento del __ con cui il G.E. confermava la sospensione già disposta con provvedimento emesso inaudita altera parte in data __ e assegnava termine di giorni __ per l’instaurazione del giudizio di merito.

In particolare, il M., creditore procedente nel procedimento di pignoramento presso terzi da cui era originata la fase cautelare dell’opposizione, ha rassegnato le seguenti conclusioni: “in via preliminare: – accertare e dichiarare l’improcedibilità ed inammissibilità per esser stata proposta l’opposizione ex art. 617 cpc oltre il termine di giorni venti dalla notifica dell’ordinanza di esecuzione; – accertare e dichiarare l’inammissibilità ed improcedibilità del giudizio stante il difetto del contraddittorio e non avendo provveduto controparte a notificare entro il termine perentorio indicato nel decreto di fissazione d’udienza. Nel merito – rigettare la proposta opposizione per esser improcedibile, inammissibile ed infondata in fatto ed in diritto e comunque non provata sussistendo il diritto di credito del sig. G. nei confronti della E. S.r.l. per come statuito nell’ordinanza di assegnazione somme n. __ emessa dal GE del Tribunale di Reggio nell’Emilia”.

Si è costituito in giudizio il terzo pignorato E. S.r.l. chiedendo: “Voglia l’Ill.mo Giudice adito, ogni contraria istanza respinta e disattesa, previa ogni necessaria declaratoria in rito e del caso – accertare e dichiarare la competenza a conoscere del presente giudizio di merito in capo al Giudice di Pace; – confermare il rigetto delle eccezioni di controparte in merito alla tardività dell’opposizione ed all’integrità del contraddittorio, come già statuito nella precedente fase di giudizio; – accertati il fumus boni iuris ed il periculum in mora, ferma la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo già disposta dal Giudice dott. M. nella procedura RGE __ dinnanzi Tribunale di Reggio Emilia, dichiarare la nullità dell’ordinanza di assegnazione n. __ emessa nella procedura RGE __ dinnanzi Tribunale di Reggio Emilia e revocarla poiché derivante da un’erronea interpretazione della dichiarazione negativa del terzo e dato che E. S.r.l. non deve alcuna somma a G. e di conseguenza non dovrà versare alcunché a M. Con vittoria di spese documentate e del compenso professionale all’avvocato patrocinante”.

Con provvedimento del giudice reso all’udienza del __, il contraddittorio veniva integrato ex art. 102 c.p.c., anche nei confronti del litisconsorte necessario – debitore esecutato G., il quale si è costituito in giudizio rassegnando le seguenti conclusioni: “In Via Preliminare: – accertare e dichiarare l’infondatezza delle eccezioni sollevate dall’attore nel presente giudizio, in quanto del tutto destituite di fondamento giuridico; Nel merito: – confermare la sospensione della efficacia esecutiva dell’ordinanza di assegnazione somme RGE n. __, e per l’effetto ritenere e dichiarare che il Sig. G. non è creditore di E. S.r.l., avendo già regolato la posizione dare/avere ancor prima della notifica dell’atto di pignoramento presso terzi azionato da M. con la procedura RGE n. __. In subordine: – Nella denegata e non sperata ipotesi in cui il Giudice dovesse accogliere le istanze formulate dal Sig. M., ritenere e dichiarare che il Sig. G. nulla deve a qualsiasi titolo al Sig. M. e/o a E. S.r.l., come meglio sopra esposto. Con vittoria di spese e compensi del presente giudizio, oltre 15% spese generali, 4% C.P.A., 22% I.V.A”.

La causa è stata istruita mediante ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. relativamente alla certificazione di conformità degli impianti elettrici realizzati nel fabbricato sito in __ e mediante escussione dei testi ed è stata trattenuta in decisione all’udienza del __ previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per conclusionali e repliche.

Vanno, anzitutto, rigettate tutte le eccezioni preliminari sollevate delle parti.

Quanto all’eccezione sollevata da parte attrice di inammissibilità del presente giudizio per esser stato proposta opposizione ex art. 617 c.p.c. oltre il termine di __ giorni dalla notifica dell’ordinanza di assegnazione, va evidenziato che l’ordinanza di assegnazione n. __ è stata notificata via Pec a E. S.r.l. in data __ e il ricorso in opposizione ex art. 617 c.p.c. è stato depositato dalla terza pignorata in data __, laddove il termine di __ giorni scadeva nella (successiva) data del __. Al riguardo, va evidenziato che, a differenza di quanto sostenuto da parte attrice a pag. __ dell’atto di citazione, l’opposizione ex art. 617 comma 2 c.p.c. si propone (correttamente) con ricorso avanti al giudice dell’esecuzione (differentemente dalle opposizioni preventive di cui all’art. 617 comma 1 c.p.c., come testualmente evidenziato dalla stessa lettera del citato articolo), sicché, ai fini della verifica della tempestività dell’opposizione e del rispetto del termine di venti giorni, deve considerarsi il momento del deposito del ricorso stesso e non quello della notifica alle controparti.

Il ricorso in opposizione ex art. 617 c.p.c., proposto da E. S.r.l., era, quindi, tempestivo, con conseguente rigetto dell’eccezione di inammissibilità del presente giudizio sollevata da parte attrice.

Quanto, invece, all’eccezione di inammissibilità e improcedibilità del giudizio per non aver E. S.r.l. notificato il ricorso in opposizione ex art. 617 c.p.c. e il decreto di fissazione dell’udienza anche al debitore, con conseguente difetto del contraddittorio, va rilevato che in tema di esecuzione forzata con espropriazione presso terzi, sono parti necessarie i creditori ed il debitore esecutato, (Cass. n. 18352/2005), il quale deve considerarsi litisconsorte necessario. Peraltro, a maggior ragione il debitore esecutato deve considerarsi quale litisconsorte necessario – e gli deve, quindi, essere notificato ricorso in opposizione – laddove sia intervenuta ordinanza di assegnazione delle somme e, quindi, si sia determinata l’estinzione della procedura esecutiva, poiché con la successiva opposizione ex art. 617 c.p.c. viene a riaprirsi una procedura altrimenti estinta.

Deve, poi, evidenziarsi che nel caso di specie il ricorso in opposizione (relativamente alla fase cautelare) non era stato notificato solo ad uno dei litisconsorti necessari (ossia il debitore), mentre era stato regolarmente e tempestivamente (per quanto sopra visto) notificato al creditore procedente.

Al riguardo, deve rilevarsi che la Cassazione, con sentenza n. __ ha dichiarato che “qualora il ricorso in opposizione agli atti esecutivi con il pedissequo decreto che fissa l’udienza di comparizione non sia stato notificato nel termine perentorio fissato dal giudice ex art. 618 c.p.c. a tutti i legittimi contraddittori, il giudice non può dichiarare l’estinzione del procedimento, ma deve ordinare l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c. nel termine perentorio da lui stabilito”. Nel caso affrontato nella richiamata pronuncia, i giudici di legittimità, una volta accertato che il giudizio di opposizione, sia nella fase cautelare che in quella di merito, non era stato correttamente instaurato nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, hanno ritenuto di doversi dichiarare la nullità della sentenza resa all’esito della fase di merito per violazione del contraddittorio e di doversi rimettere la causa, ai sensi degli articoli 383, primo comma, c.p.c., al Tribunale, per provvedere all’integrazione del contraddittorio. Il fatto che la Cassazione abbia rimesso gli atti non già al giudice dell’esecuzione avanti al quale si era svolta la fase cautelare dell’opposizione ma, invece, al giudice della successiva fase di merito al fine specifico di fissare il termine per l’integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., sta a significare che l’irregolare instaurazione del contraddittorio nella fase cautelare è stata considerata sanabile mediante integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., esattamente come avvenuto nel presente giudizio, ove il giudice ha ordinato in prima udienza l’integrazione del contraddittorio nei confronti del debitore esecutato G.

L’eccezione di inammissibilità/improcedibilità del giudizio per difetto del contraddittorio sollevata da parte attrice va, pertanto, rigettata.

Va, poi, rigettata l’eccezione di incompetenza del giudice adito in favore del Giudice di Pace sollevata da E. S.r.l.

Il giudizio di merito soggiace, infatti, agli ordinari criteri di competenza per materia e per territorio, con la sola particolarità che le opposizioni ex art. 617 c.p.c. sono necessariamente devolute al Tribunale, sia che siano proposte prima che dopo l’inizio dell’esecuzione (Cass. n. 19051/2016 e Cass. n. 14725/2001), con conseguente incompetenza per materia del giudice di Pace.

Venendo, quindi, al merito del giudizio, il terzo pignorato E. S.r.l. ha sostenuto che il giudice dell’esecuzione abbia malamente interpretato la dichiarazione resa ex art. 547 c.p.c. ritenendo che la stessa fosse positiva, quando, invece, era da intendersi negativa per non essere state portate a termine le opere oggetto del contratto di appalto del __ da parte di G., con conseguente intervenuta risoluzione dello stesso ex art. 1457 c.c. Sosteneva, quindi, E. S.r.l., sia che l’importo di Euro __ non sarebbe dovuto, non avendo il M. terminato le opere ed essendosi risolto il contratto, sia che, comunque, E. S.r.l. aveva comprato materiale per oltre Euro __ al posto dello stesso debitore esecutato (cui sarebbe spettato, per contratto di appalto, procedere al detto acquisto), con ciò compensando quanto ancora eventualmente a questi dovuto in ragione del contratto di appalto del __.

Quanto alla prima eccezione sollevata, ossia all’insussistenza del credito per non aver il debitore esecutato provveduto alla conclusione delle opere, va rilevato che nell’espropriazione forzata presso terzi, il credito assoggettato al pignoramento dev’essere esistente al momento della dichiarazione positiva resa dal terzo ovvero, per il caso di dichiarazione negativa e di instaurazione del giudizio volto all’accertamento del suo obbligo, al momento in cui la sentenza pronunciata in tale giudizio ne accerta l’esistenza, restando invece irrilevante che il credito non esista al momento della notificazione del pignoramento e dovendosi escludere che l’inesistenza del credito in quel momento possa determinare una nullità del processo esecutivo (Cass. n. 15615/2005).

Premesso, poi, che il giudice dell’esecuzione può e deve interpretare la dichiarazione di terzo, proprio perché ne deve apprezzare la portata in fatto per poi sussumerla nel corretto regime normativo al fine di esaminare la domanda di assegnazione (Cass. n. 25042/2019; Cass. n. 20310/2012, Cass. n. 3712/2016), trattandosi di un giudizio in fatto relativo a una dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, va rilevato che, la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. resa dal terzo E. S.r.l. risale al __, mentre la contestazione relativa ai presunti inadempimenti del contratto del __ da parte di I. risalirebbe al __ e, quindi, successivamente alla notifica del pignoramento e alla stessa dichiarazione resa ex art. 547 c.p.c.

Non potendosi certamente considerare negativa la dichiarazione resa da E. S.r.l.; non essendo stato instaurato il giudizio volto all’accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 549 c.p.c. (non essendo sorte contestazioni sulla citata dichiarazione del terzo), ed avendo il G.E. interpretato (correttamente, ad avviso di chi scrive) detta dichiarazione come positiva, ciò che rileva, ai fini della determinazione del momento di esistenza del credito, è, appunto, solo il momento in cui questa è stata resa. Nel caso di specie, quindi, il credito deve considerarsi certamente esistente in detto momento, senza che assuma alcuna rilevanza la risoluzione del contratto per inadempimento, (asseritamente) intervenuta solo in data successiva alla dichiarazione e, peraltro, senza che le presunte inadempienze fossero mai state oggetto di contestazione tra E. S.r.l. e I. di G.

A tali considerazioni si aggiunga, poi, che la certificazione di conformità degli impianti è stata rilasciata dal sig. G. (e, in particolare, da I.) il __ e prodotta agli atti in data __ (a seguito di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.) così comprovando che le opere ed i lavori era stati tutti eseguiti da quest’ultimo il quale, quindi, una volta ultimati gli impianti, ha rilasciato tale certificazione.

Il rilascio della certificazione di conformità degli impianti da parte di I. di G. in data __, data alla quale si presume che detti impianti siano stati completati, non solo smentisce quanto riportato nella lettera di contestazione dei presunti inadempimenti del __ (considerato che a detta data nessun inadempimento poteva essersi verificato, visto che i lavori erano terminati ben __ mesi prima) ma rende, altresì, inattendibili le dichiarazioni rese dai testi D. e Q.

Quanto alla circostanza, addotta da parte convenuta e dal debitore, se secondo cui, quanto ancora dovuto da E. S.r.l. a G. sarebbe stato in realtà compensato dalla fornitura di Euro __ di materiale acquista da parte della stessa E. S.r.l. al posto di G., va rilevato che le fatture prodotte da parte convenuta a sostegno della propria tesi sono tutte successive rispetto alla certificazione di conformità degli impianti risalente, invece, al __. A ciò si aggiunga, inoltre, sia che non è neppure stato provato che il materiale di cui alle fatture allegate quale doc. __ al fascicolo di parte convenuta sia riferito proprio al cantiere di cui al contratto di appalto del __ di __, sia, comunque, che il contratto di appalto in questione era estremamente generico sotto il profilo della fornitura di materiali, prevedendo esclusivamente (e laconicamente) che i materiali per l’esecuzione dei lavori saranno forniti dall’appaltatrice, senza alcuna specificazione in ordine alla tipologia di materiali da fornirsi. In altre parole, poiché la dichiarazione di conformità del __ prevede anche un allegato denominato relazione con tipologia dei materiali utilizzati con elencazione di detti materiali – che, quindi, si presume siano stati tutti acquistati da I., posto che le fatture prodotte da E. S.r.l. sono tutte successive – ben potrebbe il contratto di appalto del __ far riferimento (data la genericità della formulazione utilizzata) a detti materiali e non anche a quelli di cui alle fatture allegate quale doc. __ al fascicolo di parte convenuta (e di cui, peraltro, non è in alcun modo provata, come già detto, la riferibilità al cantiere di __).

Deve, pertanto ritenersi che alcun diritto di credito sussista in capo a G. e in favore di E. S.r.l. Da ciò ne deriva l’infondatezza dell’opposizione proposta da E. S.r.l. nell’ambito della procedura esecutiva R.G.E. __ con conseguente diritto di M. ad ottenere le somme a questi dovute in forza dell’ordinanza di assegnazione n. __, con assorbimento di ogni ulteriore questione.

Le spese di giudizio, stante il rigetto delle due eccezioni preliminari sollevate da parte attrice, possono dirsi compensate per 1/3, mentre i restanti 2/3 devono essere poste a carico dei convenuti soccombenti, in solido tra loro. Le spese della fase cautelare, avendo il G.E. rimesso la liquidazione alla successiva fase di merito, andranno, invece, compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente pronunciando sulla opposizione proposta, così provvede:

1) rigetta le eccezioni preliminari proposte dalle parti;

2) rigetta l’opposizione proposta da E. S.r.l. nell’ambito della procedura esecutiva R.G.E. __;

3) dichiara, per l’effetto, il diritto di M. ad ottenere le somme a questi dovute da E. S.r.l. in forza dell’ordinanza di assegnazione n. __;

4) condanna E. S.r.l. e G., in solido tra loro, alla rifusione dei 2/3 delle spese di lite in favore di M. che liquidano in Euro __ (già in misura di 2/3) per compensi, oltre Iva se dovuta, CPA e spese generali e oltre ad Euro __ per esborsi (pari ai 2/3 del CU e della marca da bollo);

5) compensa tra le parti il restante 1/3 delle spese di lite;

6) compensa tra le parti le spese della fase cautelare.

Così deciso in Reggio Emilia, il 5 novembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2019.

Tribunale_Reggio_Emilia_Sent_07_11_2019




La verifica sull’esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva

La verifica sull’esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione Civile IV, Sentenza del 06/11/2019

Con sentenza dell’8 novembre 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il giudice dell’opposizione all’esecuzione è tenuto a compiere d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sull’esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva, potendo rilevare sia l’inesistenza originaria del titolo esecutivo sia la sua sopravvenuta caducazione; entrambe determinanti l’illegittimità dell’esecuzione forzata con effetto ex tunc in quanto, l’esistenza di un valido titolo esecutivo costituisce presupposto dell’azione esecutiva stessa.


Tribunale Ordinario di Roma, Sezione Civile IV, Sentenza del 06/11/2019

La verifica sull’esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Roma

QUARTA SEZIONE

nella composizione monocratica della dott.ssa __

ai sensi degli artt. 281 quater e 281 quinquies, comma 1, c.p.c. vigente ha pronunciato la seguente

SENTENZA

(a seguito di trattazione scritta)

nella causa civile di primo grado iscritta al numero __ R.G.A.C.C., posta in decisione nell’udienza del __, pubblicata come da certificazione in calce e vertente tra le seguenti parti

G. – opponente

E

C. – opposta

Opposizione a precetto (artt. 615 e 617 comma 1, c.p.c.)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato che si omette di circostanziare lo svolgimento del processo, atteso che, a norma dell’art. 132 c.p.c., come novellato a seguito della L. 18 giugno 2009, n. 69, la sentenza deve contenere unicamente la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Tanto premesso, quanto agli elementi di fatto nella prospettazione delle parti e alle loro rispettive domande, eccezioni e difese, si rinvia all’atto di citazione in opposizione al precetto e alla comparsa di costituzione come di seguito riportato.

Con atto di citazione notificato in data __ G. proponeva opposizione avverso l’atto di precetto notificatogli in data __, per un importo complessivo di Euro __, ad istanza di C. in forza di decreto di rigetto del Tribunale di Roma Sez. Famiglia n. __ del __ emesso nel proc RG __ di modifica delle condizioni di divorzio, provvedimento munito di formula esecutiva in data __ e notificato contestualmente al precetto, deducendo:

– In via principale: la nullità e inefficacia del precetto limitatamente alla somma di Euro __ richiesta a titolo di assegno di mantenimento della figlia F. in quanto non preceduto da notifica dei titoli esecutivi fondanti la richiesta stessa e non riportante, per questo, la data di detta notifica (motivo da qualificare quale opposizione ex art. 617 c.p.c.)

– In via gradata: la nullità e inefficacia del precetto per omessa indicazione del luogo dove l’obbligazione dovrebbe essere eseguita ai fini liberatori (motivo da qualificare quale opposizione ex art. 617 c.p.c.)

– In via gradata la nullità e l’inefficacia del precetto in quanto non preceduto da alcun tentativo di bonario componimento della vicenda (motivo da qualificare quale opposizione ex art. 617 c.p.c.)

– La nullità e l’inefficacia del precetto in ragione dell’incertezza e genericità del criterio di calcolo relativo alla rivalutazione monetaria e del termine iniziale tale da compromettere il diritto dell’opponente di controdedurre (motivo da qualificare quale opposizione ex art. 615 c.p.c.)

– L’incompetenza per valore del Tribunale Ordinario di Roma in favore di quella del Giudice di Pace di Roma in ipotesi di stralcio della somma di Euro __

– In via subordinata la compensazione della somma dovuta a C. di Euro __ con quella di Euro __ vantata da G. nei confronti di C. in forza dell’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. __ (motivo da qualificare quale opposizione ex art. 615 c.p.c.)

Parte opposta si costituiva riconoscendo che il titolo esecutivo notificato unitamente al precetto (decreto di rigetto del Tribunale di Roma Sez. Famiglia n. __ del __ emesso nel proc RG _) legittimava il diritto a richiedere la limitata somma di Euro __ a titolo di spese processuali, mentre le ulteriori somme intimate a titolo di assegno di mantenimento della figlia F. fossero dovute in forza dei diversi provvedimenti non notificati e più precisamente: Decreto della Corte d’Appello di Roma, pubblicato in data __, nella causa iscritta al R.G. n. __ (All. B della comparsa di costituzione) ed instaurata da G., che ebbe a mantenere fermo l’obbligo del versamento da parte del padre disposto con decreto del Tribunale di Roma del __, reso nel procedimento R.G. n. __ di modifica delle condizioni di divorzio promosso da G. (All. C della comparsa di costituzione).

Parte opposta, dopo una puntuale prospettazione ed elencazione dei numerosi giudizi promossi nel tempo tra le parti, deduceva che la notifica dei titoli sopra indicati non risultasse necessaria in quanto ben conosciuti dall’opponente considerato il parziale spontaneo adempimento nel tempo. Parte opposta richiamava, infine, a sostegno della propria tesi difensiva la costante giurisprudenza della S.C. secondo la quale la violazione di specifiche prescrizioni normative sul procedimento di notifica comporta una mera nullità, sanabile, ex tunc, dalla costituzione in giudizio del destinatario (Cass. n. 9859/1997; Cass. n. 139/2002) in conformità delle regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli (Cass. 25900/2016), sanati, per il raggiungimento dello scopo ex art. 156, co. 3, c.p.c., in virtù della proposizione dell’opposizione del debitore.

All’udienza del __ la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. non utilizzati dalle parti.

Preliminarmente va rilevato che i motivi di opposizione qualificati ex art. 617 sono ammissibili perché proposti nei venti giorni dalla notifica del precetto.

Ciò nonostante non tutti sono meritevoli di accoglimento.

Nel merito l’opposizione è fondata solo relativamente al motivo di opposizione agli atti esecutivi volto ad accertare la nullità del precetto derivata dalla omessa previa notifica dei titoli esecutivi e dalla conseguente omessa indicazione della data di notifica dei provvedimenti muniti di formula esecutiva.

