Fallimento: responsabilità civile dei Sindaci della società
Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 18770 del 12/07/2019
Con sentenza del 12 luglio 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell’impresa, non è sufficiente ad esonerarli da responsabilità la dedotta circostanza di essere stati tenuti all’oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo la effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio, tale che l’attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori.
Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 18770 del 12/07/2019
Fallimento: responsabilità civile dei Sindaci della società
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso __ proposto da:
Curatela Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – ricorrente –
contro
G. S.p.A., L., F., C. – intimati –
e contro
G. – controricorrente –
e contro
S. – controricorrente incidentale –
e contro
D. – controricorrente –
avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il __;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ da Dott. __;
udito gli Avvocati presenti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi I, II, II, IV del ricorso principale e l’inammissibilità, o, in subordine, il rigetto del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Firenze con sentenza del __, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Prato del __, ha: a) respinto le domande proposte dal Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. contro le componenti del collegio sindacale G. e D.; b) dichiarato assorbita la domanda proposta dalla seconda contro la compagnia assicuratrice; c) confermato la responsabilità risarcitoria solidale degli ex amministratori di fatto C., S. e F., con la precisazione che dall’importo complessivo liquidato, pari ad Euro __, dovessero essere detratte le quote proporzionali di pertinenza dei due condebitori solidali transigenti, G. e L..
Avverso questa sentenza propone ricorso la procedura, affidato a dieci motivi.
Si difendono con controricorso S., G. e D., il primo proponendo altresì ricorso incidentale per due motivi, cui il fallimento resiste con controricorso.
La ricorrente ed il controricorrente T. hanno depositato le memorie di cui all’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
- – Il ricorso principale. Il ricorso principale articola verso la sentenza impugnata dieci motivi, come di seguito riassunti:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2400, 2401, 2435-bis e 2477 c.c., perché la corte territoriale ha male individuato il momento di cessazione dei sindaci dalla carica, avendo l’assemblea del __ accettato le loro dimissioni e dichiarato non essere più obbligatorio l’organo ex art. 2477 c.c., senza altre precisazioni, mentre, al contrario, tale obbligo era pienamente vigente e le dimissioni avrebbero potuto avere effetto solo al momento del subentro dei sindaci sostituti, ammettendosi, altrimenti, che l’assemblea possa pregiudicare interessi sostanziali dei terzi a suo piacimento; ne deriva che la carica è cessata solo con la dichiarazione di fallimento, dato il regime di prorogatio, e che sino a quel momento su di essi gravavano tutti gli obblighi di vigilanza ed attivazione;
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1223 e 2407 c.c., perché la corte territoriale ha escluso il nesso causale tra la completa inerzia dei sindaci e il pregiudizio arrecato dalle gravi condotte degli amministratori, ritenendo che il loro attivarsi non avrebbe impedito gli illeciti: ma i sindaci non hanno rilevato l’integrale perdita del capitale sociale, non hanno presentato la denunzia ex art. 2409 c.c., non hanno chiesto al tribunale di accertare la perdita e la nomina dei liquidatori; mentre è fatto acquisito che, almeno dal mese di __, essi fossero stati al corrente del processo verbale di constatazione notificato alla società nel __, di cui la stessa corte d’appello sottolinea l’esaustività, dunque idoneo campanello di allarme che imponeva loro di procedere non solo ad un esame analitico della contabilità, ma di innalzare su tutti i fronti la soglia di attenzione adottando le iniziative consentite dall’ordinamento, prevenendo così le successive condotte distrattive; onde ha errato gravemente la corte d’appello a pretendere la certezza, e non la ragionevole probabilità, dell’impedimento del danno per ravvisare il nesso causale; mentre il carattere asseritamente istantaneo delle distrazioni di rimanenze e beni strumentali non esclude certo il nesso causale, in quanto anche una reazione successiva ben può ad esempio indurre un ravvedimento operoso degli amministratori;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2407 e 2409 c.c., avendo la corte d’appello negato ogni possibile