La contestazione del diritto ad agire in via esecutiva non integra un’impugnazione del titolo posta a base del precetto
Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 19889 del 23/07/2019
Con sentenza del 23 luglio 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la contestazione del diritto ad agire in via esecutiva non integra, in senso tecnico, un’impugnazione del titolo posta a base del precetto e, così dell’esecuzione che sull’uno e sull’altro si minaccia. Nel caso di titolo esecutivo giudiziale, infatti, con l’opposizione non si può giammai addurre alcuna contestazione su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, poiché quelle avrebbero dovuto dedursi esclusivamente coi mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento contro di quello, mentre quelle per fatti posteriori alla definitività o alla maturazione delle preclusioni per farli valere in quella sede non integrano, a stretto rigore, un’impugnazione del titolo, ma appunto l’articolazione di fatti di cui quello non ha legittimamente potuto tener conto e per la cui omessa considerazione non potrebbe mai considerarsi inficiato: ed in entrambi i casi non può tecnicamente impugnarsi un titolo per un vizio non suo proprio.
Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 19889 del 23/07/2019
La contestazione del diritto ad agire in via esecutiva non integra un’impugnazione del titolo posta a base del precetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Primo Presidente –
Dott. __ – Presidente di Sezione –
Dott. __ – Presidente di Sezione –
Dott. __ – Presidente di Sezione –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso __ proposto da:
Procuratore generale presso la corte cassazione – ricorrente –
contro
Ricorso non notificato ad alcuno
in relazione all’ordinanza del Tribunale di Latina (r.g. __), emessa il __;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere __;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
A.- La richiesta del Procuratore Generale.
- Il Procuratore Generale ha chiesto a questa Corte, con atto del __ ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto al quale il giudice del merito avrebbe dovuto attenersi pronunciando sul reclamo contro il provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo emesso dal giudice dell’opposizione proposta prima dell’inizio dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1.
- In particolare, la richiesta riferisce che il Tribunale di Latina (in composizione collegiale) – investito (in causa iscritta al n. __ r.g.) dell’impugnazione, ex art. 669 terdecies c.p.c., e art. 624 c.p.c., comma 2, avverso il provvedimento __ di rigetto dell’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo emesso dal giudice dell’opposizione pre-esecutiva iscritta al n. __ r.g. – ha dichiarato inammissibile il reclamo con ordinanza del __, argomentando: dalla presenza di dati letterali in tal senso, desunti dall’art. 624 c.p.c., comma 1; dall’inapplicabilità dell’art. 669 quaterdecies e, più in generale, del rito cautelare uniforme (compresa la reclamabilità dei provvedimenti), dovendosi attribuire alla misura prevista dall’art. 615 c.p.c., comma 1, una natura non cautelare, ovvero solo latamente cautelare; dall’insussistenza di irragionevoli disparità di trattamento rispetto alla reclamabilità, espressamente sancita dall’art. 624 c.p.c., comma 2, del provvedimento di sospensione dell’esecuzione forzata, potendosi anzi assimilare la mancata previsione legislativa ad altre situazioni previste dall’ordinamento in cui è escluso detto rimedio impugnatorio.
- Dal canto suo, il Procuratore Generale presso questa Corte, dopo avere rilevato la non impugnabilità dell’ordinanza del Tribunale di Latina e l’impossibilità per le parti di proporre ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., avverso detto provvedimento, ha ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha condotto all’introduzione, nell’art. 615 c.p.c., comma 1, dello specifico potere, in capo al giudice investito dell’opposizione pre-esecutiva, di disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo; ha ravvisato l’interesse nomofilattico a sostegno della sua richiesta nell’opportunità di elaborare un orientamento univoco, foriero di importanti conseguenze pratiche per gli operatori, a dirimere il riscontrato contrasto tra le opzioni ermeneutiche della giurisprudenza di merito in ordine al rimedio del reclamo avverso l’ordinanza che sospenda l’efficacia esecutiva del titolo (o che, specularmente, respinga detta istanza); ed ha, con ampie ed approfondite argomentazioni, sostenute da puntuali riferimenti giurisprudenziali e richiami a principi generali del processo, esaminato le ragioni addotte a sostegno della non reclamabilità, per disattenderle con meditate considerazioni e concludere per la correttezza di un approdo ermeneutico opposto.
- È stato così chiesto a questa Corte di enunciare, quale principio di diritto nell’interesse della legge, che il provvedimento, con il quale il giudice dell’opposizione all’esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, è impugnabile col rimedio del reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.; e la richiesta, qualificata dal Primo Presidente di questa Corte come relativa a questione di massima di particolare importanza, è stata trattata dinanzi a queste Sezioni Unite alla pubblica udienza del __, alla quale il Pubblico Ministero, ulteriormente illustrate le sue tesi, ha concluso per il suo accoglimento.
B.- I presupposti della richiesta di enunciazione del principio di diritto.
- Sussistono i presupposti di ammissibilità della richiesta, come elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte, v. Cass. Sez. U. 18/11/2016, n. 23469):
– l’avvenuta pronuncia di almeno uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non ulteriormente impugnabile, tanto meno per Cassazione;
– la reputata illegittimità del provvedimento stesso (o, in caso di pluralità di provvedimenti divergenti, di almeno uno di essi), quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta;
– un interesse della legge, quale interesse pubblico o trascendente quello delle parti della specifica controversia, all’affermazione di un principio di diritto per l’importanza di una sua enunciazione espressa.
