La speciale disciplina relativa al fallimento opera in un regime di spossessamento pieno dell’imprenditore insolvente
Corte Suprema di Cassazione, Sezione V Civile, Sentenza n. 10108 del 28/05/2020
Con sentenza del 28 maggio 2020, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione V Civile, in merito di recupero crediti ha stabilito che la speciale disciplina relativa al fallimento opera in un regime di spossessamento pieno dell’imprenditore insolvente, laddove in caso di procedura di concordato preventivo i beni dell’imprenditore insolvente o in crisi restano di proprietà dell’imprenditore, sotto la vigilanza degli organi della procedura (c.d. spossessamento attenuato). Difatti, il commissario giudiziale (organo della procedura) ha compiti di mera vigilanza e il liquidatore giudiziale, nominato in caso di concordato per cessione dei beni, si occupa della liquidazione dei beni del debitore, senza far venir meno la figura dell’imprenditore o degli organi sociali, che continuano ad essere soggetti passivi degli obblighi tributari e di contabilità. Il liquidatore non ha la legittimazione ad agire o resistere, in relazione ai giudizi, compresi quelli tributari, di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorché influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, potendo, al più, spiegare intervento, in quanto la legittimazione processuale spetta all’imprenditore sottoposto al concordato preventivo.
Corte Suprema di Cassazione, Sezione V Civile, Sentenza n. 10108 del 28/05/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da:
B. S.p.A. – ricorrente –
contro
A. – controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, Sezione Staccata di Lecce n. __ depositata in data __ udita la relazione svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere D’Aquino Filippo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale __, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. __ per parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e l’Avv. __ dell’Avvocatura Generale dello Stato per il controricorrente, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
- S.p.A., società successivamente incorporata nell’attuale ricorrente, ha impugnato – in qualità di cessionaria del credito IRPEF, derivante da ritenute di acconto sugli interessi attivi relativi alle somme depositate dal concordato preventivo “OMISSIS” – il silenzio rifiuto di rimborso del credito, già richiesto a rimborso dalla società cedente OMISSIS nella dichiarazione Unico __.
La CTP di Lecce ha rigettato il ricorso e la CTR della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, con sentenza in data __, ha rigettato l’appello della contribuente. Ha rilevato il giudice di appello che l’obbligo di operare le ritenute sugli interessi – previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 2, in capo ai sostituti di imposta che siano in procedura concorsuale – deve riguardare un periodo più ampio di quello ordinario concernendo, in particolare, l’intero periodo complessivo della durata della procedura dall’inizio alla chiusura della procedura concorsuale; ha, quindi, concluso il giudice di appello che il recupero di tale credito può avvenire solo all’atto della conclusione della procedura di concordato preventivo, prima del cui evento non può ritenersi sussistente il requisito della certezza del credito ceduto.
Propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria; resiste con controricorso l’Ufficio.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del (TUIR) D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 7, 74 (già art. 93), 183 (già art. 124), nonché del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 5, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il periodo di riferimento per ritenere certo e determinabile il credito da ritenute di acconto sia da riferire all’intera durata della procedura concorsuale. Ritiene il ricorrente che l’art. 183 TUIR, comma 2, che prevede l’unicità del periodo di imposta, non sia applicabile alla procedura concorsuale del concordato preventivo, sia in forza del fatto che vi sia spossessamento dell’imprenditore, con conseguente soggettività passiva dell’imposta in capo all’imprenditore, per cui le disposizioni di cui all’art. 183 TUIR non potrebbero ritenersi applicabili al caso di specie.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del (TUIR) D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 7, 74 (già art. 93), 183 (già art. 124), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 43-bis, del D.M. 30 settembre 1997, n. 384, art. 1, comma 2, nonché del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 40 e ss., nella medesima parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto l’unicità del periodo di imposta in relazione alla durata della procedura concorsuale al fine del recupero delle ritenute di acconto. Rileva il ricorrente come il credito da imposte dirette si è formato nell’anno di imposta __ per effetto delle ritenute a titolo di acconto sugli interessi attivi, la cui dichiarazione non è mai stata oggetto di rettifica; rileva come in materia di concordato preventivo il reddito di impresa si determina secondo le ordinarie regole fissate dal TUIR in materia di reddito di imprese, quindi, il credito da ritenute di acconto sugli interessi attivi, non essendo state scomputate, possono essere oggetto di rimborso; deduce, pertanto, come nessuna incertezza possa essere predicata in relazione al suddetto credito.