È infatti pacifico, come riconosciuto anche da parte opposta, che il precetto non è stato preceduto dalla notifica del titolo (o titoli) munito di formula esecutiva -Decreto della Corte d’Appello di Roma, del __, R.G. n. __ (All. B della comparsa di costituzione) e decreto del Tribunale di Roma del __, R.G. n. __ di modifica delle condizioni di divorzio (All. C della comparsa di costituzione). Né tantomeno, in corso di causa, parte opposta ha depositato il titolo o i titoli stessi muniti di formula esecutiva, limitandosi a produrre delle copie e non fornendo così prova che gli stessi siano stati muniti della predetta formula. Tale mancata produzione non consente a questo giudice di poter effettuare le necessarie verifiche sulla esistenza del titolo esecutivo cosa che inevitabilmente determina la declaratoria di inefficacia del precetto opposto.

Il giudice dell’opposizione all’esecuzione è tenuto a compiere d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sulla esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva, potendo rilevare sia l’inesistenza originaria del titolo esecutivo sia la sua sopravvenuta caducazione, che – entrambe – determinano l’illegittimità dell’esecuzione forzata con effetto ex tunc in quanto, l’esistenza di un valido titolo esecutivo costituisce presupposto dell’azione esecutiva stessa.

La mancata produzione del titolo esecutivo e della data di notifica dello stesso depone così a favore della principale doglianza dell’opponente.

È opportuno, inoltre, rilevare che la tesi di parte opposta, secondo la quale da un lato non risulterebbe necessaria la preventiva notifica dei titoli (o titolo unico) fondanti la richiesta delle somme dovute a titolo di mantenimento della figlia in quanto conosciuti dall’opponente e, dall’altro, che tale omissione risulterebbe sanata dalla costituzione dell’opponente secondo il principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., persegue linee logiche giuridiche non condivisibili in quanto non confortate dall’attuale consolidata giurisprudenza della S.C. che più volte ha ribadito che la mancata indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, di per sé, non produce la nullità del precetto purché dal contenuto complessivo di esso, sia consentito identificare senza incertezza il titolo esecutivo e la sua avvenuta notifica, precedente alla notifica del precetto stesso, al fine di consentire al debitore esecutato di poter provvedere spontaneamente al pagamento dell’importo precettato. È di tutta evidenza che nel caso di specie trattasi di ipotesi di inesistenza assoluta di notifica del titolo esecutivo.

L’Art. 480 c.p.c. fa conseguire alla mancata indicazione della notifica del titolo esecutivo la nullità del precetto connessa alla violazione dell’iter degli atti propedeutici all’esecuzione.

Diversamente gli altri motivi di opposizione risultano infondati: devono, infatti, disattendersi le eccezioni di parte opponente relative:

– all’incompetenza di valore del Tribunale di Roma, competenza che si radica in base al valore della causa determinata dalla domanda ai sensi degli artt. 10 c.p.c. e ss. al momento dell’instaurazione del giudizio e non in conseguenza dell’accoglimento di eccezioni come richiesto nell’atto di citazione in opposizione a precetto.

– alla nullità e all’inefficacia del precetto per omessa indicazione del luogo dove l’obbligazione dovrebbe essere eseguita ai fini liberatori e in quanto non preceduto da alcun tentativo di bonario componimento, in quanto non previsti dall’art. 480 c.p.c. quali motivi di nullità del precetto e in quanto il debitore opponente non ha precisato il concreto pregiudizio subito a causa di tale omissione, pur necessario per contestare la regolarità formale degli atti esecutivi secondo consolidato orientamento interpretativo (cfr. Cass. Civ. n. 14774/2014 e n. 10326/2014).

– alla nullità e all’inefficacia del precetto in ragione dell’incertezza e genericità del criterio di calcolo relativo alla rivalutazione monetaria e del termine iniziale in quanto tale eccezione è risultata mera enunciazione completamente sfornita di conforto probatorio alla luce del tenore letterale del precetto.

– infine, alla eccezione, per quanto in via subordinata, di compensazione della somma dovuta a C. di Euro __ con quella di Euro __ vantata da G. nei confronti di C. in forza dell’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. __, atteso che il credito di C. risulta da titolo esecutivo, notificato contestualmente al precetto e riconosciuto come dovuto da parte opponente, mentre l’ordinanza di Cassazione invocata quale titolo costitutivo del credito offerto in compensazione è risultata sfornita di elementi comprovanti la propria esigibilità ed è stato oggetto di contestazione da parte opposta, non risultando di facile soluzione l’invocata compensazione.

Restano, infine, da esaminare le domande di condanna per responsabilità processuale aggravata, formulate da entrambi le parti.

Non si ritengono, nel caso di specie, sussistere i presupposti per una condanna per responsabilità processuale aggravata a carico di una delle parti anche perché le stesse hanno omesso di dedurre e dimostrare la concreta ed effettiva esistenza di un danno che sia conseguenza del comportamento processuale della controparte.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il precetto va dichiarato nullo limitatamente alla somma di Euro __ richiesta a titolo di mantenimento della figlia, mentre va confermato il diritto a procedere ad esecuzione forzata di C. nei confronti di G. per la somma di Euro __ a titolo di spese di lite liquidate dal decreto di rigetto del Tribunale di Roma Sez. Famiglia n. __ del __ emesso nel proc RG __, oltre la somma di Euro __ richiesta a titolo di compensi per l’atto di precetto in quanto in conformità ai valori previsti anche per lo scaglione fino a Euro 5.200,00, per una somma complessiva di Euro __.

Gli altri motivi di opposizione devono rigettarsi.

In ordine alle spese, valutata complessivamente la vicenda processuale, la natura dei rapporti delle parti, la semplicità delle questioni giuridiche trattate, il valore della causa, l’attività giuridica svolta e la soccombenza reciproca giustificano la compensazione integrale delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, nella composizione monocratica in epigrafe, definitivamente pronunziando tra le parti in causa, disattesa ogni altra domanda od eccezione, accoglie parzialmente l’opposizione, e, per l’effetto, riduce l’importo precettato della somma di Euro __, confermando il precetto per l’ulteriore importo di Euro __.

Compensa le spese tra le parti.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2019.

 

Tribunale_Roma_Sez_IV_Sent_06_11_2019




La non operatività del principio della “cristallizzazione dei crediti”

La non operatività del principio della “cristallizzazione dei crediti”

Tribunale Ordinario di Bolzano, Sezione Civile I, Sentenza del 08/11/2019

Con sentenza dell’8 novembre 2019, il Tribunale Ordinario di Bolzano, Sezione I Civile, in tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, ha stabilito che qualora le operazioni siano compiute anteriormente all’ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, occorre accertare, nel caso in cui il fallimento, successivamente dichiarato, del medesimo agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa a quella anticipazione contenga una clausola attributiva del diritto di “incamerare” le somme riscosse in favore della banca stessa (cd. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto), atteso che solo in tale ipotesi quest’ultima ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito in dipendenza di operazioni regolate nel medesimo conto corrente, senza che rilevi l’anteriorità del credito e la posteriorità del debito rispetto all’ammissione alla procedura concorsuale, non operando, in tale evenienza, il principio della “cristallizzazione dei crediti”.


Tribunale Ordinario di Bolzano, Sezione Civile I, Sentenza del 08/11/2019

La non operatività del principio della “cristallizzazione dei crediti”

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di BOLZANO – PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa __,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. R.G. 1734/2018 promossa da

parte attrice:

D. S.r.l. In concordato preventivo

contro

parte convenuta:

C. S.p.A.

In punto: restituzione somme

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con atto di citazione del __, la società D. S.r.l. in concordato preventivo conveniva in giudizio la C. chiedendo la condanna di questa alla restituzione dell’importo di Euro __ o diversa somma da accertare in giudizio. Deduceva di aver intrattenuto con la convenuta il rapporto derivante dal contratto di conto corrente ordinario n. __ e relative aperture di linee di credito, eccependo che, a far data dal __, data di pubblicazione presso il Registro delle Imprese di Belluno del deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo presentata dall’attrice, l’istituto di credito avrebbe incamerato sul predetto conto corrente numerosi pagamenti da parte di terzi debitori per complessivi Euro __, che avrebbe indebitamente trattenuto, nonostante le richieste di restituzione avanzate stragiudizialmente. A sostegno della propria domanda, l’attrice esponeva che alla data di presentazione del ricorso di ammissione alla procedura di concordato preventivo si sarebbe verificata, ai sensi dell’art. 168 L.F., una cristallizzazione delle posizioni creditorie dei creditori concorsuali, con divieto di avviare iniziative volte a soddisfare le proprie pretese e senza le deroghe previste dall’art. 51 L.F. in caso di fallimento. Chiedeva pertanto la restituzione di tutti gli accrediti avvenuti sul conto corrente intestato alla D.M. S.r.l. successivamente alla data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo, pari ad Euro __.

Si costituiva in giudizio la C., eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione attiva della liquidatrice giudiziale.

Nel merito eccepiva l’infondatezza dell’azione avversaria, essendo stato pattuito tra le parti un mandato all’incasso in rem propriam, con conseguente operatività della compensazione, non avendo la società richiesto lo scioglimento dal contratto ai sensi dell’art. 169 bis L.F.

A seguito dello scambio delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c., ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di assumere mezzi di prova, essa veniva trattenuta in decisione.

  1. Preliminarmente, va affrontata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo al liquidatore giudiziale della società D. S.r.l. in concordato preventivo.

L’eccezione è infondata e va disattesa.

Giova a tale proposito richiamare la fondamentale distinzione tra i concetti di legitimatio ad causam e legitimatio ad processum. Con il primo termine si intende la legittimazione ad agire, ossia l’affermazione che la parte processuale fa della titolarità del diritto fatto valere in giudizio (art. 81 c.p.c.), mentre la legitimatio ad processum va riferita alla capacità delle parti a stare in giudizio, in proprio o con la debita rappresentanza, assistenza o autorizzazione (art. 75 c.p.c.).

Parte processuale del presente giudizio è unicamente la società D. S.r.l. in concordato preventivo, poiché è detta società che fa valere in giudizio il proprio diritto alla restituzione delle somme che assume essere state indebitamente incamerate dall’istituto di credito convenuto.

La liquidatrice giudiziale non è parte del presente giudizio, non avendo avanzato autonome domande o pretese, ma essendosi limitata a rappresentare in giudizio la società attrice unitamente al rappresentante legale della stessa.

L’eventuale insussistenza del potere di rappresentanza della società attrice in capo al liquidatore giudiziale, risolvendosi in un mero difetto di rappresentanza della parte processuale ai sensi dell’art. 182 co. 2 c.p.c., è rilevabile d’ufficio dal giudice con assegnazione di termine per la sanatoria dello stesso.

Ciò premesso, va rilevato che la società attrice è validamente rappresentata in giudizio anche dal suo legale rappresentante, che per l’azione fatta valere nel presente giudizio conserva la capacità processuale, di talché la questione non assume rilevanza.

  1. La domanda di parte attrice è fondata e merita accoglimento.

È pacifico che tra le parti sia intercorso un rapporto di conto corrente n. (…) (cfr. “contratto conto business” sub doc. 3 della convenuta) con relative aperture di credito, come risulta dal contratto di affidamento per elasticità di cassa (doc. 4), per affidamento portafogli (doc. 5) e per castelletto finanziamento importo in Euro e/o valuta (doc. 6) e che tale rapporto non sia stato sciolto secondo quanto previsto dall’art. 169bis L.F.

Altresì incontestata tra le parti è la circostanza che la società attrice sia stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ex art. 160 comma 1 L.F. e che la domanda di ammissione a tale procedura sia stata pubblicata presso il Registro delle Imprese di Belluno in data __ (doc. 2 dell’attrice).

Orbene, parte attrice sostiene che successivamente alla pubblicazione presso il Registro delle Imprese della domanda di ammissione a concordato preventivo, l’istituto di credito convenuto abbia incamerato sul conto corrente intestato all’attrice una serie di pagamenti da parte di terzi debitori per Euro __ (doc. 4 attoreo), di cui chiede in questa sede la restituzione.

Dal canto suo, la convenuta afferma di avere legittimato portato in compensazione tali importi con le somme da essa già anticipate all’attrice sulla base del contratto di affidamento per anticipi di portafoglio, non essendo avvenuto alcuno scioglimento dal contratto ex art. 169 bis L.F.

Occorre innanzitutto rammentare la fondamentale distinzione, nell’ambito dei contratti di finanziamento per anticipi sul portafoglio commerciale, tra anticipazione con cessione del credito notificata al debitore e linee di credito autoliquidanti.

Queste ultime si caratterizzano per l’anticipo effettuato dalla banca, entro un determinato plafond, di crediti commerciali a fronte della presentazione di idonea documentazione da parte del soggetto richiedente, con rimborso dell’anticipazione in un secondo momento attraverso l’incasso diretto dalla banca. Tale fattispecie si distingue nettamente dalla cessione di credito, la quale in virtù dei suoi effetti traslativi non viene intaccata dalla disciplina di cui all’art. 169 bis L.F.

Tra le linee di credito autoliquidanti si distinguono poi le linee di credito con semplice mandato all’incasso (c.d. mandato in rem propriam) e le linee di credito con annesso patto di compensazione.

Nel caso di specie è pacifica la sussistenza di un negozio di finanziamento complesso, rappresentato dall’anticipazione di denaro con mandato in rem propriam conferito alla banca per incassare i crediti dai terzi, come affermato dallo stesso istituto di credito convenuto (cfr. comparsa di costituzione, pag. 6: “Nei rapporti per cui è causa, inoltre, la società in concordato attribuiva all’odierna comparente mandato all’incasso in rem propriam”).

La convenuta non ha neppure contestato gli accrediti intervenuti, dopo la pubblicazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, sul conto corrente intestato all’attrice, come da questa elencati nel proprio atto introduttivo, né il quantum degli stessi (cfr. docc. 5, 6 e 6 bis dell’attrice e doc. 8 della convenuta), limitandosi ad affermare di aver legittimamente operato la compensazione con le somme ad essa già anticipate in forza di un mandato all’incasso in rem propriam conferitole dall’attrice.

Occorre tuttavia rimarcare la sostanziale differenza tra mandato all’incasso in rem propriam e mandato all’incasso in rem propriam con annesso patto di compensazione.

Come insegnato dalla Suprema Corte, da un lato vi è il caso del conferimento alla banca di un semplice mandato all’incasso in rem propriam, in presenza del quale la pendenza del rapporto obbliga la banca mandataria a darvi esecuzione con la riscossione dei crediti affidati, salvo rimetterne le relative somme al mandante in procedura senza poter operare la compensazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 56 L.F., per soggezione al principio della concorsualità e anche in applicazione del principio posto dall’art. 168 L.F. Dall’altro lato vi è la diversa ipotesi in cui il rapporto sia invece assistito da una clausola attributiva del diritto di incamerare le somme riscosse in favore della banca (c.d. patto di compensazione), che legittima la banca a compensare il debito di restituzione al cliente delle somme riscosse con il proprio credito verso lo stesso, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente.

Laddove il rapporto in essere tra le parti prosegua nel corso della procedura, esso prosegue infatti nella sua interezza, comprensiva di tutte le clausole pattizie che lo regolano, e quindi, in ipotesi, anche della clausola attributiva del diritto in capo alla banca di incamerare le somme riscosse per conto del correntista, operando la compensazione.

Occorre pertanto verificare se al mandato all’incasso conferito alla banca si accompagni anche un c.d. patto di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto, e quindi se la banca abbia il diritto di incamerare le somme riscosse e di porle a compensazione del proprio credito derivante dallo smobilizzo.

Nel caso in esame né dalle allegazioni della convenuta, né dall’esame della documentazione in atti (cfr. documentazione bancaria sub docc. 3 e 5 della convenuta) emerge che sia mai stato validamente concluso dalle parti un patto di compensazione in tal senso.

Dalla lettura del contratto di apertura di credito per affidamento portafoglio clienti (doc. 5 di parte convenuta) non risulta alcuna pattuizione che consenta di operare la compensazione tra le somme anticipate dall’istituto di credito e quelle accreditate sul conto corrente per effetto del pagamento eseguito da terzi debitori della correntista. La clausola riportata all’art. 11 non può essere letta nel senso di attribuire siffatta facoltà alla banca, poiché essa, limitandosi a riportare il contenuto della norma codicistica di cui all’art. 1853 c.c., si riferisce all’ipotesi della compensazione tra più rapporti esistenti tra le parti, presupponendo la sussistenza di più conti correnti in essere tra le medesime parti.

Nell’ipotesi di mero mandato all’incasso in rem propriam, quale è quello oggetto del caso di specie, non sono quindi compensabili i crediti vantati dalla banca mandataria all’incasso verso il debitore concordatario con le somme riscosse dopo il deposito della domanda di concordato (cfr. mutatis mutandis Cass. 19.02.2016 n. 3336: “In tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, qualora le operazioni siano compiute anteriormente all’ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, occorre accertare, nel caso in cui il fallimento (successivamente dichiarato) del medesimo agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa a quella anticipazione contenga una clausola attributiva del diritto di incamerare le somme riscosse in favore della banca stessa (cd. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto), atteso che solo in tale ipotesi quest’ultima ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito in dipendenza di operazioni regolate nel medesimo conto corrente senza che rilevi l’anteriorità del credito e la posteriorità del debito rispetto all’ammissione alla procedura concorsuale, non operando, in tale evenienza, il principio della cristallizzazione dei crediti”).

Da ciò consegue che le somme accreditate sul conto corrente intestato all’attrice in epoca successiva alla pubblicazione della domanda di ammissione al concordato preventivo sul Registro delle Imprese di Belluno in data __ vanno restituite all’attrice.

Come detto, né gli accrediti eseguiti sul conto corrente intestato all’attrice in epoca successiva alla pubblicazione della domanda di ammissione al concordato preventivo sul Registro delle Imprese di Belluno, né l’ammontare degli stessi è stato oggetto di contestazione da parte della convenuta.

Peraltro, gli importi incamerati dalla convenuta e complessivamente dovuti emergono dal contenuto degli estratti conto dimessi dall’attrice, anch’essi non contestati dalla convenuta (cfr. doc. 4 di parte attrice).

La convenuta C. va dunque condannata alla restituzione della somma complessiva di Euro __. Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dal __ (data equitativamente determinata tra il 28.09.2015, giorno del primo accredito, ed il 02.02.2016, giorno dell’ultimo accredito effettuato). Dal __, data di notifica dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio, sono dovuti gli interessi di cui all’art. 1284 co. 4 c.c.

Nelle conclusioni, l’attrice ha chiesto, oltre alla liquidazione degli interessi, anche di spese e rivalutazione. Esclusa la liquidazione di spese non indicate né documentate, va altresì esclusa la rivalutazione monetaria sulle somme riconosciute, trattandosi di debito di valuta e non di valore e non avendo parte attrice allegato un danno ulteriore rispetto al danno da ritardo già coperto dagli interessi (v. art. 1224 co. 2 c.c.).

  1. Le spese di lite seguono la soccombenza secondo quanto previsto dall’art. 91 c.p.c.

Parte convenuta C. S.p.A. va dunque condannata alla rifusione, in favore di parte attrice, delle spese di lite del presente giudizio, da quantificarsi in base ai parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 (tab. n. 2 – scaglione di valore da Euro 52.001,00 a Euro 260.000,00), con applicazione dei valori medi per la fase di studio, introduttiva e decisionale e del valore minimo per la fase istruttoria, limitata al deposito delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) condanna parte convenuta C. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, a restituire a parte attrice D. S.r.l. in concordato preventivo, la somma di Euro __, oltre interessi legali ex art. 1284 co. 1 c.c. dal __ ed interessi ex art. 1284 co. 4 c.c. dal __ al saldo;

2) condanna parte convenuta C. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a parte attrice D. S.r.l. in concordato preventivo le spese di lite, che si liquidano nel seguente modo: Euro __ per compenso di avvocato, Euro __ per anticipazioni, oltre rimborso spese forfettarie in misura del 15%, oltre IVA e CPA sulle poste soggette come per legge, ed oltre spese successive necessarie.

Così deciso in Bolzano, il 7 novembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 8 novembre 2019.

 

Tribunale_Bolzano_Sez_I_Sent_08_11_2019




L’omologazione del concordato preventivo

L’omologazione del concordato preventivo

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 30201 del 20/11/2019

Con sentenza del 20 novembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di concordato preventivo, ha stabilito che al provvedimento emesso, ai sensi dell’art. 183, comma 1, legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), dalla Corte d’appello decidendo sul reclamo avverso il decreto di omologazione si applica la disciplina prevista dall’art. 18, comma 14, della citata legge, di modo che lo stesso è ricorribile per cassazione entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla notificazione a cura della cancelleria; infatti il permanere anche rispetto all’impugnazione per cassazione delle ragioni giustificative della necessità di individuare una coincidente disciplina regolante il reclamo avverso il decreto con il quale il Tribunale abbia provveduto sull’omologazione, accordandola o negandola, fa sì che la portata del rinvio compiuta dall’art. 183, comma 2, legge fallimentare al procedimento di reclamo vada intesa come riferita all’intero svolgersi delle fasi di impugnazione previsto dall’art. 18 legge fallimentare e non solo alla porzione del reclamo.


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 30201 del 20/11/2019

L’omologazione del concordato preventivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

P. – ricorrente –

contro

C. S.p.A. – controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di NAPOLI depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal cons. Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. Il Tribunale di Ariano Irpino omologava il concordato preventivo con continuazione dell’attività aziendale proposto da P., titolare di una farmacia in (OMISSIS), respingendo l’opposizione proposta da C. S.p.A., la quale nel corso della procedura era stata provvisoriamente esclusa dal voto ad opera del giudice delegato poiché il suo credito conseguiva a un abusivo finanziamento e ricomprendeva interessi anatocistici e usurari.
  2. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata in data __, accoglieva il reclamo presentato da C. S.p.A. e revocava il decreto di omologazione impugnato, rimettendo gli atti al Tribunale di Benevento per i provvedimenti conseguenti.

