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Ammissione al passivo fallimentare: insinuazione del credito

Ammissione al passivo fallimentare: insinuazione del credito derivante da saldo negativo di conto corrente

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27201 del 23/10/2019

Con ordinanza del 23 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di ammissione al passivo fallimentare, ha stabilito che nell’insinuare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha, a sua volta, l’onere ulteriore di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito avuto riguardo alle contestazioni in parola; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio.


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27201 del 23/10/2019

Ammissione al passivo fallimentare: insinuazione del credito derivante da saldo negativo di conto corrente

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. __ proposto da:

B. S.p.A. – ricorrente –

contro

Curatela Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal cons. Dott. __.

Svolgimento del processo

  1. Il Giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da B. S.p.A., nella misura di Euro __ in relazione al conto corrente n. (OMISSIS), rigettando invece l’istanza di ammissione in relazione al conto corrente anticipi n. (OMISSIS) per carenza di documentazione giustificativa.
  2. A seguito dell’opposizione proposta da C. S.p.A., quale conferitaria di tutte le attività e passività della già B. S.p.A., il Tribunale di Napoli: i) riteneva che al collegio dell’opposizione non fosse attribuito il potere di acquisire d’ufficio, ovvero su sollecitazione di parte, il fascicolo fallimentare, neppure rispetto ai documenti allegati dall’istante, dovendosi di conseguenza giudicare inammissibile la richiesta istruttoria di acquisizione del fascicolo contenente la domanda di ammissione al passivo e la relativa documentazione prodotta dal ricorrente; ii) rilevava l’intempestività della produzione (in data __) del medesimo fascicolo, avvenuta in epoca successiva al deposito (in data __) del ricorso in opposizione L. Fall., ex art. 99; iii) osservava, per completezza, che non poteva condividersi la tesi dell’opponente concernente l’estensione automatica della disciplina prevista dal contratto di conto corrente n. (OMISSIS) del __ anche al diverso rapporto di anticipazione n. (OMISSIS); iv) reputava che gli estratti integrali di conto corrente non fossero idonei a dimostrare l’esistenza del credito della banca nei confronti del fallito ai fini dell’ammissione al passivo.

Sulla base di simili valutazioni il Tribunale di Napoli, con decreto depositato in data __, rigettava l’opposizione proposta da C. S.p.A.

  1. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso B. S.p.A., prospettando sette motivi di doglianza.

L’intimato fallimento (OMISSIS) non ha svolto alcuna difesa.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Motivi della decisione

4.1 Il quarto motivo di ricorso – da prendere in esame in via prioritaria, in applicazione del principio della ragione più liquida denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 99 e art. 116 c.p.c. nonché, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in quanto il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato la L. Fall., art. 99 laddove aveva ritenuto che i documenti a suffragio dell’opposizione dovevano essere depositati unitamente al ricorso, quando la norma, al contrario, imponeva la mera indicazione dei medesimi.

4.2 Il motivo è fondato rispetto alla violazione di legge denunciata.

Questa Corte (Cass. 25513/2017) ha già avuto modo di osservare che un rilievo non trascurabile deve esser assegnato al risultato esegetico che agevolmente si ricava dall’inciso contenuto nella L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, il quale, nel delineare il concreto perimetro dell’effetto decadenziale, opera un preciso riferimento all’indicazione specifica, ad opera del creditore, dei documenti prodotti; la norma, dunque, lungi dal prevedere un onere per il ricorrente di produrre i documenti unitamente al deposito del ricorso, fa semplicemente riferimento alla necessità di elencare, nell’atto introduttivo, i documenti già dimessi e versati agli atti del processo, per cui se un effetto preclusivo può ricavarsi dall’esame del dato normativo, esso va riferito non tanto alla necessità di ridepositare il materiale precostituito e già prodotto ma, semmai, all’impossibilità per il creditore di avvalersi, successivamente al deposito del ricorso, di documenti nuovi, differenti sia da quelli utilizzati in sede di verifica innanzi al giudice delegato sia da quelli prodotti per la prima volta al momento dell’opposizione.

L’intero dettato della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, depone inoltre nel senso che le esigenze di concentrazione processuale, che il legislatore vuole perseguire anche nel giudizio di opposizione, impongono al creditore di indicare, in via ultimativa ed al momento del ricorso, tutti i mezzi di prova ed i documenti di cui intende avvalersi innanzi al Tribunale, sicché è solo quel materiale che ha titolo per restare nel processo, escludendosi, nel corso del giudizio, la possibilità di avvalersi di mezzi di prova nuovi o di documenti differenti da quelli già prodotti ed indicati nell’atto introduttivo.