utilità della dovuta denunzia al tribunale da parte dei sindaci, asserendo la presumibile lunghezza del procedimento, senza considerare che si tratta di rito camerale e che il D. Lgs. n. 5 del 2003, art. 31, almeno sino a quando in vigore, avrebbe pure permesso l’adozione del decreto del presidente in via di urgenza, disponendo opportuni provvedimenti, fra i quali anche un’ispezione a sorpresa, limitazioni ai poteri gestori, la sospensione di alcuni di essi, l’inibitoria al compimento di dati atti, l’affidamento della tenuta della contabilità ad un terzo; e ciò certamente sarebbe potuto avvenire prima del __, quando l’assemblea aveva deliberato il trasferimento della sede sociale; seguendo il ragionamento della corte del merito, i sindaci mai sarebbero solidalmente responsabili, dato che neppure iniziative minori, come la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. o la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., sono di effetto certo;
4) omesso esame di fatto decisivo, consistente nella mancata interruzione della gestione non conservativa dell’impresa, perpetrata dagli amministratori in violazione dell’art. 2486 c.c., profilo in nessun modo esaminato;
5) omessa pronuncia al riguardo, ove si voglia ritenere ciò oggetto di una distinta domanda risarcitoria;
6) violazione o falsa applicazione dell’art. 2497 c.c., comma 2, laddove la corte del merito ha affermato che si tratta di responsabilità necessariamente dolosa, mentre chi prende parte al fatto lesivo partecipa della natura di questo, e, quindi, ben può rispondere anche a titolo di colpa;
7) omesso esame di fatto decisivo, consistente nelle clausole degli accordi transattivi conclusi da due condebitori, senza considerare che gli accordi transattivi sono stati depositati in atti dal fallimento e di ciò è piana attestazione a verbale, onde la corte del merito non ne ha esaminato affatto il contenuto;
8) violazione e falsa applicazione degli artt. 1298, 1304, 1362 e 2407 c.c., avendo la corte errato nel valutare gli effetti derivanti dagli accordi transattivi, dai quali derivava la riduzione di pari importo del risarcimento dovuto dai condebitori, e non commisurato alla intera quota ideale dei transigenti, come sarebbe emerso dall’esame delle clausole negoziali;
9) violazione e falsa applicazione degli artt. 1298 e 1362 c.c., per avere comunque mal calcolato le quote interne, in quanto non ha incluso anche quelle dei due sindaci C. e D., all’epoca saldamente ritenute corresponsabili, con la conseguenza che minori in ogni caso erano le quote percentuali interne dei transigenti;
10) violazione e falsa applicazione del D.M. Giustizia n. 127 del 2004, avendo senza giustificazione alcuna la corte del merito ridotto i diritti e gli onorari liquidati in primo grado a favore della curatela, determinando i secondi al minimo, pur trattandosi di causa complessa.
- – Il ricorso incidentale. Il ricorrente incidentale T. propone i seguenti motivi di ricorso:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la corte del merito ritenuto la sua qualità di amministratore di fatto, contrariamente al vero, trascurando la sua residenza definitiva in Uruguay e le dichiarazioni di testimoni;
2) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine alla sua qualità di amministratore di fatto della società ed alla esistenza dalla frode fiscale.
- – La responsabilità dei sindaci. I primi sei motivi del ricorso principale attengono alla negata responsabilità dei sindaci. Essi sono in parte fondati, come di seguito esposto.
3.1. – La sentenza impugnata. La corte del merito ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che ai soggetti ricoprenti l’incarico di sindaco non debba ascriversi nessuna responsabilità, in quanto:
- a) tutti i sindaci furono nominati il __ e presentarono le loro dimissioni il __, accettate dall’assemblea il __, senza però provvedere alla nomina di altri soggetti in loro sostituzione, ritenendo non obbligatorio il collegio sindacale; la cessazione dei sindaci non fu iscritta nel registro delle imprese, ma il fallimento non ha sollevato l’eccezione di inopponibilità; le dimissioni, comunque, non ebbero efficacia immediata, essendone impossibile la sostituzione con i supplenti; la carica non può essersi però protratta oltre la data della predetta assemblea, che accettò le dimissioni senza nominare un nuovo organo di controllo; la mancanza di enunciazione delle ragioni della non obbligatorietà della nomina, ai sensi dell’art. 2477 c.c., da parte della citata assemblea non rileva in questa sede, ma unicamente in un giudizio di impugnazione della deliberazione, mentre i sindaci potevano ritenersi liberati in virtù dell’accettazione delle loro dimissioni;
