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L’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la pubblicazione della domanda di concordato preventivo

L’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la pubblicazione della domanda di concordato preventivo

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6381 del 05/03/2019

Con sentenza del 15 marzo 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la pubblicazione della domanda di concordato preventivo, ai sensi dell’art. 168, comma 3, L. Fall. – come novellato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012-, in applicazione del principio della cd. “consecuzione delle procedure”, trova applicazione anche nel caso in cui all’apertura della procedura di concordato preventivo faccia seguito la dichiarazione di fallimento.

 

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6381 del 05/03/2019

L’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la pubblicazione della domanda di concordato preventivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

R. S.p.A. – ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione – controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MANTOVA, depositato il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal cons. __;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale __ che ha chiesto che la Corte accolga il ricorso, con le conseguenze di legge.

La Corte:

Svolgimento del processo

Che:

Con decreto del __, comunicato il __, il Tribunale di Mantova ha respinto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, proposta dalla R. S.p.A., per ottenere l’ammissione del proprio credito in privilegio ipotecario anziché al chirografo, come disposta dal GD, per ritenersi “l’ipoteca giudiziale trascritta in data __ inefficace verso i creditori L. Fall., ex art. 168, visto il deposito del ricorso L. Fall., ex art. 161, del __, esclusi interessi…Escluse altresì le spese per nota di iscrizione ipotecaria in quanto inopponibili alla massa, stante l’inefficacia dell’ipoteca”.

Nei fatti, R. S.p.A. aveva chiesto ed ottenuto il __ decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti della (OMISSIS) spa, non opposto e quindi divenuto esecutivo; in forza di detto titolo, R. aveva iscritto il __ ipoteca giudiziale a carico della P. su diversi immobili di proprietà della debitrice; la P. presentava il __ domanda di ammissione al concordato preventivo con riserva e tale domanda veniva pubblicata nel Registro delle Imprese il __;la società veniva ammessa al concordato con decreto del __; l’ammissione veniva successivamente revocata ai sensi della L. Fall., art. 173, e con sentenza del __, veniva dichiarato il fallimento della (OMISSIS).

Il Tribunale ha ritenuto l’inefficacia dell’ipoteca L. Fall., ex art. 168, u.c. (come introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 33, convertito con modificazioni con la L. 7 agosto 2012, n. 134), in quanto iscritta nei novanta giorni antecedenti alla pubblicazione del ricorso nel Registro delle imprese; ha escluso l’incidenza a riguardo della successiva revoca dell’ammissione e quindi della mancata omologazione (la L. Fall., art. 168 al comma 1, prevede la definitività del decreto di omologazione, ma solo quale termine finale del divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari, senza alcun riferimento alla inefficacia delle ipoteche giudiziali); ha ritenuto applicabile il principio della cd. consecuzione delle procedure, visto il breve lasso temporale (nove mesi) tra la domanda di ammissione al concordato preventivo e la dichiarazione di fallimento, resa a seguito della revoca dell’ammissione al concordato preventivo, e la sussistenza dello stato di insolvenza già contenuta nel decreto di apertura della procedura minore; ha ritenuto assorbite le ulteriori valutazioni sulla revocabilità fatte valere dal Fallimento.

Ricorre R. con ricorso affidato ad un unico motivo.

Il Fallimento si difende con controricorso, illustrato con memoria.

Il PM ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Che:

Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 168, anche con riguardo alla L. Fall., artt. 67, 69 bis e 169, artt. 12 e 14 preleggi; si duole la ricorrente dell’inserimento nell’ambito fallimentare di un’ipotesi di inefficacia ex lege prevista nel concordato preventivo e di ristrutturazione dei debiti, in contrasto col dato letterale e la ratio legis ed a conferma della propria tesi, nell’ottica di un’interpretazione sistematica, richiama il disposto di cui alla L. Fall., art. 69 bis, introdotto proprio col D.L. n. 83 del 2012, che specificamente regola la sorte delle ipoteche giudiziali in caso di successivo fallimento, e sostiene che, ove si accedesse all’interpretazione adottata dal decreto impugnato, si darebbe luogo ad una evidente disparità di trattamento, rilevante sotto il profilo costituzionale, tra i creditori di un fallimento consecutivo, gravati da una inefficacia ex lege senza possibilità di provare la inscientia decoctionis, e quelli del fallimento non consecutivo, che avrebbero la possibilità di resistere alla revocatoria.

