Il tribunale nel valutare l’ammissibilità della domanda di concordato preventivo non può controllare direttamente la regolarità e l’attendibilità delle scritture contabili del proponente
Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 5653 del 26/02/2019
Con ordinanza del 26 febbraio 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di concordato preventivo, ha stabilito che il tribunale nel valutare l’ammissibilità della domanda non può controllare direttamente la regolarità e l’attendibilità delle scritture contabili del proponente, ma soltanto svolgere un sindacato sulla corretta predisposizione dell’attestazione del professionista designato ai sensi dell’art. 161, comma 2, l.fall., in termini di completezza dei dati aziendali e di comprensibilità dei criteri di giudizio adottati, rientrando tale attività nella verifica della regolarità della procedura indispensabile per garantire la corretta formazione del consenso dei creditori.
Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 5653 del 26/02/2019
Il tribunale nel valutare l’ammissibilità della domanda di concordato preventivo non può controllare direttamente la regolarità e l’attendibilità delle scritture contabili del proponente
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da:
M., in proprio e nella qualità di socio illimitatamente responsabile della (OMISSIS) S.A.S. – ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.A.S. E DI M.M. – controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. __ depositata il __.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.
Svolgimento del processo
- Con sentenza del __, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da M., in proprio e nella qualità di socio accomandatario della (OMISSIS) S.a.s., avverso il decreto e la sentenza emessi il __, con cui il Tribunale di Napoli aveva dichiarato il fallimento dei reclamanti, previa revoca dell’ammissione al concordato preventivo.
A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato che la proposta concordataria era fondata su dati aziendali incompleti, inattendibili, non veritieri e comunque inidonei a fornire ai creditori un quadro preciso della situazione patrimoniale della società debitrice, precisando che tale opacità non era stata eliminata neppure con il deposito di una proposta modificativa e di documentazione integrativa. In proposito, ha attribuito valore decisivo alla genericità della posta “prelievi del titolare”, osservando che non erano stati chiariti né il momento genetico della stessa né il responsabile dei prelievi, ed aggiungendo che nel corso della procedura fallimentare erano emerse anche la divergenza tra le risultanze dei bilanci civilistici e quelle delle dichiarazioni fiscali e l’inattendibilità della contabilità della società debitrice. Ha rilevato inoltre che la contabilità, inizialmente depositata soltanto in parte, era stata interamente posta a disposizione degli organi della procedura soltanto a seguito di una prima relazione negativa dei commissari e della fissazione dell’udienza per la revoca del concordato, concludendo pertanto per l’insussistenza delle condizioni di ammissibilità di quest’ultimo: ha osservato infatti che, mentre la proposta ed il piano sono sempre modificabili, in modo da incrementare le possibilità di accoglimento dell’offerta da parte dei creditori, la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica rappresentata nei dati aziendali dev’essere pienamente attendibile fin dall’inizio, dal momento che ogni valutazione, ed in particolare quelle riguardanti la fattibilità anche economica, presuppone che ai creditori sia stata fornita una piena e leale informazione sulla reale situazione dell’impresa in crisi. Ha precisato che nella specie qualsiasi valutazione di convenienza della proposta risultava impedita, dal momento che circa il 40% dell’attivo patrimoniale era costituito da una voce dai contorni oscuri, peraltro considerata irrecuperabile, in quanto non presa neppure in considerazione come parte del patrimonio da liquidare, senza che ne fossero spiegate le ragioni.
Pertanto, pur ricordando che il giudizio sulla fattibilità economica del concordato è riservato ai creditori, la Corte ha concluso che, alla luce delle carenze informative emerse in ordine alla predetta posta e degli accertamenti poco tranquillizzanti compiuti dai curatori del fallimento, i dati aziendali non potevano considerarsi veritieri. Ha ritenuto conseguentemente inutile un approfondimento in ordine alla configurabilità dei predetti prelievi come atti di frode ed all’ammissibilità di una modifica della proposta dopo l’attivazione del procedimento di revoca, reputando comunque ammissibile tale modifica, in quanto non avente finalità dilatoria, ma volta a recepire i rilievi sollevati dai commissari giudiziali in ordine alla collocazione privilegiata di un credito vantato da C. S.p.A. Ha affermato quindi che il Tribunale avrebbe dovuto esaminare nel merito le modifiche, e prendere atto del venir meno delle ragioni d’inammissibilità della proposta collegate alla collocazione del predetto credito, a condizione che ulteriori profili d’inammissibilità non emergessero dalle modalità di formazione del credito, derivante da versamenti sul conto sociale effettuati da un terzo che aveva ceduto i propri diritti sull’azienda. Ha aggiunto che le modifiche della proposta avrebbero consentito di superare anche le ragioni d’inammissibilità legate all’iniziale omissione dei beni personali del socio accomandatario, mentre, per quanto riguardava la stima della farmacia, la piena informazione resa in ordine ai dati aziendali di riferimento, consentendo di determinarne l’effettivo valore di mercato e rendendo possibile la valutazione della fattibilità economica del concordato da parte dei creditori, avrebbe impedito di ritenere preclusa l’approvazione della proposta soltanto perché i commissari giudiziali avevano attribuito all’azienda un valore diverso da quello indicato dal debitore.