- b) ai sindaci non può essere imputata la distrazione delle merci dal magazzino, risultante dal bilancio al __ per il valore di Euro __, e non più rinvenuta alla data di trasferimento della sede a Londra il __; ciò, perché la procedura non ha provato che la distrazione fu lenta e protratta nel tempo, ed anzi è tutt’altro che remota l’ipotesi di una repentina sottrazione, non potendosi pertanto esigere dai sindaci una vigilanza continua e materiale sulle merci, ma, al più, una vigilanza periodica delle rimanenze, onde non è provato il nesso causale;
- c) del pari, ai sindaci non può imputarsi la distrazione dei beni strumentali (con danno liquidato dal tribunale in Euro __), che il giudice di primo grado non ha indicato quando siano stati sottratti, e, soprattutto, egli non ha tenuto conto che la contestazione agli amministratori della condotta distrattiva posta in essere dopo la risoluzione del contratto di affitto di azienda il __ e l’ipotizzata convocazione dell’assemblea per deliberare la nomina dei liquidatori non avrebbero scongiurato l’evento dannoso, atteso, inoltre, che l’assemblea ben avrebbe potuto nominare soggetti della famiglia alla carica;
- d) la risoluzione anticipata del contratto di affitto di azienda, avvenuta il __, ove pure ingiustificata ed irrazionale, con conseguente perdita dei canoni per Euro __, era rimasta ignota ai sindaci, che dunque non avrebbero potuto impedirla, non conoscendo prima le intenzioni degli amministratori, tanto che una vigilanza pur massima non avrebbe potuto prevenire la decisione di risolvere il rapporto;
- e) ai sindaci non può essere rimproverato neppure il danno consistito nella irrogazione delle sanzioni tributarie per circa Euro __, in ragione delle false fatturazioni operate negli anni __, attraverso le quali la società aveva creato un fittizio ed ingente credito i.v.a.: infatti, il Tribunale non ha spiegato le ragioni per le quali i sindaci avrebbero dovuto avvertire l’esigenza di procedere ad un controllo a campione delle fatture ricevute dalla società negli anni precedenti, né il giudice di primo grado ha esaminato la normativa tributaria in modo da verificare l’evitabilità delle sanzioni ed indicato come i sindaci avrebbero potuto costringere l’organo amministrativo a presentare una rettifica della dichiarazione fiscale fraudolenta; infine, anche ammettendo che l’entità del credito i.v.a. nel bilancio dell’esercizio chiuso al __, anno in cui i sindaci avevano assunto le funzioni, potesse indurli ad avvertire l’esigenza di un approfondimento, non si comprende perché essi dovrebbero rispondere in misura pari alle sanzioni irrogate;
- f) la responsabilità di tali soggetti non sussiste neppure ai sensi dell’art. 2497 c.c., comma 2, che presuppone un fatto doloso, nella specie non provato;
- g) sebbene la condotta dei sindaci sia stata tutt’altro che puntuale e rigorosa – infatti, essi ricoprivano la carica anche presso la capogruppo (OMISSIS) S.r.l., onde avevano un punto di osservazione più ampio, e, almeno dopo la conoscenza nel __ del dettagliato PVC inviato dalla Guardia di Finanza, avrebbero potuto presentare la denuncia ex art. 2409 c.c. – tuttavia non può affermarsi con sufficiente grado di attendibilità che il tribunale avrebbe poi adottato in tempo i provvedimenti idonei a scongiurare quanto avvenuto nell’estate del __ (sparizione della società, trasferimento a Londra, nomina di un prestanome), dati i tempi tecnici del procedimento; ne ha dedotto l’assenza del nesso causale con i danni provati dalla procedura.
Le affermazioni rese dalla sentenza impugnata non si conformano alle norme che regolano la responsabilità dei sindaci nelle società di capitali, secondo le considerazioni che seguono.
3.2. – Sulla funzione di controllo. Nelle società di capitali, in generale, l’obbligo di controllo accomuna una pluralità di soggetti ed organi, quali gli amministratori non esecutivi e gli amministratori indipendenti, i sindaci, i revisori, il comitato per il controllo interno, l’organismo di vigilanza di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001 e il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle società quotate di cui all’art. 154-bis t.u.f.
Si parla dunque di un sistema composito, il cui fine è di ottenere, grazie all’eterogeneità dei controlli, una garanzia rafforzata dell’osservanza delle regole di corretta amministrazione; scopo ultimo, la stessa diffusione della cultura di legalità imprenditoriale; e la particolare conformazione della struttura societaria induce a doveri tanto più intensi, come quando la società sia parte di un gruppo o si tratti di società a ristretta base familiare, soggetta perciò ad influenze esterne anche pregiudizievoli (cfr., in tal senso, Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204).