- In primo luogo, non è mai data impugnativa davanti a questa Corte avverso i provvedimenti resi ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.: in tal senso è consolidata la giurisprudenza di legittimità (in generale, per tutte, v. Cass. ord. 18/05/2018, n. 12229, ovvero Cass. Sez. U. ord. 23/01/2004, n. 1245; con specifico riferimento all’ordinanza resa su reclamo contro provvedimento ex art. 615 c.p.c., comma 1, v. per tutte: Cass. ord. 22/10/2009, n. 22488; Cass. 22/01/2015, n. 1176; Cass. ord. 18/01/2016, n. 743; Cass. 12/12/2016, n. 25444; Cass. ord. 22/06/2017, n. 15624), correttamente incentrata sull’inidoneità ad incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale e, comunque, sull’assenza di decisorietà e definitività (Cass. ord. 11/03/2015, n. 4904; Cass. 12/07/2012, n. 11800; Cass. 27/06/2011, n. 14140; Cass. Sez. U. 19/10/2011, n. 21579; Cass. Sez. U. 28/12/2007, n. 27187), in quanto si tratta comunque di provvedimenti interinali e funzionali allo sviluppo del giudizio mediante la riduzione degli effetti pregiudizievoli per le parti della relativa protrazione.
- In secondo luogo, è prospettata l’illegittimità dell’opzione ermeneutica di irreclamabilità, in relazione ad argomenti di sistema ed all’esigenza della maggior tutela possibile per le parti del giudizio di opposizione pre-esecutiva, in rapporto al suo oggetto ed alla sua struttura; e si conclude l’ampia ed analitica disamina degli argomenti a favore dell’una e dell’altra opzione ermeneutica qualificando più convincenti quelli a sostegno della reclamabilità e così in senso opposto a quello dell’ordinanza presa a riferimento della presente richiesta; ed il tutto in riferimento ad una bene individuata controversia concreta, caratterizzata appunto dal dispiegamento di un’opposizione pre-esecutiva con istanza di sospensione non accolta, con provvedimento poi ritenuto insuscettibile di reclamo dal collegio del tribunale adito.
- In terzo luogo, il provvedimento reso dal Tribunale di Latina è espressione di uno dei due contrapposti indirizzi consolidatisi tra i giudici del merito, rispettivamente contro e a favore della reclamabilità dei provvedimenti resi sulle istanze di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo previste dall’art. 615 c.p.c., comma 1, per il caso di opposizione pre-esecutiva: in sintonia col provvedimento preso a riferimento per la sua richiesta, lo stesso P.G. segnala le posizioni prese, tra gli altri, dai tribunali di Milano, Napoli, Venezia, Savona, Brindisi, Lamezia Terme; in senso opposto, oltre ad altre pronunce dello stesso tribunale pontino, nella richiesta del P.G. si indicano, tra gli altri, i provvedimenti dei tribunali di Torino, Roma, Bologna, Genova, Catanzaro, Lecco, Biella, Vallo della Lucania, Castrovillari, Nola, Mondovì.
- In tale contesto a queste Sezioni Unite, cui va riconosciuta ampia discrezionalità sul punto, appare evidente che, per le ricadute pratiche in tema di effettività delle tutele dei soggetti coinvolti nell’instaurando processo esecutivo ed ai fini della funzionalità di quest’ultimo, sia obiettivo meritevole di essere perseguito con l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge la maggiore uniformità possibile delle opzioni ermeneutiche (singolarmente diversificate perfino, come visto, in un medesimo ufficio giudiziario) in ordine alla concreta articolazione della tutela interinale nell’indefettibile fase preparatoria del processo esecutivo.
C.- La questione.
- È noto che, prima degli interventi riformatori del 2006 (a partire cioè dal D.L. n. 35 del 2005, conv. con mod. in L. n. 80 del 2005, in vigore dal 01/03/2006, su cui v. oltre), non era previsto alcuno strumento generale a tutela, dalle pretese del precettante, di chi era indicato nel precetto debitore e così minacciato di quella, prima dell’inizio del processo esecutivo e tranne i soli casi, appunto reputati eccezionali (e che trovavano causa nell’elaborazione, anteriore al codice del 1942, dell’inizio del processo esecutivo con l’intimazione del precetto), delle opposizioni ai precetti fondati su cambiale (art. 64 legge cambiaria, R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669) o su assegno (art. 56 legge assegni, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736): occorreva, pertanto, che il patrimonio del debitore fosse dapprima in concreto aggredito con l’avvio di un processo esecutivo e solamente in tempo successivo il debitore stesso avrebbe potuto reagire ed ottenere la sospensione.
- Prima della richiamata riforma, era quindi tendenzialmente preclusa la possibilità di evitare che un processo esecutivo iniziasse e a maggior ragione di sospendere alcunché subito dopo l’intimazione del precetto (Cass. 06/07/1983, n. 4555; Cass. 04/10/1991, n. 10354), benché tanto potesse comportare effetti a catena – non soltanto di ordine pratico – dirompenti e non sempre adeguatamente riparabili con la successiva inibizione della prosecuzione del processo esecutivo già iniziato o con la tutela risarcitoria, compresa quella rafforzata ai sensi del capoverso dell’art. 96 del codice di rito.