Riteneva infatti la corte distrettuale che C. S.p.A. non avesse tenuto una condotta illecita nei confronti della P., sicché non era possibile ravvisare una concessione abusiva del credito, di cui comunque la reclamata non era legittimata a dolersi; nel contempo, a parere del collegio del reclamo, i rapporti contrattuali intercorsi fra la P. e C. S.p.A. non potevano essere qualificati come mutui con garanzia reale, con la conseguente esclusione del carattere usurario dei tassi pattuiti nel finanziamento.

  1. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia P. al fine di far valere due motivi di impugnazione.

Ha resistito con controricorso C. S.p.A., la quale in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità del ricorso avversario per tardività, poiché lo stesso era stato proposto a seguito del completo decorso del termine previsto dalla L.F., art. 131, comma 12.

Il ricorso, inizialmente fissato in sede camerale innanzi a questa stessa sezione, è stato rimesso alla pubblica udienza, apparendo necessario approfondire la questione relativa alla disciplina applicabile al procedimento di reclamo previsto dalla L.F., art. 183, comma 1, e alla conseguente individuazione del termine da tenere a riferimento per proporre ricorso per cassazione.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis.1 c.p.c., sollecitando il rigetto di entrambi i motivi di ricorso.

Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.

A seguito del decesso dell’unico difensore della ricorrente la causa è stata differita onde consentire alla parte, cui il rinvio è stato comunicato personalmente, la nomina di un nuovo difensore.

Motivi della decisione

  1. Occorre rilevare, in limine, la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità, per tardività, sollevata dal controricorrente.

1.1 Questa Corte ha affermato in una pluralità di occasioni che il reclamo alla Corte d’appello avverso il decreto con il quale il Tribunale abbia provveduto sull’omologazione (accordandola o negandola) del concordato preventivo, ai sensi della L.F., art. 183 va proposto entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato, in quanto l’impugnabilità con il reclamo medesimo anche della sentenza dichiarativa di fallimento postula l’applicazione del termine previsto dalla L.F., art. 18 (si vedano in questo senso, inizialmente, Cass. 4304/2012, e in seguito Cass. 21606/2013, Cass. 3463/2017, Cass. 22473/2018 e, seppur in via incidentale, Cass. 24797/2019).

Nell’affermare un simile principio questa Corte (v. Cass. 20892/2019) ha sottolineato che l’irrilevanza della dichiarazione di fallimento ai fini della proponibilità del reclamo avverso il provvedimento di diniego dell’omologa reso dal Tribunale porta a individuare un unico termine per la presentazione dell’impugnazione, onde evitare che i termini per proporre la medesima forma di gravame possano mutare a seconda del contenuto del provvedimento impugnato e della eventualità che, contestualmente al diniego di omologazione, possa o meno essere pronunciata la sentenza di fallimento.

È stato perciò ritenuto che il dato testuale della L.F., art. 183, comma 2, secondo cui “con lo stesso reclamo è impugnabile la sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente emessa a norma dell’art. 180, comma 7”, ispirandosi al generale principio di necessaria convergenza di ogni doglianza concernente la procedura concordataria e la dichiarazione di fallimento, lasci pensare che il legislatore abbia tenuto presente, nel formulare il testo normativo, il reclamo proponibile contro la sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi della L.F., art. 18; ne discende la necessità di individuare il termine unitario per presentare reclamo in quello previsto dalla disposizione appena richiamata, la quale introduce una regola particolare per il procedimento di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento in deroga alla disciplina dei procedimenti camerali che governa, in linea generale, il procedimento L.F., ex art. 15.

1.2 Gli argomenti già posti a fondamento del principio concernente la fase del reclamo si riverberano anche sulla disciplina del successivo ricorso per cassazione.

In vero, se la circostanza che con lo stesso reclamo, proponibile contro il decreto che pronuncia sull’omologazione del concordato preventivo, possa essere impugnata anche l’eventuale sentenza dichiarativa di fallimento impone, per una lettura costituzionalmente orientata della norma, di reputare applicabile il medesimo termine previsto dalla L.F., art. 18 (Cass. 4304/2012), non si può che constatare come le ragioni giustificative della reductio ad unum riconosciuta come necessaria – vale a dire il fatto che la stessa impugnazione possa investire, oltre che la statuizione che pronuncia sull’omologazione del concordato preventivo, anche l’eventuale sentenza dichiarativa di fallimento – permangono immutate anche rispetto al ricorso per cassazione.

In altri termini questa necessaria comunanza di sorti processuali dell’impugnazione avverso il medesimo provvedimento riguardante l’esito della procedura concordataria, se riconosciuta sussistente, non può che essere predicata rispetto all’intero svolgimento del procedimento di gravame piuttosto che essere riconosciuta limitatamente al solo reclamo, poiché anche nell’ultimo stadio dell’impugnazione occorre evitare che i termini per proporre la medesima forma di gravame possano mutare a seconda del contenuto del provvedimento impugnato e della eventualità che in origine, contestualmente al diniego di omologazione, sia stata o meno pronunciata la sentenza di fallimento.

La portata del rinvio compiuta dalla L.F., art. 183, comma 2, al procedimento di reclamo va allora intesa come riferita all’intero svolgersi delle fasi di impugnazione previsto dalla disposizione richiamata e non solo alla porzione del reclamo, avendo voluto il legislatore prevedere una coincidenza dei gravami successivamente proponibili avverso il decreto con il quale il Tribunale abbia provveduto sull’omologazione, accordandola o negandola, a prescindere dal concreto contenuto dell’impugnazione e dell’inclusione in esso di questioni attinenti al fallimento eventualmente dichiarato. Ciò al fine anche di armonizzare, nella medesima prospettiva di lettura costituzionalmente orientata già richiamata, in termini coincidenti la disciplina del ricorso per cassazione nella complessiva materia concordataria, nel cui ambito risulterebbe irragionevole una dilatazione dei tempi di impugnazione in sede di legittimità rispetto a chi, ancora in bonis, abbia una più accentuata urgenza di dare soluzione alla sua condizione di crisi.

Né è possibile trarre argomenti in contrario da precedenti di questa Corte (Cass. 2706/2009, Cass. 7013/1999, Cass. 753371990) che espressamente indicano in sessanta giorni il termine per ricorrere per cassazione avverso la statuizione con cui la Corte d’appello aveva rigettato le opposizioni alla sentenza o al decreto di omologazione della proposta di concordato preventivo, poiché queste pronunce riguardano fattispecie regolate dalla L.F., art. 183 nel testo vigente prima della riforma introdotta dal D.Lgs. n. 169 del 2007, che espressamente prevedeva la presentazione di un appello – e non di un reclamo – avverso il provvedimento di omologazione del concordato.

Le ragioni sopra illustrate inducono a ritenere che il ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso, ai sensi della L.F., art. 183, comma 1, dalla Corte d’appello all’esito del reclamo proposto rispetto al decreto che abbia provveduto sull’omologazione debba essere presentato nel termine di trenta giorni dalla notificazione compiuta a cura della cancelleria, a mente di quanto previsto dalla L.F., art. 18, commi 12 e 14.

Occorrerà dunque affermare il seguente principio:

in tema di concordato preventivo, al provvedimento emesso, ai sensi della L.F., art. 183, comma 1, dalla Corte d’appello decidendo sul reclamo avverso il decreto di omologazione si applica la disciplina prevista dalla L.F., art. 18, comma 14, di modo che lo stesso è ricorribile per cassazione entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla notificazione a cura della cancelleria; infatti il permanere anche rispetto all’impugnazione per cassazione delle ragioni giustificative della necessità di individuare una coincidente disciplina regolante il reclamo avverso il decreto con il quale il Tribunale abbia provveduto sull’omologazione, accordandola o negandola, fa sì che la portata del rinvio compiuta dalla L.F., art. 183, comma 2, al procedimento di reclamo vada intesa come riferita all’intero svolgersi delle fasi di impugnazione previsto dalla L.F., art. 18 e non solo alla porzione del reclamo.

1.3 Nel caso di specie tale “comunicazione/notificazione” della cancelleria è avvenuta in data __, come attesta il documento prodotto sub C dal controricorrente (rimanendo irrilevante, ai fini del decorso dei termini per proporre reclamo, stabilire la natura di notificazione o comunicazione di tale atto, dato che nell’attuale contesto normativo non vi è più ragione per distinguere fra comunicazione e notificazione; Cass. 23575/2017).

Il ricorso per cassazione presentato risulta invece notificato soltanto il __, ben oltre il termine di trenta giorni previsto dalla disciplina che si è riconosciuto presiedere il caso di specie.

L’impugnazione risulta perciò inammissibile, essendo stata proposta oltre i termini prescritti per la sua proposizione.

1.4 Giova rilevare, infine, che la soluzione adottata era insita nei precedenti di questa Corte che già in epoca anteriore alla presentazione del ricorso in esame avevano fatto riferimento alla L.F., art. 18 ai fini dell’individuazione del termine per proporre il reclamo.

Non è quindi possibile ravvisare nel caso di specie un affidamento qualificato della parte in un consolidato indirizzo interpretativo di norme processuali meritevole di tutela con il prospective overruling onde consentire al ricorso, presentato con modalità e in forme ossequiose dell’unico espresso precedente in materia (Cass. 22932/2011) e non condiviso da questo collegio, di produrre ugualmente i suoi effetti.

Il superiore rilievo ha carattere assorbente e rende superfluo l’esame dei motivi di ricorso presentati (peraltro infondati, come rilevato dal P.G. con la propria requisitoria depositata in data __).

L’individuazione da parte di questo collegio del contesto normativo disciplinante la materia trattata in termini dissimili da alcuni precedenti di questa Corte induce a compensare integralmente le spese di lite fra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

Cass_civ_Sez_I_20_11_2019_n_30201




Fallimento: domanda tardiva di ammissione al passivo

Fallimento: domanda tardiva di ammissione al passivo

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 30760 del 26/11/2019

Con ordinanza del 26 novembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nell’ipotesi di domanda tardiva di ammissione al passivo, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 101 L.F., c.d. super-tardiva o ultra-tardiva, cioè proposta oltre il termine di legge o fissato dal tribunale, la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.


Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 30760 del 26/11/2019

Fallimento: domanda tardiva di ammissione al passivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

B. S.p.A. – ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. In liquidazione – controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TREVISO, depositato il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Relatore Dott. __.

Svolgimento del processo

  1. B. S.p.A., in nome e per conto di S. S.r.l. (d’ora in avanti, più semplicemente B.), ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria exart. 380-bis c.p.c., avverso il decreto n. __, reso dal Tribunale di Treviso il __, reiettivo della sua opposizione, e art. 98 L.F., contro la mancata ammissione al passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione dei propri crediti di Euro __, in via ipotecaria, ed Euro __ in chirografo, invocati, rispettivamente, in forza di un contratto di mutuo fondiario intercorso con quest’ultima società in bonis e per le spese e competenze della corrispondente procedura esecutiva intrapresa anteriormente al suo fallimento. Resiste, con controricorso, la curatela del menzionato fallimento.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, sulla premessa che la descritta richiesta di insinuazione era stata depositata il __, oltre il termine previsto dalla L.F., art. 101, comma 1, ritenne che: i) la documentazione prodotta dimostrava che la odierna ricorrente fosse venuta comunque a conoscenza del Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. (risalente al __), tanto desumendosi dalla perizia di stima depositata, il __, nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare allora in corso in danni di quest’ultima ed in cui uno dei creditori procedenti era la B.; dall’inequivocabile tenore della corrispondenza intercorsa tra il legale della B. ed il curatore fallimentare, da cui emergeva che al primo era stata rivolta dal secondo la richiesta di disponibilità della sua assistita a far parte del comitato dei creditori, e che detto legale aveva risposto fornendo le indicazioni circa il funzionario di riferimento della vicenda; dalla medesima richiesta inviata dal curatore al funzionario della B. il __; i) la curatela aveva comunque inviato alla Banca, all’indirizzo PEC risultante dal Registro Ini-pec, l’avviso ex art. 92 L.F., il cui esito di mancata consegna a causa di Mailbox, doveva considerarsi imputabile alla destinataria stessa, che, omettendo di controllare la capienza residua, non aveva fatto uso diligente del proprio account di posta elettronica certificata.

Motivi della decisione

  1. Le formulate censure prospettano:
  2. I) Ex 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L.F., art. 92 e art. 101, u.c., per avere il tribunale ritenuto irrilevante l’omesso avviso ex art. 92 L.F., (nella specie perché non recapitato, atteso l’esito negativo del messaggio di consegna della corrispondente PEC visibile da parte del solo mittente) da parte del curatore del fallimento, da considerarsi, invece, integrare causa non imputabile del ritardo della richiesta di insinuazione. Si assume che nell’attuale sistema, in cui la domanda di ammissione al passivo è soggetta a nidi termini di decadenza, la comunicazione prevista dalla L.F., art. 92 non può essere sostituita da notizie asseritamente pervenute in ria informale da un soggetto estraneo rispetto alla B. o comunque da un soggetto che ne era solo dipendente, non potendo essere posto a carico del creditore, tantomeno ai fini della valutazione della sua inerzia, l’onere di informami sul fallimento del proprio debitore (cfr pag. 6 del ricorso); II) Exart. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nel ribadirsi le argomentazioni di cui al precedente motivo, si assume che il tribunale abbia errato nel valutare le prove, ritenendole idonee ad ottemperare al disposto di cui all’art. 101 L.F. Inoltre il tribunale ha ritenuto, e qui sta l’omesso esame (irta un fatto decisivo per il giudizio. oggetto di discussione tra le parti, che anche soggetti terzi, come può essere un legale esterno a cui si appoggia la B. o un suo dipendente, equivalgano alla conoscenza dell’intervenuto fallimento da parte degli apici della Banca, e che se tale fatto storico, oggetto di discussione nel corso del giudizio, fosse stato oggetto di esame da parte del tribunale, avrebbe portato all’accoglimento del ricorso ex art. 98 (cfr. pag. 10 del ricorso);

III) Ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 92 e 101, u.c., L.F. e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, per avere il tribunale erroneamente affermato che il descritto esito negativo del messaggio di consegna di posta elettronica equivalesse all’effettiva consegna della e-mail PEC, così implicitamente applicando il D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 4, specificamente dettato per il processo civile telematico così da non poter riguardare comunicazioni che avvengono al di fuori del processo.

  1. Rileva preliminarmente il Collegio che il decreto impugnato si configura come una pronuncia basata su due distinte raliones decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere della Banca ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass. n. 2663 del 2019, in motivazione, Cass. n. 21490 del 2005 e Cass. n. 7838 del 2015. In senso sostanzialmente conforme si vedano anche Cass. n. 2736 del 2013, e, soprattutto, Cass., SU, n. 3840 del 2007, in motivazione).

2.1. Nella specie, le suddette rationes risultano attinte, rispettivamente, dai motivi primo e secondo (la prima di esse), e (la seconda) dal terzo. peraltro, evidente che ove almeno una di tali rationes resista alle censure ad essa mosse, diverrebbe irrilevante lo scrutinio dell’altra, atteso che, alla stregua dei principi giurisprudenziali rinvenibili in Cass. n. 20153 del 2018, Cass. n. 18641 del 2017 e Cass. n. 15350 del 2017 (tutte richiamate nella più recente Cass. n. 29916 del 2018), la stessa non potrebbe comunque produrre l’annullamento del provvedimento impugnato.

  1. In via logicamente prioritaria, va esaminato il terzo motivo, da ritenersi, peraltro, fondato (indipendentemente dall’inesatto richiamo alle disposizioni violate, di per sé non costituente circostanza impeditiva dell’esame del motivo ove ne risulti comunque chiaro il contenuto. Cfr. Cass. n. 12690 del 2018).

3.1. Invero, il D.L. n. 179 del 2012, art. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, ha introdotto la L.F., art. 31-bis, rubricato Comunicazioni del curatore, a tenore del quale: 1. Le comunicazioni ai creditori e ai titolari di diritti sui beni che la legge o il giudice delegato pone a carico del curatore sono effettuate all’indirizzo di posta elettronica certificata da loro indicato nei casi previsti dalla legge. 2. Quando è omessa l’indicazione di cui al comma precedente, nonché nei casi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, tutte le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. 3. In pendenza della procedura e per il periodo di due anni dalla chiusura della stessa, il curatore è tenuto a conservare i messaggi di posta elettronica certificata inviati e ricevuti.

3.2. Orbene, è pacifico tra le parti che l’avviso ex art. 92 L.F. inviato dal curatore del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione alla Banca, all’indirizzo PEC risultante dal Registro Ini-pec, era risultato non consegnato per “Mailbox fult”: conseguentemente, una volta ritenuto, dal tribunale trevigiano, che un siffatto esito negativo fosse imputabile al destinatario dell’avviso stesso, il quale non aveva fatto uso diligente del proprio account di posta elettronica certificata omettendo di controllarne la capienza residua, si sarebbe dovuto accertare, alla stregua della L.F. art. 31-bis, comma 2, l’avvenuta effettuazione, o meno, del medesimo avviso presso la cancelleria del tribunale fallimentare. Una siffatta circostanza, però, nemmeno è stata allegata dalla curatela, sicché, da un lato, deve affermarsi che, nella specie, l’esito negativo suddetto, benché ritenuto imputabile al destinatario dell’avviso, deve ritenersi equivalente ad un’omissione dell’avviso ex art. 92 L.F. non avendo il curatore fallimentare allegato (ancor prima che documentato) di aver provveduto al suo deposito in cancelleria come impostogli, per una ipotesi siffatta, dalla L.F., art. 31-bis, comma 2; dall’altro, deve trovare applicazione il principio, già ripetutamente affermato da questa Corte, per cui il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dall’art. 92 L.F., integra sì la causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento, indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto (cfr. Cass. n. 10121 del 2019; Cass. n. 16103 del 2018; Cass. n. 23302 del 2015; Cass. n. 4310 del 2012).

  1. Ne deriva, dunque, che la fondatezza della doglianza in esame, lungi dal determinare l’accoglimento del ricorso, impone l’esame dei suoi primi due motivi, che può essere effettuato unitariamente in ragione della loro evidente connessione, e che, come si è anticipato, investono l’ulteriore, autonoma ratio decidendi posta dal tribunale veneto a fondamento della propria decisione: vale a dire che la curatela odierna controricorrente aveva fornito adeguata dimostrazione che Banca fosse venuta comunque a conoscenza dell’esistenza del dichiarato Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione. Lo scrutinio di tali censure rivela la loro complessiva insuscettibilità di accoglimento.

4.1. In proposito, giova immediatamente rimarcare che la reiterata insistenza della Banca – anche nella memoria ex art. 380-bis c.p.c. – in ordine all’assunto che la mancata comunicazione dell’avviso ex art. 92 L.F. avrebbe dovuto comportare, sic et simpliciter; la non imputabilità ad essa del ritardo con cui aveva proposto la propria domanda di ammissione al passivo, posto che la comunicazione prevista dall’art. 92 L.F. là non può essere sostituita da notizie asseritamente pervenute in via informale da un soggetto estraneo rispetto alla Banca o comunque da un soggetto che ne era solo dipendente, non potendo essere posto a carico del creditore, tantomeno ai fini della valutazione della sua inezia, l’onere di informarsi sul fallimento del proprio debitore” (cfr. pag. 6 del ricorso), oblitera totalmente il diverso, costante orientamento giurisprudenziale richiamata al precedente p. 4.2, né si confronta con esso.

4.2. Fermo quanto precede, il tribunale trevigiano ha ritenuto che la curatela aveva fornito adeguata dimostrazione che la B. fosse venuta comunque a conoscenza del Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. (risalente al __), tanto desumendolo dalla documentazione rinvenuta in atti, già specificamente descritta al precedente p. 1.1., da intendersi qui richiamato.

4.3. Posto, allora, che nell’ipotesi di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi della L.F. art. 101, u.c. (cd. supertardiva o ultratardiva, cioè proposta – come nel caso – oltre il termine, di legge o fissato dal tribunale, di cui al comma 1 della medesima norma, computato rispetto al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e pacificamente superato anche nella fattispecie de qua), la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 10121 del 2019; Cass. n. 16103 del 2018; Cass. n. 19017 del 2017; Cass. n. 23302 del 2015; Cass. n. 20686 del 2013), ritiene il Collegio che la riportata conclusione del menzionato tribunale sia immune dalle censure ad essa ascritte.

4.3.1. Invero, non è ragionevolmente dubitabile che il legale della B. (Avv. __, lo stesso costituito anche in questa sede nel suo interesse) abbia avuto conoscenza del Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione o dal __, cioè da quando aveva ricevuto la richiesta della curatela volta ad ottenere la disponibilità della sua assistita di far parte del comitato dei creditori (analoga richiesta era poi stata inviata dalla curatela anche a colui il quale gli era stato indicato dal medesimo legale come funzionario della B. di riferimento per tale vicenda), o, in ogni caso, dal __, data della perizia di stima depositata nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare allora in corso in danni della società poi fallita ed in cui uno dei creditori procedenti era proprio la B.

4.3.2. Costituisce, poi, principio di carattere generale quello per cui quanto avviene in udienza deve considerarsi noto alle parti (attraverso la mediazione del difensore), che, per quanto qui interessa, sono, nel processo di esecuzione, il creditore (nella specie, giova ricordarlo, anche la B. odierna ricorrente) ed il debitore, ricordandosi, altresì, che, ai sensi dell’art. 40 del Codice Deontologico Forense approvato il 17 aprile 1997 e vigente fino al __ (qui utilizzabile, dunque, ratione lemporis, almeno in relazione al momento in cui il legale della Banca aveva ricevuto la richiesta della curatela di sondare la disponibilità della propria assistita a far parte del costituendo comitato dei creditori), l’avvocato è tenuto ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli quando lo reputi opportuno (ed ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta); deve comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione; deve riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi. Disposizioni affatto analoghe, peraltro, sono contenute nell’art. 27, commi 7 ed 8, del medesimo Codice approvato il 31 gennaio 2014, entrato in vigore il 16 dicembre 2014 e rimasto vigente fino al 1° luglio 2016, applicabile, pertanto, in relazione al momento (giugno 2015) in cui il legale della B. assisteva quest’ultima nel corso della citata procedura esecutiva.