La responsabilità omissiva del soggetto tenuto, per funzione, ad esercitare un controllo sull’agire di altri è per fatto proprio colpevole: espunta invero ormai anche dal diritto civile la responsabilità oggettiva, la responsabilità per fatto altrui o quella da mera posizione, si dovrà sempre riscontrare la condotta almeno colposa e il nesso causale col danno, dunque con responsabilità per fatto e colpa propri.
3.3. – La condotta. Sotto il profilo della condotta, il sistema configura dunque una duplice responsabilità in capo ai sindaci, potendo essi rispondere per fatto esclusivamente proprio, oppure per concorso omissivo con la condotta degli amministratori, atteggiandosi la loro responsabilità nei confronti della società o di altri soggetti secondo le relative disposizioni, pure per essi richiamate, degli artt. 2393-2395 c.c., alla stregua dell’art. 2407 c.c. La seconda fattispecie è quella che interessa nella vicenda in esame.
Come in tutti i casi di concorso omissivo nel fatto illecito altrui, ai fini del giudizio di responsabilità occorre, anzitutto, l’accertamento degli elementi costitutivi oggettivi della fattispecie: ovvero, la condotta, consistente nell’inerzia; l’evento, quale fatto pregiudizievole ed antidoveroso altrui; il nesso causale, mediante il cd. giudizio controfattuale, allorché l’attivazione avrebbe potuto impedire l’evento, anche con riguardo alla sua protrazione, reiterazione o aggravamento.
I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 c.c. e ss. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali (Cass. 24 marzo 1999, n. 2772; 28 maggio 1998, n. 5287); né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione.
Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c.: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.
Ad affermarne la responsabilità, questa Corte ha reputato, pertanto, sufficiente l’inosservanza del dovere di vigilanza, allorché i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità (cfr. Cass. 13 giugno 2014, n. 13517; v. pure Cass. 13 giugno 2014, n. 13518; 14 ottobre 2013, n. 23233).
3.4. – Il nesso causale. Il nesso causale va provato da chi agisce in responsabilità: l’inerzia è causa del danno, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato.
Come è tipico dei fatti illeciti omissivi, occorre, al fine del sorgere della responsabilità risarcitoria, che il sindaco potesse attivarsi utilmente, in quanto disponesse di poteri per contrastare l’illecito altrui.
Ma si è più volte sottolineato, anche nelle pronunce sopra richiamate, come il comportamento dei sindaci debba essere ispirato al dovere di diligenza proprio del mandatario (si faceva ivi riferimento all’art. 2407 c.c., comma 1, nel testo previgente alla riforma del 2003) ed improntato ai principi di correttezza e buona fede: onde non si esaurisce nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, ma comporta l’obbligo di adottare – anzi, ricercando egli, di volta in volta, lo strumento più consono ed opportuno di reazione – ogni altro atto che sia utile e necessario perché la vigilanza sulla gestione sia effettiva e non puramente formale.
Di tali strumenti indubbiamente il sindaco dispone, secondo le norme positive.
Se è pur vero, pertanto, che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera posizione di garanzia, si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.
Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative — in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie.
Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate, dunque anche ex artt. 2446 e 2447 c.c.), il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite (ai sensi di tali disposizioni), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative.
Dovendosi ribadire che, come questa Corte ha già osservato, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204; Cass. 11 novembre 2010, n. 22911).
Senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale, dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a rompere il silenzio sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (così, in sede penale, Cass. pen. 7 marzo 2014, n. 32352, Tanzi).
A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo di società per azioni, i sindaci hanno dunque l’obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia diretta, interna ed esterna – doveroso per un organo di controllo.
In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge.
3.5. – L’elemento soggettivo. Nell’ambito dell’azione di responsabilità promossa ai sensi della L.F., art. 146, l’onere di provare l’assenza di colpa grava sull’organo sociale, trattandosi di responsabilità per i danni cagionati anzitutto alla società, che la procedura fa in tal modo valere.
L’elemento della colpa rileva nelle due accezioni di colpa nella conoscenza e nell’omessa attivazione. Sono due, infatti, i momenti complementari: da un lato, la rappresentazione dell’evento nella sua portata illecita, conoscenza che prescinde dalla modalità e tipologia del canale conoscitivo; dall’altro lato, la consapevolezza nel mantenere la condotta inerte, senza porre in essere quelle azioni atte ad impedirne la prosecuzione, la reiterazione o l’aggravamento, in cui rileva la possibilità di attivarsi utilmente.
