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La società di capitali, con partecipazione pubblica, è assoggettabile al fallimento

La società di capitali, con partecipazione pubblica, è assoggettabile al fallimento

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27865 del 30/10/2019

Con ordinanza del 23 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica, è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell’art. 1 L.F., essendo la posizione dell’ente pubblico all’interno della società unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici.

 


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27865 del 30/10/2019

La società di capitali, con partecipazione pubblica, è assoggettabile al fallimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

Fallimento (OMISSIS) – ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.A.  – controricorrente incidentale –

contro

Comune di B., Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di N. – intimati –

avverso la sentenza n. 23315/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Cons. __;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale __, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso principale; l’assorbimento del ricorso incidentale; in via del tutto subordinata l’accoglimento del ricorso principale, cassazione della pronuncia della Suprema Corte e, in sede rescissoria, l’accoglimento dei motivi primo e secondo ed inammissibilità dei motivi terzo e quarto del ricorso principale; rigetto del ricorso incidentale.

udito per il ricorrente l’Avv. __, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;

udito per la controricorrente e ricorrente incidentale l’Avv. __, con delega orale dell’Avv. __, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

La corte d’appello di Napoli, con sentenza in data __, notificata in pari data a cura della cancelleria a mezzo posta elettronica certificata, accoglieva il reclamo ex art. 18 L.F. proposto da (OMISSIS) S.p.A., d’ora in poi, breviter, (OMISSIS) e revocava la sentenza del __ con la quale il tribunale di Benevento ne aveva dichiarato il fallimento, oltre al decreto col quale era stata revocata l’ammissione della società al concordato preventivo.

Specificamente la corte d’appello fondava la decisione sul rilievo di intervenuta violazione dei limiti del sindacato in ordine alla fattibilità giuridica nel piano concordatario, avendo il tribunale avuto riguardo al profilo economico del merito e della convenienza, rimesso esclusivamente ai creditori.

Il Fallimento proponeva ricorso per cassazione in quattro motivi, ai quali la società resisteva con controricorso, spiegando a propria volta due motivi di ricorso incidentale condizionato.

Questa Corte, con sentenza n. __ in data __, dichiarava improcedibile il ricorso principale e assorbito l’incidentale condizionato. Osservava che era mancata l’attestazione di conformità della copia notificata telematicamente dal Fallimento ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis. Dopodiché, su richiesta del procuratore generale, la Corte, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., pronunciava il principio di diritto nell’interesse della legge.

Il Fallimento (OMISSIS) ha impugnato per revocazione la sentenza n. __, adducendo l’errore di fatto consistito nel non essersi il collegio avveduto dell’esistenza in atti di un identico ricorso in formato cartaceo, notificato a mezzo di ufficiale giudiziario a mani proprie, presso il domicilio eletto dalla società nel giudizio di reclamo.

A dire dell’istante tale fatto, se opportunamente scrutinato, mai avrebbe potuto comportare la declaratoria di improcedibilità.

In consecuzione il Fallimento ha riprodotto i motivi a suo tempo formulati contro la sentenza della corte d’appello di Napoli.

La società (OMISSIS) si è costituita resistendo e in subordine ha riproposto i motivi di ricorso incidentale condizionato.

Il comune di B., originariamente non costituito, è rimasto intimato anche in questo giudizio.

Il Fallimento ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso per revocazione è fondato.

Dagli atti in effetti risulta che il Fallimento, oltre a quello predisposto in modalità analogica, notificato telematicamente ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis aveva altresì depositato in cancelleria la copia conforme del ricorso per cassazione predisposto in modalità cartacea e notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.

Tanto si evince dal timbro di deposito della cancelleria della Corte, che in data __ attesta il fatto.

Poco importa che l’attestazione indichi nel __ la data del perfezionamento della suddetta notifica, anziché, come si sarebbe dovuto, nel di successivo __. Invero quel che rileva è l’attestazione di avvenuto deposito della copia cartacea notificata a mano. Cosa del resto assolutamente pacifica anche in base al controricorso della società.