4.3.3. La B. odierna ricorrente, dunque, certamente doveva considerarsi a conoscenza, quanto meno dalle date predette (novembre __ o, al più tardi, giugno __), della sopravvenuta dichiarazione di Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione (risalente al __). Da ciò consegue la inammissibilità della domanda L.F., ex art. 101, comma 4, proposta dalla prima solo il __ (cfr. pag. 2 del decreto impugnato), pacificamente oltre il termine, di legge o fissato dal tribunale, di cui al comma 1 della medesima norma, computato rispetto al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento predetto.

  1. Il ricorso va, pertanto, respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna B. S.p.A., nella indicata qualità, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in __ euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in __ euro, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 26 novembre 2019

 

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Il procedimento di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento

Il procedimento di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 30202 del 20/11/2019

Con sentenza del 20 novembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la decisione assunta dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 22, comma 4, L.F. (R.D. n. 267 del 1942) non ha carattere decisorio, né definitivo e non è, quindi, impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., dato che l’incidenza sui diritti delle parti non deriva direttamente dal decreto di accoglimento del reclamo, qualsiasi natura abbiano assunto le questioni sollevate in quella sede, ma dalla successiva sentenza dichiarativa di fallimento, autonomamente impugnabile ex art. 18 L.F., di cui il provvedimento della Corte distrettuale costituisce un momento del relativo complesso procedimento. Eventuali vizi in procedendo attinenti al procedimento di reclamo ex art. 22, comma 4, L.F., pertanto, potranno essere fatti valere nel procedimento di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 30202 del 20/11/2019

Il procedimento di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. __ proposto da:

I. S.r.l. – ricorrente –

contro

Curatela Del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Cons. Dott. __;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato __ per la ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento.

Svolgimento del processo

  1. Il Tribunale di Chieti respingeva l’istanza proposta dalla curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. volta a sentir dichiarare il fallimento di I. S.r.l.
  2. La Corte d’appello dell’Aquila, con decreto in data __, riteneva che il reclamo della curatela istante fosse stato regolarmente e tempestivamente proposto, anche se soltanto in forma cartacea, e rigettava così l’eccezione di inammissibilità del gravame presentata in via preliminare da I. S.r.l.

Nel merito la corte territoriale riteneva convincenti i dati indicati dal creditore reclamante ai fini dell’individuazione di uno stato di insolvenza in capo alla società debitrice, accoglieva di conseguenza il reclamo proposto dalla curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l. e rimetteva gli atti al primo giudice per gli incombenti previsti dalla L.F., art. 22, comma 4.

  1. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, I. S.r.l., affidandosi a un unico motivo di ricorso.

L’intimato fallimento (OMISSIS) s.r.l. non ha svolto alcuna difesa.

La sesta sezione di questa Corte, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del __ ha ritenuto insussistenti i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., apparendo necessario approfondire la questione relativa all’immediata ricorribilità per cassazione della decisione assunta dalla Corte d’appello L.F., ex art. 22, comma 4, rispetto a problematiche di contenuto meramente preliminare al merito e attinenti a presunti vizi di inammissibilità/improcedibilità del reclamo, onde stabilire se in questi casi il debitore possa denunciare il vizio procedurale che non consentiva la pronuncia pregiudicante prima della sua dichiarazione di fallimento.

A tal fine la causa è stata rimessa alla pubblica udienza di questa sezione.

Motivi della decisione

  1. Occorre preliminarmente rilevare l’inammissibilità del ricorso presentato.

4.1 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte formatasi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006, il decreto di rinvio previsto dalla L.F., art. 22, comma 3, nel testo all’epoca in vigore, costituiva un provvedimento interlocutorio e non definitivo, in quanto l’incidenza sui diritti delle parti non derivava direttamente ed unicamente da esso, ma soltanto dalla sentenza dichiarativa di fallimento del Tribunale (Cass. 8924/1994).

Il decreto in questione assolveva quindi una funzione meramente processuale propedeutica alla sentenza che dichiara il fallimento, dato che la decisione assunta dal collegio del reclamo confluiva e veniva assorbita nella sentenza del Tribunale (Cass. 6261/1994).

Dalla constatazione di una simile natura si faceva discendere che i decreti pronunciati dalla Corte d’appello a norma della L.F., art. 22, comma 3, non erano assoggettabili a ricorso per Cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimenti ad effetti meramente processuali, destinati per legge a lasciare del tutto impregiudicati i diritti delle parti sul piano del diritto sostanziale ed insuscettibili di passaggio in giudicato (Cass. 1502/1968, Cass. 426/1965 e Cass. 1912/1963).

Di talché in caso di accoglimento del reclamo con remissione degli atti al primo giudice per la dichiarazione di fallimento i vizi in procedendo attinenti al procedimento di detto reclamo potevano essere fatti valere nel giudizio di opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. 8008/1990, Cass. 1985/1984, Cass. 2443/1980).

4.2 Un simile orientamento è stato condiviso anche dalla giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006, la quale ha ribadito che il provvedimento con cui la Corte d’appello, ai sensi della L.F., art. 22, comma 4, accoglie il reclamo avverso il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale per la dichiarazione di fallimento, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, difettando i requisiti, pur sempre necessari, della definitività e della decisorietà, in quanto l’incidenza sui diritti soggettivi delle parti coinvolte deriva dalla successiva dichiarazione di fallimento, di cui il provvedimento della Corte d’appello costituisce un momento del relativo complesso procedimento (Cass. 19096/2007, Cass. 21193/2006).

4.3 Questi principi sono certamente da ribadire rispetto a qualsiasi statuizione, procedurale o di merito, posta dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione di accoglimento del reclamo L.F., ex art. 22, comma 4, statuizione che in ogni caso manca dei profili di decisività e definitività necessari per la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.

Siffatto rimedio è infatti esperibile avverso i provvedimenti che presentino i requisiti della decisorietà e della definitività, intendendosi per decisorietà l’attitudine del provvedimento a incidere su diritti soggettivi con la particolare efficacia del giudicato quale effetto tipico della giurisdizione contenziosa (Cfr. Cass., Sez. U., 27073/2016) e per definitività l’insuscettibilità di quella decisione di essere revocata, modificata o riformata dal medesimo giudice che l’ha emessa o da altro giudice chiamato a provvedere in grado successivo (Cass. 13287/2006).

La decisione assunta dalla corte territoriale ai sensi della L.F., art. 22, comma 4, tuttavia non ha carattere decisorio (perché non incide direttamente su diritti soggettivi ma permette che gli stessi possano essere in seguito incisi, salvo che si accerti l’intervenuto venir meno dei presupposti necessari) e neppure definitivo (non potendo essere intesa come provvedimento che riconosce la sussistenza di un diritto al fallimento del proprio debitore, di per sé non configurabile astrattamente; Cass. 19446/2011).

E questa mancanza di decisività e definitività investe ogni questione agitata in sede di reclamo, sia essa di carattere processuale o sostanziale, dato che il tipo di vizio denunciato non influisce mai sull’impugnabilità di un provvedimento.

Ne discende che l’incidenza sui diritti delle parti non deriva direttamente dal decreto di accoglimento del reclamo, qualsiasi natura abbiano assunto le questioni sollevate avanti alla Corte d’appello, ma dalla successiva sentenza dichiarativa di fallimento, autonomamente impugnabile L.F., ex art. 18, di cui il provvedimento della Corte d’appello costituisce un momento del relativo, complesso, procedimento.

Eventuali vizi in procedendo attinenti al procedimento di reclamo L.F., ex art. 22, comma 4, refluiranno quindi nel procedimento di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.

Sul punto andrà dunque ribadito il seguente principio:

la decisione assunta dalla Corte d’appello ai sensi della L.F., art. 22, comma 4, non ha carattere decisorio né definitivo e non è quindi impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., dato che l’incidenza sui diritti delle parti non deriva direttamente dal decreto di accoglimento del reclamo, qualsiasi natura abbiano assunto le questioni sollevate in quella sede, ma dalla successiva sentenza dichiarativa di fallimento, autonomamente impugnabile L.F., ex art. 18, di cui il provvedimento della corte distrettuale costituisce un momento del relativo complesso procedimento; eventuali vizi in procedendo attinenti al procedimento di reclamo L.F., ex art. 22, comma 4, potranno quindi essere fatti valere nel procedimento di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.

  1. I superiori argomenti hanno carattere assorbente e rendono superfluo l’esame del motivo presentato dal ricorrente.
  2. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La mancata costituzione in questa sede del creditore istante esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

 

Cass_civ_Sez__20_11_2019_n_30202




La notifica del ricorso per il fallimento può essere effettuata nei confronti del liquidatore

La notifica del ricorso per il fallimento può essere effettuata nei confronti del liquidatore

Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 27793 del 30/10/2019

Con sentenza del 10 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che poiché il fallimento può essere dichiarato entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, ai sensi dell’art. 10 della L.F., la notifica del ricorso per il fallimento può essere effettuata nei confronti del liquidatore, anche in via telematica, allo stesso indirizzo di posta elettronica dalla società in precedenza comunicato al registro delle imprese, per la fictio iuris della persistenza della società ancora prima del decorso dell’anno.


Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 27793 del 30/10/2019

La notifica del ricorso per il fallimento può essere effettuata nei confronti del liquidatore

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da:

Q. e G., in proprio e quali destinatari (materiali) degli atti intestati alle società: F. s.s., cessata ed estinta in data (OMISSIS); G. s.s., cessata ed estinta in data (OMISSIS); M. s.s., cessata ed estinta in data (OMISSIS); C. s.s., cessata ed estinta in data (OMISSIS); P. s.s., cessata ed estinta in data (OMISSIS); C. s.s., cessata ed estinta in data (OMISSIS), nonché per M. e C., in proprio e quali destinatari (materiali) degli atti intestati alla E. s.s., cessata ed estinta in data (OMISSIS) – ricorrenti –

contro

A. – controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. __ depositata il __.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere __;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. __, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’improponibilità della sentenza;

udito l’Avv. __, per delega dell’Avv. __ e l’Avv. __ per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Svolgimento del processo

  1. A., nel corso di una attività di verifica compiuta nei confronti della A. S.p.A., segnalava che nel corso del __ G. s.s., totalmente partecipata dalla A. S.p.A., aveva costituito n. 16 società semplici: A. s.s., A. s.s., A. s.s., C. s.s., C. s.s., E. s.s., D. s.s., D. s.s., D. s.s., D. c.c., E. s.s., E. s.s., F. s.s., F. s.s., G. s.s. e M. s.s., ciascuna dotata del capitale di Euro __. Tali società avevano a loro volta costituito e capitalizzato altre società semplici. Si trattava di una articolata strategia posta in essere dal gruppo M., con cui, attraverso apparenti versamenti a fondo perduto in favore delle controllate da parte delle controllanti, anch’esse società semplici, e con la cessione delle relative partecipazioni ad altre società del gruppo, venivano create minusvalenze, destinate a compensare plusvalenze della stessa natura, al solo fine di eludere la normativa fiscale. L’Agenzia delle entrate, quindi, annullava le dichiarazioni dei redditi di tali società per l’anno __ e rigettava le richieste di condono per lo stesso anno presentate ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, da tali società, ritenendole inesistenti in tale anno, avendo esse chiesto la partita iva solo nel 2003, come pure l’iscrizione nel registro delle imprese, e non essendovi prima di detta data documenti di data certa attestanti tale attività.
  2. Le società proponevano ricorso, evidenziando, in rito, che erano state cancellate nel periodo __, sicché gli atti, notificati il __, dovevano essere intestati ai soci (non alle società, né ai legali rappresentanti delle stesse) e, nel merito, che le stesse avevano operato anche nell’anno __, avendo chiesto nel __, sia la registrazione dell’atto costitutivo relativo al __, sia l’iscrizione nel registro delle imprese nel __ ma a decorrere dal __.
  3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, rigettava l’appello proposto dalle contribuenti, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva rigettato il ricorso delle società, evidenziando che gli avvisi erano stati correttamente notificati al socio d’opera ed al firmatario della dichiarazione dei redditi dell’anno __ e che la documentazione fornita dalle società per dimostrare la loro esistenza nel __ era priva di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c. Solo nel __ le stesse avevano chiesto ed ottenuto l’attribuzione del codice fiscale e l’iscrizione nel registro delle imprese. Non vi era prova della concreta attività svolta, in base all’oggetto sociale, né della effettiva sussistenza delle movimentazioni finanziarie, mentre le scritture dei soggetti terzi non avevano valore in quanto anch’essi situati all’interno del meccanismo fraudolento.
  4. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i contribuenti, depositando anche memoria scritta ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
  5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, artt. 110 e 145 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto è pacifico che le società sono state cancellate nel periodo __, mentre gli atti sono stati loro notificati in data __, quando le stesse erano ormai estinte, sicché la notifica doveva essere effettuata ai soci, ed in particolare agli ultimi soci, ossia quelli che ricoprivano tale carica al momento della estinzione, e successivamente, quindi, alla data della notifica in data __.

Al contrario, l’Agenzia ha intestato gli atti (il rigetto dell’istanza di definizione automatica ai sensi della L. N. 289 del 2002, art. 9, e l’annullamento della dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 2002) alle società già cancellate, provvedendo alle notifiche al legale rappresentante Q. ed al firmatario della dichiarazione di condono G.

La Commissione tributaria regionale, invece, non considerando la effettività titolarità delle quote al momento della estinzione, ha ritenuto erroneamente che “gli avvisi sono stati notificati al socio d’opera ed al firmatario della dichiarazione dei redditi anno __”, considerando soci d’opera quelli indicati al momento della costituzione delle società semplici nel novembre __ (come da prospetto allegato a pagine 11 e 12 del ricorso per cassazione). I soggetti destinatari delle notifiche nel dicembre __ non erano più, quindi soci delle società semplici, sulla base dei vari atti di modificazione degli atti costitutivi. Tali notifiche, quindi, sono inesistenti.

  1. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono “contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto il giudice di appello, mentre nella parte relativa allo svolgimento dei fatti ha affermato che l’ufficio aveva notificato i provvedimenti alle società ed ai suoi rappresentanti, poi in motivazione ha ritenuto che nel caso di specie gli avvisi sono stati notificati al socio d’opera ed al firmatario della dichiarazione dei redditi anno __, quindi non più alla società, ma al socio d’opera.
  2. Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti si dolgono della “omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto il giudice di appello ha affermato che i provvedimenti sono stato notificati al socio d’opera ed al firmatario della dichiarazione dei redditi anno __, ma ha omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, tanto più che il socio d’opera Q. non rivestiva più, al momento della notificazione dei provvedimenti, tale qualifica. Infatti, nelle società F. s.s., G. s.s., M. s.s., C. s.s., P. s.s., C. s.s., E. s.s., al momento delle notifiche il Q. non era più socio d’opera, mentre erano soci altri soggetti, tra cui A. S.r.l. Essendo state tutte cancellate tali società nel marzo-maggio __, le notifiche dovevano essere effettuate nei confronti degli ultimi soci. Inoltre, il giudice di appello ha del tutto omesso l’esame delle prove relative a fatti obiettivi e decisivi prodotte dalle società. Tali prove dimostrano che gli atti impositivi sono stati intestati e notificati direttamente alle società estinte.
  3. Con il quarto motivo, rubricato come motivo 3.1. dai ricorrenti (pagina 46 del ricorso) si deduce “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto la Commissione regionale ha affermato in modo superficiale che la notifica è stata effettuata al socio d’opera ed al firmatario della dichiarazione dei redditi anno __, senza illustrare l’iter logico-giuridico seguito per giungere a tale conclusione.
  4. I motivi primo, secondo, terzo e quarto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
  5. Invero, dal prospetto redatto a pagine 11, 12 e 13 del ricorso per cassazione, emergono con chiarezza la tipologia degli atti notificati (diniego di condono e nullità della dichiarazione dei redditi per l’anno __), i soggetti che hanno ricevuto le notifiche degli stessi, la qualità loro ricoperta al momento della notifica presso la sede legale, nonché i nominativi degli ultimi soci di ciascuna società, alla data dello scioglimento delle stesse.

Risulta proprio da tale prospetto predisposto dai ricorrenti che nella F. s.s. erano soci alla data della estinzione la P. s.s., la X. s.s. e la A. S.r.l., di cui era socio e legale rappresentante proprio il Q. La notifica è stata effettuata proprio al Q., quale legale rappresentante ed a G., quale firmataria della dichiarazione di condono e della dichiarazione dei redditi per il __.

Nella G. s.s. erano soci la A. S.r.l. e Z. La notifica è stata effettuata proprio al Q., quale legale rappresentante ed a M., quale firmatario della dichiarazione di condono e della dichiarazione dei redditi per il __.

Nella M. ss erano soci la A. S.r.l. Z. La notifica è stata effettuata proprio al Q., quale legale rappresentante ed a G., quale firmatari” della dichiarazione di condono e della dichiarazione dei redditi per il __.

Nella C. ss erano soci Q, A S.r.l., Z., G., M., S., F., B. La notifica è stata effettuata proprio al Q., quale legale rappresentante ed a G., quale firmataria della dichiarazione di condono e della dichiarazione dei redditi per il __.

Nella P. ss era soci P. ss, X. ss e A. S.r.l. La notifica è stata effettuata proprio al Q., quale legale rappresentante ed a M., quale firmatario della dichiarazione di condono e della dichiarazione dei redditi per il __.

Nella C. s.s. erano soci A. S.r.l., P. s.s., X. s.s.. La notifica è stata effettuata proprio al Q., quale legale rappresentante ed a G., quale firmataria della dichiarazione di condono e della dichiarazione dei redditi per il __.

Nella E. s.s. erano soci A. S.r.l. e Z. La notifica è stata effettuata proprio al Q., quale legale rappresentante ed a M., quale firmatario della dichiarazione di condono e della dichiarazione dei redditi per il __.

Il Q., come detto, era anche legale rappresentante della A. S.r.l., ultima socia, unitamente ad altri, di tutte le società sopra indicate.

Pertanto, come affermato dal giudice di appello (gli avvisi sono stati notificati al socio d’opera ed al firmatario della dichiarazione dei redditi anno __; pertanto la notifica è legittima), e come risulta proprio dal prospetto in atti (pagine da 9 a 11 del ricorso per cassazione), le notifiche della nullità della dichiarazione dei redditi e del diniego di condono, entrambe relative all’anno __, sono state sempre effettuate ad almeno uno degli ultimi soci, ossia a quelli che rivestivano la qualità di socio al momento della cancellazione e della estinzione delle società. Infatti, la notifica è sempre stata effettuata almeno alla A. S.r.l., socia di tutte le società sopra indicate, della quale era legale rappresentante proprio il Q. (che era pure socio della C. s.s.). Pertanto, non essendo decorso l’anno dalla cancellazione delle società i provvedimenti sono stati correttamente notificati presso la sede della società e sono stati ricevuti sempre da almeno un socio, la A. S.r.l., che era l’ultimo socio di tutte le società suindicate. Le notifiche sono state sempre ricevute dal Q., che era il legale rappresentante della A. S.r.l. L’art. 2495 c.c., comma 2, u.p., prevede, infatti, che la domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società.

Per questa Corte (Cass., sez. un., 6070/2013), infatti, l’art. 495 c.c., dispone proprio che la domanda proposta dai creditori insoddisfatti nei confronti dei soci possa essere notificata entro un anno dalla cancellazione della società dal registro, presso l’ultima sede della medesima società. Pertanto, il legislatore si è palesemente ispirato all’art. 303 c.p.c., comma 2, che consente, entro l’anno dalla morte della parte, di notificare l’atto di riassunzione agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto. Trattasi di una evidente visione in chiave successoria del meccanismo con cui i soci possono essere chiamati a rispondere dei debiti insoddisfatti della società estinta. Per ragioni di coerenza dell’ordinamento, la medesima conseguenza sistematica non può non essere tratta per quanto concerne gli effetti successori della cancellazione dal registro di una società di persone che non abbia liquidato interamente i rapporti pendenti, anche se a questo tipo di società non si possa applicare la speciale disposizione del citato art. 2495 c.c., comma 2, (in questo senso Cass. Sez. un., 6070/2013). La Corte, quindi, ha superato le perplessità sollevate in dottrina quanto all’idoneità di tale disposizione ad assicurare adeguatamente il diritto di difesa dei soci nei cui confronti la domanda è proposta.

Del resto, anche ai fini della dichiarazione di fallimento, poiché il fallimento può essere dichiarato entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, ai sensi della L. Fall., art. 10, la notifica del ricorso per il fallimento può essere effettuata nei confronti del liquidatore, anche in via telematica, allo stesso indirizzo di posta elettronica dalla società in precedenza comunicato al registro delle imprese, per la fictio iuris della persistenza della società ancora prima del decorso dell’anno (Cass., 12 gennaio 2017, n. 602; Cass., 13 settembre 2016, n. 17946).

6.1. Inoltre, per questa Corte, in tema di cartelle esattoriali, è valida la notifica effettuata a mani di uno dei soci della società di persone dopo la sua estinzione a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, giacché – analogamente a quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4, per il caso di morte del debitore e di notifica effettuata impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso, con effetti valevoli nei confronti degli eredi essa trova fondamento nel fenomeno successorio che si realizza con riferimento alle situazioni debitorie gravanti sul dante causa, con ciò realizzandosi comunque lo scopo della citata disciplina, che è quello di rendere edotto almeno uno dei successori della pretesa validamente azionata nei confronti della società (Cass., 28 dicembre 2017, n. 31037; con riguardo alla impugnazione degli avvisi di accertamento cf. Cass., 12 ottobre 2018, n. 25487).