Se questa è la ragione che giustifica la previsione della decadenza, non vi è ragione di estenderne la portata fino a provocare un effetto ulteriore e non voluto dal legislatore (attraverso l’imposizione dell’onere a carico del creditore di produrre nuovamente innanzi al Tribunale documenti già depositati), anche in considerazione del fatto che le norme in tema di decadenza, per loro natura, sono di stretta interpretazione (Cass. 4351/2016); al contrario l’evidenza che si ricava dall’utilizzo letterale del participio congiunto (in funzione aggettivale) prodotti, riferito ai documenti da indicare specificamente, depone soltanto nel senso che il ricorrente debba limitarsi a valorizzare specificamente, nel quadro del ricorso introduttivo, quelli che, tra i documenti già prodotti, appaiono maggiormente idonei a sostenere la propria prospettazione (perché trascurati o non adeguatamente apprezzati dal giudice delegato).

Oltre a ciò si deve osservare che, soddisfatta dall’opponente la condizione prescritta dalla norma circa la specifica indicazione dei documenti prodotti, il Tribunale in sede di opposizione è tenuto ad acquisire i documenti in questione, seppur non prodotti nuovamente in fase di opposizione, in quanto tali documenti, una volta allegati all’originaria istanza di ammissione al passivo, rimangono nella sfera di cognizione dell’ufficio giudiziario, inteso nel suo complesso, anche in tale fase.

In questa direzione merita di essere richiamata, sul piano sistematico, la ricostruzione operata dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 14475/2015) secondo cui “i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano, come si è sottolineato nella sentenza 23 dicembre 2005, n. 28498, che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. Tali prove non devono essere disperse. Ciò vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo devono essere conservati alla cognizione del giudice”, secondo il principio “che può essere definito di non dispersione della prova una volta che questa sia stata acquisita al processo”.

Occorre pertanto dare continuità all’orientamento secondo cui nel giudizio di opposizione a stato passivo l’opponente è tenuto, a pena di decadenza, solo a indicare specificamente in seno al ricorso i documenti già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato; sicché, in difetto di produzione del documento indicato specificamente in ricorso, il Tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo della procedura fallimentare ove esso è custodito (Cass. 12549/2017, Cass. 13888/2017, Cass. 5094/2018).

Dunque il Tribunale ha illegittimamente ritenuto che l’opponente fosse obbligato, al fine di soddisfare l’onere probatorio posto a suo carico, a depositare insieme al fascicolo dell’opposizione anche il fascicolo di parte relativo alla fase di verifica dello stato passivo, quando al contrario doveva limitarsi a controllare se l’opponente avesse specificamente indicato i documenti già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo all’interno del ricorso in opposizione, in ottemperanza alla prescrizione contenuta all’interno della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4).

  1. L’accoglimento della doglianza comporta l’assorbimento dei primi tre motivi di ricorso, con cui l’odierna ricorrente ha inteso censurare, sotto vari profili, le osservazioni del collegio dell’opposizione in merito alla discrasia temporale fra il deposito del ricorso e il deposito del relativo fascicolo documenti, oltre che del quinto motivo di ricorso, tramite il quale B. S.p.A. ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 112 e 115 c.p.c. e 2697 c.c. nonché, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un atto processuale, costituito dal decreto del presidente della sezione fallimentare che mandava alla cancelleria di allegare agli atti del procedimento la domanda di ammissione depositata dal ricorrente, contenente i documenti di parte.

6.1 Con il sesto motivo di ricorso la banca ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dei principi generali in materia di prova in merito alla sussistenza di contratti di apertura di conto corrente, la violazione degli artt. 1362, 1366, 1369 e 1342 c.c., avendo il Tribunale omesso di interpretare e verificare le clausole contrattuali, la violazione della L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e art. 117 T.U.B. nonché, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione in ordine all’interpretazione delle prove acquisite su punti decisivi della controversia, in quanto il Tribunale, pur a seguito della produzione della lettera contratto del 21 aprile 2006 relativa al conto ordinario n. (OMISSIS), avrebbe erroneamente ritenuto che la stessa, a dispetto della sua natura di contratto normativo disciplinante tutte le operazioni che il correntista sarebbe andato a compiere con la banca, non fosse utile a suffragare la domanda di ammissione al passivo, non ricomprendendo tra i servizi accessori al rapporto di conto corrente le aperture di credito.