La difesa di (OMISSIS) ha eccepito che la suddetta ulteriore notifica del ricorso tramite ufficiale giudiziario non avrebbe potuto esser presa in considerazione ai fini dell’instaurazione del giudizio di cassazione e della correlata litispendenza, poiché si era perfezionata appunto il __, dopo quella telematica del __. Essa difesa ricorda che il momento di ricezione, e di perfezionamento, della notifica telematica viene a coincidere con quello di spedizione; per cui sostiene che, unico essendo il momento notificatorio, solo alla notifica telematica si sarebbe potuto far riferimento per ciò che concerne gli effetti dell’atto processualmente rilevanti.

L’eccezione non ha molto senso, visto che l’istanza di revocazione è stata affidata al semplice assunto che la presenza in atti del ricorso predisposto e notificato anche in forma ordinaria impediva la declaratoria di improcedibilità per mancata attestazione di conformità della copia notificata telematicamente.

Poiché peraltro si discute della declaratoria di improcedibilità ex art. 369 c.p.c., è infondato affermare che il raggiungimento dello scopo della notificazione in modalità telematica toglieva ogni effetto processualmente rilevante alla seconda notifica.

Proprio la declaratoria era in vero impedita dalla presenza in atti del ricorso notificato anche in modalità ordinaria.

Lo era in virtù della regola dettata dall’art. 387 c.p.c., che prevede l’impossibilità di riproporre il ricorso (come del resto l’appello, ai sensi dell’art. 358 c.p.c.) solo ove questo sia stato dichiarato inammissibile o improcedibile.

Tale regola, per quanto relativa alla riproposizione del ricorso, vale anche, e a maggior ragione, ove si sia in presenza di un unico ricorso notificato in duplice formalità, essendo correlata al più generale principio di consumazione della potestà di impugnare, limitato al caso della previa proposizione di un’impugnazione valida.

La conseguenza specifica della norma è dunque esattamente opposta a quanto predicato dalla controricorrente, nel senso che prima che l’inammissibilità o l’improcedibilità siano dichiarate è sempre possibile proporre un (o, il che è lo stesso, dare rilievo a un) ulteriore atto di impugnazione, salvo che non sia decorsa medio tempore una decadenza (Cass. n. 24332-16, Cass. n. 22929-17).

Nella specie non viene in questione il verificarsi di una decadenza, sicché l’esistenza in atti del ricorso procedibile, in quanto predisposto e notificato in forma ordinaria, ove fosse stata riscontrata avrebbe consentito senz’altro di evitare la dichiarazione di improcedibilità per i vizi di quello in modalità telematica.

La statuizione resa dalla sentenza di questa Corte n. 23318-18 consegue a un errore di fatto percettivo, e poiché l’errore è causale va revocata.

Non può darsi seguito all’obiezione al riguardo formulata dal procuratore generale.

L’essere stata semplicemente sollecitata la verifica del profilo di procedibilità del ricorso all’udienza pubblica di allora (l’ud. del __), da parte del rappresentante della procura generale, ha un connotato talmente generico da non consentire di trarne alcuna conseguenza ai fini dell’art. 395 c.p.c., n. 4. In particolare non si può affermare che proprio il profilo della presenza o meno dell’attestazione di conformità della copia notificata telematicamente dal Fallimento ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis a fronte della esistenza anche della copia notificata in formalità ordinaria, avesse costituito il punto controverso tra le parti, e tanto meno (attesa l’inesistenza di passaggi dedicati alle possibili distinte tesi) che la ripetuta sentenza n. 23315-18 abbia ritenuto di pronunciare su tale punto controverso.

Alla revocazione della sentenza citata deve conseguire l’esame dei ricorsi, principale e incidentale, proposti contro la sentenza della corte d’appello di Napoli che ha revocato il fallimento di (OMISSIS) S.p.A.