2 – Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, non trattandosi di un nuovo accertamento in fatto ma di questione interpretativa relativamente all’applicazione al concordato preventivo del regime speciale della tassazione delle ritenute a titolo di acconto sugli interessi attivi previsto per le procedure concorsuali liquidatorie (fallimento e liquidazione coatta amministrativa).
3 – I due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
3.1 – La liquidazione dell’imposta sul reddito (anche di impresa) in presenza di precedenti versamenti eseguiti dal contribuente in acconto di imposta è disciplinata dall’art. 79 TUIR, che prevede che “i versamenti eseguiti dal contribuente in acconto dell’imposta e le ritenute alla fonte a titolo di acconto si scomputano dall’imposta a norma dell’art. 22”. Principio al quale fanno eccezione le ritenute in acconto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 1 e 2 (ritenute sugli interessi attivi), le quali, per i contribuenti (comprese le imprese in bonis) si scomputano nel periodo di imposta in cui si sono prodotti. A questo obbligo per gli enti finanziari di operare una ritenuta a titolo di acconto sugli interessi corrisposti, si accompagna, per i contribuenti in bonis, la facoltà prevista dall’art. 80 TUIR di computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo di imposta successiva, ovvero di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione.
3.2 – Diversa è, invece, la tassazione dei redditi delle imprese assoggettate a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa. Per tali soggetti di imposta la tassazione non opera in relazione ai risultati economici della gestione di ciascun periodo di imposta (quali quelli risultanti dall’utile di bilancio rettificato a termini dell’arti 83 TUIR), ma su quanto eventualmente residui all’esito del pagamento dei creditori concorsuali in sede di riparto finale. La base imponibile non attiene alle rettifiche apportate all’utile di bilancio, ma a una grandezza patrimoniale, data dalla differenza tra il residuo attivo risultante al termine della procedura e il patrimonio netto all’inizio della procedura (art. 183 TUIR, comma 2). Ove il patrimonio netto iniziale, derivante dal confronto tra attività e passività risultanti dal periodo di imposta infrannuale (sino alla dichiarazione di fallimento) risulti nullo in forza della superiorità delle passività rispetto alle attività, nonché ove anche il residuo attivo finale sia inesistente (essendo l’attivo ripartito integralmente tra i creditori), nella procedura concorsuale liquidatoria non vi è reddito tassabile.
3.3 – Altra particolarità (per quanto più rileva in questa sede) è costituita dalla deroga apportata dall’art. 183 TUIR, comma 2, al principio della tassazione per singoli periodi di imposta costituiti dai vari periodi in ragione d’anno (art. 76 TUIR), essendo il periodo oggetto di tassazione pari all’intero periodo concorsuale “compreso tra l’inizio e la chiusura del procedimento concorsuale” (cd. maxiperiodo concorsuale). Ne consegue che il momento in cui diviene certa la posta patrimoniale del residuo attivo, idonea a determinare il reddito eventualmente prodottosi durante la procedura, è il momento conclusivo della procedura concorsuale (Cass., Sez. V, 7 marzo 2019, n. 6630; Cass., Sez. V, 14 novembre 2011, n. 14127).
3.4 – Questo sistema di tassazione del reddito delle imprese dichiarate fallite (in futuro liquidazione giudiziale) e delle imprese in liquidazione coatta amministrativa non si applica alle imprese assoggettate alla procedura di concordato preventivo, essendo l’art. 183 TUIR espressamente riferito alle sole procedure concorsuali del fallimento e della LCA. 3.5 – Detta disposizione non può essere, invero, neanche oggetto di applicazione estensiva al concordato preventivo, stante la diversità strutturale della procedura concordataria rispetto al fallimento o alla LCA. 3.5.1 – In primo (e decisivo) luogo, la speciale disciplina relativa al fallimento (come anche della LCA) opera in un regime di spossessamento pieno dell’imprenditore insolvente, laddove in caso di procedura di concordato preventivo i beni dell’imprenditore insolvente o in crisi restano di proprietà dell’imprenditore, sotto la vigilanza degli organi della procedura (cd. spossessamento attenuato). Difatti, il commissario giudiziale (organo della procedura) ha compiti di mera vigilanza e il liquidatore giudiziale, nominato in caso di concordato per cessione dei beni, si occupa della liquidazione dei beni del debitore, senza far venir meno la figura dell’imprenditore o degli organi sociali, che continuano ad essere soggetti passivi degli obblighi tributari e di contabilità (Cass., Sez. V, 8 giugno 2011, n. 12422); tanto che il liquidatore non ha la legittimazione ad agire o resistere, in relazione ai giudizi, compresi quelli tributari, di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorché influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, potendo, al più, spiegare intervento, in quanto la legittimazione processuale spetta all’imprenditore sottoposto al concordato preventivo (Cass., Sez. V, 28 luglio 2017, n. 18823).