La questione che si pone nel presente giudizio verte sull’interpretazione della L. Fall., art. 69, comma 3, e precisamente se la prevista inefficacia rispetto ai creditori anteriori al concordato delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo si determini anche nel caso in cui la procedura concordataria si chiuda senza pervenire all’omologa e si dichiari il fallimento.

La norma in oggetto è stata interpretata, sia nella giurisprudenza di merito che in dottrina, o come prevedente l’inefficacia ex lege anche nel caso in cui alla procedura minore segua la dichiarazione di fallimento, in accordo col principio della consecuzione delle procedure, o come invece intesa a determinare l’inefficacia necessariamente collegata alla procedura di concordato preventivo, e quindi destinata a spiegare detto effetto ex lege solo all’interno della procedura minore, da cui l’inapplicabilità nel caso di consecuzione.

Ora, la ratio della disposizione è chiaramente nel senso di evitare che i creditori, avvedutisi dello stato di crisi, si muniscano di titoli di prelazione, destinati ad incidere sul buon esito della procedura concordataria e del piano di concordato, nonché a danno della massa dei creditori, e non v’è dubbio sul carattere speciale della norma, che, come rileva attenta dottrina, segna il termine a ritroso per ritenere inefficace nei confronti dei creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso L. Fall., ex art. 161 l’iscrizione di ipoteca, le cui modalità di costituzione si sono perfezionate nel periodo indicato.

La difesa della R., avuto riguardo alla collocazione della norma, alla ratio sopra riportata ed alla natura speciale del disposto normativo in oggetto, nonché all’introduzione da parte dello stesso D.L. n. 83 del 2012 della L. Fall., art. 69 bis (che specificamente regola la sorte delle ipoteche giudiziali nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua il fallimento) conclude per l’inapplicabilità della L. Fall., art. 168, comma 3, nel caso in cui segua la dichiarazione di fallimento, stante il nesso necessario tra detta disposizione e la procedura concordataria.

Su tale linea interpretativa si pone anche il PM, che evidenzia (peraltro sulla scia di dottrina) come l’inefficacia di cui si tratta costituisce “un effetto che non può sopravvivere non già per limiti all’applicabilità del principio della consecuzione, ma perché è destinato ad esaurire la sua funzione nel contesto della singola procedura”.

Detta conclusione non può essere condivisa.

Né la natura speciale della norma né la ratio della stessa possono essere invocate per ritenere inapplicabile nel caso il principio della consecuzione tra le procedure, che vale ad impedire che l’ipoteca, una volta divenuta inefficace, possa acquisire nuovamente efficacia a seguito della dichiarazione di fallimento.

Al principio di consecuzione deve infatti riconoscersi valenza di carattere generale, dato che, come affermato nelle pronunce 4959/2013 e 18437/2010, “nel caso in cui all’ammissione da parte del tribunale della domanda di concordato preventivo, proposta ai sensi della L. Fall., art. 160, ratione temporis vigente, secondo il testo successivo alla L. n. 80 del 2005 e al D.Lgs. n. 5 del 2006 ed anteriore al D.Lgs. n. 169 del 2007, segua dichiarazione di fallimento L. Fall., ex art. 162, comma 2, per effetto della mancata approvazione dei creditori L. Fall., ex artt. 177 e 178, trova applicazione il principio della consecutività delle due procedure concorsuali, costituendo la sentenza di fallimento l’atto terminale del procedimento, non assumendo rilievo l’abbandono – in sede normativa dell’automatismo di tale dichiarazione, per la quale ora sono necessari l’iniziativa di un creditore o del PM, il positivo accertamento dell’insolvenza e il comune elemento oggettivo. Pertanto quando si verifichi a posteriori (nella specie, con sentenza passata in giudicato) che lo stato di crisi in base al quale era stata chiesta l’ammissione al concordato in realtà coincideva con lo stato di insolvenza, l’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento va retrodatata alla data della presentazione della predetta domanda”.