6.2. Invero, i provvedimenti sono stati notificati presso la sede della società e ricevuti sempre da Q., oltre che da altri soggetti per le varie società.

Il Q. era, però, all’epoca il legale rappresentante della A. S.r.l., che era socia di tutte le società del gruppo. Pertanto, la notifica è stata correttamente eseguita proprio ad uno dei soci di tali società, ossia alla A. S.r.l. Il Q. era, poi, socio, unitamente alla A. S.r.l. e ad altri, della C. ss.

  1. Con il quinto motivo di impugnazione (sotto il numero 4 della rubrica a pagina 47 del ricorso per cassazione) i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto il giudice di appello si è limitato a ritenere che gli atti prodotti non avevano data certa, opponibile al fisco, ai sensi dell’art. 2704 c.c., trascurando, però, di valutare se la documentazione avesse data certa sulla base di un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo la relativa data. Tale ulteriore fatto era rappresentato dalla circostanza che sui libri contabili era stata apposta la vidimazione e che le scritture contabili ed i libri sociali erano stati sottoposti a revisione contabili da Autorità Pubbliche, come l’UIC per le società finanziarie iscritte nel registro di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106. La certificazione da parte delle società di revisione determinano, infatti, una inversione dell’onere della prova, ponendo in capo all’ente accertatore l’onere di dimostrare l’inefficacia di tale certificazione. Pertanto, dalle scritture contabili e dai libri sociali della A. S.p.A., società finanziaria iscritta nell’elenco di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106, risulta che l’esistenza delle società a decorrere dall’anno __. A. S.p.A. ha, infatti, regolarmente registrato il versamento a fondo perduto operato in data __ a favore della controllata G. s.s., a copertura delle perdite prodotte dalle società a valle della G. s.s..

7.1. Tale motivo è inammissibile.

7.2. Invero, anzitutto, si rileva che il motivo difetta di autosufficienza, in quanto i ricorrenti non hanno riprodotto il contenuto della certificazione asseritamente rilasciata dall’UIC. Inoltre, i ricorrenti deducono nella rubrica la censura di violazione di legge, ma poi pretendono in questa sede una rivalutazione degli stessi elementi di prova già valutati dal giudice di appello, per un inammissibile rinnovato vaglio in sede di legittimità.

Peraltro, il giudice di appello non ha l’obbligo di tenere conto di tutti gli elementi istruttori in atti, ben potendo menzionare in motivazione solo alcuni di essi, intendendosi implicitamente rigettati i rimanenti.

Tale motivo è, comunque, infondato.

Invero, effettivamente la prova della anteriorità della scrittura privata può essere fornita anche con fatti equipollenti a quelli di cui all’art. 2704 c.c., idonei a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione dell’atto da cui scaturisce la pretesa azionata (Cass., sez. I, 9 ottobre 2017 n. 23582; Cass., sez. I, 22 novembre 2007, n. 24320).

Tuttavia, tale valore può essere conferito solo all’emissione delle fatture regolarmente annotate nei libri contabili chiusi con attestazione notarile, recanti l’espresso riferimento alla preesistenza del contratto carente di registrazione e pacificamente pagate (Cass., sez. 1, 22 novembre 2007, n. 24320).

Nella specie, invece, non è stata in alcun modo prodotto la certificazione dell’UIC, solo menzionata nel ricorso per cassazione.

Peraltro, per questa Corte la relazione della società di revisione dei bilanci delle società commerciali, una volta messa a disposizione dell’ufficio tributario e/o del giudice tributario, va considerata, in relazione ai profili di controllo pubblicistico ed alla responsabilità penale e civile del revisore, un documento incorporante enunciati – pur senza dar luogo ad una presunzione relativa della veridicità delle scritture – che possono essere privati della forza dimostrativa dei fatti attestati solo con una prova contraria che non può essere fornita attraverso meri indizi di non veridicità, ma con la produzione di documenti che siano idonei a dimostrare che, nel giudizio di revisione, il revisore sia incorso in errore o abbia realizzato un inadempimento (Cass., sez V., 26 febbraio 2010, n. 4737; Cass., 12 marzo 2009, n. 5926).

Nella specie, però, come detto, tale relazione non è stata mai prodotta in giudizio.

  1. Con il sesto motivo di impugnazione (rubricato sotto il numero 4.1. del ricorso per cassazione a pagina 51) i ricorrenti deducono “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla affermata inesistenza della società nell’anno __ (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto si evidenzia una obiettiva deficienza del criterio logico-giuridico del giudice di appello, essendo presenti in atti plurimi e concordi elementi idonei a dimostrare l’esistenza delle società nell’anno __. In particolare, ciò si desume dall’accertamento della Guardia di finanza che ha ritenuto esistenti le società, pure contestando la natura elusiva delle operazioni poste in essere proprio nell’anno __. Né è condivisibile l’affermazione per cui le scritture contabili del terzo non hanno valore probatorio, perché il terzo è posto proprio al centro del meccanismo fraudolento. Inoltre, la A. S.p.A. è sottoposta al controllo contabile da parte dell’UIC (Ufficio Italiano Cambi). Non è condivisibile neppure la parte di motivazione in cui si afferma che l’aver versato le sanzioni, per la tardiva iscrizione nel registro delle imprese, non sana la mancata registrazione e la omessa richiesta del codice fiscale nel __, in quanto tale richiesta ha carattere meramente dichiarativo.

8.1. Il sesto motivo è infondato.

Invero, il giudice di appello ha fornito sufficiente e congrua motivazione, rilevando che l’unico dato certo è costituito dalla richiesta delle società di attribuzione del codice fiscale e di iscrizione nel Registro delle imprese della Camera di commercio solo nell’anno __, mentre per quanto concerne l’anno __ non risulta prodotta alcuna documentazione relativa alla gestione delle società. In particolare si è affermato che le società non hanno svolto alcuna attività prevista dall’oggetto sociale, non avendo prodotto alcun documento idoneo a dimostrare quale attività avessero svolto nel corso del __.

L’oggetto sociale era costituto dalla coltivazione di cereali (compreso il riso), ma nessuno documento è stato prodotto in ordine all’effettivo svolgimento di tale specifica attività.

Il giudice di appello ha anche chiarito che dalle scritture allegate non deriva la dimostrazione dell’effettiva sussistenza delle movimentazioni ivi descritte, non essendovi prova di alcun versamento.

Peraltro, le scritture da cui si dovrebbero desumere l’esistenza delle operazioni e, quindi, l’effettività dell’attività nel __, provengono da una società che non può essere considerata terza, ma che era anch’essa al centro del meccanismo fraudolento ricostruito dai verificatori.

L’atto costitutivo delle società semplici, pur potendo essere stipulato con scrittura privata non autenticata, deve essere munito di data certa per essere opponibile ai terzi, e quindi al Fisco.

  1. Con il settimo motivo di impugnazione si deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, e della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 44, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.)”, in quanto sono stati rispettati tutti i passaggi procedurali per l’accesso al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, con la conseguente preclusione di ogni accertamento tributario, ed in particolare: sono stati coperti tutti i periodi di imposta non ancora scaduti dal __ al __, con estensione della definizione al __ ai sensi della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 44; la legge definisce le uniche ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria può disconoscere il condono; v’è stato il tempestivo pagamento delle somme dovute sulla base della dichiarazione regolarmente presentata; l’intervenuta adesione al condono preclude la possibilità di contestare nell’an e nel quantum il rapporto tributario ormai cristallizzatosi.
  2. Il motivo è infondato.

10.1. Invero, tutti gli adempimenti relativi all’asserito perfezionamento del condono muovono dal presupposto implicito, ma fondamentale, che le società siano esistite ed abbiano svolto attività economica nell’anno __, mentre, come detto, vi è la prova documentale che tutte le società hanno chiesto l’attribuzione del codice fiscale e l’iscrizione presso il Registro delle imprese della Camera di commercio solo nel __.

Peraltro, mentre nel diritto societario e fallimentare viene tutelato l’affidamento dei terzi e, quindi, può essere dichiarato il fallimento della società apparente che, pur non esistendo, però si manifesta ai terzi come esistente, e quindi induce i terzi a contrattare con la stessa (Cass., sez. 2, 20 aprile 2006, n. 9250; Cass., 21 giugno 2004, n. 11491), nel diritto tributario conta l’esistenza della società nella sua effettività (Cass., 5 agosto 1996, n. 7164).

  1. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dei ricorrenti e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro __, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

 

Cass._civ_Sez_V_30_10_2019_n_27793




Omessa menzione del provvedimento con cui è stata disposta l’esecutorietà del decreto 

Omessa menzione del provvedimento con cui è stata disposta l’esecutorietà del decreto 

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 24226 del 30/09/2019

Con sentenza del 30 settembre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione III, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nell’espropriazione forzata minacciata ex art. 654 c.p.c. in virtù di decreto ingiuntivo esecutivo, l’omessa menzione nell’atto di precetto del provvedimento di dichiarazione di esecutorietà del provvedimento monitorio comporta la nullità – deducibile con l’opposizione agli atti esecutivi – del precetto stesso, non potendo l’indicazione di tale provvedimento evincersi dalla menzione dell’apposizione della formula esecutiva. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto la nullità del precetto recante la menzione del numero, data e autorità del decreto ingiuntivo, della mancata opposizione e dell’apposizione della formula esecutiva, ma privo della indicazione del provvedimento di dichiarazione di esecutorietà.


Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 24226 del 30/09/2019

Omessa menzione del provvedimento con cui è stata disposta l’esecutorietà del decreto 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

S. S.a.s. – ricorrente –

contro

C. – intimato –

avverso la sentenza n. __ del TRIBUNALE di SALERNO, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __ che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

che:

S. S.a.s. si opponeva al precetto notificato da C. in forza di decreto ingiuntivo, esponendo che l’intimazione mancava della indicazione del provvedimento dichiarativo dell’esecutorietà del monito;

il tribunale rigettava l’opposizione ritenendo sufficiente l’indicazione dell’apposizione della formula esecutiva all’ingiunzione non opposta;

avverso questa decisione ricorre per cassazione la S. S.a.s. articolando un motivo;

non ha svolto difese l’intimato;

Motivi della decisione

Che:

con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.c., comma 2, poiché il tribunale avrebbe errato mancando di constatare la mancanza della menzione del provvedimento dichiarativo dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo azionato.

Rilevato che:

il motivo è fondato;

questa Corte ha da tempo chiarito che la menzione, nel precetto, del provvedimento con cui è stata disposta l’esecutorietà del decreto ingiuntivo azionato, in uno a quella dell’apposizione della formula esecutiva, sostituisce la formalità di una nuova notifica del titolo, integrando, con finalità di semplificazione, la precedente notificazione effettuata, facendo decorrere il termine per l’opposizione, nel momento in cui l’ingiunzione era ancora priva di efficacia esecutiva (Cass., 15/03/1969, n. 843; Cass., 30/05/2007, n. 12731; Cass., 05/05/2009, n. 10294);

questa doppia menzione, qualora mancante, determina una nullità del precetto omologa all’ipotesi di notifica dell’intimazione non preceduta da quella del titolo, non suscettibile di sanatoria bensì solo di stabilizzazione a seguito di mancata proposizione nei termini (sempre rilevabile d’ufficio) dell’opposizione formale ex art. 617 c.p.c. (Cass., 23/10/2014, n. 22510);

ciò posto, è stato altresì sottolineato che la sussistenza della duplice menzione in esame deve accertarsi indipendentemente da prescrizioni formali d’indicazione, dovendosi assicurare la conoscenza dell’ingiunto interpretando il precetto alla luce del principio di conservazione degli atti, evitando lungaggini determinate da formalismi (Cass., 01/12/1993, n. 11885, in un caso in cui il precetto riportava la data di esecutorietà del decreto senza citare il relativo provvedimento, e la richiesta di copia esecutiva, come voce dell’intimazione, da cui poteva e doveva evincersi il rilascio della relativa formula);

per questo è stato ritenuto che l’indicazione di esecutività dell’ingiunzione comportasse un’implicita attestazione dell’apposizione della formula esecutiva (Cass., 30/05/2007, n. 12731, pag. 5), ovvero che l’indicazione dell’ordinanza di estinzione del giudizio di opposizione, in uno all’indicazione della data di apposizione della formula esecutiva, integrasse i requisiti formali in parola (Cass., 28/02/2018, n. 4705, pag. 7);

nel caso qui in scrutinio, però, il precetto, quale riportato nel ricorso per cassazione (pag. 3) in ossequio al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, indicava: il numero, la data e l’autorità giudiziaria emanante il decreto ingiuntivo; la mancata opposizione; l’apposizione della formula esecutiva;

non risulta quindi la menzione, neppure indiretta, del provvedimento di dichiarazione di esecutorietà;

né si potrebbe ritenere la possibilità di evincere il requisito dall’indicazione di apposizione della formula, e ciò per plurime ragioni:

  1. a) si tratta di menzioni distintamente previste dal legislatore, sicché l’opposta conclusione si tradurrebbe in una interpretazione abrogante come tale inammissibile;
  2. b) le menzioni corrispondono a due diverse attività e garanzie per l’ingiunto: l’una, del giudice, che, dichiarando l’esecutorietà, attesta di aver verificato la regolarità della notificazione e il legale decorso dei termini per l’opposizione; l’altra, del cancelliere, che autorizza il richiedente legittimato all’utilizzo del documento contenente il titolo a fini coattivi, ovvero ad avvalersi, per quello, dell’organo esecutivo; non essendo necessari ulteriori accertamenti, l’opposizione può essere accolta decidendo nel merito;

le spese del giudizio, con particolare riferimento alle prime cure in cui vi è stata costituzione della controparte, possono essere compensate stanti le precisazioni nomofilattiche qui esposte.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Cass_civ_Sez_III_Sent_30_09_2019_n_24226




Concordato preventivo: atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione

Concordato preventivo: atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 25458 del 10/10/2019

Con sentenza del 10 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di concordato preventivo, ha stabilito che rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 173 L.F., i fatti taciuti nella loro materialità ovvero esposti in maniera non adeguata e compiuta, aventi valenza anche solo potenzialmente decettiva nei confronti dei creditori, a prescindere dal concreto pregiudizio loro arrecato. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha affermato che l’omessa indicazione nella proposta concordataria del contenzioso pendente nei confronti della società proponente, per un valore economico significativo, può costituire atto di frode.


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 25458 del 10/10/2019

Concordato preventivo: atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ da Dr. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso;

udito l’avvocato __ per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento;

udito l’Avvocato __ per il controricorrente, che ha chiesto il rigetto.

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso del __, la S.r.l. (OMISSIS) e il suo creditore S.r.l. (OMISSIS) hanno sporto reclamo L.F., ex art. 18 nei confronti della sentenza con cui il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, revocato il decreto di apertura del concordato preventivo ai sensi della L.F., art. 173, ha dichiarato il fallimento della società (OMISSIS).

La Corte di Appello di Messina ha respinto il reclamo, con sentenza depositata il __. Avverso questa (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, che è stato articolato in cinque motivi.

2.- Respinto il primo motivo di ricorso, la sentenza __, n. __ ha accolto il terzo e il quarto motivo (quanto ai capi B1 e B2) – intesi a censurare (uno, per violazione di legge; l’altro, per omessa motivazione) la decisione della Corte di Appello, per cui l’effettuazione del pagamento di debiti scaduti senza l’autorizzazione del giudice delegato determina senz’altro la revoca del concordato L.F., ex art. 173, con assorbimento dei motivi restanti. Di conseguenza, ha cassato il provvedimento impugnato, con rinvio della controversia alla Corte di Appello di Messina.

Ha osservato in proposito questa Corte che non ogni pagamento di debito sorto prima dell’apertura della procedura comporta, ove eseguito in difetto di autorizzazione, la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato, ma solo quelli di cui venga accertata la natura fraudolenta del fatto pagamento. Per aggiungere che la pronuncia del merito è pervenuta alla decisione limitandosi a rilevare che (OMISSIS) aveva eseguito in difetto di autorizzazione vari e reiterati pagamenti, omettendo di accertarne l’effettiva valenza di atti in frode, nonostante la natura dei rapporti da cui traevano origine i crediti soddisfatti e senza neppure preoccuparsi di verificare la data di insorgenza degli stessi (in buona parte successiva alla presentazione della domanda).

3.- In esito al giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Messina ha annullato il provvedimento di revoca del concordato preventivo e revocato la dichiarazione di fallimento, disponendo la rimessione degli atti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.

In proposito la Corte del merito ha rilevato che, nella specie, erano stati eseguiti, tra il __ e il __, pagamenti per attestazione fattibilità del concordato, per assistenza amministrativa cessione punti vendita, per tenuta contabilità obbligatoria, per ritenute di acconto professionisti, per assistenza legale, per redazione atto notarile, per trasloco attrezzature da (OMISSIS), nonché dal __ al __, per oneri previdenziali, per smaltimento rifiuti merce deperita, per tenuta contabilità e assistenza contabile, per assistenza legale: il tutto per Euro __ complessivi, a fronte di un fabbisogno concordatario di Euro __, laddove trattasi, per di più, di somme corrispettive di prestazione correlate alla procedura o funzionali alla conservazione dei beni e alla continuità aziendale.

4.- Avverso questo provvedimento il fallimento della S.r.l. (OMISSIS) presenta ricorso, affidandolo a due motivi.

Resiste, con controricorso, la società.

5.- La controversia è stata chiamata all’udienza non partecipata del __ della Sesta Sezione civile – 1.

Entrambe le parti ha depositato memorie difensive.

6.- Con ordinanza interlocutoria del __, n. __ il Collegio ha stabilito di rimettere la controversia alla pubblica udienza della Prima Sezione civile.

In prossimità della data fissata per lo svolgimento della pubblica udienza, la società controricorrente ha depositato un’ulteriore memoria.

Motivi della decisione

7.- I motivi di ricorso gravitano entrambi sul tema degli atti in frode di cui alla L.F., art. 173: il primo concerne i pagamenti compiuti senza autorizzazione; il secondo si focalizza sul contenzioso passivo in essere tra la (OMISSIS) e terzi al tempo dell’apertura della procedura concordataria, e di cui non è stata data comunicazione.

8.- Il primo motivo di ricorso denunzia, in particolare, violazione e falsa applicazione della L.F., artt. 167 e 168 e 173 in relazione all’art. 360, n. 5 e, in subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene in particolare il ricorrente che la Corte di Appello si è parzialmente e sommariamente adeguata al principio di diritto statuito dalla Corte di Cassazione, ma nel fare ciò, in difformità a quanto statuito dal Supremo Collegio, ha omesso di effettuare una compiuta indagine dei pagamenti e si è limitata ad applicare il principio della modesta entità dei pagamenti rispetto al fabbisogno concordatario.

Molti di questi pagamenti – si soggiunge – sono in realtà riferibili a debiti sorti anteriormente alla procedura, posti in violazione della L.F., art. 167 ed eccedenti l’ordinaria amministrazione.

8.- Il motivo non merita di essere accolto.

Non sussiste, infatti, la lamentata difformità dell’esame compiuto dalla Corte del merito rispetto a quanto stabilito dalla pronuncia n. __. In conformità alle indicazioni lì formulate, la sentenza impugnata ha effettuato una valutazione complessiva del peso che i pagamenti, oggetto di discussione e censura, venivano a possedere rispetto alla formazione del giudizio dei creditori e rispetto alla consistenza del patrimonio del debitore.

Del tutto ragionevolmente, poi, il relativo giudizio si è chiuso con il riscontro di sostanziale non incidenza dei pagamenti medesimi rispetto all’economia complessiva del concordato proposto: posto, da un lato, il rapporto tra la misura del pagato e quella del complesso del fabbisogno concordatario (argomento c.d. di proporzione: cfr. sopra, nell’ultimo capoverso del n. 3); dall’altro, della rispondenza di tali pagamenti con le finalità della procedura (argomento c.d. di coerenza funzionale).

Il rilievo che il pagamento non autorizzato di debiti non comporta revoca del concordato nel caso in cui manchi un’effettiva dannosità dell’atto (da valutarsi specie alla stregua della clausola generale del migliore soddisfacimento dei creditori) è stato ribadito, nei tempi più recenti, da Cass., 21 giugno 2019, n. 16808, e da Cass., 16 maggio 2018, 11958.

9.- Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 – nullità della sentenza e del procedimento; in subordine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Nel concreto, il motivo deduce che, nella pronuncia n. 3325/2016, questa Corte ha ritenuto assorbiti una serie di profili (dal ricorrente già articolati nel procedimento di reclamo), anche precisando che tali profili sarebbero stati riproponibili nel giudizio di rinvio. Fa presente, inoltre, che nel procedimento di rinvio ha chiesto il riesame dei motivi medesimi; in particolare, della mancata comunicazione della pendenza di alcuni procedimenti giudiziari.

Puntualizza, ancora, di avere espressamente indicato questo aspetto come un atteggiamento posto in essere in frode ai creditori: priva di ogni giustificazione appare la mancata comunicazione dell’ingente contenzioso che – secondo l’elencazione in atti (cfr. relazione del Commissario giudiziale, p. __ ss.) – era per la maggior parte già pendente. Segue un elenco composto di n. 11 procedimenti, promossi (avanti a diversi tribunali siciliani) nei confronti della S.r.l. (OMISSIS) prima del deposito L.F., ex art. 161, con pedissequa indicazione del valore delle singole controversie (per un ordine di grandezza complessivo gravitante intorno ai __ Euro).

Fermate queste premesse, il motivo rileva che la Corte di Appello ha in toto omesso l’esame di un simile aspetto e, dunque, della rilevanza L.F., ex art. 173 della mancata informazione della sussistenza del medesimo.

10.- Il motivo è fondato.