Il ricorso principale consta di quattro motivi.

Col primo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 186-bis, 173 e 162 L.F., poiché il controllo svolto dal tribunale di Benevento all’atto della revoca del concordato preventivo non era impedito dalla questione di fattibilità economica, essendosi concretizzato in una prognosi di concreta non realizzabilità (della causa) del piano concordatario certamente compresa nelle prerogative del giudice in virtù dei più penetranti poteri attivati dalla prospettiva della continuità aziendale.

Col secondo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 173 L.F., nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente considerato irrilevante, per l’esistenza di documentazione sufficiente acquisita d’ufficio dai commissari giudiziali, il profilo della carenza dei flussi informativi richiesti alla debitrice.

Col terzo mezzo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione o falsa applicazione dell’art. 186-bis, u.c., L.F. con riferimento agli elementi relativi alle risultanze del conto economico e dello stato patrimoniale della società, confermativi di una gestione concordataria in costante perdita e della conseguente erosione del capitale.

Col quarto motivo infine è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 L.F. a proposito della sussistenza dello stato di insolvenza.

Il primo motivo è fondato.

La corte d’appello di Napoli non ha smentito, in punto di fatto, quanto dal tribunale di Benevento accertato a proposito del progressivo aumento dell’indebitamento della società e della correlata progressiva erosione della già limitata consistenza patrimoniale normativamente posta a garanzia del ceto creditorio; non ha smentito neppure che i flussi di cassa erano tali da non coprire gli assorbimenti di capitale circolante prodotti dalla gestione, a proposito del fabbisogno relativo ai debiti indicati nel piano concordatario.

La corte d’appello – per quanto all’esito di una lunga esposizione – si è limitata a sostenere che “la correzione della situazione economico-finanziaria di (OMISSIS) operata dal tribunale, non appariva di per sé sola sufficiente a palesare l’assoluta e manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore e (per quanto accertato dallo stesso tribunale) approvato dai creditori a raggiungere gli obiettivi prefissati (superamento della crisi e soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole)”.

A suo dire, il corretto appostamento delle quote del TFR aveva avuto un’incidenza limitata e non determinante su una sola delle attività concorrenti al soddisfacimento del fabbisogno concordatario, e segnatamente sul cd. cash flow derivante dalla gestione nel periodo __. E in ogni caso il tribunale non aveva tenuto conto (i) delle misure compensative, quale la perdita di una importante fonte di autofinanziamento costituita dall’accantonamento per TFR; (ii) del risultato positivo di gestione nel periodo __ e __ rispetto ai flussi di cassa di cui al piano industriale; (iii) della circostanza che alla prevista riduzione del flusso finanziario, derivata dalla non prevista uscita di cassa per TFR, aveva corrisposto una riduzione di egual misura dell’indebitamento post-concordatario.

Da tali enunciazioni – di cui ben vero non appare chiara neppure la rilevanza rispetto al concordato che la stessa corte d’appello, in altra parte della motivazione, ha confermato esser stato predisposto in continuità – la sentenza si è tuttavia limitata a trarre un giudizio sui limiti del sindacato giurisdizionale, così specificamente concludendo: “alla stregua delle considerazioni che precedono (..) i rilievi mossi dal tribunale riguardo alla effettiva realizzabilità dei flussi finanziari del periodo __ previsti nel piano, lungi dal rappresentare indici rivelatori univoci di manifesta ed effettiva inettitudine dello stesso piano a realizzare gli obiettivi prefissati, investono in realtà il merito del giudizio di fattibilità economica, ossia la valutazione in ordine alla probabilità di successo economico del piano ed i rischi ad essa inerenti, valutazione (..) dal legislatore riservata ai creditori”.