E per la considerazione unitaria della procedura di fallimento seguita al procedimento di concordato preventivo, si vedano, tra le tante, le pronunce 8439/2012 e 7324/2016.

Né può essere seguita la tesi della ricorrente, secondo cui l’inefficacia resterebbe confinata alla procedura di concordato. Infatti, in questa procedura i creditori portatori dei crediti ipotecari colpiti da inefficacia e come tali legittimati al voto perché degradati a chirografari, avrebbero tutto l’interesse a votare contro l’approvazione della proposta di concordato in quanto con la dichiarazione di fallimento essi riacquisterebbero la natura di creditori ipotecari. Dunque la finalità della norma ne uscirebbe stravolta.

Quanto al rilievo della difesa della R., volto ad evidenziare la disparità di trattamento in tesi conseguente all’applicazione della L. Fall. art. 168 all’ipotesi del fallimento, va di contro osservato che le norme di cui alla L. Fall., artt. 67 e 69 bis postulano presupposti diversi, né pertanto si potrebbe concludere per un’irragionevole disparità di trattamento, dato che sono diverse le fattispecie di partenza.

Né, infine, può invocarsi quale precedente favorevole alla tesi della R. l’ordinanza 14671/2018, dato che questa si è pronunciata nel caso in cui la ricorrente voleva avvalersi dell’inefficacia L. Fall., ex art. 168, comma 3, in relazione ad ipoteca giudiziale, considerandosi la seconda domanda di concordato(depositata nella vigenza della L. Fall., art. 168, comma 3), ma avendo riguardo alla decorrenza del termine di novanta giorni a far data dalla prima domanda di concordato: e correttamente detta pronuncia ha ritenuto che nel caso era del tutto incongruo il riferimento al principio della consecuzione delle procedure, dato che si dibatteva della relazione tra due distinte domande di concordato, prescindendosi dalla dichiarazione di fallimento.

Conclusivamente, va respinto il ricorso, enunciandosi il seguente principio di diritto:

“Il disposto di cui alla L. Fall., art. 168, comma 3, secondo cui sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, si applica, in forza del principio della consecuzione delle procedure, anche nel caso in cui al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, ed a valere anche nei confronti dei creditori successivi, anteriori alla sentenza di fallimento”.

Attesa la novità della questione, si reputa di compensare tra le parti le spese.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2019

Cass_civ_Sez_I_Ord_05_03_2019_n_6381




Gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento devono ritenersi inefficaci ex art. 44 L. Fall.

Gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento devono ritenersi inefficaci ex art. 44 L. Fall.

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6375 del 05/03/2019

Con ordinanza del 5 marzo 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che le norme della legge fallimentare sono applicabili anche ai conti correnti postali, in virtù della espressa previsione di cui all’art. 24 D.P.R. n. 156 del 1973, non derogata dal successivo art. 82, con la conseguenza che devono ritenersi inefficaci ex art. 44 L. Fall., gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento, senza che sia necessaria la sua notificazione a Poste Italiane S.p.A., posto che la disciplina prevista dall’art. 17 L. Fall. fonda la sussistenza di una presunzione generale di conoscenza della pronuncia che dichiara aperta la procedura concorsuale.

 

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6375 del 05/03/2019

Gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento devono ritenersi inefficaci ex art. 44 L. Fall.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

P. S.p.a. – ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.a.s. di A., e A. in proprio – controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del __ dal Cons. Dott. __;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha chiesto che Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.

Svolgimento del processo

  1. La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto da P. S.p.A. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Frosinone aveva accolto la domanda della curatela del Fallimento di (OMISSIS) S.a.s. di A., nonché di A. in proprio, per la restituzione della somma di Lire __ (corrispondenti a Euro __) indebitamente prelevata dal B. nonostante l’intervenuto fallimento in data __.
  2. Avverso detta sentenza P. S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, corredato da memoria difensiva, cui la curatela intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

