La fattura non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato
Corte d’Appello Napoli, Sezione VI Civile, Sentenza del 14/06/2018
Con sentenza del 14 giugno 2018 la Corte d’Appello Napoli, Sezione VI Civile, in materia di recupero crediti ha stabilito che la fattura, in quanto atto formato unilateralmente da una delle parti, pur costituendo documento idoneo a garantire l’accoglimento del ricorso per ingiunzione di pagamento, non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato, laddove vi siano, contestazioni da parte del debitore.
Corte d’Appello Napoli, Sezione VI Civile, Sentenza del 14/06/2018
La fattura non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Napoli – Sesta Sezione Civile – in persona dei Sigg. Magistrati:
1) Dott. __ – PRESIDENTE
2) Dott. __ – CONSIGLIERE
3) Dott. __ – CONSIGLIERE
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. __ del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell’anno __avverso la sentenza n. ___ pronunciata dal Tribunale di __, Sezione Civile, in data __e riservata in decisione all’udienza del ___, vertente
TRA
M. e A., quali ex soci di M. s.a.s. di M., con sede in __, via __, cancellata il __ dal Registro delle Imprese, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. ____, dal quale sono rappresentati e difesi, in virtù di procura a margine dell’atto di appello;
APPELLANTI
E
P., per la Ditta omonima, con sede in __, via __, elettivamente presso lo studio dell’avv. __, dal quale è rappresentato e difeso, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
APPELLATO – APPELLANTE INCIDENTALE
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto notificato in data __ la M. s.a.s. di M. proponeva opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di __ in data __, in forza del quale era stata condannata al pagamento di __ euro a favore di P. per il saldo del corrispettivo di un contratto di appalto. L’opponente deduceva la non debenza della somma ingiunta per essere stati i lavori non eseguiti a regola d’arte e proponeva domanda riconvenzionale per sentir condannare l’opposto al risarcimento dei costi da sostenersi per l’adeguamento dell’impianto, al risarcimento dei danni provocati dalle perdite d’acqua del predetto impianto quantificati in ___ euro e per violazione della privacy, per essere stata la CTP dell’opponente redatta senza autorizzazione previo accesso all’impianto.
L’opposto si costituiva contestando la fondatezza dell’opposizione e chiedendo il rigetto della stessa e delle domande convenzionali proposte. In corso di causa l’opponente chiedeva procedersi ad un ATP; la richiesta era rigettata con ordinanza del ___ e tale decisione era confermata in sede di reclamo.
Espletata CTU, per la determinazione del giusto corrispettivo dei lavori, la causa era rimessa in decisione: il giudice rigettava sia l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo, sia le domande riconvenzionali, e condannava la M. s.a.s al rimborso dei due terzi delle spese processuali sostenute, oltre rimborso spese di CTU, diritti ed onorari, IVA e CPA.
Avverso tale decisione proponevano appello, previa richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, i signori M. e A., quali ex soci, rispettivamente accomandatario e accomandante, della M. s.a.s., cancellata in data ___ dal Registro dell’Imprese, per i seguenti motivi:
1) erroneità della sentenza per aver ritenuto non contestato il quantum del saldo di corrispettivo invocato dalla Ditta P.;
2) erroneità dei parametri individuati dal consulente per la quantificazione dei costi dei lavori;
3) erroneità della sentenza per aver dichiarato la M. s.a.s decaduta dalla garanzia per vizi e respinto la richiesta di riduzione del corrispettivo in ragione dei danni arrecati dalle opere incomplete e difettose;
4) erroneo rigetto della domanda riconvenzionale della società committente di risarcimento dei danni;
5) illegittimo ed ingiusto regolamento delle spese di causa.
L’appellante concludeva per l’accoglimento dell’appello e la revoca del decreto ingiuntivo e per l’accoglimento delle domande riconvenzionali con conseguente condanna dell’appellata al pagamento dei costi da sostenersi per l’adeguamento e per il corretto funzionamento degli impianti, e al risarcimento dei danni, con vittoria di spese, diritti ed onorari.