- Avverso la predetta sentenza il M. e la (OMISSIS) S.A.S. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. I curatori del fallimento hanno resistito con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale condizionato, per un solo motivo, anch’esso illustrato con memoria.
Motivi della decisione
- Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della memoria fatta pervenire dalla difesa dei ricorrenti, in quanto depositata in Cancelleria in data successiva al decimo giorno anteriore a quello dell’adunanza in camera di consiglio, e quindi dopo la scadenza del termine di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c.
- Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2215 c.c. e della L. 18 ottobre 2001, n. 383, osservando che, nel rilevare l’irregolarità delle scritture contabili depositate da essa ricorrente, in quanto prive di bollatura e vidimazione, nonché della difformità tra le stesse e le dichiarazioni fiscali, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’intervenuta modificazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 39 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 22, che ha comportato la soppressione dell’obbligo di bollatura dei registri tenuti ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi, fermo restando quello della numerazione progressiva delle pagine.
- Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 161 e segg., sostenendo che, nel ritenere inadeguata l’informazione fornita ai creditori in ordine all’esatta situazione contabile della società, la Corte distrettuale non ha tenuto conto dell’avvenuta indicazione fin dall’origine di tutti i crediti ed i debiti della stessa, ed in particolare della posta “prelievi titolare”, nonché del successivo deposito di una nuova relazione asseverata e delle scritture contabili, da cui si evinceva che la predetta posta, originata dalla precedente gestione della (OMISSIS) S.A.S., era stata iscritta per la prima volta nel bilancio di apertura della nuova gestione affidata alla società ricorrente. Nel rilevare la mancata individuazione del momento genetico e del responsabile dei prelievi, la sentenza impugnata non ha valutato le indicazioni contenute nella relazione del tecnico asseveratore, omettendo altresì di spiegare le ragioni per cui ha ritenuto non veritieri i bilanci, il libro giornale e le scritture contabili di riferimento; essa, inoltre, non ha considerato che in sede di votazione per l’approvazione del concordato non era stata sollevata alcuna contestazione in ordine al predetto credito, e che i dati contabili esposti nella domanda di ammissione al concordato, oltre ad aver trovato conferma nello stato passivo del fallimento, risultavano certificati dal professionista asseveratore, il quale aveva dichiarato di aver preso in esame tutte le scritture contabili della società. Il deposito di tali scritture non è obbligatorio in sede di concordato, e non poteva quindi costituire motivo di rigetto della domanda o di esclusione dell’attendibilità dei dati nella stessa riportati.
- Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che, nel ritenere non veritiere le risultanze delle scritture contabili, la sentenza impugnata ha attribuito una portata decisiva ai rilievi sollevati dai curatori fallimentari, le cui dichiarazioni, non avendo ad oggetto accertamenti ai quali gli stessi avevano partecipato ma valutazioni, avevano valore di meri indizi, privi di efficacia probatoria in quanto provenienti da una parte processuale e comunque contrastati da altri elementi.
- I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti questioni intimamente connesse, sono in parte infondati, in parte inammissibili.
Nel disporre la revoca dell’ammissione al concordato preventivo, la Corte distrettuale si è infatti attenuta correttamente al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la relativa valutazione, tanto in sede di revoca quanto in sede di ammissione o omologazione del concordato, non consente di procedere direttamente al controllo della regolarità ed attendibilità delle scritture contabili, ma soltanto di verificare la completezza dei dati aziendali e la comprensibilità dei criteri di giudizio attestati nella relazione redatta dal professionista designato ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 2, in modo tale da assicurare la rispondenza di tale atto alla finalità cui è preordinato, consistente nel fornire una corretta informazione ai creditori, ai fini dell’espressione di un voto libero e consapevole in sede di approvazione della proposta avanzata dal debitore (cfr. Cass., Sez. 6, 9/03/2018, n. 5825; Cass., Sez. 1, 28/03/2017, n. 7959; 31/01/2014, n. 2130). Tale limitazione trova fondamento nell’accentuazione della natura contrattuale del concordato, derivante dalle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, le quali hanno riservato ai creditori la valutazione del merito della proposta avanzata dal debitore, ovverosia della convenienza e della probabilità di successo economico del piano, restringendo l’ambito del sindacato spettante al tribunale alla c.d. fattibilità giuridica, da intendersi come compatibilità della proposta con le norme inderogabili e con la causa concreta dell’accordo, avente come finalità il superamento della situazione di crisi dell’imprenditore da un lato, e la assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori dall’altro (cfr. Cass., Sez. Un., 23/01/2013, n. 1521; Cass., Sez. 1, 4/07/2014, n. 15345; 25/09/2013, n. 21901; 9/05/2013, n. 11014).