Al riguardo, è opportuno osservare, prima di ogni altra cosa, che la fattispecie concretamente in esame rinvia in modo diretto alla nozione di atti di frode, quale figura non tipizzata e residuale di revoca del concordato posta dal legislatore a fianco di una serie di fatti specificamente individuati, l’uno e gli altri di carattere tra loro sostanzialmente omologo (cfr. la L.F., art. 173, comma 1, primo periodo).

Nei confronti di questa nozione, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato – in relazione al profilo fraudolento dell’intendimento di compiere l’atto – che, in realtà, questo può anche consistere nella mera consapevolezza di avere taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori, senza che occorra la presenza di una dolosa preordinazione (cfr., tra le altre, Cass., 26 giugno 2018, n. 16856): la valenza decettiva dell’atto di frode risolvendosi, per l’appunto, in un comportamento di taglio sostanzialmente falsante.

Tale comportamento viene – è stato altresì puntualizzato – ad assumere rilevanza nella prospettiva della sua mera potenzialità decettiva, non già necessariamente in quella dell’effettiva consumazione, posto che la norma dell’art. 173 non richiede che, una volta accertata la presenza di atti di frode, venga dato spazio a successive valutazioni dei creditori (Cass., 26 novembre 2018, n. 30537): la norma, in altri termini, ferma la rilevanza del comportamento alla oggettiva potenzialità del carattere falsificante dell’atto, non richiedendo inoltre il verificarsi di un concreto pregiudizio (non rilevando, cioè, che l’inganno si sia effettivamente realizzato: Cass., 26 giugno 2014, n. 14552).

11.- L’esperienza di questa Corte mostra la sussistenza di un’ampia, variegata gamma di atti ritenuti idonei a perpetrare la frode sanzionata dalla L.F., art. 173.

Risultano venuti in discussione così, tra gli altri, lo scostamento, rilevante e non motivato né plausibile, del valore assegnato alle rimanenze di magazzino in sede di proposta rispetto a quello di bilancio (Cass., 14 giugno 2018, n. 15695); l’omessa indicazione di fideiussioni prestate dal proponente, poi pure escusse (Cass., n. 30537/2018); lo spin-off immobiliare, non specificato nei suoi precisi termini, con cessione delle quote relative alla nuova società a terzi (Cass., n. 16858/2018); la mancata indicazione di passività legate alla non dichiarata esistenza di contratti derivati (Cass., 28 marzo 2017, n. 7975); l’operazione di leveraged buy out, descritta in termini incompleti e dunque imprecisi (Cass., 18 maggio 2014, n. 9050); l’inadeguata illustrazione di una delibera di riduzione del capitale della società proponente (Cass., 2 febbraio 2017, n. 2773); la taciuta appropriazione indebita di fondi sociali (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25165); la sussistenza di una situazione debitoria ben superiore a quella emergente dalla domanda (Cass., 8 giugno 2018, n. 15013); la vendita di un pacchetto azionario non adeguatamente illustrato (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25164); il silenzio mantenuto, nella proposta di concordato, su una transazione pressoché coeva alla deliberazione di richiedere l’ammissione alla procedura concordataria e valutata dalla corte territoriale estremamente svantaggiosa per la debitrice (Cass. n. 14552/2014).

Si tratta, come si vede, di situazioni e di atti tra loro anche molto diversificati: com’è del resto naturale, posto il carattere aperto (non preventivamente tipizzato, cioè) della disposizione normativa dell’atto in frode.

12.- In realtà, a tratto costitutivo e informante della nozione di atto in frode si pongono due aspetti, ben individuati e scolpiti dalla giurisprudenza di questa Corte, che stanno, per così dire, a monte della variata tipologia di atti e situazioni appena ricordati.

Deve trattarsi, dunque, di una circostanza la cui esistenza viene taciuta nella sua materialità ovvero pure esposta in modo non adeguato e compiuto, come successivamente venuta alla luce in esito alle verifiche ed analisi compiute dal commissario giudiziale. Questo deficit informativo dev’essere, inoltre, tale da risultare per sé idoneo ad alterare la cognizione informativa dei creditori e quindi a incidere in modo significativo sulla valutazione compiuta dagli stessi (cfr., tra le altre, Cass., n. 14552/2014; Cass. n. 16858/2018; Cass., n. 30537/2018).

A mezzo della previsione dell’art. 173, la legge pretende, in definitiva, che i creditori siano puntualmente informati delle caratteristiche rilevanti di cui alla proposta di concordato, sì da essere messi in grado esprimere un giudizio – di consenso oppure di dissenso – correttamente informato.

13.- Il caso di specie riguarda l’omessa indicazione del contenzioso che risulta in essere nei confronti della società proponente. Si tratta, nei fatti, di passività potenziali, l’effettiva misura della loro consistenza, dipendendo naturalmente dagli esiti che in concreto avranno i giudizi. E tuttavia rappresentative, queste passività, di rischi senz’altro concreti e attuali, posto appunto che il riferimento va a controversie già pendenti, nonché misurabili: sia in punto di prevedibile esito, sia in punto di dimensione degli esborsi ragionevolmente (e prevedibilmente) occorrenti.

Il valore nelle diverse controversie raggiunge, nel suo complesso, un montante economico di ordine significativo (cfr. sopra, n. 9). Come tale, la relativa informazione è fatto senz’altro in grado di concorrere a orientare (ovvero, se taciuta, a disorientare) la formazione del giudizio dei creditori.

Posti questi elementi, la mera e generica indicazione nella proposta di un fondo rischi – richiamata dal controricorrente – non può certo raggiungere il livello dell’informazione adeguata e compiuta (ben al di là quindi – è bene puntualizzare – del problema della eventuale sufficienza del fondo di cui alla proposta a coprire il rischio prodotto dal contenzioso in essere, idoneità che, d’altro canto lo stesso controricorrente viene a mettere in discussione).

14.- In conclusione, respinto il primo motivo di ricorso, va accolto il secondo motivo. Di conseguenza, va cassata, per quanto di ragione, la sentenza impugnata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Messina che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, per quanto di ragione, alla Corte di Appello di Messina che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima civile, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

 

Cass_civ_Sez_I_Sent_10_10_2019_ n_25458




Contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento

Contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 25470 del 10/10/2019

Con sentenza del 10 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che in caso di contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento dell’affittante, quando il curatore abbia esercitato il suo diritto di recesso ex art. 79 L.F., il credito restitutorio vantato dall’affittuario per i canoni pagati anticipatamente, prima dell’apertura del concorso, non è prededucibile, essendo insufficiente che il credito sia sorto durante la procedura, poiché anche la genesi della relativa obbligazione deve intervenire in un periodo successivo alla sua apertura.


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 25470 del 10/10/2019

Contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. __ R.G. proposto da:

S. S.p.A. – ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.r.l., in liquidazione  – controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI UDINE depositato il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avv. __, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avv. __, che ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso.

Svolgimento del processo

  1. S. S.p.A. stipulò, il __, in qualità di affittuaria, un contratto di affitto di ramo di azienda, avente durata di diciotto anni, con la (OMISSIS) S.r.l., alla quale corrispose, conformemente a quanto sancito dalle previsioni contrattuali, la complessiva somma di Euro __ (di cui Euro __ per sorte capitale ed Euro __ per IVA) per il pagamento del primo canone di affitto ed il pagamento, in conto anticipo, di successivi canoni di affitto (così sostanzialmente versando, in via anticipata, a titolo di canoni, un corrispettivo pari a __ anni e __ mesi di affitto).

1.1. Successivamente, la (OMISSIS) S.r.l. fu dichiarata fallita dal Tribunale di Udine, il __, ed il curatore fallimentare, in data __, optò per il recesso da quel contratto L.F., ex art. 79.

1.2. La S. S.p.A. chiese, allora, L.F., ex art. 101, l’ammissione al passivo di detto fallimento, in prededuzione, del credito afferente i canoni versati anticipatamente alla concedente (OMISSIS) S.r.l. in bonis e relativi al periodo successivo alla riconsegna del ramo di azienda, il cui pagamento era divenuto privo di titolo, altresì invocando la prelazione ipotecaria volontaria derivante dal medesimo contratto a garanzia della restituzione della somma anticipata in caso di risoluzione per fatto o colpa della concedente.

1.3. Il giudice delegato ammise il credito dell’istante per la richiesta somma di Euro __, denegando, però, la sua domandata collocazione in prededuzione ed il riconoscimento allo stesso della prelazione ipotecaria, ed il Tribunale di Udine, adito L.F., ex art. 98, dalla creditrice, con decreto del __, n. __, ne respinse l’opposizione assumendo che: i) il pagamento anticipato dei canoni annuali successivi al primo era privo di titolo al momento della sua effettuazione, in quanto il regolamento contrattuale non prevedeva un tale obbligo a carico di S. S.p.A., ma stabiliva la maturazione annuale del canone medesimo, quale corrispettivo del godimento del compendio aziendale ad opera dell’affittuaria, da pagarsi da quest’ultima in dodici rate mensili anticipate di Euro __ ciascuna; ii) il paragrafo 6.2 dell’art. 6 del contratto suddetto dava atto solo di un mero fatto giuridico, ovvero la consegna, da parte dell’affittuaria alla concedente, di assegni per complessivi Euro __ a titolo di canoni anticipati, senza spiegarne il motivo, sicché tale pagamento era privo di giustificazione ed indebito; iii) l’obbligazione restitutoria era sorta per un fatto – appunto il pagamento indebito anteriore alla dichiarazione di fallimento, da ciò derivando la natura concorsuale del credito e l’esclusione dell’invocata prededuzione; iv) il concetto di risoluzione usato dalle parti induceva a ritenere che esse volessero individuare le ipotesi di inadempimento imputabile alla concedente, non risultando, dunque, applicabile la previsione contrattuale sulla garanzia ipotecaria.

  1. Avverso il descritto decreto ricorre per cassazione la S. S.p.A., affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., cui resiste, con controricorso, la curatela fallimentare.

Motivi della decisione

  1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
  2. I) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza di primo grado (violazione dell’art. 112 c.p.c.). Premettendosi che il tribunale aveva ritenuto che, in base al contratto, non vi fosse obbligo per l’affittuaria di pagare in anticipo i canoni di cui costei aveva chiesto la restituzione, e che, conseguentemente, quel pagamento anticipato era stato, all’epoca, privo di titolo e, come tale, indebito, si sostiene che quel giudice “ha ricostruito la fattispecie in modo diverso da quello pacificamente offerto dalle parti e, nell’ambito della fattispecie così ricostruita, ha affrontato, decidendola, una questione estranea agli assunti difensivi delle parti e al contraddittorio tra le stesse” (cfr. pag. 15 del ricorso). Posto, allora, che la curatela mai aveva eccepito la natura indebita del pagamento predetto, una tale eccezione – estranea alla materia del contendere – non poteva essere sollevata d’ufficio, come invece aveva fatto il tribunale così incorrendo nel vizio di extrapetizione e/o ultrapetizione, ex art. 112 c.p.c., comportante la nullità dell’impugnato decreto;
  3. II) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1362, 2033 c.c. Si assume che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, S. S.p.A. e (OMISSIS) s.r.l. in bonis, con il menzionato contratto, avevano inteso disciplinare un rapporto giuridico patrimoniale articolato, nell’ambito del quale era ricompreso anche il pagamento anticipato dei canoni, come sancito dai suoi artt. 5 e 6. Quest’ultimo, in particolare, lungi dal doversi intendere quale registrazione di un mero accadimento storico, regolava, invece, prestazioni contrattuali volute dalle parti al pari di tutte le altre, ivi compresa quella relativa alla garanzia ipotecaria (art. 7). Pertanto, l’esecuzione e la ricezione del pagamento anticipato dei canoni erano stati comportamenti non gratuiti delle parti, ma posti in essere in forza ed in funzione del contratto, nel quale trovavano giustificazione causale. Peraltro, anche ove il contratto fosse stato privo di qualsiasi disposizione al riguardo, detto pagamento anticipato non si sarebbe potuto considerare indebito oggettivo alla luce della pacifica interpretazione di giurisprudenza e dottrina dell’art. 1185 c.c., comma 2. Il tribunale, in definitiva, aveva negato il valore vincolante del contratto (art. 1321 c.c.); aveva disatteso la comune intenzione delle parti quale risultante dal testo contrattuale e dal loro comportamento (art. 1362 c.c.); aveva escluso l’esistenza di un titolo obbligatorio invece esistente (art. 2033 c.c.);

III) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1: violazione e/o falsa applicazione della L.F., art. 79. Muovendosi dall’assunto secondo cui, in linea generale, il curatore, prima di recedere dal contratto d’affitto avvalendosi della facoltà concessa dalla L.F., art. 79, subentra automaticamente nel contratto medesimo, si afferma che, nella specie, sia se si ritiene che egli debba soddisfare in prededuzione tutte le obbligazioni della parte fallita (vale a dire anche quelle assunte ante fallimento), sia se si reputa che debba adempiere unicamente le obbligazioni sorte dopo quello spartiacque, gli effetti non mutano: infatti, l’obbligazione restitutoria era sorta dopo la dichiarazione di fallimento e per effetto della scelta del curatore di recedere dal contratto, circostanza, quest’ultima, che aveva reso indebito il pagamento anticipato dei canoni che fino ad allora non lo era. Il tribunale friulano, dunque, opinando – per contro – che il pagamento anticipato fosse indebito fin dall’origine, e che, perciò, l’obbligazione restitutoria trovasse causa in un fatto (l’indebito) anteriore alla dichiarazione di fallimento, aveva violato la L.F., art. 79;

  1. IV) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1362 c.c. Si deduce che, giusta la previsione dell’art. 7 del contratto, la garanzia ipotecaria concessa da (OMISSIS) s.r.l. in bonis era stata chiaramente costituita per tutte le ipotesi in cui la risoluzione del contratto fosse riconducibile ad un comportamento della concedente, sia lecito che colpevole, per cui erroneamente il decreto impugnato aveva escluso la prelazione ipotecaria del credito di restituzione sull’assunto che la facoltà di recesso del curatore trovava la sua fonte nella legge e non nel contratto: infatti, atteso il tenore della clausola contrattuale, sarebbe “irrilevante che si tratti di un atto/fatto contrattualmente previsto o non contrattualmente previsto, endocontrattuale o extracontrattuale, e via dicendo”, essendo evidente che le parti avevano inteso garantire il credito in tutti i casi in cui la risoluzione non fosse dipesa da essa S. S.p.A. (cfr. pag. 27 del ricorso).
  2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2.1. È noto, invero, che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti, ma deve aver riguardo al contenuto della pretesa fatta valere in giudizio (cfr. Cass. n. 7322 del 2019), ed è altrettanto pacifico che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) – o a quello del tantum devolutum quantum appellatum -, trattandosi, in tal caso, della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (cfr. Cass. n. 17109 del 2009; Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 29200 del 2018, in motivazione).

2.2. Inoltre, come questa Corte ha già più volte chiarito, non sussiste violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c. (che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda), quando il giudice, senza alterare alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), proceda alla qualificazione giuridica dei fatti posti a base della domanda o delle eccezioni ed individui le norme di diritto applicabili, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti. Egli, infatti, sempre che non sostituisca la domanda proposta con una diversa (ossia fondata su una differente causa petendi, con mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, ovvero su una realtà fattuale non dedotta in giudizio dalle parti), ha il potere dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto dedotto in giudizio. Non sussiste, pertanto, violazione dell’art. 112 c.p.c., allorquando il giudice, anche a prescindere dalle indicazioni delle parti e dalle censure contenute nell’atto d’impugnazione, proceda, come è sostanzialmente accaduto nella fattispecie de qua, alla qualificazione giuridica dei fatti posti a base della domanda o delle eccezioni ed individui le norme di diritto conseguentemente applicabili (cfr. Cass. Cass. n. 15925 del 2007; Cass. n. 23215 del 2010; Cass. n. 13945 del 2012; Cass. n. 513 del 2019; Cass. n. 5153 del 2019).

2.2.1. L’odierna censura della ricorrente è, dunque, infondata, perché oggetto del giudizio L.F., ex art. 98, erano l’accertamento della prededucibilità, o meno, del credito di cui la prima, già in sede di verifica, aveva ottenuto l’ammissione, benché solo in chirografo, per l’importo invocato, nonché la spettanza, ad esso, della prelazione ipotecaria invocata.

2.2.2. Il tribunale friulano si è pronunciato su tali punti, procedendo, sostanzialmente, alla qualificazione giuridica dei fatti posti a base della domanda dell’opponente e delle eccezioni della curatela, ed individuando le norme di diritto, a suo giudizio, applicabili, rivelatesi differenti rispetto a quelle richiamate dalle parti, ma senza assolutamente sostituire la domanda di S. S.p.A. con una diversa, né alterando alcuno degli elementi obiettivi di identificazione della prima (petitum e causa petendi) o valorizzando realtà fattuali non dedotte in giudizio dalle parti. Si deve, così, escludere qualsivoglia sua illegittima interferenza nel potere dispositivo delle parti.

  1. Il secondo motivo deve considerarsi in parte inammissibile e, per il resto, infondato.

3.1. È inammissibile, laddove si sostanzia in un sindacato sull’esito dell’interpretazione delle clausole contrattuali effettuato dal giudice a quo.

3.1.1. Invero, come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 14938 del 2018 (cfr. in motivazione), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione).

3.1.2. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati.

3.1.3. La censura neppure può, poi, essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).

3.2. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che il motivo, così come esposto in ricorso, si risolve, essenzialmente, nel sostenere una diversa lettura del combinato disposto delle clausole contenute nell’art. 5.1. (“L’affitto avrà la durata di __ anni a decorrere dalla consegna del ramo di azienda, che avverrà il giorno __, e quindi dalla data del giorno __ alla data del giorno __”), art. 6.1. (“Quale corrispettivo per l’affitto del ramo di azienda le parti convengono un canone annuo di Euro __, oltre ad IVA, da corrispondersi in __rate mensili anticipate da Euro __ ciascuna”), art. 6.2. (“Alla stipula del presente contratto S. S.p.A. consegna a (OMISSIS) S.r.l. l’assegno circolare n. (OMISSIS) per Euro __, e assegni circolari n. (OMISSIS) (per Euro __) e (OMISSIS) (per Euro __), e quindi per complessivi Euro __ emessi in data odierna dalla Banca__, agenzia di (OMISSIS), a titolo di anticipo canoni di affitto futuri”) e art. 6.3 (“In considerazione dei pagamenti effettuati da S. S.p.A. mediante consegna a (OMISSIS) S.r.l. dell’assegno bancario per l’importo di Euro __ di cui alla lett. F delle premesse, nonché mediante la consegna dei tre assegni circolari per complessivi Euro __ di cui all’art. 6.2. che precede, contestualmente alla sottoscrizione del presente contratto (OMISSIS) S.r.l. consegna a S. S.p.A. la fattura quietanzata di Euro __ oltre I.V.A., pari a complessivi Euro __, avente ad oggetto il pagamento del primo canone di affitto ed il pagamento in conto anticipo di successivi canoni di affitto. I legali rappresentanti della (OMISSIS) S.r.l. rilasciano, pertanto, alla S. S.p.A. ampia e definitiva quietanza di saldo con dichiarazione di nulla più avere a pretendere al riguardo”) del contratto di affitto di azienda stipulato, il __, tra la S. S.p.A. e la (OMISSIS) S.r.l. in bonis.

3.2.1. Nella specie, però, il giudice di merito ha offerto una ricostruzione del contenuto di dette clausole, fornendo una motivazione argomentata, non sindacabile, dunque, in ordine alle ragioni dell’esito dell’interpretazione, che si sottrae a verifiche in questa sede.

3.3. La doglianza è poi infondata laddove invoca l’applicazione dell’art. 1185 c.c. (Il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza, salvo che il termine sia stabilito esclusivamente a suo favore. Tuttavia il debitore non può ripetere ciò ha pagato anticipatamente, anche se ignorava l’esistenza del termine. In questo caso, però, egli può ripetere, nei limiti della perdita subita, ciò di cui il creditore si è arricchito per effetto del pagamento anticipato), rivelandosi il richiamo a detto articolo non pertinente nella concreta vicenda oggi all’esame di questa Corte.

3.3.1. Quella disposizione, invero, – oltre a descrivere l’operatività del termine nel caso in cui esso sia da intendersi come previsto in favore del debitore – regola l’ipotesi in cui il debitore, malgrado benefici di un termine di adempimento a proprio favore, adempia anticipatamente il proprio obbligo, ma intenda successivamente ripetere quanto pagato.

3.3.2. La norma esclude l’applicabilità alla fattispecie della disciplina di cui agli artt. 2033 c.c. e segg.: nel caso di adempimento ante tempus si deve, infatti, negare la sussistenza di un pagamento non dovuto, in quanto l’obbligazione adempiuta dal debitore è effettivamente esistente tra il solvens e l’accipiens. Tuttavia il pagamento anticipato può costituire un arricchimento ingiustificato per il creditore (arricchimento rappresentato dal cd. interusurium, cioè dalla differenza tra il valore della prestazione anticipata e quello che la prestazione avrebbe avuto se fosse stata eseguita alla scadenza prevista, differenza a sua volta riconducibile al valore dei frutti prodotti dalla somma nel periodo intermedio, cui si accompagna un correlativo depauperamento nella sfera giuridica del solvens che giustifica la restituzione di ciò di cui l’accipiens si è arricchito).

3.3.3. Il contratto di affitto di ramo di azienda (di cui oggi si discute) rientra, invece, evidentemente, tra quelli di durata (ad esecuzione continuata) ed a prestazioni corrispettive: si tratta, cioè, di contratto in cui, da un lato, il prolungarsi della sua efficacia, vale a dire la durata dell’effetto, rientra nel contenuto diretto dell’obbligazione assunta, facendo, così, parte della prestazione considerata; dall’altro, nell’ambito di uno stesso strumento negoziale, sorgono contemporaneamente, nell’una e nell’altra parte, obblighi e diritti a prestazioni reciproche collegate tra loro da un vincolo di interdipendenza.