- In un sistema così congegnato, che aveva superato pure il vaglio della Consulta (dopo una prima pronuncia di inammissibilità, di cui a Corte Cost. n. 234 del 1992, si era riconosciuta operante la discrezionalità del legislatore tra le diverse opzioni possibili, con Corte Cost. n. 81 del 1996; su quest’ultimo punto, in senso sostanzialmente analogo v. pure la recente Corte Cost. 189 del 2018, ove ulteriori riferimenti), per venire incontro a tali esigenze si era estesa in via pretoria l’applicazione del generale rimedio, residuale ed atipico, dell’art. 700 c.p.c., riconoscendosi al precettato la possibilità di conseguire un’inibitoria dell’inizio dell’azione esecutiva (con indirizzo ritenuto legittimo da: Cass. 08/02/2000, n. 1372; Cass. 18/04/2001, n. 5683; Cass. 19/07/2005, n. 15220), cui corrispondeva un risultato in sostanza analogo alla sospensione dell’efficacia del titolo, perché preclusivo a monte di ogni azione esecutiva su quello fondata: sospensione valida, in altri termini, non soltanto per il singolo processo esecutivo (non ancora iniziato), ma per ogni successivo eventuale processo si fosse voluto fondare su quel titolo, se non almeno su quel precetto.
- La nuova disciplina positiva del 2005/06, arricchita nel 2015 con la previsione della limitazione della sospensione alla sola parte non, contestata dal debitore, ha inteso colmare in larga parte tale lacuna, prevedendo appunto che il giudice, una volta proposta l’opposizione anteriormente all’inizio del processo esecutivo (da cui la qualificazione, latamente descrittiva ma pure approssimativa e da condividere con cautela, di opposizione pre-esecutiva o a precetto, per distinguerla dall’opposizione esecutiva o ad esecuzione iniziata o a pignoramento), possa intervenire a scongiurare l’esecuzione minacciata o prefigurata col precetto, su specifica istanza di parte; ma contro lo specifico provvedimento reso su quest’ultima non è previsto però, in modo espresso, alcun rimedio.
D.- I testi normativi.
- La fattispecie è regolata dall’art. 615 c.p.c., comma 1, che (in esordio della sezione I – “delle opposizioni all’esecuzione” – del capo I – “delle opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all’esecuzione” – del titolo V – “delle opposizioni” del libro III – “del processo di esecuzione”, rubricato “forma dell’opposizione”) recita oggi: “quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell’art. 27. Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo. Se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata”; ed in particolare, per quel che qui interessa, l’inciso (o proposizione) “Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo” è stato introdotto (con decorrenza dal 1 marzo 2006, in virtù di disciplina transitoria più volte modificata) dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e), n. 40), convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.
- Altra determinante norma cui occorre fare qui riferimento è l’art. 624 c.p.c. (rubricato “sospensione per opposizione all’esecuzione”), che, all’esito della medesima serie di riforme del 2005/06 (dapprima con il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e), n. 42), convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80; norma modificata, prima ancora della sua entrata in vigore addì 01/03/2006, dall’art. 18 della L. 24 febbraio 2006, n. 52), recita ora ai suoi primi due commi: “1. Se è proposta opposizione all’esecuzione a norma degli artt. 615 e 619, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza. 2. Contro l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimento di cui all’art. 512, comma 2”. Prima della riforma, la norma recitava, nei suoi soli complessivi due commi: “1. Se è proposta opposizione all’esecuzione a norma dell’art. 615, comma 2, e art. 619, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza. 2. Il giudice sospende totalmente o parzialmente la distribuzione della somma ricavata quando sorge una delle controversie previste nell’art. 512”.
E.- L’interpretazione letterale. 16. È ben vero, da un lato, che il provvedimento di sospensione, di cui all’art. 615 c.p.c., comma 1, si riferisce testualmente all’efficacia esecutiva del titolo. La formula adoperata è analoga a quella delle inibitorie di provvedimenti giurisdizionali di cognizione impugnati fra gradi o fasi del relativo giudizio:
– è il caso dell’art. 283 c.p.c., che consente al giudice dell’appello di sospendere non solo l’efficacia esecutiva, ma anche l’esecuzione della sentenza impugnata (solo quest’ultima formula impiegando invece l’art. 373 c.p.c., in caso di ricorso per cassazione, in senso corrispondente al potere di sospensiva riferito al provvedimento cautelare ed in ipotesi di reclamo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 669-terdecies c.p.c.);
– in parte analogo può dirsi il caso degli artt. 649 e 650 c.p.c., che abilitano, rispettivamente, il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo a sospendere l’esecuzione provvisoria già concessa ai sensi dell’art. 642 c.p.c., e quello dell’opposizione tardiva al monitorio a sospenderne l’esecutorietà;
– ancora, l’art. 830 c.p.c., u.c., prevede la possibilità, per la corte d’appello, di sospendere l’efficacia del lodo impugnato di nullità;
– pure, il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 5, comma 1, (recante, com’è noto, “disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 54”), ripreso da altre norme del medesimo testo normativo, testualmente dispone che, nei casi in cui questo prevede la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, il giudice, se richiestone e sentite le parti, vi provvede con ordinanza non impugnabile, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.