La ditta individuale del Signor P. si costituiva in giudizio, chiedeva il rigetto dell’appello proposto dalla controparte e proponeva appello incidentale, chiedendo, in riforma alla sentenza gravata, di determinare in via giudiziale l’esatto corrispettivo della prestazione nella misura accertata dal CTU pari ad un totale di __ euro e condannare i Signor M. e A., al pagamento in favore della ditta del Signor P. della somma di __ euro, pari all’importo determinato per l’intera prestazione eseguita (__), detratto l’acconto percepito di __. Chiedeva, inoltre, di riformare la parte della sentenza relativa al regolamento delle spese, il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.
La Corte assumeva la causa in decisione all’udienza del __ con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Ragioni di ordine logico e sistematico impongono di procedere innanzitutto all’esame dell’eccezione d’inammissibilità dell’appello. Parte appellata sollevava tale eccezione nelle note autorizzate, affermando che la sentenza pronunciata nei confronti di una società di persone non fa stato nei confronti dei soci, che non siano stati parte del relativo giudizio e che, pertanto, gli stessi non sono legittimati ad impugnare la sentenza stessa.
Va premesso che dalla visura camerale eseguita presso la Camera di Commercio di Napoli è emerso che la M. Di M. s.a.s. il __ è stata cancellata dal Registro delle Imprese a seguito di scioglimento anticipato di società, senza apertura della liquidazione, per volontà dei soci e che la Corte d’Appello ha pregiudizialmente rilevato tale irregolarità, invitando le parti ad interloquire circa l’ammissibilità dell’impugnazione proposta dai soci, che non hanno preso parte al giudizio di primo grado.
A seguito della modifica apportata all’articolo 2945 c.c., comma secondo, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 in tema di società di capitali, la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione della società anche in presenza di rapporti non definitivi e anche se intervenuta anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina.
La giurisprudenza di legittimità, all’esito della riforma della società di capitali, ha affermato che il nuovo testo dell’articolo 2945 c.c. si applica anche alle società di persone, nonostante la prescrizione normativa faccia riferimento esclusivamente a quelle di capitali e alle società cooperative ed in un primo momento ha sostenuto anche che detta norma, avendo funzione meramente ricognitiva, fosse retroattiva e dovesse trovare applicazione anche in ordine alla cancellazione intervenuta anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003 (Cass. n. 24037/2009, Cass. Sez. Un. 4061/2010).
In base all’art. 2945 c.c. deve escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l’estinzione dell’ente debitore, determini al tempo stesso la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi, ed è del tutto naturale immaginare che questi debiti si trasferiscano in capo a dei successori e che, pertanto, la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2495 c.c. implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio. Ciò vale anche, come nel caso di specie, per il socio accomandante che risponderà, però, solo intra vires dei debiti trasmessigli.
Sul piano processuale è del tutto ovvio che una società non più esistente, perché cancellata dal registro delle imprese, non possa validamente intraprendere una causa, ne’ esservi convenuta. Qualora la cancellazione intervenga a causa già iniziata l’impugnazione proposta dalla società estinta deve considerarsi inammissibile (Cass. 15 aprile 2010, n.9032; e Cass. 8 ottobre 2010, n.20878), così come di quella proposta nei suoi nei confronti (Cass. 10 novembre 2010, n.22830); si è ritenuto che, nei processi in corso, anche se non siano stati interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci, che divengono, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo (Cass. 6 giugno 2012, n.9910; e Cass. 30 luglio 2012, n.12796).
Nel caso concreto, essendosi il giudizio svolto senza interruzione, la necessità di confrontarsi con la sopravvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese si pone nel passaggio al grado successivo. Tale eventualità può presentarsi o perché l’estinzione è sopravvenuta dopo la pronuncia della sentenza che ha concluso il grado precedente di giudizio e durante la pendenza del termine d’impugnazione, oppure perché quell’evento si è verificato quando ormai, nel grado precedente, non sarebbe più stato possibile farlo constare, ovvero, come nel caso di specie, perché in precedenza è mancata la dichiarazione dell’evento estintivo.
In merito, le Sezioni Unite ritengono che l’esigenza di stabilità del processo, che eccezionalmente ne consente la prosecuzione pur quando sia venuta meno la parte, se l’evento interruttivo non sia stato fatto constare nel modi di legge, debba considerarsi limitata al grado di giudizio in cui quell’evento è occorso. Viceversa, è principio generale, condiviso dalla giurisprudenza di gran lunga maggioritaria, quello per cui il giudizio d’impugnazione deve sempre esser promosso da e contro i soggetti effettivamente legittimati, ovvero, come anche si usa dire, della “giusta parte” ( Cass. 3 agosto 2012, n.14106; Cass. 8 febbraio 2012, n.1760; Cass. 13 maggio 2011, n.10649; Cass. 7 gennaio 2011, n.259; Sez. un. 18 giugno 2010, n.14699; Cass. 8 giugno 2007, n.13395; Sez. un. 28 luglio 2005, n.15783).