Ad analoga valutazione la corte del merito ha sottoposto:

(a) il rilievo del tribunale per cui il ricavato dell’alienazione degli immobili apportati dal comune di B., a garanzia dei medesimi flussi finanziari, non potesse comunque compensare la riduzione del flusso di cassa (per l’aleatorietà e la differente tempistica di realizzo);

(b) l’analisi del conto economico prospettico del piano industriale e del relativo flusso di cassa, dal tribunale pure effettuata con esito confermativo della ritenuta irrealizzabilità del piano – perché viziata dalla solo ipotetica e comunque sovrastimata consistente crescita dei ricavi derivanti dal mercato rispetto alla ipotizzata riduzione di quelli riconducibili direttamente al comune, alla luce dei dati emergenti dal conto consuntivo e dalla proiezione al __; e perché incompleta nell’indicazione dei profili tributari e fiscali. E in ultimo ha osservato che la situazione complessiva costì emergente, parametrata a quella esaminata dal tribunale al momento del decreto 10-6-2015 di ammissione alla procedura, era rimasta sostanzialmente immutata. Il che – ha detto – non consentiva di sostenere con ragionevoli margini di certezza, al 30-9-2015 (data di riferimento delle valutazioni), che la medesima condizione di assoluta irrealizzabilità del piano industriale e dunque l’impossibilità di conseguire attraverso la prosecuzione dell’attività d’impresa il risanamento della società debitrice – non fosse prevedibile fin da allora.

Con una tal sequela di enunciati, la corte d’appello di Napoli ha infranto il principio rilevante in materia, quando è in discussione l’idoneità del piano a realizzare la causa concreta del concordato.

In generale, in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto a una verifica della fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, e tale fattibilità è concetto ben diverso dalla convenienza economica, questa seconda riservata invece ai creditori.

La verifica di fattibilità comprende sia l’aspetto giuridico sia l’aspetto economico del concordato, perché entrambe le valutazioni si impongono nel perimetro dell’unica complessiva attinente alla realizzabilità prima facie (ovvero alla plausibilità) della causa concreta (v. per riferimenti Cass. n. 5825-18). Questa Corte ha invero chiarito che il tribunale è tenuto a una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta). E ha precisato che tali principi vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis L.F., perché qui la rigorosa verifica della fattibilità in concreto ancor più presuppone un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa in un contesto in cui il favor per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese a evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale (Cass. n. 9061-17).

In linea con le coordinate di siffatto indirizzo, è dunque possibile affermare che la previsione dell’art. 186-bis, u.c., L.F., attribuendo al tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, non implica che l’organo giudicante abbia il compito di procedere alla valutazione della convenienza economica della proposta, ma che si debba verificare che l’andamento dei flussi di cassa e dell’indebitamento sia coerente con l’obiettivo del risanamento dell’impresa così come indicato nella proposta e nel piano, e che non sia tale da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori.

Ove un sindacato del genere sia svolto, quale che ne sia infine l’esito, non si è mai dinanzi a un caso di esorbitanza dai confini della valutazione di convenienza economica, ma si è proprio all’interno della valutazione riservata al (e doverosa per) il giudice del merito.

La corte d’appello di Napoli ha mancato di porre in essere un apprezzamento effettivo in ordine alle carenze del piano così come emergenti dai rilievi dei commissari e del tribunale, essendosi alfine limitata a sostenere, erroneamente, che la valutazione che aveva condotto il tribunale a revocare l’ammissione al concordato e a dichiarare il fallimento ricadesse nell’ambito del giudizio (di fattibilità economica) riservato ai creditori.

Per tale ragione la sentenza va cassata.

È fondato anche il secondo motivo del ricorso principale.

La carenza di adeguati flussi informativi – che dal ricorso si apprende essere stata allegata come conseguente finanche a “reiterate richieste (..) dell’ufficio commissariale” – è stata dalla corte d’appello ritenuta irrilevante perché evidenziata dai commissari nella relazione ex art. 172 L.F. Donde era da ritenere che la detta carenza fosse comunque nota ai commissari medesimi perché derivante da documentazione in loro possesso, sufficiente a ricostruire la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Sennonché a tal riguardo la motivazione della corte territoriale è priva di pertinenza, poiché il rilievo, motivato ai sensi dell’art. 173 L.F., supponeva di verificare che una documentazione idonea fosse stata messa a disposizione dei creditori in vista del voto sul concordato.