  1. Occorre preliminarmente dare atto dell’infondatezza dell’eccezione di “inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 365, 366, 75 e 83 c.p.c.”, sollevata dalla controricorrente per mancata produzione dell’atto notarile rep. (OMISSIS), racc. (OMISSIS) del __ con cui l’avv. __ è stato nominato procuratore speciale di P. S.p.A., con il potere di conferire procura ad litem ai difensori dell’ente; con la memoria ex art. 380-bis c.p.c., infatti, parte ricorrente ha dimostrato di aver provveduto al deposito e alla notifica di detta procura notarile, ai sensi dell’art. 372 c.p.c.
  2. Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo si lamenta la “Falsa applicazione di legge con riferimento del D.P.R. n. 156 del 1973, artt. 24, 102 e art. 142, comma 2, D.P.R. n. 256 del 1989, artt. 11 e 82, nonché del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 42 e 78, in relazione alla prevalenza della normativa speciale”.
  3. Il secondo prospetta analogamente la “Falsa applicazione di legge con riferimento del D.P.R. n. 156 del 1973, artt. 24, 102 e art. 142, comma 2, D.P.R. n. 256 del 1989, artt. 11 e 82, nonché del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 42 e 78, attesa la mancata notifica del fallimento all’ufficio detentore del conto e conseguente infondatezza della pretesa restitutoria nei confronti di Poste”.
  4. Le due censure, che in quanto connesse possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
  5. Con esse la ricorrente sostiene che il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sub valente la normativa speciale in materia di depositi postali rispetto ai principi posti dalla legge fallimentare.

5.1. In particolare, il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 24, comma 3, che fa salva la disciplina fallimentare – dovrebbe applicarsi solo in caso di “Sequestro, pignoramento ed opposizione” (conformemente alla rubrica della norma) aventi ad oggetto somme di pertinenza di un soggetto fallito, non già tout court in caso di fallimento; solo questa interpretazione darebbe senso al D.P.R. 1 giugno 1989, n. 256, art. 82, che prevede la notifica del fallimento del correntista all’ufficio detentore del conto corrente, esonerando in mancanza P. da qualsiasi responsabilità. Ne sarebbe ulteriore riprova del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 142, per cui il rapporto di conto corrente postale può proseguire anche dopo la notifica della sentenza di fallimento, ad istanza del curatore (come avvenuto nel caso concreto). Di conseguenza, la mancata notifica della sentenza di fallimento all’ufficio detentore del conto avrebbe dovuto rendere infondata la pretesa restitutoria nei confronti di P.

5.2. L’assunto è infondato, avendo questa Corte già da tempo chiarito che “Le norme della legge fallimentare sono applicabili anche ai conti correnti postali, in virtù della espressa previsione recata in tal senso dall’art. 24 codice postale (D.P.R. n. 156 del 1973), non derogata dall’art. 82 di detto codice, con la conseguenza che devono ritenersi inefficaci L. Fall. ex art. 44, gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento, senza che sia necessaria la sua notificazione alla Poste Italiane S.p.a., dato che la disciplina prevista dalla L. Fall. art. 17, fonda la sussistenza di una presunzione generale di conoscenza della pronuncia che dichiara aperta la procedura concorsuale” (Sez. 1, 29/03/2005 n. 6624).

5.3. Inoltre, come argomentato dal Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte, “la possibilità di prosecuzione del rapporto di conto corrente in capo agli organi della procedura o, alternativamente, la sua risoluzione, al momento della notificazione della sentenza di fallimento, non rilevano ai fini della problematica in questione, che trova la sua disciplina unicamente nella L. Fall. art. 44”.

  1. Con il terzo ed ultimo mezzo si lamenta la “Violazione o falsa applicazione della L. Fall. art. 42 e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con riguardo alla mancata esclusione dalla massa fallimentare dei canoni ricevuti da A. per i proventi del servizio pubblico di lampade votive svolto dietro concessione del Comune di __; proventi che non rientrerebbero nel patrimonio del fallito ma sarebbero di spettanza esclusiva del Comune di __.