Non appare quindi ammissibile che l’impugnazione provenga dalla – o sia indirizzata alla – società cancellata, e perciò non più esistente, giacché la pubblicità legale cui l’evento estintivo è soggetto impone di ritenere che i terzi, e quindi anche le controparti processuali, ne siano a conoscenza, cosicché è da ritenersi correttamente instaurato il presente giudizio da parte dei soci.
Parte appellata chiedeva, inoltre, alla Corte di dichiarare nulla l’attività difensiva svolta in primo grado a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese.
I principi giurisprudenziali sopra esposti, consentono di affermare che la società, per quanto estinta, non essendo stato ritualmente dichiarato l’evento estintivo, era stata idoneamente rappresentata sulla base del primo mandato fino all’udienza del __. All’udienza del __ si costituiva per l’opponente M. s.a.s un nuovo procuratore, __, in sostituzione dell’avv. __; tale costituzione, essendo avvenuta in forza di un mandato rilasciato da parte di un soggetto, che, essendo venuto meno per effetto dell’estinzione, non poteva rilasciare alcun valido mandato alle liti, risulta affetta da nullità, con conseguente nullità anche dell’attività processuale svolta in seguito a tale sostituzione, ed in particolare di tutte le censure sollevate avverso la CTU, delle memorie di replica e delle comparse conclusionali, senza che tuttavia ciò infici la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado.
Venendo all’esame del merito, il primo motivo d’impugnazione è diretto a contestare la ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado circa la non contestazione del quantum del saldo corrispettivo invocato con l’istanza monitoria e i rapporti di dare/avere intercorrenti fra le parti.
Osserva la Corte che il decreto ingiuntivo opposto nel presente giudizio è stato richiesto e ottenuto sulla base di una fattura: la fattura, atto formato unilateralmente da una delle parti, pur costituendo documento idoneo a garantire l’accoglimento del ricorso per ingiunzione di pagamento, non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato, laddove vi siano, contestazioni da parte del debitore. In seguito alla notificazione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, difatti, il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito e le parti recuperano le posizioni che ad esse sarebbero spettate se non fosse stato momentaneamente pretermesso il contraddittorio: il ricorrente/opposto riveste la sostanziale posizione di attore e il resistente/opponente quella di convenuto, con la conseguenza che incombe al creditore ogni onere della prova dei fatti a sostegno della propria pretesa e al debitore di provare gli eventuali fatti estintivi dell’obbligazione (cfr. Cass. civ. sez. III 15 gennaio 1969 n. 77; Cass. civ. sez. I 27 giugno 2000 n. 8718; Cass. civ. sez. III 4 maggio 1994 n. 4286; Cass. civ. sez. lav. 17 novembre 1997 n. 11417).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, i fatti allegati da una parte, in tanto possono considerarsi pacifici, in quanto siano stati esplicitamente ammessi d’altra parte, ovvero quando quest’ultima abbia impostato le proprie difese su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti stessi, oppure si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando il tal modo il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri e ciò perché nel vigente ordinamento non sussiste un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte (c.f.r. Cass. civ. sez. III. 19 agosto 2009, n. 18399; Cass. civ. sez. III, 5 marzo 2009, n.5356; Cass. civ. sez. III, 14 marzo 2006, n.5488; Cass. civ. sez. III, 28 ottobre 2004, n. 20916).
Ciò premesso, il Tribunale ha erroneamente ritenuto non necessaria la determinazione giudiziale del corrispettivo della prestazione lavorativa dovuto alla ditta opposta ritenendo non contestati i fatti di causa e dichiarando che la M. S.a.s. si sarebbe limitata ad affermare la non debenza della somma ingiunta stante la presenza di vizi all’impianto. In realtà l’opponente ha specificamente contestato i fatti nell’atto di opposizione, dichiarando di aver pagato interamente il corrispettivo dovuto e qualificando come ingiustificato e non dovuto l’importo ingiunto di Euro __e come arbitraria l’emissione della fattura n. __ del __ e la registrazione della stessa nelle scritture contabili dell’opposta ditta.