- Ed effettivamente le inibitorie dell’esecutività del titolo oggetto di contestazione (sia con impugnazione in senso stretto, che mediante quella peculiare forma di attivazione dell’ordinario giudizio di cognizione a contraddittorio differito ed eventuale che consegue all’opposizione al monitorio, che non può definirsi, contrariamente all’originaria impostazione ermeneutica ed in ossequio alla più recente elaborazione dogmatica, un’impugnazione di questo) sono ricostruite (per quella ai sensi dell’art. 351 c.p.c., per tutte, v.: Cass. 08/03/2005, n. 5011; Cass. ord. 12/03/2009, n. 6047; Cass. ord. 03/07/2015, n. 13774) o, nel caso degli artt. 373 e 649 c.p.c., e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 5 cit., espressamente qualificate dalla stessa legge come non impugnabili.
- L’argomento principale contro l’autonoma impugnabilità è l’opposta esigenza di accentuare la celerità dei procedimenti specificamente disciplinati nella loro definizione nel merito e di concentrare l’esame di tutti i correlati profili di opposizione in capo ad un unico giudice (come ricorda, ribadendo l’ampia discrezionalità sul punto riconosciuta al legislatore processuale, Corte Cost. 189 del 2018): sicché l’autonoma impugnabilità ostacolerebbe un ordinato sviluppo del processo e la riserva al merito della valutazione delle relative contestazioni.
- Eppure, nessuna norma espressa vieta l’impugnabilità dell’ordinanza di sospensione disciplinata dall’art. 615 c.p.c., comma 1, mentre non è decisivo argomento che l’art. 624 c.p.c., preveda quale oggetto del reclamo la sola ordinanza di sospensione resa dal giudice dell’esecuzione, ciò che ne escluderebbe appunto la riferibilità all’opposizione pre-esecutiva, in occasione della quale non vi è, per definizione, ancora alcun giudice dell’esecuzione.
- Infatti, proprio nel non lineare sviluppo delle modifiche del testo dell’art. 624 c.p.c., nonostante la persistenza dei soli riferimenti testuali al giudice dell’esecuzione, è stato espressamente espunto dalla disposizione originaria il riferimento al solo art. 615 c.p.c. comma 2, (cioè all’opposizione esecutiva o successiva): ora, pare valido criterio ermeneutico attribuire alla novellazione del testo un senso che potrebbe comportarne un effetto, anziché altro che la renderebbe manifestamente inutile.
- Pertanto, la norma come novellata in punto di reclamabilità ex art. 669 terdecies c.p.c., benché in effetti rimasta inserita nella disciplina della sospensione normalmente disposta dal giudice dell’esecuzione una volta che questa sia iniziata, deve potersi estendere anche all’ipotesi della sospensione pre-esecutiva, anch’essa disciplinata dall’art. 615, richiamato nella sua interezza.
- Ancora, se è vero che il titolo VI del libro III si riferisce in generale alla sospensione del processo esecutivo, non è men vero che la fase tra precetto ed inizio di questo è pur sempre disciplinata nel medesimo libro e che è ad essa talmente funzionale da essere prodromica sì, ma indefettibile, sicché gli istituti generali dell’intero libro possono riferirsi anche ad essa, sia pure con le peculiarità indotte dalla circostanza che il processo ancora soltanto incombe.
- Infine, a parte l’evidente irragionevolezza della discrasia tra l’irreclamabilità del provvedimento pre-esecutivo (ad effetto potenzialmente più dirompente rispetto a quello della sospensione del solo processo esecutivo, visto che il primo paralizzerebbe ogni futura esecuzione) e la reclamabilità di quello ad esecuzione iniziata, una linea di tendenza del legislatore, almeno in base agli interventi novellatori successivi e meglio riusciti dal punto di vista letterale, si può cogliere nell’introduzione, quale rimedio generale avverso i provvedimenti che incidono sul processo di esecuzione nel senso di differirne l’ordinario corso, proprio del reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c..
- Tanto si deve verosimilmente alla valutazione di preferibilità della maggiore articolazione di una tutela immediata e dell’agilità delle relative forme (e non più anche della garanzia di alterità del decidente, ormai garantita pure nel rimedio generale avverso gli atti del giudice dell’esecuzione, cioè l’opposizione formale di cui all’art. 617 c.p.c., in forza della previsione generalizzata dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c.): si veda, ad es., la reclamabilità della sola sospensione disposta in sede distributiva dall’art. 512 c.p.c., e quella del provvedimento del giudice dell’esecuzione delegante ai sensi degli artt. 534 ter e 591 ter c.p.c., la cui natura è stata ribadita come interinale in senso proprio – e quindi insuscettibile di impugnazione immediata per cassazione – di recente da questa Corte (Cass. 09/05/2019, n. 12238).
- Può così concludersi che il carattere sostanzialmente neutro degli argomenti testuali non elide la possibilità di fondare la reclamabilità ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., sulla previsione, pure obiettivamente imprecisa, dell’art. 624 c.p.c.
- L’interpretazione sistematica.
- Alla conclusione della reclamabilità si perviene, comunque, in base ad un’interpretazione complessiva e sistematica dell’istituto della sospensione pre-esecutiva, ad iniziare dalla negazione della sua assimilabilità alle inibitorie interpretate o definite come non impugnabili, per ricostruire la sua funzione quale cautelare in senso proprio, benché connotato dalla peculiarità dell’azione di cognizione cui accede e, quindi, sui generis.