6.1. La censura è inammissibile per genericità, in quanto, come puntualmente rilevato dal Pubblico Ministero, “non consente di comprendere in base a quali elementi tali somme affluite sul conto corrente del fallito non rappresenterebbero proventi della sua attività, ma sarebbero, invece, di spettanza esclusiva di terzi. Non è chiaro, poi, quale sarebbe il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso da parte della Corte territoriale. Con riferimento alla esclusione dalla sanzione di inefficacia dei proventi di nuova attività intrapresa dal fallito, è a dirsi che non è chiaro di quale nuova attività si tratti, difettando il ricorso, anche con riferimento a tale circostanza, di autosufficienza. Difetto di autosufficienza che si ravvisa anche nell’ultima parte del motivo, concernente le spese di tenuta del conto, ove sì fa riferimento generico – contrariamente all’avviso espresso dalla Corte territoriale – alla tempestività dell’eccezione formulata in proposito dalla ricorrente”.

  1. Al rigetto del ricorso segue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro __ per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15%, esborsi liquidati in Euro __ ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2019

Cass_civ_Sez_I_Ord_05_03_2019_n_6375




Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione

Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6377 del 05/03/2019

Con ordinanza del 05 marzo 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione e può estendersi all’accertamento della sua personale responsabilità nel compimento di atti pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest’ultimo caso le contestazioni rivolte al conto debbono essere dotate di concretezza e specificità, non potendo consistere in un’enunciazione astratta delle attività cui il curatore si sarebbe dovuto attenere, ma piuttosto indicare puntualmente gli atti di “mala gestio” posti in essere, nonché le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate, così da consentire la corretta individuazione della materia del contendere e l’efficace esplicazione del suo diritto di difesa.

 

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6377 del 05/03/2019

Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

D. – ricorrente –

contro

Curatela Fallimento (OMISSIS) S.n.c. – intimata –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal Cons. Dott. __;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha chiesto che Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.

Svolgimento del processo

  1. La Corte di Appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza con cui il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato non approvato il rendiconto della gestione presentato da D., quale curatore del Fallimento (OMISSIS) S.n.c., e lo aveva altresì condannato al risarcimento dei danni cagionati alla massa dei creditori, quantificati in Euro __ oltre rivalutazione e interessi dal __ al soddisfo, somma ridotta ad Euro __ in accoglimento di alcuni dei motivi dell’appello principale proposto dal curatore, con rigetto dell’appello incidentale proposto dalla curatela.
  2. Avverso detta decisione D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

III. La curatela intimata non ha svolto difese.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la “violazione e falsa applicazione della L. Fall. artt. 38 e 116, artt. 50 bis e 163c.p.c. e segg., art. 48 ord. giud. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, per non avere il Giudice delegato provveduto a rimettere la causa sull’approvazione del rendiconto davanti al collegio, ex art. 189 c.p.c., come previsto dalla L. Fall. art. 116, nel testo vigente ratione temporis.

1.1. Il motivo, articolato in due profili, risulta per certi versi inammissibile e per altri infondato.

1.2. In primo luogo, la censura motivazionale è radicalmente inammissibile perché formulata secondo il paradigma precedente alle modifiche apportate all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che consente ora la denunzia per cassazione dei soli vizi motivazionali relativi “all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, con conseguente onere del ricorrente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di “indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U, 07/04/2014 n. 8053; conf. Sez. 1, 23/02/2017 n. 7472; Sez. 6-3, 10/08/2017 n. 19887). In altri termini, per le sentenze d’appello pubblicate – come quella in esame – dopo l’11 settembre 2012, non è più denunziabile il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, avendo la nuova disposizione attribuito rilievo “solo all’omesso esame di un determinato e ben individuato fatto storico decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti” (Sez. U, 23/01/2015 n. 1241; conf. ex plurimis, Cass. n. 13928 del 2015 e n. 19761 del 2016).

1.3. Anche il prospettato error in procedendo presenta profili di inammissibilità, poiché difetta di specificità con riguardo al contestato svolgimento dell’iter processuale (come in ordine all’asserito difetto di autorizzazione del nuovo curatore al promovimento dell’azione di responsabilità nei confronti di quello revocato, la cui esistenza si assume addirittura “falsamente rappresentata” nella sentenza impugnata).