Le uniche circostanze non contestate dall’opponente sono la realizzazione presso la propria sede aziendale dell’impianto e il pagamento della somma di Euro __ emergente dalle fatture n. __del __, n. __ del __ e n. __ del __; le parti non aveva redatto alcun contratto di appalto, né è provato avessero raggiunto un’intesa sul corrispettivo, i preventivi redatti dall’appaltatore e allegati agli atti non risultano essere sottoscritti dal committente e la quantificazione finale delle opere, di cui alla fattura a saldo n. __ del __ di __ euro, risulta anch’essa frutto di una unilaterale valutazione.
Coglie nel segno, dunque, la difesa dell’appellante quando censura la ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado quanto alla presunta non contestazione del quantum dovuto, sul quale peraltro era ammessa ed espletata consulenza tecnica di ufficio.
Con il secondo motivo d’appello, gli appellanti lamentavano l’erroneità dei quesiti posti dal giudice al consulente e chiedevano una rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio. Si evidenziava che, avendo la controparte unilateralmente quantificato quanto dovuto, il giudice non avrebbe dovuto discostarsi da tale richiesta, chiedendo al CTU, in violazione dell’art. 1657 c.c., di “quantificare il costo dei lavori eseguiti dall’opposto utilizzando il prezzario dei lavori edilizi della regione Campania attualmente vigente”.
Le censure formulate col secondo motivo di appello non meritano accoglimento.
Nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, la committente affermava: “tutti i documenti esibiti sono stati predisposti unilateralmente dalla controparte e non sono firmati dall’opponente, per cui non hanno alcun valore probatorio”. Tale affermazione con cui la committente eccepiva l’unilateralità dei preventivi predisposti e l’assenza di qualsivoglia adesione agli stessi, valutata unitamente alla totale contestazione, da parte della committente, della pretesa creditoria dell’appaltatore, rende pacifica l’inesistenza di una determinazione contrattuale vincolante per il giudice ex art. 1657 c.c. Correttamente, dunque, il Tribunale affidava al consulente tecnico l’incarico di accertare l’entità dei lavori eseguiti ed il relativo importo, utilizzando il prezzario dei lavori edilizi della regione Campania.
Generica è, infine, la contestazione del quesito con cui il giudice, nell’affidare l’incarico al CTU (udienza del __), aveva chiesto di effettuare la stima delle opere utilizzando il prezzario dei lavori edilizi della Regione Campania vigente in quella data. Secondo la ricostruzione dell’appellante, essendo il corrispettivo d’appalto un debito di valuta, il giudice avrebbe dovuto richiedere al CTU l’utilizzo del prezzario dell’anno a cui i lavori risalivano, ossia il prezzario dei lavori edilizi della Regione Campania __, e tale errore aveva comportato l’addossamento al committente di cinque aumenti tariffari.
Ed, invero, la quantificazione dell’importo totale dell’opera è stata effettuata in parte “a corpo” ed in parte “a misura” e, solo per quest’ultima, il corrispettivo veniva determinato applicando alle unità di misura delle singole parti del lavoro i prezzi unitari dedotti dal prezzario dei lavori edilizi della Campania del __ ed, inoltre, l’appellante non ha chiarito quali aumenti avrebbero aggravato la sua situazione, limitandosi ad una generica contestazione dell’intera consulenza, priva di qualsiasi riferimento concreto alle voci considerate dal tecnico e agli eventuali aumenti disposti in relazione a tali voci nel prezzario di riferimento.
Con il terzo motivo d’appello gli appellanti lamentavano l’erroneità della sentenza nella parte in cui dichiarava la M. s.a.s decaduta dalla garanzia per vizi ex art. 1667 c.c., per l’assenza di una tempestiva denuncia degli stessi, e respingeva la richiesta di riduzione del corrispettivo in ragione dei danni arrecati dalle opere incomplete e difettose.