Sotto il primo profilo, la colpa può consistere in un difetto di conoscenza, per non avere il sindaco rilevato colposamente l’altrui illecita gestione: dove, però, non è affatto decisivo che nulla traspaia da formali relazioni degli amministratori, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni, in particolare da parte dei componenti dell’organo sindacale, la cui stessa ragion d’essere è il provvedere al controllo sulla gestione. Onde sussiste la colpa in capo al sindaco già per non avere rilevato i cd. segnali d’allarme, individuati dalla giurisprudenza anche nella stessa soggezione della società all’altrui gestione personalistica (cfr., con riguardo al controllo in capo agli amministratori non esecutivi, Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204; Cass. pen. 7 marzo 2014, n. 32352, Tanzi). Proprio come nel caso di specie, in cui i giudici di merito hanno accertato un sistema organico e diffuso di amministrazione di fatto da parte dei membri più influenti della famiglia T.
Sotto il secondo profilo, il sindaco è tenuto a conoscere i doveri specifici posti dalla legge e ad attivarsi perché l’organo amministrativo compia al meglio il proprio dovere gestorio, vigilando per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione illecita. L’inerzia, a fronte dell’illecito altrui, è dunque in sé colpevole: e il disinteresse è già indice di colpa.
A tal fine, va precisato ancora che:
- a) l’essere stato designato alla carica solo dopo la commissione dell’illecito non è di per sé circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio (cfr. Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204);
- b) le dimissioni non costituiscono mai condotta di adempimento del dovere, né sufficiente ad esimere da responsabilità, quando a ciò non si fossero accompagnati anche concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti, per la pregnanza degli obblighi assunti dai sindaci proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui, e perché la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo: equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia ed, anzi, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalità reiterata.
Giova, infine, ricordare come il giudizio se la fattispecie concreta la cui esistenza è rimessa in via esclusiva al giudice del merito – vada sussunta sotto l’astratto paradigma legislativo è giudizio di diritto, controllabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.6. – Riparto dell’onere probatorio. Resta da precisare che l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale.
3.7. – Conclusione sui motivi secondo e terzo. Alla stregua dei principi esposti, la sentenza impugnata non si sottrae alle censure proposte dal secondo e dal terzo motivo del ricorso principale.
La corte del merito ha affermato essa stessa come, sin dal __, ai sindaci fosse perfettamente nota la ricezione da parte della società del processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, che nel __ aveva dettagliatamente segnalato una gravissima situazione di illiceità fiscale, essendo stato architettato dagli amministratori un meccanismo imponente di false fatturazioni finalizzato all’evasione tributaria mediante l’artificiale creazione di ingenti crediti i.v.a. negli esercizi __e __.
Dunque, detta situazione di altissima illiceità, quale rumoroso campanello di allarme e macroscopico segnale circa la condizione di illegalità diffusa del gruppo, avrebbe dovuto indurre i sindaci – i quali, come ha accertato la corte d’appello, ricoprivano la medesima carica nella società capogruppo – per ciascuno degli illeciti gestori dedotti e provati dal fallimento, a tentare di riparare all’illecito fiscale mediante dichiarazioni correttive; vigilare in modo non sporadico ed in profondità sulla quotidiana gestione; sorvegliare l’integrità del magazzino e di ogni altro bene patrimoniale della società; interessare la pubblica autorità, per prevenire le ulteriori spoliazioni.
Né, si noti, è onere della procedura attrice prima, e del giudice del merito poi, individuare lo specifico atto che, in particolare, in quel giorno ed in quel luogo, il sindaco avrebbe dovuto porre in essere al fine di esonerarsi da responsabilità: posto che, a fronte di una condizione di illiceità reiterata e senza scrupoli, la mera inerzia lo condanna, integrando assolvimento adeguato dell’onere di allegazione attorea. È, invece, onere del sindaco medesimo provare di essere senza colpa, perché fattori insuperabili – che egli allora è, sì, tenuto ad identificare e provare – gli abbiano impedito la conoscenza degli eventi e la possibilità di attivarsi.