Per consolidata giurisprudenza, costituiscono atti di frode, dal punto di vista oggettivo, le condotte volte a occultare situazioni di fatto idonee a influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento, in quanto inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori medesimi.

È logico che tali situazioni, ove si discuta dell’art. 173 L.F., debbono essere successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza e integrale rilevanza (v. Cass. n. 9050-14, Cass. n. 10778-14) da parte degli organi della procedura. Ma quel che interessa per la pronuncia di revoca dell’ammissione al concordato è che ciò sia avvenuto a fronte di una precedente rappresentazione (consapevole e) inadeguata, tale da avere impedito ai creditori di esprimere un appropriato giudizio sulla veridicità dei dati e sulla conseguente convenienza o meno della proposta e del piano.

Né in proposito è richiesta la dolosa preordinazione (v. Cass. n. 15013-18).

Restano assorbiti i restanti motivi, terzo e quarto.

Vanno affrontate le questioni poste col ricorso incidentale della società.

Col primo motivo di tale ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 L.F. e degli artt. 2093 e 2221 c.c., poiché dovevasi reputare insussistente il presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento essendosi trattato di società cd. in house.

Il motivo è manifestamente infondato, avendo questa Corte di recente affermato – così specificando il principio reso in altro precedente (Cass. n. 3196-17) – che la società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica, è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell’art. 1 L.F., essendo la posizione dell’ente pubblico all’interno della società unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici. La suddetta natura privatistica della società non è incisa dall’eventualità del cd. controllo analogo, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile a una relazione interorganica, poiché questo non incide sulla distinzione del piano giuridico-formale, tra pubblica amministrazione ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante (Cass. n. 5346-19).

Col secondo motivo del ricorso incidentale è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 15 L.F., avendo l’impugnata sentenza errato nel non ravvisare l’inammissibilità della richiesta di fallimento del pubblico ministero, che era stata soltanto abbinata al fascicolo del concordato preventivo.

Il motivo è infondato e in parte inammissibile poiché dall’impugnata sentenza risulta che la società aveva avuto piena contezza della richiesta di fallimento presentata dal pubblico ministero, pure in assenza di una formale notifica, e aveva altresì avuto la possibilità oggettiva e concreta di difendersi anche in relazione a essa nella sede propria.

L’affermazione integra un accertamento di fatto risolutivo di ogni questione, essendo evidente che il fallimento era stato dichiarato su iniziativa del pubblico ministero all’esito dell’udienza appositamente fissata per la valutazione dei presupposti di cui all’art. 173 L.F.

In conclusione, la sentenza n. 23315-18 di questa Corte va revocata.

Il ricorso principale del Fallimento, proposto nei riguardi della sentenza della corte d’appello di Napoli, va accolto limitatamente ai primi due motivi, assorbiti gli altri.

Il ricorso incidentale della società va disatteso.

La ripetuta sentenza della corte d’appello di Napoli deve essere cassata con rinvio alla medesima corte del merito, la quale, in diversa composizione, rinnoverà l’esame del reclamo ex art. 18 L.F. uniformandosi ai principi di diritto sopra rappresentati ai punti VII e VIII; essa provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte (i) revoca la sentenza n. 23315 del 2018 di questa stessa Corte; (ii) accoglie i primi due motivi del ricorso principale proposto contro la sentenza della corte d’appello di Napoli n. 1352016, assorbiti gli altri; (iii) rigetta il ricorso incidentale; (iv) cassa la sentenza citata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla medesima corte d’appello anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

 

Cass_civ_Sez_I_Ord_30_10_2019_n_27865