Occorre rilevare che, secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, l’art. 1668 c.c., nell’enunciare il contenuto della garanzia prevista dall’art. 1667 c.c., prevede che il committente, convenuto per il pagamento, possa sempre far valere, in via d’eccezione, la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunciati entro il termine di sessanta giorni dalla loro scoperta. Qualora invece l’appaltatore eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia disposta dall’art. 1667 c.c., incombe su quest’ultimo l’onere di dimostrare di averli tempestivamente denunciati, costituendo la denuncia una condizione necessaria per invocare la garanzia (Cass. Civ., Sez. II, n. 10579/2012; Cass. Civ., n. 509155/2001; Cass. Civ., Sez. II, n.10412/1997).
Ciò posto, e premesso che “la produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico (Cass. Sez. L., Sentenza n.24015 del 12/10/2017), coglie nel segno la difesa degli appellanti denuncia che il giudice di prime cure ha erroneamente limitato la sua valutazione alle sole missive in relazione alle quali vi era prova della ricezione da parte dell’opposto.
Pur considerando, tuttavia, nel suo complesso la corrispondenza intercorsa fra le parti, l’unica missiva in cui vi è un riferimento temporale al momento della scoperta dei vizi è quella del __, in cui però il committente si limita a lamentare un generico “mal funzionamento dell’impianto e la non rispondenza alle esigenze dell’attività”; le altre missive non contengono alcun riferimento all’epoca della scoperta dei vizi e neanche in realtà una vera e propria denuncia dei lamentati vizi, facendo piuttosto riferimento a generiche lamentele circa il funzionamento dell’impianto (anomalie di sistema, problemi di rumorosità), cosicché corretta appare la decisione del giudice di primo grado.
Osserva, infine, la Corte come solo nelle comparse depositate ai sensi dell’art. 190 c.p.c. veniva reiterata la domanda di risarcimento del danno, che non costituiva oggetto di appello.
Passando all’esame dell’appello incidentale, il sig. P. denunciava l’erroneità della sentenza nella parte in cui, non riconoscendo sussistente una contestazione in merito al corrispettivo dell’appalto, aveva confermato l’importo indicato nel decreto ingiuntivo senza considerare la diversa e maggiore quantificazione contenuta nella consulenza tecnica di ufficio.
Con la notificazione del ricorso monitorio si “cristallizza” l’edictio actionis a tutti gli effetti sostanziali e processuali e, dunque, anche ai fini del giudizio di opposizione (Cass., 28/4/1981, n.2588; Cass, 7/4/1987, n. 3341; Cass., 17/8/1973, n. 2356; Cass., 10/9/1990, n. 9311 e Cass., 13/6/1992, n. 7292); al “creditore convenuto” in opposizione può riconoscersi solo la facoltà di precisazione e di emendatio libelli rispetto al ricorso monitorio, mentre non gli è riconosciuta la facoltà di proporre domande riconvenzionali, attesa la sua posizione di sostanziale attore, se non nei limiti della cd. reconventio reconventionis (Cass. 30/3/2010, n. 7624; Cass., 7/3/2010, n. 4948; Cass., 5/6/2007, n. 13086; Cass., 30/3/2006, n, 7571; Cass., 7/2/2006, n. 2529; Cass., 14/12/2005, n. 27573; Cass., 22/3/1995, n.325, Cass., 24/3/1998, n.3115; Cass., 29/1/1999, n.813; Cass., 25/3/1999, n, 2820; Cass., 9/5/1987, n.4298). Il creditore opposto non può, dunque, pretendere, nella comparsa di costituzione, una somma maggiore di quella richiesta con l’ingiunzione, consistendo, tale richiesta, in una mutatio libelli preclusa alla parte. (Cass. del 27.02.2014 Sent. n. 4743.)
La sentenza di primo grado va, dunque, confermata, con rigetto del primo motivo di appello incidentale, seppure per ragioni diverse da quelle indicate dal Tribunale.
Ed, invero, anche laddove il giudice di prime cure avesse deciso di utilizzare la consulenza tecnica d’ufficio espletata, non avrebbe potuto condannare la società M. al pagamento di una somma superiore ad Euro __, avendo il creditore opposto rivendicato con decreto ingiuntivo l’attribuzione, sulla base della fattura allegata, esclusivamente di tale somma determinata, ponendo un preciso limite all’ammontare del quantum richiesto.
La domanda di determinare in via giudiziale l’esatto corrispettivo della prestazione, che avrebbe permesso di condannare all’importo maggiore determinato dal consulente, è stata effettuata solo con la comparsa di costituzione e risposta, peraltro in via subordinata, ed integra, sulla base di quanto in precedente indicato una mutatio libelli preclusa al creditore opposto e, di conseguenza, inammissibile.