Non è quindi osservazione corretta quella operata dalla corte del merito, secondo cui i sindaci non dovrebbero comunque rispondere di fatti avvenuti prima della loro nomina (nella specie, la irrogazione delle sanzioni tributarie per circa Euro __ derivata dalle false fatturazioni operate negli anni __ e __): contrariamente a quanto opinato dalla corte territoriale, rientra nei doveri dei componenti il collegio sindacale di verificare la correttezza non solo formale della contabilità e la sua rispondenza ai fatti reali da documentare, specialmente quando sia rilevabile una entità anomala delle poste contabili (nella specie, l’ingente credito i.v.a. nel bilancio dell’esercizio chiuso al __, anno in cui i sindaci hanno assunto le loro funzioni).
Non è affermazione corretta, altresì, quella secondo cui i sindaci non avrebbero dovuto rispondere della distrazione delle merci dal magazzino, operata fraudolentemente dagli amministratori (merce risultante dal bilancio al __ per il valore di Euro __, ma non più rinvenuta alla data di trasferimento della sede a Londra il __): non è, invero, onere della procedura attrice provare, come invece la corte del merito erroneamente assume, che la distrazione fu operata un po’ per volta; mentre è perplessa l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui sarebbe tutt’altro che remota l’ipotesi di una repentina sottrazione, la quale, nell’assunto, esonererebbe i sindaci da ogni responsabilità. Se è vero, infatti, che i sindaci non visitano ogni giorno l’azienda o i magazzini della stessa, tuttavia l’accertamento controfattuale, sopra ricordato, induce a ravvisarne la responsabilità tutte le volte in cui la loro olimpica inerzia non sia stata neppure scalfita dall’idea di esercitare uno dei numerosi poteri di cui essi per legge dispongono, al fine di garantire la legalità dell’agire gestorio: onde, a fronte di una simile inerzia, è onere del sindaco giustificarla mediante l’allegazione di impedimenti non superabili con la diligenza professionale della carica.
La risoluzione inopinata del contratto di affitto di azienda e la distrazione dei beni strumentali sono state ritenute, del pari, non imputabili anche all’inezia dei sindaci: ma erra il giudice del merito, laddove semplicemente li esonera da responsabilità, sol perché i sindaci non avrebbero potuto immaginare l’intento risolutorio e perché la convocazione dell’assemblea avrebbe anche potuto non evitare il danno. Il ragionamento di probabilità causale, infatti, per definizione non conduce alla certezza, ma alla ragionevole ricostruzione di un legame tra i fatti: ai fini della causalità omissiva, si è già detto come rilevi la ragionevole probabilità che il ricorso, da parte dei sindaci, agli strumenti previsti per legge avrebbe potuto contrastare gli amministratori nei loro propositi criminosi.
Circa, infine, l’idoneità preventiva e repressiva di una denuncia ex art. 2409 c.c., giova appena precisare come erra la corte del merito nell’affermare che manca il nesso causale tra l’inerzia antidoverosa ed il danno, sol perché l’efficacia e la tempestività delle misure adottabili dal tribunale ex art. 2409 c.c. non sarebbe scontata: in generale, invero, si tratta di uno strumento estremamente duttile, il quale permette l’immediata ispezione o l’adozione dei provvedimenti provvisori, di cui all’art. 2409 c.c., comma 4 (secondo il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 31, abrogato nel 2009, anche con decreto presidenziale urgente inaudita altera parte), il cui contenuto si atteggia lungo una ampia linea di atipicità relativa ai provvedimenti sulla gestione: dalla limitazione ai poteri gestori alla loro temporanea sospensione; dall’inibitoria al compimento di dati atti all’ordine di compiere un facere specifico, come la redazione di un nuovo bilancio emendato o il deposito della relazione sulle attività compiute; dall’affidamento della tenuta della contabilità ad un terzo alla nomina di un ausiliario, senza revocare gli organi sociali, affidandogli specifici compiti, per un tempo limitato, se del caso insieme all’inibitoria di date condotte da parte di quelli.
Pertanto, in una vicenda come la presente, caratterizzata dall’agire degli amministratori senza il rispetto dei principi di corretta gestione, protrattosi nel tempo falsa fatturazione rilevante continuata per due anni, distrazione di tutte le rimanenze di magazzino e dei beni strumentali dell’azienda, inopinato mutuo dissenso a contratto di affitto vantaggioso – la responsabilità dei sindaci risiede già nel fatto di non aver rilevato le macroscopiche violazioni e, quindi, di non avere in alcun modo ad esse reagito.
3.8. – La prorogatio dei sindaci. Considerazioni a parte richiede il primo motivo.