- Infatti, l’argomento dell’intollerabilità di una tendenziale instabilità dei provvedimenti di sospensione dell’esecutività del titolo, speso per ricostruirne la non impugnabilità nei casi in cui non sia in modo espresso sancita, non può comportare l’estensione di tale conclusione al caso in esame: a parte il fatto che la previsione di rigorosi termini di impugnativa (e comunque escluse la modifica o la revoca) circoscriverebbe in modo soddisfacente il periodo di instabilità, un tale argomento si riferisce a segmenti processuali o fasi incidentali di gradi o fasi di un pur sempre unitario processo di cognizione, in attesa ed in funzione della definitività dell’accertamento già consacrato nel titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo; e soltanto in tali evenienze i provvedimenti di inibitoria debbono definirsi ordinatori e non decisori, ma cautelari solamente in senso lato e, in quanto tali, congruamente non reclamabili.
- L’inibitoria del titolo esecutivo giudiziale (o, come in molti dei casi disciplinati dal D.Lgs. n. 150 del 2011, già richiamati, di quello paragiudiziale, vale a dire costituito da un atto di formazione non giudiziale contenente un’ingiunzione di pagamento in forza di un potere autoritativo conferito in forza di un pubblico potere ed al quale il destinatario ha un vero e proprio onere di opporsi per attivare la propria tutela giurisdizionale: Cass. ord. 22/09/2017, n. 22075) in pendenza della sua impugnazione od opposizione è cioè ben diversa dalla sospensiva in esame.
- Infatti, nonostante il potere conferito al giudice dall’art. 615 c.p.c., comma 1, riguardi testualmente l’efficacia esecutiva del titolo, non è però l’impugnazione di questo l’oggetto dell’opposizione pre-esecutiva, la quale mira invece, per il momento in cui interviene, a contestare il diritto del creditore ad agire in via esecutiva sulla base del precetto come in concreto formulato ed intimato e, quindi, mira a contrastare quella particolare connotazione del diritto di procedere in executivis impressa con la specifica minaccia contenuta nel precetto medesimo.
- Ma la contestazione del diritto ad agire in via esecutiva non integra, in senso tecnico, un’impugnazione del titolo posto a base del precetto e, così, dell’esecuzione che sull’uno e sull’altro si minaccia.
- Nel caso di titolo esecutivo giudiziale, infatti, con l’opposizione (al pari di quella all’esecuzione già iniziata sulla base di quello) non si può giammai addurre alcuna contestazione su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, poiché quelle avrebbero dovuto dedursi esclusivamente coi mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento contro di quello (per tutte: Cass. 17/02/2011, n. 3850; Cass. 25/02/2016, n. 3712; Cass. Sez. U. 23/01/2015, n. 1238; Cass. ord. 21/09/17, n. 21954), mentre quelle per fatti posteriori alla definitività o alla maturazione delle preclusioni per farli in quella sede valere non integrano, a stretto rigore, un’impugnazione del titolo, ma appunto l’articolazione di fatti di cui quello non ha legittimamente potuto tener conto e per la cui omessa considerazione non potrebbe mai considerarsi inficiato: ed in entrambi i casi non può tecnicamente impugnarsi un titolo per un vizio non suo proprio.
- Nel caso di opposizione a precetto su titolo stragiudiziale, poi, a stretto rigore non si impugna, se non in via descrittiva o atecnica, il contratto o il negozio o il provvedimento cui – in casi ben definiti l’ordinamento riconosce quell’efficacia esecutiva prima di un accertamento giudiziale ed anzi a prescindere da quello per esigenze di correntezza dei rapporti, visto che si attiva appunto un’ordinaria azione per sovvertire l’apparenza dell’esecutività del titolo a favore di chi vi appare come creditore (e solo come domanda accessoria potendo ammettersi quella sul merito della pretesa ivi consacrata) e scongiurare che quest’ultimo possa agire in via esecutiva in base a quello specifico titolo.
- Non vi è allora identità di funzione o di natura tra le misure inibitorie del titolo esecutivo in sede di sua impugnazione (o di opposizione al titolo costituito da un decreto ingiuntivo o altro paragiudiziale) e la misura in esame, che si situa a valle dell’emanazione del titolo stesso e, non potendo in via principale riguardare intrinseche ragioni di illegittimità di quello, a monte dell’incombente processo esecutivo.
- In questa fase non si contesta, per quanto detto, il diritto in sé come consacrato nel titolo, ma specificamente il diritto del creditore ad agire in via esecutiva per conseguire il concreto soddisfacimento delle ragioni riconosciutegli; la contestazione del diritto di agire in via esecutiva non solo non si esaurisce, ma neppure coincide necessariamente con la contestazione del titolo, nei ristretti limiti in cui quella possa ancora avere luogo per quello giudiziale o nell’accezione ampia nel caso dello stragiudiziale e del paragiudiziale, ben potendo invece involgere numerosi elementi anche ad esso del tutto estrinseci.
- Basti pensare, fra tutti gli altri ed a titolo esemplificativo, all’adduzione dell’eccessività della pretesa (non solo ove si contesti parte dei compensi e del rimborso delle spese lega i autoliquidati in precetto, ma anche in ipotesi di autoliquidazione della stessa sorta capitale su legittima iniziativa del creditore, come bene avverrebbe in ipotesi di provvedimenti ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. – così determinato l’esatto ammontare del credito già recato da un titolo esecutivo tale definito dalla norma e quindi perfetto – oppure in caso di eterointegrazione del titolo stesso secondo i principi di Cass. Sez. U. 02/07/2012, n. 11066, come declinati dalla giurisprudenza successiva, ad iniziare da Cass. 17/01/2013, n. 1027) od alla sussistenza della legittimazione attiva o passiva all’azione esecutiva per ragioni diverse da quelle accertate nel titolo (ad esempio, per l’operatività di un beneficium ordinis od excussionis, o per la contestata qualità di erede o successore del creditore, ovvero del debitore o coobbligato cui il titolo si estenda senza altra formalità).