3.5.2 – In secondo luogo, non può ritenersi che il legislatore abbia implicitamente sentito la necessità di imporre per il concordato preventivo una frattura nella successione degli esercizi di imposta, non essendovi un diverso soggetto obbligato fiscalmente in luogo dell’imprenditore insolvente.
Non è un caso che anche in materia di IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74-bis, detti una disciplina specifica al solo caso della dichiarazione di fallimento o di LCA. Disciplina che impone all’organo gestorio di redigere, all’atto della dichiarazione di apertura della procedura, due distinte dichiarazioni IVA, la prima avente ad oggetto le operazioni effettuate dall’imprenditore dichiarato fallito dall’inizio dell’anno sino alla data della dichiarazione di fallimento (cd. segmento temporale prefallimentare); la seconda, limitata alla parte residua dell’anno di imposta, relativa alle sole operazioni imponibili successive alla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Tali dichiarazioni competono al curatore quale soggetto legittimato in luogo dell’imprenditore dichiarato fallito a presentare tale dichiarazione, al fine di evitare che si verifichi una frattura nella continuità del rapporto IVA dell’imprenditore fallito (Cass., Sez. V, 29 maggio 2019, n. 14620). Frattura che non si verifica, invece, in assenza di spossessamento del debitore, in caso di apertura del procedimento di concordato preventivo.
3.5.3 – Né può ricavarsi il principio secondo cui nel sistema delle imposte sui redditi le vicende di natura liquidatoria siano di per sé presupposto per una deroga rispetto ai criteri ordinari di applicazione del tributo, ove il procedimento di concordato venga attuato in conformità di una proposta di cessione dei beni ai creditori.
3.5.4 – Un ulteriore motivo a sostegno della inestensibilità al concordato preventivo delle previsioni relative al maxiperiodo di imposta sui redditi proprio del fallimento e della LCA, è dato dal fatto che il TUIR non prevede l’introduzione di un regime speciale relativo alle grandezze tassabili che, come visto supra 3.2, nel fallimento sono costituite da grandezze patrimoniali (art. 183 TUIR, comma 2).
Diversamente, il legislatore apporta singole deroghe ai criteri di determinazione della ricchezza imponibile ai fini del reddito. Le deroghe previste dal TUIR alle modalità di tassazione dei redditi attengono alla esclusione dal reddito delle plusvalenze realizzate con la vendita dei beni ai creditori e alla esclusione dal reddito delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione concordataria dei debiti verso i creditori ex artt. 86 e 88 TUIR (Cass., Sez. V, 21 maggio 2007, n. 11701). Non viene, pertanto, messo in discussione il principio che il reddito di impresa nel concordato preventivo segua le regole ordinarie, salve le specifiche deroghe imposte dal TUIR.
3.6 – Da tali elementi deve ritenersi che la tassazione dei redditi nel concordato preventivo non presuppone alcuna frattura nel soggetto di imposta, che rimane sempre l’imprenditore, non essendovi alcuno spossessamento (come avviene per il fallimento e la LCA) dell’imprenditore insolvente e non potendosi, conseguentemente, fare applicazione dell’art. 183 TUIR, comma 1, ai fini della configurazione del maxiperiodo di imposta. La società in concordato preventivo deve, conseguentemente, procedere alla redazione delle dichiarazioni per ciascun anno di imposta, come qualunque contribuente in bonis, potendo scomputare le eccedenze di imposta da ritenute in acconto in ciascuno periodo di imposta nelle quali le ritenute si siano prodotte.
Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: “l’art. 183 TUIR, comma 1, previsto in tema di tassazione del reddito delle procedure di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa e che prevede che il reddito tassabile sia quello compreso tra il periodo di apertura della procedura e il momento della chiusura della stessa, non si applica alla procedura di concordato preventivo, per la quale l’imprenditore continua ad assolvere gli obblighi tributari senza una specifica regolamentazione. Ne consegue che le ritenute in acconto operate a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 2, possono essere scomputate nel periodo di imposta nel quale i redditi si sono prodotti”.
La sentenza impugnata, nella parte in cui afferma l’unicità del periodo di imposta nel concordato preventivo analogamente a quanto accade per il fallimento a termini dell’art. 183 TUIR, non si è uniformata a tale principio e va, pertanto, cassata, con rinvio alla CTR della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020.
Cass. civ. Sez. V 28_05_2020 n. 10108
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