Reputa il collegio che esso si palesi inammissibile per difetto di interesse, in quanto la circostanza della cessazione dalla carica alla data dell’assemblea del __ non assume rilievo dirimente ai fini della responsabilità degli organi, allegata dalla procedura, la quale ivi neppure ha indicato la data sino a cui pretende di protrarre la durata in carica dei due sindaci, confermando la genericità della censura e la sua inammissibilità, atteso che l’interesse al ricorso per cassazione non può essere rinvenuto nella mera affermazione astratta di un principio di diritto invocato.
3.9. – La violazione dell’art. 2486 c.c. Il quarto motivo è infondato, non avendo la corte del merito omesso di esaminare la condotta di inerzia dei sindaci a fronte della gestione non conservativa dell’impresa, pur in presenza di un allegato stato di scioglimento della società: condotta il cui esame non è mancato da parte della corte del merito – si tratta, invero, di uno degli inadempimenti allegati dalla procedura nell’atto di citazione e riproposto in appello (come, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., il ricorso chiarisce) – avendo la stessa, al contrario, tenuto conto della situazione di sottocapitalizzazione sostanziale della società e della continuata operatività, che semplicemente ha ritenuto non rimproverabile ai sindaci.
Ne deriva l’infondatezza della censura di omesso esame di fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il quinto motivo è, del pari, infondato, anche per l’autonoma considerazione che non si tratta di un’omessa pronuncia, la quale si ravvisa solo in presenza di una domanda od eccezione pretermessa, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., e non di un profilo di responsabilità già ricompreso altrove.
3.10. – La responsabilità ex art. 2497 c.c., comma 2. Il sesto motivo è assorbito, dovendosi ribadire altresì che oggetto del ricorso per cassazione non può essere il riscontro dell’esattezza di una astratta tesi di diritto.
- – La transazione. Il settimo motivo è fondato.
La corte d’appello, pur dando atto del mancato rinvenimento della transazione – documento essenziale per valutarne la portata e la corrispondente riduzione del debito in favore dei non transigenti profittanti – non ha però provveduto a disporne ricerche e, in caso di esito negativo, ad assegnare alle parti termine per il suo nuovo deposito.
Onde l’omesso esame del documento stesso, decisivo al giudizio e centrale nella discussione tra le parti, al fine della determinazione del quantum debeatur.
Non è dubbio, infatti, che l’esame delle clausole negoziali era, invece, essenziale, al fine di valutare se l’importo transatto vada decurtato, nella volontà delle parti, in termini pari alla somma versata dai transigenti, o valga invece – come ha ritenuto la corte del merito senza, però, prima doverosamente esaminarne il contenuto – a dispensare i condebitori dal pagamento della intera quota ideale ed astratta del proporzionale debito.
Ne deriva l’assorbimento dei motivi ottavo e nono.
- – Motivo sulle spese. Il decimo motivo, afferente le spese per il primo grado di giudizio, resta assorbito.
- – Il ricorso incidentale. Il primo motivo del ricorso incidentale, il quale intende contrastare la qualifica di amministratore di fatto del ricorrente medesimo, è inammissibile, riproponendo un giudizio sul fatto; mentre poi nessuna censura esso rivolge alla interpretazione od applicazione dell’art. 2697 c.c.
Ed invero, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949).
Nulla di tutto ciò ricorre nella specie, in cui non è denunciato alcun ribaltamento dell’onere probatorio dall’una all’altra parte.
Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, deducendo esso un vizio motivazionale, a norma del precedente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 541, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134; mentre del pari mira, all’evidenza, a riproporre il giudizio sul fatto.
- – Conclusione. In accoglimento dei motivi esposti, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, perché decida la controversia in applicazione dei seguenti principi di diritto: “Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica (quali la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 c.c. e ss., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile). Ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell’impresa, non è sufficiente ad esonerarli da responsabilità la dedotta circostanza di essere stati tenuti all’oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio, onde l’attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori.Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco da responsabilità, in quanto non integrano adeguata vigilanza sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza impone, piuttosto, un comportamento alternativo, allora le dimissioni diventando anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità”.
Alla corte del merito si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi secondo, terzo e settimo del ricorso principale, inammissibile il primo, infondati i motivi quarto e quinto, assorbiti i motivi sesto, ottavo, nono e decimo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso medesimo, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019
Cass_civ_Sez_I_12_07_2019_n_18770