- La natura e l’oggetto dell’opposizione pre-esecutiva e della sospensione ivi prevista. 36. Va esclusa quindi la rilevanza, a favore della non autonoma sua impugnabilità, di analogie con le inibitorie in caso di impugnazioni del titolo giudiziale (o in caso di opposizione a decreto ingiuntivo), perché le similitudini non sussistono, a dispetto dell’impiego di espressioni letterali similari.
- La sospensione dell’efficacia disciplinata dall’art. 615 c.p.c., comma 1, si inserisce in una fase particolare della tutela del diritto, che sta tra il suo riconoscimento, anche solo provvisorio in mancanza di giudicato su quello giudiziale, consacrato in un titolo esecutivo ed il suo concreto azionamento; e, a differenza degli oggetti delle inibitorie tradizionali, i titoli esecutivi presupposti nelle opposizioni pre-esecutive non sono stati sottoposti a preventiva verifica giurisdizionale, per quanto provvisoria, per i motivi posti a base della domanda: non quelli giudiziali, perché istituzionalmente opponibili soltanto per fatti diversi, non quelli stragiudiziali (e nemmeno quelli paragiudiziali), perché per definizione mai prima scrutinati dal giudice.
- Piuttosto, è proprio la considerazione di natura ed oggetto dell’opposizione pre-esecutiva a consentire di ricostruire quelli del provvedimento in esame quali presupposti della reclamabilità.
- L’opposizione pre-esecutiva investe il diritto ad agire in via esecutiva, sicché il suo esito vittorioso per l’opponente non potrebbe essere che il riconoscimento dell’inesistenza di quello stesso diritto e quindi dell’illegittimità della minaccia in sé dell’esecuzione, come operata con il precetto, ma pure dell’esecuzione ove poi in concreto intrapresa; ed una valida misura che potesse, per la necessità di assicurare una cautela peculiare al precettato opponente, anticipare questo effetto non potrebbe porsi che in un momento logicamente intermedio tra la delibazione dell’esecutività del titolo e l’inizio dell’esecuzione, non incidendo quindi direttamente sulla prima ma precludendo oggettivamente il secondo.
- Pertanto, il tenore letterale della disposizione si modella sì sulla contigua fattispecie dell’inibitoria del titolo giudiziale impugnato, ma, poiché questa differisce sensibilmente dall’altra, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, quest’ultima efficacia essendo il presupposto per iniziare non già l’esecuzione in astratto ma come connotata nel precetto, è limitata alle ragioni dell’opposizione al precetto stesso e, quindi, il suo effetto è inibire lo sviluppo processuale consistente negli snodi successivi alla notificazione di quel precetto, cioè l’inizio dell’esecuzione.
- Un argomento testuale in tal senso si desume oggi, ma verosimilmente quale estrinsecazione di un principio immanente e senza alcuna valenza innovativa, dall’ulteriore previsione introdotta nell’art. 615 c.p.c., comma 1, (dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, applicabile anche ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore), a mente della quale, “se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata”: ciò che comporta quindi una sospensione parziale del titolo, ma pur sempre appunto in relazione ad un diritto, che non può essere altro che quello di procedere esecutivamente.
- E tanto conferma che la sospensione dell’esecutività in caso di opposizione a precetto può essere in qualche modo limitata, o forse meglio circoscritta, a quella peculiare contestazione come in concreto proposta, con la conseguenza che l’efficacia esecutiva per la parte residua pienamente sussiste ed abilita il precettante a proseguire nella minacciata esecuzione.
- I presupposti e la struttura della sospensione pre-esecutiva.
- Tanto consente di affermare la natura cautelare sui generis in relazione cioè alla natura ed alla struttura dell’azione peculiare cui accede – del provvedimento in esame, nell’ambito del microsistema o sottosistema del rito processuale dell’esecuzione civile, caratterizzato dalla puntuale previsione di suoi propri presupposti e snodi procedimentali: con la conseguenza che, in difetto di norme speciali proprie di tale sottosistema, si applicheranno quelle dei corrispondenti istituti del processo civile.
- Pertanto, i gravi motivi in base a cui concedere la sospensione pre-esecutiva non coincidono sic et simpliciter con il periculum in mora ed il fumus boni iuris sempre necessari per ogni provvedimento cautelare: il primo si identifica con la plausibile fondatezza dell’opposizione e purché non si palesi l’inammissibilità della stessa contestazione del titolo (come nel caso di quello giudiziale per fatti non azionati nel giudizio di cognizione, o perfino il difetto di giurisdizione sul merito: casi nei quali, a differenza del processo amministrativo, è da ritenersi precluso al giudice di adottare qualunque cautela) ed il secondo va assunto in un’accezione affatto peculiare, cioè di rischio di un pregiudizio per il debitore che ecceda quello normalmente indotto dall’esecuzione, di per sé integrante un’invasione della sfera giuridica dell’esecutato, ma operata secundum legem, in quanto indispensabile alla funzionalità dell’intero ordinamento giuridico, che esige che i propri comandi (nel caso di specie, contenuti nel titolo) siano rispettati.