3.3.4. Pertanto, ove il godimento del ramo di azienda affittato non si realizzi per l’intero periodo pattuito dai contraenti a causa del corretto esercizio della facoltà di recesso riconosciuta, convenzionalmente o per legge, a ciascuna delle parti (come pacificamente è avvenuto, nella specie, per la S. S.p.A., dopo il recesso legittimamente esercitato, L.F., ex art. 79, dalla curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l.), il corrispettivo versato anticipatamente dall’affittuario in favore del concedente, nella misura in cui riguardi un periodo temporale successivo a tale recesso, rimane prestazione evidentemente priva di giustificazione causale propria di quello specifico contratto, né è dato sapere, in difetto di puntuale trattazione nella decisione oggi impugnata e, comunque, di adeguata allegazione sul corrispondente punto, se un siffatto pagamento dovesse imputarsi, nella odierna vicenda, ad una diversa operazione conclusa dalle parti contestualmente alla stipulazione di quel contratto e/o ad esso collegata.

  1. Il terzo motivo è infondato oltre che per quanto si è appena detto (da cui evidentemente consegue che l’obbligazione restitutoria, per i canoni successivi alla prima annualità di contratto e rivelatisi privi di giustificazione causale per quanto concerne il periodo temporale post recesso, L.F., ex art. 79 – nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007 – della curatela fallimentare della società concedente, doveva considerarsi sorta al momento stesso del loro pagamento anticipato), alla stregua delle seguenti, ulteriori ragioni.

4.1. Il contratto di affitto di azienda (o di un ramo di essa) non rientra tra i rapporti negoziali che si considerano sospesi all’atto della dichiarazione di fallimento, ma tra quelli che proseguono in costanza di tale procedura concorsuale e dai quali il curatore può recedere, a differenza dei contratti che, giusta la L. Fall., art. 72 (nel testo novellato dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e D.Lgs. n. 169 del 2007), sono sospesi al momento della dichiarazione predetta.

4.1.1. Questa conclusione è resa palese dalla differente formulazione delle due norme (l’art. 72 ed il successivo art. 79). La L.F., art. 72, regola la possibilità di scioglimento, che è una facoltà attribuita al curatore per sterilizzare ex tunc gli effetti della sussistenza, all’atto della dichiarazione di fallimento, di un contratto a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguito del quale il curatore non intende avvalersi (cfr. Cass. n. 17405 del 2009), contratto che deve ritenersi medio tempore sospeso (“se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito (…) l’esecuzione del contratto (…) rimane sospesa”) e che diviene definitivamente inopponibile alla massa per effetto della dichiarazione di scioglimento (“fino a quando il curatore (…) dichiara di (…) sciogliersi dal medesimo”).

4.1.2. Il tenore della L.F., art. 79, è, invece, opposto. Il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d’azienda, da ciò derivandone, come corollario, che lo stesso prosegua. La prosecuzione è resa evidente dal fatto che lo strumento attribuito al curatore per non sottostare alla protrazione degli effetti della continuazione del contratto è il diritto di recesso, atto unilaterale recettizio che produce effetto dalla sua comunicazione e non dalla precedente dichiarazione di fallimento. Irretroattività confermata dal fatto che l’indennizzo dovuto alla controparte per effetto della comunicazione del diritto di recesso è credito prededucibile ex lege (l’indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall’art. 111, n. 1), a comprova che il credito, in quanto prededucibile, sorge in costanza di fallimento e, quindi, consegue al verificarsi degli effetti del recesso in pendenza di detta procedura concorsuale e non retroattivamente. Parimenti, è dal momento della comunicazione del recesso che il curatore ha diritto di rientrare in possesso dell’azienda (o di un suo ramo) affittata.

4.1.3. La ratio della nuova formulazione di tale norma, comportante l’insensibilità del rapporto d’affitto alla dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, ha la sua giustificazione nella esigenza di assicurare a ciascuno di loro la tutela del rispettivo interesse fino a quando essa non pregiudica in misura maggiore l’interesse dell’altro: la sospensione improvvisa del rapporto per effetto automatico della dichiarazione di fallimento, sia pure per il non lungo periodo di tempo concesso per l’esercizio della facoltà di recesso, condurrebbe, infatti, ad effetti potenzialmente dannosi per entrambe le parti, in quanto determinerebbe la cessazione immediata dell’esercizio dell’azienda ed il conseguente serio pericolo di perdita dell’avviamento e di disintegrazione dell’azienda medesima con pregiudizio dell’affittuario e grave impoverimento della massa attiva. Si è voluto, allora, salvaguardare il valore immateriale dell’azienda nel pur breve periodo di tempo occorrente a ciascuna delle parti per valutare la convenienza o meno della prosecuzione del contratto, mantenendo nel frattempo in essere il rapporto; ma se il curatore del fallimento della parte concedente recede dal contratto, egli risponderà verso l’affittuaria, come debito della massa, solo delle obbligazioni sorte a suo carico in quel limitato spazio temporale (si tratta – come affatto condivisibilmente osservato dalla curatela controricorrente – della obbligazione di far godere all’altra parte l’azienda, o il ramo di essa, che ne formava oggetto, ex art. 1571 c.c.) e non anche di obbligazioni restitutorie o di altro genere contrattualmente assunte dal contraente poi fallito, pena lo stravolgimento dei principi cardine del diritto fallimentare.

4.2. Fermo quanto precede, osserva il Collegio che la richiesta di restituzione dei canoni già versati ante fallimento con riguardo ad un periodo temporale rivelatosi successivo all’avvenuto legittimo esercizio della facoltà di recesso, L.F., ex art. 79, ad opera della curatela fallimentare della società concedente, deve considerarsi, alla stregua di quanto si è detto disattendendosi il secondo motivo dell’odierno ricorso, un indebito oggettivo: essa, infatti, concerne il pagamento di una somma effettuato, appunto, prima del fallimento, e per il quale, in conseguenza del descritto recesso di cui si è avvalsa la curatela fallimentare della società concedente, non è più configurabile il carattere di corrispettività rispetto all’utilizzo del ramo di azienda affittato, ormai impossibile dopo l’esercizio del menzionato recesso e la restituzione del ramo di azienda medesimo.

4.2.1. In altri termini, le peculiarità derivanti dall’essere l’affitto di azienda (o di un ramo di essa) un contratto, come si è visto, a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, impongono di concludere nel senso che, una volta reciso, per effetto dell’esercitato recesso L.F., ex art. 79, il vincolo di sinallagmaticità tra i canoni, già versati, afferenti un periodo temporale rivelatosi successivo all’efficacia di detto recesso, ed il godimento dell’azienda stessa, o di un suo ramo, perché – come pacificamente accaduto nella specie – già restituiti alla concedente fallita, il credito restitutorio per l’anticipato pagamento dei primi non può godere della prededuzione ex lege prevista dalla L.F., art. 79 e da quest’ultimo limitata al solo indennizzo a favore dell’affittuario e non a debiti diversi.

4.2.2. Del resto, questa Corte ha già affermato che la L.F., art. 111, comma 2, considerando prededucibili i crediti “sorti in occasione o in funzione” delle procedure concorsuali, li individua, alternativamente, sulla base di un duplice criterio, cronologico e teleologico, il primo dei quali va implicitamente integrato con la riferibilità del credito all’attività degli organi della procedura (cfr. Cass. n. 20113 del 2016, successivamente richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 18488 del 2018). Il carattere alternativo dei predetti criteri non consente, peraltro, l’estensione della prededucibilità a qualsiasi obbligazione caratterizzata da un sia pur labile collegamento con la procedura concorsuale, dovendosi in ogni caso accertare, con valutazione da compiersi ex ante, il vantaggio arrecato alla massa dei creditori. Non è sufficiente, dunque, affinché il credito sia ammesso al concorso in prededuzione, che lo stesso – in thesi – abbia a maturare durante la pendenza di una procedura concorsuale, essendo presupposto indefettibile, per il riconoscimento del detto rango, che la genesi dell’obbligazione sia temporalmente connessa alla pendenza della procedura medesima, perché, in caso contrario, tutti i crediti sorti nell’ambito dei rapporti di durata sarebbero prededucibili.

4.2.3. Nella vicenda all’esame, invece, tutto quanto si è già riferito circa la natura e le caratteristiche di contratto a prestazioni corrispettive e di durata dell’affitto di azienda (o di un suo ramo), il puntuale contenuto delle clausole contenute negli artt. 5.1., 6.2. e 6.3 dell’accordo stipulato, il __, tra la S. S.p.A. e la (OMISSIS) S.r.l. in bonis, e la specifica disciplina dettata dal vigente L.F., art. 79, induce a concludere nel senso che la genesi del credito da restituzione dei canoni anticipatamente versati dall’affittuaria per un periodo temporale rivelatosi successivo all’avvenuto recesso legittimamente esercitato dalla curatela della fallita società concedente debba rinvenirsi in un momento precedente al fallimento di quest’ultima, così da precludere a quel credito la collocazione in prededuzione oggi invocata dalla ricorrente.

4.3. Da ultimo, merita di essere rimarcato che la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito (cfr. Cass. n. 22274 del 2017) che la L.F., art. 74, oggi invocato dalla S. S.p.A. a sostegno della pretesa prededucibilità del proprio credito (cfr. pag. 23 e ss. del ricorso), nello stabilire che il curatore che subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica deve pagare integralmente anche il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati, non costituisce attuazione concreta di un principio generale attinente alla natura del contratto, ma detta una disciplina di carattere eccezionale, che non può trovare applicazione in tutti gli altri casi di continuazione del rapporto, nel corso di procedure concorsuali, cui tale disciplina non sia espressamente estesa.

4.3.1. Infatti nei contratti di durata, quale quello di affitto di azienda o di un suo ramo – in cui all’unità sinallagmatica della fase genetica corrisponde la continuità della fase esecutiva – ogni atto di prestazione e controprestazione, pur non estinguendo il vincolo negoziale, non costituisce adempimento parziale, ma adempimento pieno delle obbligazioni che da esso sorgono: il subentro del curatore nel contratto, pertanto, non impedirebbe di per sé di operare una distinzione – che è preclusa unicamente dalla norma in esame – fra i crediti dell’affittuario aventi natura concorsuale perché sorti in data anteriore al fallimento e quelli aventi natura prededudicibile perché sorti in data posteriore.

  1. Insuscettibile di accoglimento è, infine, anche il quarto motivo di ricorso.

5.1. Da un lato, infatti, esso mira a contestare l’interpretazione fornita dal tribunale friulano quanto all’ambito operativo della clausola contenuta all’art. 7 (“A garanzia della restituzione della somma anticipata da S. S.p.A. in caso di risoluzione anticipata del presente contratto per fatto o colpa di (OMISSIS) s.r.l., la società (OMISSIS) S.r.l. stessa, (…), concede a favore di S. S.p.A., che accetta, l’ipoteca di terzo e quarto grado sui beni immobili di seguito descritti…”), sicché varrebbero anche qui i principi tutti già esposti – in relazione al secondo motivo – circa i limiti del sindacato di questa Corte sull’interpretazione, ad opera del giudice di merito, degli atti negoziali delle parti.

5.1.1. Dall’altro, questo Collegio reputa affatto condivisibile quanto osservato dal tribunale suddetto, secondo cui la facoltà di recesso esercitata dal curatore L.F., ex art. 79, non trova fonte nel contratto di affitto di azienda, bensì nella legge, sicché dall’esercizio di tale facoltà non possono derivare gli effetti che le originarie parti contrattuali hanno convenzionalmente stabilito in caso di risoluzione anticipata per fatto o colpa del concedente.

5.1.2. Giova rimarcare, invero, che recesso e risoluzione contrattuale sono istituti distinti, benché entrambi volti a comportare lo scioglimento da un vincolo contrattuale. In linea generale, il recesso è la facoltà concessa, direttamente dal contratto o dalla legge (come, per quanto qui di interesse, l’ipotesi di cui alla L.F., art. 79), ad uno o ad entrambi i firmatari del contratto di interrompere con effetto immediato ed istantaneo il rapporto giuridico, salvo eventuali preavvisi. Si tratta, dunque, del normale esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge o da una clausola contrattuale, a prescindere da situazioni di crisi o di illeciti posti in essere da una delle due parti. La risoluzione, invece, è una causa di scioglimento del contratto generalmente dovuta ad una patologia del rapporto contrattuale o al comportamento di una delle due parti.

5.1.3. È evidente, dunque, che avendo, nella concreta fattispecie, i contraenti fatto puntuale riferimento, quanto alla garanzia ipotecaria sancita per la restituzione delle somme anticipate da S. S.p.A., al caso della risoluzione anticipata del presente contratto per fatto o colpa di (OMISSIS) S.r.l., del tutto correttamente il giudice di merito ha ritenuto inoperante la medesima garanzia per la diversa ipotesi dell’esercizio legittimo della facoltà di recesso attribuita alle parti dalla L.F., art. 79.

  1. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto l’11 aprile 2018), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la S. S.p.A. al pagamento, in favore della curatela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro __, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

 

Cass_civ_Sez_I_Sent_10_10_2019_n_25470




Azione revocatoria fallimentare

Azione revocatoria fallimentare

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 25852 del 14/10/2019

Con ordinanza del 14 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nell’azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di più rimesse bancarie, non viene proposta una sola domanda, ma tante domande quante sono quelle ritenute revocabili, essendo fondate su fatti costitutivi diversi, sicché, ove nell’atto di citazione sia stata richiesta la revoca di un loro determinato numero, individuato attraverso il rinvio ad una consulenza di parte, costituisce inammissibile domanda nuova, la pretesa di ottenere l’inefficacia di altre rimesse in sede di precisazione delle conclusioni, ancorché nei limiti della somma complessiva di cui si è invocata la condanna con l’atto introduttivo della lite.


Azione revocatoria fallimentare

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 25852 del 14/10/2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

I. S.p.A. – ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2019 dal cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Perugia, con la sentenza n. __ pubblicata il __, confermando la sentenza di primo grado, ha dichiarato inefficaci L.F., ex art. 67, comma 2 nei confronti della curatela fallimentare le rimesse, aventi natura solutoria, affluite sul conto corrente n. (OMISSIS) acceso da (OMISSIS) srl presso B., nel periodo dal __ al __ e per l’effetto ha condannato la convenuta al pagamento di __ Euro oltre ad interessi.

La Corte territoriale ha ritenuto che fosse provata la scientia decoctionis in capo alla convenuta, considerato che risultava dall’espletata istruttoria che l’istituto di credito aveva preteso di visionare non solo i bilanci di esercizio ma anche le situazioni patrimoniali provvisorie della società debitrice ed inoltre che le risultanze del bilancio di esercizio della (OMISSIS) srl consentivano certamente di rilevare la gravi difficoltà finanziarie della medesima, divenute irreversibili a seguito della consistente perdita di esercizio risalente al __ che, erodendone il patrimonio aziendale, ne aveva determinato il dissesto.

Il giudice di appello, con riferimento al quantum della statuizione di condanna, riteneva inoltre che non fosse stata ampliata la materia del contendere, mediante l’inclusione di rimesse che non erano state contemplate in atto di citazione, in quanto la curatela aveva unicamente precisato l’ammontare delle rimesse revocabili sulla base delle risultanze della CTU; riteneva altresì che la domanda fosse sufficientemente precisa, considerata la specifica indicazione del conto corrente sul quale le rimesse erano affluite e del periodo di tempo considerato (anno anteriore alla dichiarazione di fallimento), elementi tali da consentire alla banca convenuta la sufficiente individuazione dell’oggetto della domanda ed il pieno esercizio del proprio diritto di difesa.

Per la cassazione di tale pronuncia propone ricorso, con due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis, 1, c.p.c., I. S.p.A.

La curatela fallimentare resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Deve in via pregiudiziale disattendersi l’eccezione, sollevata dal controricorrente, di inesistenza della notifica del ricorso per cassazione, in quanto effettuata presso il precedente domiciliatario e non anche presso il procuratore costituito nel nuovo domicilio, come prescrive l’art. 330 c.p.c., comma 1.

Si osserva, in contrario, che l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità.

Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass., Sez.U.14916/2016).

Nel caso di specie non è configurabile nessuna di tali ipotesi, eccezionali, di inesistenza della notifica, con la conseguenza che la costituzione della controricorrente, curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l., ha sanato la nullità della notifica del ricorso, in quanto effettuata presso l’originario domiciliatario, successivamente revocato dalla curatela medesima.

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L.F., art. 67, rilevando che la curatela attrice nell’atto di citazione aveva limitato la propria domanda alla revoca delle rimesse indicate, per relationem, nell’allegata consulenza di parte ed il cui ammontare complessivo era coincidente con l’importo indicato in atto di citazione, pari a __ Euro; da ciò la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il giudice aveva condannato la banca al maggior importo di __ Euro oltre ad interessi.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale ha infatti ritenuto che il petitum, come formulato nell’atto di citazione, avesse ad oggetto l’intero ammontare delle rimesse revocabili effettuate sul c/c n. (OMISSIS), acceso dalla debitrice presso la banca convenuta, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, onde il riferimento alla allegata consulenza di parte non costituiva limitazione della domanda.

Tale statuizione non è conforme a diritto.

Si osserva in contrario che, come desumibile dal contenuto dell’atto di citazione, riprodotto nel corpo del ricorso (pag. 10), la curatela ha fatto specifico riferimento “ai versamenti e pagamenti, comunque effettuati tra il __ e __ meglio individuati negli estratti conto del c/c (OMISSIS) scoperto… chiaramente riordinati secondo il saldo disponibile nella Ctp redatta dalla Dott. M. che si allega”. L’attrice ha poi espressamente collegato (“Piaccia di conseguenza… condannare”) l’ammontare della somma richiesta in atto di citazione alle rimesse indicate nella CTP allegata, il cui importo, pari ad Euro __, corrisponde alla somma delle rimesse indicate come revocabili nella consulenza di parte e chiesta dall’attrice nell’atto di citazione.

Orbene, come questa Corte ha già affermato, nell’azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di più rimesse bancarie solutorie, non viene proposta una sola domanda, ma tante domande quante sono le rimesse ritenute revocabili, trattandosi di domande fondate su fatti costitutivi diversi, sicché, ove in sede di precisazione delle conclusioni sia richiesta la revoca di un maggior numero di rimesse, rispetto a quelle indicate nell’atto di citazione, deve ritenersi che sia stata proposta una inammissibile domanda nuova, poiché l’estensione della revoca comporta il riferimento a fatti costitutivi nuovi e non allegati con l’originario atto di citazione (Cass. 13767/2015; 17090/2008).

Nel caso di specie, i fatti costitutivi specificamente indicati in atto di citazione erano costituti dalle singole rimesse qualificate come revocabili nella consulenza di parte, mentre la riserva adoperata in atto di citazione (maggior somma risultante dall’istruttoria) non appare idonea a giustificare l’estensione generalizzata al maggior importo richiesto in sede di precisazione delle conclusioni, se non nei limiti delle rimesse – quali fatti costitutivi del credito – indicate nell’allegata consulenza di parte.

Tale richiesta, di una maggiore somma risultante dall’istruttoria, infatti, non opera sul piano della causa petendi, ma su quello, distinto, del petitum e non vale dunque a sopperire alla mancata indicazione della causa petendi e dunque a giustificare il riferimento a fatti costitutivi nuovi (nel caso di specie le ulteriori rimesse revocabili) non indicate nell’atto di citazione a fronte di quelle specificamente identificate (per relationem) in tale atto.

Va invece rilevata l’inammissibilità, per novità, della questione relativa alla restituzione, ad essa ricorrente, della differenza tra l’importo spontaneamente pagato e quello effettivamente dovuto, posto che nessuna pronunzia risulta emessa al riguardo dal giudice di appello.

Ciò comporta che trattandosi di questione nuova, il relativo scrutinio in sede di legittimità non è ammissibile.

È infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 4787/2012).

Il ricorrente, pertanto, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto (Cass. 2140/2006).

Il secondo motivo denuncia violazione della L. Fall., art. 67 e degli artt. 2722 e 2729 c.c., lamentando l’inidoneità degli elementi in forza dei quali la Corte d’Appello ha ritenuto la sussistenza in capo alla banca della scientia decoctionis, in relazione all’intero periodo compreso tra il __ ed il __.

In particolare, ad avviso della ricorrente l’elemento direttamente riconducibile alla sfera cognitiva della banca è rappresentato dal fatto che quest’ultima aveva chiesto le situazioni patrimoniali provvisorie della debitrice, monitorandone l’andamento mediante l’esame della Centrale rischi, ma la motivazione non indica a quando risalirebbero le situazioni patrimoniali provvisorie prese in esame dalla banca idonee a rappresentare lo stato di dissesto, né quali dati desumibili dalla Centrale Rischi fossero idonei a rappresentare l’insolvenza della debitrice.

Anche avuto riguardo alla consistente perdita di esercizio risalente all’anno __, tale dato è apprezzabile solo con il deposito del bilancio di esercizio chiuso al __.

Il motivo è fondato.

Il consolidato indirizzo di questa Corte, sopra ricordato, che qualifica le singole rimesse revocabili come autonomi fatti costitutivi del diritto, implica che costituisce onere della curatela attrice indicare con esattezza la data a partire dalla quale può ritenersi sussistente la scientia decoctionis in capo alla convenuta.

Tale data può infatti essere anteriore al c.d. periodo sospetto (anno anteriore alla sentenza di fallimento), ed in tal caso l’accertamento della sua sussistenza coprirà tutte le rimesse aventi natura solutoria comprese in tale periodo; la prova della scientia decoctionis peraltro, potrà ritenersi acquisita sulla base di elementi presuntivi dotati di sufficiente gravità ed univocità in relazione alla percezione dell’insolvenza da parte del convenuto in revocatoria, in data successiva rispetto all’anno anteriore: in tal caso, evidentemente, solo le rimesse successive a tale data potranno essere oggetto della domanda.