Con il secondo motivo di appello incidentale il Signor P. censurava la decisione nella parte in cui aveva disposto la compensazione delle spese di lite nonostante la totale soccombenza dell’opponente. Egli chiedeva di condannare gli appellanti al pagamento integrale delle spese del giudizio di primo grado, maggiorate delle spese di cui al combinato disposto degli artt. 88 e 92 c.p.c. per violazione del dovere di lealtà e probità.
Il giudice di primo grado motivava la decisione di compensare le spese di lite come segue: “Il comportamento processuale e preprocessuale delle parti, la natura delle questioni affrontate, nonché le ragioni della decisione costituiscono giustificati motivi di compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo, ponendosi i restanti due terzi a carico dell’opponente”.
Il testo dell’art. 92 c.p.c. è stato oggetto di vari interventi legislativi: il testo originario consentiva al giudice di compensare le spese processuali in presenza di giusti motivi, e la genericità dell’espressione utilizzata consentiva una valutazione discrezionale di massima ampiezza, l’art. 2 della L. n. 263 del 2005 ha previsto esplicitamente l’obbligo del giudice di indicare specificatamente nella motivazione i giusti motivi, la legge di riforma del processo civile del 2009 ha ulteriormente circoscritto la discrezionalità del giudice con la previsione della ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni ed, infine, nel 2014 il legislatore ha previsto che il giudice possa compensare le spese solo se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza.
Il procedimento di primo grado veniva incardinato in data __, cosicché la norma applicabile è quella anteriore alla riforma di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263 in vigore dal 01/03/2006: il giudice di primo grado poteva, dunque, compensare le spese in presenza di “giusti motivi”; la genericità dell’espressione adottata dal legislatore legittimava l’esercizio del potere di compensazione sia in relazione al merito del giudizio, sia in considerazione della condotta processuale.
La decisione assunta dal primo giudice è condivisa dalla Corte.
Milita per tale conclusione la considerazione che all’udienza del __ parte appellata chiedeva determinarsi il corrispettivo della prestazione dovuta nella misura accertata dal CTU (misura diversa e superiore da quella richiesta con decreto ingiuntivo) e che, essendo stata tale richiesta disattesa dal giudice di prime cure, anche parte appellata può qualificarsi come parzialmente soccombente.
In merito alla richiesta della condanna della società opponente al pagamento delle spese per violazione del dovere di lealtà e probità, osserva la Corte come tale violazione si configura generalmente qualora il comportamento delle parti abbia la sola finalità di ostacolare una sollecita definizione del processo, di turbare la piena e regolare applicazione del principio contraddittorio o di arrecare danno all’avversario attraverso una strumentalizzazione o un abuso del proprio diritto.
Tanto premesso, il comportamento pre-processuale e processuale che l’appellato assumeva essere stato contrario a tale dovere di lealtà e probità consisteva esclusivamente nella sostituzione del difensore e nella produzione in giudizio di una denuncia mai formalmente presentata all’Autorità Giudiziaria.
La possibilità di sostituire il difensore è esercizio del potere di difesa e la sola allegazione di una denuncia non presentata all’Autorità non integra un dispendio di attività processuale tale da poter qualificare come scorretto e riprovevole il comportamento processuale dell’appellante, ai sensi dell’art. 88 c.p.c.
Le spese del presente grado di giudizio sono integralmente compensate fra le parti in considerazione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Napoli – Sesta Sezione Civile – definitivamente pronunciando in ordine all’appello avverso la sentenza n. __ pronunciata dal Tribunale di __, Sezione Civile, in data __ proposto con atto del __ dai sigg. M. e A. nei confronti del sig. P., nonché sull’appello incidentale, così provvede:
1) rigetta l’appello principale e quello incidentale e per l’effetto conferma la sentenza n. __ pronunciata dal Tribunale di __, Sezione Civile, in data __;
2) compensa integralmente fra le parti le spese del presente grado di giudizi
Così deciso in Napoli, il 8 giugno 2018.
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2018.
Corte_App_NA_Sez_VI_Sent_14_06_2018Recupero crediti a NAPOLI con ROSSI & MARTIN studio legale
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