- Ancora, nel microsistema delle opposizioni la norma speciale che conferisce al giudice della dispiegata opposizione pre-esecutiva la competenza a decidere sulle istanze di sospensione fonda il relativo potere anche in capo al giudice di pace, ma in via assolutamente eccezionale ed in quanto formalmente conferita da un’espressa disposizione derogatoria per specialità – quella di cui all’art. 615 c.p.c., in combinato disposto con le ordinarie regole di competenza anche per materia e valore – rispetto all’art. 669 bis c.p.c.; mentre non tanto l’esigenza di una celere definizione degli incidenti cognitivi, resa manifesta dalla sottrazione proprio delle opposizioni (anche pre-esecutive) alla sospensione feriale dei termini, quanto piuttosto l’indeducibilità di motivi nuovi nelle opposizioni stesse (per tutte: Cass. ord. 09/06/2014, n. 12981; Cass. 07/08/2013, n. 18761) esclude l’applicazione delle norme in tema di modifica o revoca od inefficacia od attuazione, tutte tali evenienze dovendo semmai ricondursi, nei limiti della loro circoscritta ammissibilità, alla definizione con sentenza in primo grado o, a tutto concedere, in sede di processo esecutivo eventualmente comunque intrapreso.
- La stessa natura sui generis dell’azione di opposizione pre-esecutiva si riverbera sul concreto contenuto del provvedimento cautelare ad esso connaturato: il quale non potrà che rapportarsi alla causa petendi azionata e comportare allora la delimitazione della sospensione eventualmente concessa, benché riferita formalmente in ossequio alla lettera della disposizione – all’efficacia esecutiva del titolo, ai motivi dedotti con l’opposizione, con anche solo implicita salvezza, da un lato, dell’azionabilità sotto qualunque altro profilo e, dall’altro, della reiterabilità del precetto che elimini le ragioni di illegittimità eventualmente già delibate, ove possibile e finanche se riferite al titolo esecutivo su cui il precetto stesso si fonda.
- Tale ricostruzione ha il vantaggio di razionalizzare il sistema con l’esaurimento di ogni esigenza cautelare e di evitare di dover continuare a ricorrere, nelle zone grigie, alla tutela innominata di cui all’art. 700 c.p.c., (per la quale, poi, per definizione non sarebbe neppure in discussione la reclamabilità), visto che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo per vizi non suoi propri avrà il solo effetto di inibire l’inizio della procedura esecutiva in base a quel precetto ed ove non ne vengano rimossi i vizi già delibati.
- Le conseguenze della ricostruzione della natura cautelare della sospensione pre-esecutiva.
- In definitiva: da un lato, non sussistono le ragioni per estendere la non impugnabilità di sistema propria delle inibitorie in sede di impugnazione del titolo giudiziale, mentre non vi è alcuna espressa sanzione di non impugnabilità; dall’altro lato, la natura di provvedimento cautelare, benché sui generis, in difetto di norma derogatoria esplicita comporta la reclamabilità ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.; e tanto:
– sia che si voglia ritenere sufficiente un’applicazione diretta dell’art. 669 quaterdecies, del medesimo codice, benché in relazione alla peculiarità dell’oggetto e della struttura della domanda di merito cui la misura è finalizzata;
– sia che si voglia ritenere la previsione dell’art. 624 c.p.c., al netto dell’effettivamente improprio ancoraggio al provvedimento reso da un giudice dell’esecuzione, quale codificazione di un principio generale di reclamabilità dei provvedimenti ordinatori del giudice che rimoduli la scansione dei tempi delle sequenze procedimentali dell’esecuzione, in quelle comprese quelle che al processo esecutivo sono indissolubilmente funzionalmente prodromiche, come appunto quella intercorrente tra la notifica del precetto e l’avvio dell’esecuzione.
- Una simile ricostruzione del potere cautelare del giudice dell’opposizione pre-esecutiva è coerente anche coi principi che regolano il contiguo potere del giudice dell’opposizione ad esecuzione già iniziata (ai sensi degli artt. 624 cpv. e 615 cpv. c.p.c.):
– una volta ribadita la tradizionale conclusione per un rapporto di litispendenza tra le due opposizioni (per tutte: Cass. 10/08/1963, n. 2275; Cass. 22/04/1970, n. 1157; Cass. 07/04/1972, n. 1034; Cass. 17/11/1976, n. 4293; Cass. 24/10/1986, n. 6235; Cass. ord. 20/07/2010, n. 17037);
– e ribadito pure che il potere del giudice dell’opposizione pre-esecutiva si riferisce all’idoneità del titolo ad essere posto a base di ogni esecuzione astrattamente fondata sul medesimo come in concreto azionato con quello specifico precetto, mentre il potere del giudice dell’esecuzione iniziata può incidere solo sullo specifico singolo processo esecutivo pendente dinanzi a lui;
– i rispettivi poteri, ove – beninteso e adeguatamente sottolineato – le richieste di sospensiva si basino sugli stessi identici motivi, non possono dirsi concorrenti, ma mutuamente esclusivi: il giudice adito in tempo successivo deve ritenersi privo di potestas iudicandi anche sulle relative misure cautelari di competenza;
– il giudice del processo esecutivo comunque iniziato resterà impossibilitato a discostarsi dalle misure adottate, ma limitatamente alle domande fondate sull’identica causa petendi (ciò che costituisce il presupposto ineliminabile della litispendenza), dal giudice preventivamente adito: la sospensione pre-esecutiva si atteggia quale causa di sospensione esterna per la singola esecuzione comunque intrapresa, da riconoscersi senza formalità dal giudice dell’esecuzione (ai sensi dell’art. 623 e non pure – a meno che non la disponga anche per altri motivi a lui solo sottoposti – dell’art. 624 c.p.c.).
