Nel giudizio di verificazione del passivo è pienamente efficace la regola del giudicato endofallimentare: il giudice dell’opposizione non può, ex officio, prendere nuovamente in considerazione la questione relativa all’ammissione del credito
Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, Ordinanza n. 7898 del 17/04/2020
Con ordinanza del 17 aprile 2020, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, in merito di recupero crediti ha stabilito che nel giudizio di verificazione del passivo è pienamente efficace la regola del giudicato endofallimentare ex art. 96 legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), sicché, ove il creditore, ammesso al passivo in collocazione chirografaria, abbia opposto il decreto di esecutività per il mancato riconoscimento del privilegio richiesto senza che, nel conseguente giudizio di opposizione, il curatore si sia costituito ed abbia contestato l’ammissibilità stessa del credito, il giudice dell’opposizione non può, ex officio, prendere nuovamente in considerazione la questione relativa all’ammissione del credito ed escluderlo dallo stato passivo in base ad una rivalutazione dei fatti già oggetto di quel provvedimento, essendo l’ammissione coperta dal predetto giudicato.
Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, Ordinanza n. 7898 del 17/04/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso __ proposto da:
S. – ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Bolzano, del __;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del __ dal Cons. Dott. __.
Svolgimento del processo
S. ha presentato domanda di ammissione al passivo del fallimento della (OMISSIS) S.r.l. per un credito da prestazioni professionali maturate tra il __ ed il __ per un importo complessivo di __ Euro, di cui __ Euro con privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 2).
Il giudice delegato ammetteva il credito solo in parte ed in chirografo, osservando che la domanda di insinuazione era stata proposta dallo studio associato e non vi era prova del carattere personale della prestazione; tanto più che dalla documentazione inviata al curatore risultava che molteplici prestazioni non erano state effettuate da F., che aveva sottoscritto la domanda, ma da altri componenti lo studio associato; avuto riguardo al quantum, diverse prestazioni non erano chiaramente individuate e risultavano effettuate in favore di soggetti diversi dalla società debitrice, mentre il contenuto delle parcelle prodotte non consentiva di identificare in modo univoco le pretese creditorie dell’istante.
Il Tribunale di Bolzano dichiarava inammissibile l’opposizione, rilevando la mancanza di legittimazione ad agire dello studio associato.
Il tribunale, in particolare, rilevava che dall’opposizione non si desumeva a che titolo S. fosse legittimato a far valere i crediti di F., non essendo stato allegato alcun atto di cessione del credito o l’esistenza di altro rapporto avente efficacia traslativa.
Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi, S.
La curatela fallimentare ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza, entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa
Motivi della decisione
Conviene premettere che il tardivo deposito, unitamente al ricorso, della copia autentica del provvedimento impugnato e degli atti processuali e sostanziali sui quali il ricorso si fonda, comporta ai sensi dell’art. 369 c.p.c., l’improcedibilità dello stesso, che è rilevabile d’ufficio e non è esclusa dalla circostanza che il controricorrente non abbia formulato apposita eccezione.
Il ricorrente, tuttavia, ove il mancato tempestivo deposito sia dovuto a causa ad esso non imputabile può evitare la declaratoria di improcedibilità chiedendo, non appena l’impedimento sia cessato, la rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2 e provvedendo a depositare contestualmente l’atto non potuto depositare nei termini (Cass. 22092 del 2019).
Nel caso di specie appaiono sussistenti i presupposti per la rimessione in termini del ricorrente, atteso che il mancato tempestivo deposito di copia autentica del provvedimento impugnato risulta dovuto a causa non imputabile al ricorrente, in quanto i documenti inviati tramite corriere sono andati smarriti a causa del furto subito dal corriere.
Ciò premesso, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c.c., deducendo che il tribunale sarebbe incorso in errore, confondendo la questione, meramente processuale, della legittimazione ad agire in giudizio, con l’effettiva titolarità del rapporto.