Non viene dunque in rilievo la valutazione in ordine alla sussistenza della scientia decoctionis in capo alla banca, accertata da entrambi i giudici di merito, con adeguato apprezzamento di merito, che non risulta censurato dalla ricorrente.

La Corte territoriale ha però omesso di determinare con precisione la data a partire dalla quale detta consapevolezza possa ritenersi sussistente, posto che tale accertamento, necessario al fine di individuare le singole rimesse revocabili, non può implicitamente desumersi, per relationem, dagli indici ed elementi presuntivi indicati nella sentenza impugnata.

Non risulta, infatti, a quale data risalga l’esame della situazione patrimoniale idonea a rappresentare il dissesto della debitrice o gli elementi, tratti dalla consultazione della Centrale rischi, da cui desumere la irreversibilità della situazione economico finanziaria della debitrice.

Del pari, il fondamentale elemento valorizzato nella sentenza impugnata, vale a dire la consistente perdita di esercizio della debitrice risalente al __, in assenza di specifica allegazione e prova che tale perdita di esercizio era stata rilevata e presa in esame dalla banca in epoca anteriore, attraverso periodico esame della situazione patrimoniale della debitrice, risulta apprezzabile solo con il deposito del bilancio, vale a dire, nei primi mesi del __.

È inoltre vero che la Corte territoriale ha dato atto (a pag. 4 della sentenza) che i testi escussi nel giudizio di primo grado avevano tutti affermato che la debitrice, già nel secondo semestre del __, non pagava i propri dipendenti o li pagava con molto ritardo, non pagava i contributi degli enti previdenziali ed assistenziali e non pagava i fornitori, ed inoltre che quando la debitrice effettuava dei pagamenti vi provvedeva con assegni postdatati al di fuori di qualsiasi affidamento e che le rimesse bancarie rimanevano per la quasi totalità insolute.

Ma pure tali circostanze riferite dai testi, da un lato non sono di per sé necessariamente percepibili con immediatezza da parte della banca, ma soprattutto riguardano genericamente il secondo semestre dell’anno __, laddove le prime rimesse oggetto di revoca risalgono già alla fine di giugno del __ e quindi entro il primo semestre.

In assenza della precisa individuazione della data in cui, sulla base di indici gravi, precisi e concordanti, può ritenersi raggiunta la effettiva conoscenza in capo alla banca convenuta della situazione di dissesto della debitrice, la statuizione che ha dichiarato inefficaci tutte le rimesse solutorie eseguite sul conto corrente di riferimento nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento non è dunque conforme a diritto.

Il ricorso va dunque accolto nei sensi di cui in motivazione.

La sentenza impugnata va dunque cassata e la causa va rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di Perugia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

Cass_civ_Sez_I_Ord_14_10_2019_n_25852




La società di capitali, con partecipazione pubblica, è assoggettabile al fallimento

La società di capitali, con partecipazione pubblica, è assoggettabile al fallimento

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27865 del 30/10/2019

Con ordinanza del 23 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica, è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell’art. 1 L.F., essendo la posizione dell’ente pubblico all’interno della società unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici.

 


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27865 del 30/10/2019

La società di capitali, con partecipazione pubblica, è assoggettabile al fallimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

Fallimento (OMISSIS) – ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.A.  – controricorrente incidentale –

contro

Comune di B., Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di N. – intimati –

avverso la sentenza n. 23315/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Cons. __;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale __, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso principale; l’assorbimento del ricorso incidentale; in via del tutto subordinata l’accoglimento del ricorso principale, cassazione della pronuncia della Suprema Corte e, in sede rescissoria, l’accoglimento dei motivi primo e secondo ed inammissibilità dei motivi terzo e quarto del ricorso principale; rigetto del ricorso incidentale.

udito per il ricorrente l’Avv. __, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;

udito per la controricorrente e ricorrente incidentale l’Avv. __, con delega orale dell’Avv. __, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

La corte d’appello di Napoli, con sentenza in data __, notificata in pari data a cura della cancelleria a mezzo posta elettronica certificata, accoglieva il reclamo ex art. 18 L.F. proposto da (OMISSIS) S.p.A., d’ora in poi, breviter, (OMISSIS) e revocava la sentenza del __ con la quale il tribunale di Benevento ne aveva dichiarato il fallimento, oltre al decreto col quale era stata revocata l’ammissione della società al concordato preventivo.

Specificamente la corte d’appello fondava la decisione sul rilievo di intervenuta violazione dei limiti del sindacato in ordine alla fattibilità giuridica nel piano concordatario, avendo il tribunale avuto riguardo al profilo economico del merito e della convenienza, rimesso esclusivamente ai creditori.

Il Fallimento proponeva ricorso per cassazione in quattro motivi, ai quali la società resisteva con controricorso, spiegando a propria volta due motivi di ricorso incidentale condizionato.

Questa Corte, con sentenza n. __ in data __, dichiarava improcedibile il ricorso principale e assorbito l’incidentale condizionato. Osservava che era mancata l’attestazione di conformità della copia notificata telematicamente dal Fallimento ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis. Dopodiché, su richiesta del procuratore generale, la Corte, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., pronunciava il principio di diritto nell’interesse della legge.

Il Fallimento (OMISSIS) ha impugnato per revocazione la sentenza n. __, adducendo l’errore di fatto consistito nel non essersi il collegio avveduto dell’esistenza in atti di un identico ricorso in formato cartaceo, notificato a mezzo di ufficiale giudiziario a mani proprie, presso il domicilio eletto dalla società nel giudizio di reclamo.

A dire dell’istante tale fatto, se opportunamente scrutinato, mai avrebbe potuto comportare la declaratoria di improcedibilità.

In consecuzione il Fallimento ha riprodotto i motivi a suo tempo formulati contro la sentenza della corte d’appello di Napoli.

La società (OMISSIS) si è costituita resistendo e in subordine ha riproposto i motivi di ricorso incidentale condizionato.

Il comune di B., originariamente non costituito, è rimasto intimato anche in questo giudizio.

Il Fallimento ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso per revocazione è fondato.

Dagli atti in effetti risulta che il Fallimento, oltre a quello predisposto in modalità analogica, notificato telematicamente ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis aveva altresì depositato in cancelleria la copia conforme del ricorso per cassazione predisposto in modalità cartacea e notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.

Tanto si evince dal timbro di deposito della cancelleria della Corte, che in data __ attesta il fatto.

Poco importa che l’attestazione indichi nel __ la data del perfezionamento della suddetta notifica, anziché, come si sarebbe dovuto, nel di successivo __. Invero quel che rileva è l’attestazione di avvenuto deposito della copia cartacea notificata a mano. Cosa del resto assolutamente pacifica anche in base al controricorso della società.

La difesa di (OMISSIS) ha eccepito che la suddetta ulteriore notifica del ricorso tramite ufficiale giudiziario non avrebbe potuto esser presa in considerazione ai fini dell’instaurazione del giudizio di cassazione e della correlata litispendenza, poiché si era perfezionata appunto il __, dopo quella telematica del __. Essa difesa ricorda che il momento di ricezione, e di perfezionamento, della notifica telematica viene a coincidere con quello di spedizione; per cui sostiene che, unico essendo il momento notificatorio, solo alla notifica telematica si sarebbe potuto far riferimento per ciò che concerne gli effetti dell’atto processualmente rilevanti.

L’eccezione non ha molto senso, visto che l’istanza di revocazione è stata affidata al semplice assunto che la presenza in atti del ricorso predisposto e notificato anche in forma ordinaria impediva la declaratoria di improcedibilità per mancata attestazione di conformità della copia notificata telematicamente.

Poiché peraltro si discute della declaratoria di improcedibilità ex art. 369 c.p.c., è infondato affermare che il raggiungimento dello scopo della notificazione in modalità telematica toglieva ogni effetto processualmente rilevante alla seconda notifica.

Proprio la declaratoria era in vero impedita dalla presenza in atti del ricorso notificato anche in modalità ordinaria.

Lo era in virtù della regola dettata dall’art. 387 c.p.c., che prevede l’impossibilità di riproporre il ricorso (come del resto l’appello, ai sensi dell’art. 358 c.p.c.) solo ove questo sia stato dichiarato inammissibile o improcedibile.

Tale regola, per quanto relativa alla riproposizione del ricorso, vale anche, e a maggior ragione, ove si sia in presenza di un unico ricorso notificato in duplice formalità, essendo correlata al più generale principio di consumazione della potestà di impugnare, limitato al caso della previa proposizione di un’impugnazione valida.

La conseguenza specifica della norma è dunque esattamente opposta a quanto predicato dalla controricorrente, nel senso che prima che l’inammissibilità o l’improcedibilità siano dichiarate è sempre possibile proporre un (o, il che è lo stesso, dare rilievo a un) ulteriore atto di impugnazione, salvo che non sia decorsa medio tempore una decadenza (Cass. n. 24332-16, Cass. n. 22929-17).

Nella specie non viene in questione il verificarsi di una decadenza, sicché l’esistenza in atti del ricorso procedibile, in quanto predisposto e notificato in forma ordinaria, ove fosse stata riscontrata avrebbe consentito senz’altro di evitare la dichiarazione di improcedibilità per i vizi di quello in modalità telematica.

La statuizione resa dalla sentenza di questa Corte n. 23318-18 consegue a un errore di fatto percettivo, e poiché l’errore è causale va revocata.

Non può darsi seguito all’obiezione al riguardo formulata dal procuratore generale.

L’essere stata semplicemente sollecitata la verifica del profilo di procedibilità del ricorso all’udienza pubblica di allora (l’ud. del __), da parte del rappresentante della procura generale, ha un connotato talmente generico da non consentire di trarne alcuna conseguenza ai fini dell’art. 395 c.p.c., n. 4. In particolare non si può affermare che proprio il profilo della presenza o meno dell’attestazione di conformità della copia notificata telematicamente dal Fallimento ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis a fronte della esistenza anche della copia notificata in formalità ordinaria, avesse costituito il punto controverso tra le parti, e tanto meno (attesa l’inesistenza di passaggi dedicati alle possibili distinte tesi) che la ripetuta sentenza n. 23315-18 abbia ritenuto di pronunciare su tale punto controverso.

Alla revocazione della sentenza citata deve conseguire l’esame dei ricorsi, principale e incidentale, proposti contro la sentenza della corte d’appello di Napoli che ha revocato il fallimento di (OMISSIS) S.p.A.

Il ricorso principale consta di quattro motivi.

Col primo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 186-bis, 173 e 162 L.F., poiché il controllo svolto dal tribunale di Benevento all’atto della revoca del concordato preventivo non era impedito dalla questione di fattibilità economica, essendosi concretizzato in una prognosi di concreta non realizzabilità (della causa) del piano concordatario certamente compresa nelle prerogative del giudice in virtù dei più penetranti poteri attivati dalla prospettiva della continuità aziendale.

Col secondo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 173 L.F., nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente considerato irrilevante, per l’esistenza di documentazione sufficiente acquisita d’ufficio dai commissari giudiziali, il profilo della carenza dei flussi informativi richiesti alla debitrice.

Col terzo mezzo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione o falsa applicazione dell’art. 186-bis, u.c., L.F. con riferimento agli elementi relativi alle risultanze del conto economico e dello stato patrimoniale della società, confermativi di una gestione concordataria in costante perdita e della conseguente erosione del capitale.

Col quarto motivo infine è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 L.F. a proposito della sussistenza dello stato di insolvenza.

Il primo motivo è fondato.

La corte d’appello di Napoli non ha smentito, in punto di fatto, quanto dal tribunale di Benevento accertato a proposito del progressivo aumento dell’indebitamento della società e della correlata progressiva erosione della già limitata consistenza patrimoniale normativamente posta a garanzia del ceto creditorio; non ha smentito neppure che i flussi di cassa erano tali da non coprire gli assorbimenti di capitale circolante prodotti dalla gestione, a proposito del fabbisogno relativo ai debiti indicati nel piano concordatario.

La corte d’appello – per quanto all’esito di una lunga esposizione – si è limitata a sostenere che “la correzione della situazione economico-finanziaria di (OMISSIS) operata dal tribunale, non appariva di per sé sola sufficiente a palesare l’assoluta e manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore e (per quanto accertato dallo stesso tribunale) approvato dai creditori a raggiungere gli obiettivi prefissati (superamento della crisi e soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole)”.

A suo dire, il corretto appostamento delle quote del TFR aveva avuto un’incidenza limitata e non determinante su una sola delle attività concorrenti al soddisfacimento del fabbisogno concordatario, e segnatamente sul cd. cash flow derivante dalla gestione nel periodo __. E in ogni caso il tribunale non aveva tenuto conto (i) delle misure compensative, quale la perdita di una importante fonte di autofinanziamento costituita dall’accantonamento per TFR; (ii) del risultato positivo di gestione nel periodo __ e __ rispetto ai flussi di cassa di cui al piano industriale; (iii) della circostanza che alla prevista riduzione del flusso finanziario, derivata dalla non prevista uscita di cassa per TFR, aveva corrisposto una riduzione di egual misura dell’indebitamento post-concordatario.

Da tali enunciazioni – di cui ben vero non appare chiara neppure la rilevanza rispetto al concordato che la stessa corte d’appello, in altra parte della motivazione, ha confermato esser stato predisposto in continuità – la sentenza si è tuttavia limitata a trarre un giudizio sui limiti del sindacato giurisdizionale, così specificamente concludendo: “alla stregua delle considerazioni che precedono (..) i rilievi mossi dal tribunale riguardo alla effettiva realizzabilità dei flussi finanziari del periodo __ previsti nel piano, lungi dal rappresentare indici rivelatori univoci di manifesta ed effettiva inettitudine dello stesso piano a realizzare gli obiettivi prefissati, investono in realtà il merito del giudizio di fattibilità economica, ossia la valutazione in ordine alla probabilità di successo economico del piano ed i rischi ad essa inerenti, valutazione (..) dal legislatore riservata ai creditori”.

Ad analoga valutazione la corte del merito ha sottoposto:

(a) il rilievo del tribunale per cui il ricavato dell’alienazione degli immobili apportati dal comune di B., a garanzia dei medesimi flussi finanziari, non potesse comunque compensare la riduzione del flusso di cassa (per l’aleatorietà e la differente tempistica di realizzo);

(b) l’analisi del conto economico prospettico del piano industriale e del relativo flusso di cassa, dal tribunale pure effettuata con esito confermativo della ritenuta irrealizzabilità del piano – perché viziata dalla solo ipotetica e comunque sovrastimata consistente crescita dei ricavi derivanti dal mercato rispetto alla ipotizzata riduzione di quelli riconducibili direttamente al comune, alla luce dei dati emergenti dal conto consuntivo e dalla proiezione al __; e perché incompleta nell’indicazione dei profili tributari e fiscali. E in ultimo ha osservato che la situazione complessiva costì emergente, parametrata a quella esaminata dal tribunale al momento del decreto 10-6-2015 di ammissione alla procedura, era rimasta sostanzialmente immutata. Il che – ha detto – non consentiva di sostenere con ragionevoli margini di certezza, al 30-9-2015 (data di riferimento delle valutazioni), che la medesima condizione di assoluta irrealizzabilità del piano industriale e dunque l’impossibilità di conseguire attraverso la prosecuzione dell’attività d’impresa il risanamento della società debitrice – non fosse prevedibile fin da allora.

Con una tal sequela di enunciati, la corte d’appello di Napoli ha infranto il principio rilevante in materia, quando è in discussione l’idoneità del piano a realizzare la causa concreta del concordato.

In generale, in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto a una verifica della fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, e tale fattibilità è concetto ben diverso dalla convenienza economica, questa seconda riservata invece ai creditori.

La verifica di fattibilità comprende sia l’aspetto giuridico sia l’aspetto economico del concordato, perché entrambe le valutazioni si impongono nel perimetro dell’unica complessiva attinente alla realizzabilità prima facie (ovvero alla plausibilità) della causa concreta (v. per riferimenti Cass. n. 5825-18). Questa Corte ha invero chiarito che il tribunale è tenuto a una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta). E ha precisato che tali principi vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis L.F., perché qui la rigorosa verifica della fattibilità in concreto ancor più presuppone un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa in un contesto in cui il favor per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese a evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale (Cass. n. 9061-17).

In linea con le coordinate di siffatto indirizzo, è dunque possibile affermare che la previsione dell’art. 186-bis, u.c., L.F., attribuendo al tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, non implica che l’organo giudicante abbia il compito di procedere alla valutazione della convenienza economica della proposta, ma che si debba verificare che l’andamento dei flussi di cassa e dell’indebitamento sia coerente con l’obiettivo del risanamento dell’impresa così come indicato nella proposta e nel piano, e che non sia tale da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori.

Ove un sindacato del genere sia svolto, quale che ne sia infine l’esito, non si è mai dinanzi a un caso di esorbitanza dai confini della valutazione di convenienza economica, ma si è proprio all’interno della valutazione riservata al (e doverosa per) il giudice del merito.

La corte d’appello di Napoli ha mancato di porre in essere un apprezzamento effettivo in ordine alle carenze del piano così come emergenti dai rilievi dei commissari e del tribunale, essendosi alfine limitata a sostenere, erroneamente, che la valutazione che aveva condotto il tribunale a revocare l’ammissione al concordato e a dichiarare il fallimento ricadesse nell’ambito del giudizio (di fattibilità economica) riservato ai creditori.

Per tale ragione la sentenza va cassata.

È fondato anche il secondo motivo del ricorso principale.

La carenza di adeguati flussi informativi – che dal ricorso si apprende essere stata allegata come conseguente finanche a “reiterate richieste (..) dell’ufficio commissariale” – è stata dalla corte d’appello ritenuta irrilevante perché evidenziata dai commissari nella relazione ex art. 172 L.F. Donde era da ritenere che la detta carenza fosse comunque nota ai commissari medesimi perché derivante da documentazione in loro possesso, sufficiente a ricostruire la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Sennonché a tal riguardo la motivazione della corte territoriale è priva di pertinenza, poiché il rilievo, motivato ai sensi dell’art. 173 L.F., supponeva di verificare che una documentazione idonea fosse stata messa a disposizione dei creditori in vista del voto sul concordato.

Per consolidata giurisprudenza, costituiscono atti di frode, dal punto di vista oggettivo, le condotte volte a occultare situazioni di fatto idonee a influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento, in quanto inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori medesimi.

È logico che tali situazioni, ove si discuta dell’art. 173 L.F., debbono essere successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza e integrale rilevanza (v. Cass. n. 9050-14, Cass. n. 10778-14) da parte degli organi della procedura. Ma quel che interessa per la pronuncia di revoca dell’ammissione al concordato è che ciò sia avvenuto a fronte di una precedente rappresentazione (consapevole e) inadeguata, tale da avere impedito ai creditori di esprimere un appropriato giudizio sulla veridicità dei dati e sulla conseguente convenienza o meno della proposta e del piano.

Né in proposito è richiesta la dolosa preordinazione (v. Cass. n. 15013-18).

Restano assorbiti i restanti motivi, terzo e quarto.

Vanno affrontate le questioni poste col ricorso incidentale della società.

Col primo motivo di tale ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 L.F. e degli artt. 2093 e 2221 c.c., poiché dovevasi reputare insussistente il presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento essendosi trattato di società cd. in house.

Il motivo è manifestamente infondato, avendo questa Corte di recente affermato – così specificando il principio reso in altro precedente (Cass. n. 3196-17) – che la società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica, è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell’art. 1 L.F., essendo la posizione dell’ente pubblico all’interno della società unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici. La suddetta natura privatistica della società non è incisa dall’eventualità del cd. controllo analogo, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile a una relazione interorganica, poiché questo non incide sulla distinzione del piano giuridico-formale, tra pubblica amministrazione ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante (Cass. n. 5346-19).

Col secondo motivo del ricorso incidentale è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 15 L.F., avendo l’impugnata sentenza errato nel non ravvisare l’inammissibilità della richiesta di fallimento del pubblico ministero, che era stata soltanto abbinata al fascicolo del concordato preventivo.

Il motivo è infondato e in parte inammissibile poiché dall’impugnata sentenza risulta che la società aveva avuto piena contezza della richiesta di fallimento presentata dal pubblico ministero, pure in assenza di una formale notifica, e aveva altresì avuto la possibilità oggettiva e concreta di difendersi anche in relazione a essa nella sede propria.

L’affermazione integra un accertamento di fatto risolutivo di ogni questione, essendo evidente che il fallimento era stato dichiarato su iniziativa del pubblico ministero all’esito dell’udienza appositamente fissata per la valutazione dei presupposti di cui all’art. 173 L.F.

In conclusione, la sentenza n. 23315-18 di questa Corte va revocata.

Il ricorso principale del Fallimento, proposto nei riguardi della sentenza della corte d’appello di Napoli, va accolto limitatamente ai primi due motivi, assorbiti gli altri.

Il ricorso incidentale della società va disatteso.

La ripetuta sentenza della corte d’appello di Napoli deve essere cassata con rinvio alla medesima corte del merito, la quale, in diversa composizione, rinnoverà l’esame del reclamo ex art. 18 L.F. uniformandosi ai principi di diritto sopra rappresentati ai punti VII e VIII; essa provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte (i) revoca la sentenza n. 23315 del 2018 di questa stessa Corte; (ii) accoglie i primi due motivi del ricorso principale proposto contro la sentenza della corte d’appello di Napoli n. 1352016, assorbiti gli altri; (iii) rigetta il ricorso incidentale; (iv) cassa la sentenza citata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla medesima corte d’appello anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

 

Cass_civ_Sez_I_Ord_30_10_2019_n_27865