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Lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori

Lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 19048 del 16/07/2019

Con ordinanza del 16 luglio 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, in tema di recupero crediti, ha stabilito che lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori, essendo ben possibile che anche un solo inadempimento possa essere indice di tale situazione oggettiva.

 


 

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 19048 del 16/07/2019

Lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

L. S.r.l. – ricorrente –

contro

A. S.n.c. – controricorrente –

contro

FALLINIENTO (OMISSIS) S.r.l. – intimato –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Relatore Dott. __.

Svolgimento del processo

  1. – Su istanza di A. S.n.c. il Tribunale di Verona dichiarava il fallimento di (OMISSIS) S.r.l., che non si costituiva in giudizio.
  2. – Quest’ultima società proponeva reclamo che la Corte di appello di Venezia respingeva.
  3. – Ricorre per cassazione (OMISSIS), facendo valere due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso A. S.n.c.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Motivi della decisione

  1. – Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione L.F., art. 15, comma 3, in combinato disposto con il D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 107, comma 1, dell’art. 111 Cost., nonché dell’art. 145 c.p.c. Assume l’istante non vi sia in atti alcuna prova che dimostri la corretta individuazione, da parte della cancelleria del Tribunale di Verona, dell’indirizzo PEC presso cui è stata tentata la notificazione del ricorso per la dichiarazione del fallimento; allo stesso modo non vi sarebbe indicazione del criterio impiegato ai fini dell’identificazione del predetto indirizzo. Sostiene, inoltre, che non avrebbe potuto provvedersi alla notificazione presso la casa comunale, difettandone i presupposti, e che avrebbe errato l’ufficiale giudiziario nel tentare di eseguire l’incombente presso la sede legale della società, piuttosto che presso la sede effettiva della medesima. Infine, ad avviso della ricorrente, nella fattispecie avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 145 c.p.c., sottolineando come la L.F., art. 15, comma 3, sia da considerarsi incostituzionale nella parte in cui esclude l’applicabilità della richiamata disposizione codicistica.

Il motivo, nelle sue diverse articolazioni, non ha fondamento.

Quanto affermato dalla Corte di appello in merito all’impossibilità di notificare l’istanza di fallimento presso l’indirizzo di posta elettronica certificata della fallita non è stato efficacemente censurato. Ha rilevato in proposito la Corte di merito che, a fronte del tentativo di notifica effettuato, il quale non ebbe successo, avendo il sistema evidenziato che l’indirizzo indicato non era valido, la reclamante si fosse limitata a rilevare, in modo generico, che il detto indirizzo PEC non corrispondeva a quello risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti; orbene, nemmeno nel ricorso per cassazione la società istante si mostra in grado di dar conto del denunciato errore in procedendo precisando quale sarebbe il diverso indirizzo telematico cui dovevano essere indirizzati il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare.

È incontestabile, poi, che, atteso l’esito della notificazione vanamente tentata presso la sede sociale risultante dal registro delle imprese (presso locali che non risultavano contrassegnati dall’indicazione, sul campanello, del nominativo della società (OMISSIS), e in cui non fu possibile comunque reperire alcuno), la notificazione venne validamente eseguita presso la casa comunale, così come previsto dall’art. 15, comma 3,1. L.F.

Né la ricorrente può dolersi del fatto che la notificazione non abbia avuto luogo presso la sede effettiva della società, giacché l’art. 15, comma 3, citato non contempla tale luogo tra quelli in cui deve eseguirsi la notifica stessa e tale esclusione trova fondamento nel medesimo principio di auto responsabilità che onera l’interessato di munirsi di un valido e operante indirizzo PEC. Come ricordato dal giudice delle leggi, a fronte della non utile attivazione del procedimento che si attua presso l’indirizzo telematico segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da indicare obbligatoriamente nell’apposito registro ex L. 29 dicembre 1993, n. 580, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili, e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore, i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano: onde, “in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge” (Corte Cost. 16 giugno 2016, n. 146).