È in quest’ottica che, dovendo procedere al riscontro degli elementi necessari a far sì che la relazione allegata alla domanda di ammissione al concordato fosse effettivamente riconducibile al tipo prefigurato dal legislatore, dunque aggiornata e recante l’illustrazione delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti, la sentenza impugnata ha rilevato l’inattendibilità della rappresentazione della situazione aziendale emergente tanto dalla medesima relazione quanto dalla proposta modificativa e dalla documentazione integrativa depositate nel corso del procedimento, ponendo in risalto l’inidoneità dei dati esposti a fornire un quadro preciso della situazione patrimoniale della società debitrice, ed in particolare l’oscurità della posta rappresentata dai “prelievi del titolare”, la cui incidenza percentuale sull’attivo patrimoniale, piuttosto rilevante, è stata ritenuta di per sé sufficiente a far dubitare della veridicità dell’intera situazione contabile, così come descritta dal professionista asseveratore. Tale conclusione non è inficiata dal riferimento alle risultanze della relazione depositata dai curatori nominati nella procedura fallimentare apertasi a seguito della revoca del concordato, la cui utilizzabilità ai fini della formazione del libero convincimento del giudice non può essere esclusa per il solo fatto che alle stesse non possa attribuirsi efficacia di atto pubblico, almeno per quanto riguarda le operazioni non compiute dai curatori o alla loro presenza, o le dichiarazioni da loro raccolte (cfr. Cass., Sez. 1, 2/09/1998, n. 8704). Le predette risultanze, richiamate a conforto di quanto riferito dai commissari giudiziali nella relazione depositata ai sensi della L. Fall., art. 172, hanno trovato d’altronde conferma nella condotta successiva degli stessi ricorrenti, i quali, proprio allo scopo di venire incontro ai rilievi formulati dai commissari, hanno provveduto a modificare la proposta originariamente avanzata e a depositare documentazione integrativa, senza tuttavia riuscire ad evitare la revoca del concordato. Nessuna rilevanza può assumere, a fronte di tali considerazioni, il riferimento al difetto di bollatura e vidimazione delle scritture contabili, il cui contrasto con la formulazione vigente dell’art. 2215 c.c., nel testo modificato dalla L. n. 383 del 2001, art. 8, non pregiudica la correttezza giuridica del ragionamento complessivamente seguito dalla Corte distrettuale, trattandosi di un rilievo emergente dalla relazione dei curatori e fatto proprio dalla sentenza impugnata soltanto ad ulteriore conforto della ritenuta inattendibilità dei dati riportati nella relazione del professionista. Parimenti ininfluente è la circostanza, fatta valere dai ricorrenti, che tali dati non avessero costituito oggetto di contestazioni in sede di approvazione del concordato, non potendosi attribuire all’approvazione un effetto preclusivo di ulteriori indagini in ordine alla sussistenza delle condizioni prescritte per l’accesso alla procedura, la cui ammissibilità trova espressa conferma della L. Fall., art. 173, comma 3, nella parte in cui consente la revoca, oltre che nel caso del compimento di atti non autorizzati o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, anche nell’ipotesi in cui si accerti la mancanza originaria o sopravvenuta delle predette condizioni.
Non possono infine trovare ingresso, in questa sede, le ulteriori censure riflettenti l’attendibilità intrinseca dei dati riportati nella relazione del professionista asseveratore e degli altri forniti nel corso del procedimento, riferendosi le stesse ad un apprezzamento di fatto, rimesso in via esclusiva al giudice di merito, e mirando pertanto a sollecitare, anche attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una nuova valutazione della vicenda, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui risultano censurabili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. 6, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 5, 4/08/2017, n. 19547). Tale disposizione, circoscrivendo l’anomalia motivazionale denunciabile con il ricorso per cassazione ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclude infatti la possibilità di estendere l’ambito di applicabilità della norma in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6, 8 ottobre 2014, n. 21257), restando invece esclusa la deducibilità della mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940; 20/08/2015, n. 17037; Cass., Sez. 1, 4/04/2014, n. 7983).
- Il ricorso va pertanto rigettato, restando assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dai curatori del fallimento, con la conseguente condanna dei ricorrenti principali al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
L’intervenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato preclude l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (cfr. Cass., Sez. lav., 5/06/2017, n. 13935; 2/09/2014, n. 18523; Cass., Sez. 6, 22/03/2017, n. 7368).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro __, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2019
Cass_civ_Sez_I_Ord_26_02_2019_n_5653
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