Il ricorrente riferisce che nel caso di specie esso studio associato era già stato riconosciuto come soggetto legittimato a far valere, nei confronti del fallimento, il credito per l’attività professionale svolta in favore della (OMISSIS) S.r.l., come da fatture emesse dallo stesso studio associato ed allegate all’insinuazione al passivo: il giudice delegato aveva invero parzialmente ammesso il credito, escludendo unicamente il riconoscimento del privilegio: oggetto dell’opposizione allo stato passivo, era dunque unicamente l’attribuzione del privilegio ex art. 2751 bis c.c..
A fronte di ciò, il tribunale aveva illegittimamente rilevato d’ufficio il difetto di titolarità del rapporto controverso, vale a dire un elemento afferente al merito della controversia, rimesso al potere dispositivo delle parti, che non era stato mai oggetto di contestazione.
Il secondo motivo denuncia nullità del decreto per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale di Bolzano rilevato d’ufficio la carenza di titolarità del rapporto giuridico controverso in capo a S.
In buona sostanza, lo studio associato ricorrente lamenta che il tribunale abbia erroneamente affermato, con rilievo d’ d’ufficio, la carenza di legittimazione processuale dello studio associato, confondendo la situazione meramente processuale della legittimazione ad agire, con l’effettiva titolarità del rapporto oggetto di causa, che costituisce questione di merito.
I motivi che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono fondati.
Conviene premettere che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte l’associazione professionale costituisce un centro autonomo di imputazione e di interessi rispetto ai singoli professionisti che vi si associano (Cass. 8853/2007; 17683/2010).
La giurisprudenza di questa Corte, peraltro, ha posto in evidenza che, ai sensi dell’art. 36 c.c., l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati; in tal caso sussiste legittimazione attiva dello studio professionale associato – cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi (Cass. 6285/2016).
È stato al riguardo precisato che la domanda di insinuazione al passivo proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato e dunque l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio in oggetto, salva l’allegazione e la prova, a titolo esemplificativo, di un accordo tra gli associati che preveda la cessione all’associazione del credito al compenso per la prestazione professionale che ha in tal caso natura personale e quindi privilegiata.
Nel caso di specie, è pacifico che l’insinuazione al passivo fallimentare sia stata proposta dallo studio associato e che il medesimo studio associato sia stato parzialmente ammesso al passivo del fallimento, proponendo l’opposizione L.F., ex art. 98, al fine del riconoscimento del privilegio.
Sulla legittimazione processuale ad agire dello studio associato, in assenza di impugnazione della curatela, si è dunque formato il giudicato endofallimentare.
Ed invero, come questa Corte ha già affermato, nel giudizio di verificazione del passivo è pienamente efficace la regola del giudicato endofallimentare L.F., ex art. 96, sicché, ove il creditore, ammesso al passivo in collocazione chirografaria, abbia opposto il decreto di esecutività per il mancato riconoscimento del privilegio richiesto senza che, nel conseguente giudizio di opposizione, il curatore si sia costituito ed abbia contestato l’ammissibilità stessa del credito, il giudice dell’opposizione non può, ex officio, prendere nuovamente in considerazione la questione relativa all’ammissione del credito ed escluderlo dallo stato passivo in base ad una rivalutazione dei fatti già oggetto di quel provvedimento, essendo l’ammissione coperta dal predetto giudicato (Cass. 6524 del 2017; 25640 del 2017).
Da ciò discende che la legittimazione ad impugnare il provvedimento di esclusione del privilegio spettava (solo) allo studio associato, il quale aveva proposto l’insinuazione ed era stato dunque parte del processo concluso con la pronuncia impugnata.
Il decreto impugnato va dunque cassato e la causa va rinviata al tribunale di Bolzano in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa il decreto impugnato e rinvia al tribunale di Bolzano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2020.
Cass. civ. Sez. I Ord. 17_04_2020 n. 7898
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