Per il resto, mette conto di rammentare come la L.F., art. 15, comma 3 (nel testo novellato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 17, convertito, con modificazioni in L. n. 221 del 2012), nel prevedere che la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento alla società possa essere eseguita tramite PEC all’indirizzo della stessa e, in caso di esito negativo, presso la sua sede legale come risultante dal registro delle imprese, oppure, qualora neppure questa modalità sia andata a buon fine, mediante deposito dell’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro, introduce una disciplina speciale semplificata che, coniugando la tutela del diritto di difesa del debitore con le esigenze di celerità e speditezza intrinseche al procedimento concorsuale, esclude l’applicabilità della disciplina ordinaria prevista dall’art. 145 c.p.c. per le ipotesi di irreperibilità del destinatario della notifica (Cass. 7 agosto 2017, n. 19688). E va del pari ricordato come questa Corte abbia già avuto modo di rilevare essere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della L.F., art. 15, comma 3 (come sopra modificato), nella parte in cui prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica tramite posta elettronica certificata (PEC) e non nelle forme ordinarie di cui all’art. 145 c.p.c.: è stato rilevato, in proposito, che, secondo quanto già affermato dalla citata Corte Cost. 16 giugno 2016, n. 146, la diversità delle fattispecie a confronto giustifica, in termini di ragionevolezza, la differente disciplina, essendo l’art. 145 c.p.c. esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, mentre la contestata disposizione si propone di coniugare la stessa finalità di tutela del medesimo diritto dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole e adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto, che tenga conto della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, degli obblighi, previsti per legge, di munirsi di un indirizzo di PEC e di tenerlo attivo durante la vita dell’impresa (Cass. 20 dicembre 2016, n. 26333). Rispetto a tali rilievi, l’evocazione del parametro costituzionale costituito dall’art. 111 della carta fondamentale non introduce alcun elemento di novità e non sollecita riflessioni diverse da quelle appena richiamate.

  1. – Col secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L.F., art. 5. Rileva la ricorrente che lo stato di insolvenza si realizza con una situazione di impotenza strutturale, non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni: in conseguenza la Corte di Venezia avrebbe dovuto dare atto dell’insussistenza del detto presupposto. Asserisce, in particolare: che l’esistenza di un solo credito non era sufficiente a comprovare lo stato di insolvenza; che la Corte distrettuale aveva completamente travisato il fine della stipula del contratto rent lo buy, con cui l’esponente si era procurata una significativa entrata finanziaria mensile e costante; che essa ricorrente aveva ottenuto la liberazione di un immobile dall’ipoteca che vi gravava e l’estinzione di una procedura esecutiva in atto.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori, essendo ben possibile che anche un solo inadempimento possa essere indice di tale situazione oggettiva (Cass. 15 gennaio 2015, n. 583, non massimata; cfr. pure Cass. 30 settembre 2004, n. 19611). In secondo luogo, il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento al contratto di rent lo buy, mancando di avvedersi che la Corte di appello, con giudizio non sindacabile in questa sede, ha sottolineato come, anche a seguito della conclusione del detto negozio, la società appellante non era nella condizione di onorare il concordato piano di rientro del debito da essa contratto con A. S.n.c. Da ultimo, il giudice distrettuale ha conferito rilievo dirimente alla constata impossibilità, da parte di (OMISSIS), di soddisfare il debito vantato dall’odierna controricorrente con assorbimento di ogni ulteriore questione” è evidente, pertanto, che il profilo attinente alla cancellazione dell’ipoteca e alla desistenza dal procedimento esecutivo siano stati ritenuti, sulla base di un giudizio di fatto non censurabile avanti a questa Corte di legittimità, non decisivi nel quadro del complessivo appezzamento dell’insolvenza.

  1. – Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in __, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ Sezione Civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

 

Cass_civ_Sez_VI_1_Ord_16_07_2019_n_19048