6.2 Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

6.2.1 Secondo la più recente disciplina di questa Corte il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve a sua volta, in forza della delibera del C.I.C.R. del 4 marzo 2003, essere stipulato per iscritto a pena di nullità, dato che il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 2, stabilisce che il C.I.C.R., mediante apposite norme di rango secondario, possa prevedere che particolari contratti bancari, per motivate ragioni tecniche, siano stipulati in forma diversa da quella scritta (Cass. 7763/2017).

Ciò nonostante la possibilità per le autorità abilitate dalla L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 2, di stabilire la non necessità della forma scritta per particolari contratti, in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto, va intesa nel senso che l’agevolazione di particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che salvaguardi l’indicazione nel “contratto madre” delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il contratto figlio (Cass. 27836/2017).

6.2.2 Di questi principi ha fatto corretta applicazione il collegio di merito laddove ha constatato che dal contratto scritto regolante il rapporto di conto corrente non derivava in maniera automatica la disciplina del contratto di apertura di credito, dal momento che occorreva, perché il primo rapporto assumesse natura di contratto normativo rispetto al secondo, che fossero stabilite la forma necessaria e sufficiente per la genesi di tale ulteriore contratto e la disciplina che avrebbe regolato il medesimo.

La critica si rivela poi inammissibile laddove sostiene che una puntuale valutazione del documento contrattuale prodotto avrebbe consentito di verificare che il contratto di conto corrente disciplinava non soltanto i servizi accessori al medesimo ma anche aperture di credito e sovvenzioni.

Il risultato interpretativo che esclude la regolazione all’interno del contratto di conto corrente anche del diverso rapporto di apertura di credito appartiene infatti all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito e non può essere sindacato in questa sede, dove è possibile soltanto verificare il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, mentre risulta inammissibile ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 2465/2015).

7.1 Il settimo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1832, 1857 e 2697 c.c. nonché l’omesso esame di un documento esibito ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla parte del decreto impugnato ove si afferma che i crediti derivanti da scoperti di conto corrente dovevano essere provati mediante la produzione di tutti i documenti giustificativi delle singole operazioni: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insufficiente la produzione della scheda di conto integrale recante l’indicazione di tutte le operazioni svolte nel corso del rapporto, pur in mancanza di una contestazione seria e specifica del contenuto della stessa da parte della curatela.

7.2 Il motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la banca, ove prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l’ammissione allo stato passivo, ha l’onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, assolvendo il relativo onere secondo il disposto della norma generale dell’art. 2697 c.c. attraverso la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che, ai sensi dell’art. 1832 c.c., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall’approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni (Cass. 6465/2001, Cass. 1543/2006).

Tale principio trova fondamento nella posizione di terzietà assunta dal curatore.

Ciò tuttavia non significa che in ambito di insinuazione al passivo l’estratto conto debba essere considerato in via generalizzata come privo di qualsiasi valore probatorio.

Al contrario il credito della banca deve essere provato con l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere, che comporta l’indicazione di tutte le operazioni, a partire dalla prima sino alla chiusura, mentre è insufficiente il riferimento al saldo registrato alla data di chiusura del conto e alla documentazione relativa all’ultimo periodo del rapporto, dato che quest’ultima non consente di verificare gli importi addebitati nei periodi precedenti per operazioni passive e quelli relativi agli interessi, la cui iscrizione nel conto ha condotto alla determinazione dell’importo che costituisce la base di computo per il periodo successivo (cfr. Cass. 21597/2013, Cass. 23974/2010 e 10692/2007).

Al fine di assolvere a questo onere probatorio la banca, nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali.

Il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha, a sua volta, l’onere ulteriore di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito avuto riguardo alle contestazioni in parola.

Il giudice delegato o, in sede di opposizione, il Tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, sono tenuti a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio (Cass. 22208/2018, Cass. 6985/2019).

Il collegio di merito doveva quindi valorizzare il contenuto degli estratti conto prodotti in funzione della loro idoneità a giustificare lo sviluppo dell’intero rapporto contrattuale fino all’apertura del concorso e alla luce del contegno processuale assunto dal curatore.

  1. Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato rispetto ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Napoli, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto e il settimo motivo di ricorso, rigetta il sesto, dichiara assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

Cass_civ_Sez_I_Ord_23_10_2019_n_27201