- Ne consegue che il provvedimento reso dal giudice dell’opposizione pre-esecutiva (o, come descrittivamente definita, a precetto) sarà suscettibile, anche ove pronunciato dal giudice di pace adito, di reclamo al Collegio del tribunale competente, cioè – stavolta in applicazione di regole proprie del procedimento cautelare uniforme, non espressamente derogate da quelle del sottosistema del processo esecutivo e dei suoi incidenti cognitivi – quello cui appartiene il giudice monocratico che ha reso il provvedimento sull’istanza.
- Analoga competenza sul reclamo spetterà al collegio del tribunale del circondario in cui ha sede il giudice di pace adito, sulla misura cautelare competente in via eccezionale in virtù dell’espressa previsione derogatoria della generale sua esclusione di potestà in tal campo: ma stavolta in base ad un’interpretazione di sistema, per l’assenza istituzionale di un collegio nell’ufficio di quel giudice.
L.- Conclusioni.
- Pertanto, riepilogando:
– la lettera dell’art. 624 c.p.c., rimane un dato neutro, ma la sua estensione, con la L. n. 52 del 2006, ad ogni ipotesi di sospensione (benché tuttora riferita al giudice dell’esecuzione) può esprimere un principio generale di immediata controllabilità dei provvedimenti di alterazione della normale consecuzione delle fasi del processo esecutivo, tra cui considerare quella, ad esso prodromica ma immancabile, tra notificazione del precetto ed inizio del processo esecutivo in senso stretto;
– oggetto dell’opposizione pre-esecutiva è la contestazione del diritto del creditore di agire in executivis: pertanto, oggetto dell’azione non è il titolo esecutivo, il quale, se giudiziale, è intangibile in quanto tale, mentre, se stragiudiziale, si risolve in un atto di parte insuscettibile di impugnazione in senso tecnico e mai prima sottoposto ad un giudice;
– la sospensione anteriore al pignoramento mira ad anticipare l’effetto finale proprio dell’azione di cognizione cui accede quale misura interinale, cioè la declaratoria di inesistenza (anche per fatti sopravvenuti o anche solo parziale) di tale diritto di agire in executivis;
– se dev’essere finalizzata all’esito finale di una tale domanda, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ha natura cautelare sui generis, in quanto correlata al peculiare oggetto dell’opposizione pre-esecutiva;
– tale qualificazione esclude l’analogia con le inibitorie dei titoli esecutivi giudiziali (artt. 351, 373 e 649 c.p.c.), sicché non è valido argomento per negare l’irreclamabilità la non impugnabilità elaborata o affermata per queste ultime;
– tale qualificazione comporta l’applicabilità anche in via immediata dell’art. 669 terdecies c.p.c., sebbene comunque ben possa argomentarsi per un principio generale posto dall’art. 624;
– tale qualificazione esclude l’applicazione delle norme del processo cautelare uniforme in presenza di norme speciali, sicché, in pratica, essendo la sospensione anche pre-esecutiva compiutamente regolata in ogni altro aspetto da queste ultime (trattandosi di un vero e proprio microsistema o sottosistema di norme processuali, connotato da una sua spiccata specialità in funzione della sua strutturale finalizzazione al processo esecutivo), la sola ad applicarsi di quel rito uniforme è proprio quella in tema di reclamabilità (art. 669 terdecies c.p.c.);
– la funzionalizzazione della sospensione pre-esecutiva all’oggetto dell’opposizione consente di interpretare la prima nel senso sostanziale di inibitoria dell’esecuzione come specificamente minacciata con quel precetto, così garantita piena tutela cautelare prima dell’inizio dell’esecuzione;
– in tal modo, la sospensione pre-esecutiva concorre e coesiste con quella dell’esecuzione una volta che questa sia iniziata, ma restando i relativi analoghi poteri, purché le causae petendi delle due azioni siano identiche, mutuamente esclusivi in forza delle regole sulla litispendenza: così, fino all’inizio dell’esecuzione il potere di sospensione spetta al giudice dell’opposizione pre-esecutiva e, dopo, al giudice dell’esecuzione, il quale pure deve dare atto, ai sensi dell’art. 623 c.p.c., dell’eventuale sospensione esterna disposta dall’altro.
53.- In conclusione, sulla richiesta del Procuratore Generale ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 1, queste Sezioni Unite si determinano ad enunciare il seguente principio di diritto: “il provvedimento con il quale il giudice dell’opposizione all’esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., al Collegio del tribunale cui appartiene il giudice monocratico – o nel cui circondario ha sede il giudice di pace – che ha emesso il provvedimento”.
54.- Non può infine certo trovare applicazione – per la natura del presente procedimento, che non costituisce un’impugnazione – il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a sezioni unite e decidendo sulla richiesta del Procuratore Generale ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 1, del 31/01/2019, enuncia il seguente principio di diritto: “il provvedimento con il quale il giudice dell’opposizione all’esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., al Collegio del tribunale cui appartiene il giudice monocratico – o nel cui circondario ha sede il giudice di pace – che ha emesso il provvedimento”.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019
Cass_civ_Sez_Unite_23_07_2019_n_19889
0 Comment