1.4. In ogni caso, per quanto è dato ricostruire dagli atti – e tenuto conto che si tratta di fattispecie soggetta alla L. Fall. art. 116, vigente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006 (il cui u.c. recitava: “Se all’udienza stabilita non sorgono contestazioni o su queste viene raggiunto un accordo, il giudice approva il conto; altrimenti provvede a norma dell’art. 189 c.p.c., fissando l’udienza innanzi al collegio non oltre i venti giorni successivi”) – non si ravvisano le prospettate violazioni di legge.

1.5. In primo luogo, con riguardo alle funzioni istruttorie svolte dal giudice delegato, questa Corte non solo ha ritenuto illo tempore “manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 25 Cost. – L. Fall. art. 116, u.c., che consente al giudice delegato, in deroga alle Disposizioni generali sulla designazione del giudice istruttore, di assumere ipso iure la veste di giudice istruttore nel giudizio contenzioso, che si instaura a seguito della mancata approvazione del conto presentato dal curatore” (Sez. 1, 07/02/1970 n. 289), ma ha anche precisato che, “insorte contestazioni sul conto della gestione presentato dal curatore del fallimento, il giudice delegato, rimettendo le parti davanti al collegio, apre nella procedura fallimentare una fase contenziosa, nella quale assume la veste di giudice istruttore” (Sez. 1, 15/03/1975 n. 1009).

1.6. Da tempo questa Corte ha altresì chiarito che, “al di là della sua strutturazione formale e della fase in cui si trova” (Sez. 1, 28/03/2000 n. 3696), “il giudizio che si instaura, ai sensi della L. Fall. art. 116, in caso di mancata approvazione del rendiconto di gestione del curatore, può avere legittimamente ad oggetto non soltanto gli errori materiali, le omissioni ed i criteri di conteggio adottati, ma anche l’accertamento delle responsabilità del curatore medesimo, ai sensi dell’art. 38, comma 2, stessa Legge; ma l’esercizio di tale azione non costituisce un effetto normale ed automatico della mancata approvazione del conto, né implica deroghe alle regole sul procedimento stabilite per il giudizio di cognizione ordinario. Ne consegue che, all’esito della revoca del precedente curatore, e per effetto della mancata approvazione del conto da questi presentato al giudice delegato, ben può il nuovo curatore instare, in seno al procedimento ex art. 116 Legge citata, per l’azione di responsabilità ex art. 38, ma ha l’onere di notificare tale domanda al precedente curatore ove questi non abbia provveduto a costituirsi ritualmente, una volta apertasi la fase contenziosa” (Sez. 1, 05/10/2000 n. 13274; conf. Sez. 1, 20/12/2002 n. 18144). E ciò “per l’intima correlazione che corre tra i due procedimenti, potendo la approvazione del conto implicare una positiva valutazione della condotta del curatore, suscettibile di incidere nel giudizio di responsabilità. Se infatti è vero che l’approvazione non esclude quest’ultima azione, allo stesso modo in cui l’esercizio di essa non impedisce tale approvazione, è altrettanto vero che, laddove essa manchi, il giudizio che ne consegue può avere ad oggetto oltre agli errori materiali, alle omissioni ed ai criteri di conteggio, anche il controllo della gestione e l’accertamento delle personali responsabilità, per il compimento o per la omissione di atti che abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti dei singoli creditori” (Sez. 1, 29/11/2004 n. 22472; cfr. Cass. n. 547 del 2000; n. 10028 del 1997; n. 277 del 1985; n. 1339 del 1974; n. 1132 del 1968; n. 4430 del 1957; n. 1229 del 1954).

1.7. Tale orientamento si è progressivamente consolidato, sul rilievo che “il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto, oltre alla verifica contabile, anche l’effettivo controllo di gestione e può estendersi all’accertamento della personale responsabilità nel compimento di atti pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest’ultimo caso il diniego di approvazione deve essere preceduto dal concreto riscontro di tutti i requisiti di riconoscimento della responsabilità, incluso il pregiudizio eventualmente cagionato alla massa o ad uno dei creditori” (Sez. 1, 10/09/2007 n. 18940), anche se “non occorre che già in tale giudizio sia fornita la prova del danno effettivamente concretizzatosi a seguito della mala gestio del curatore” (Sez. 1, 13/06/2008 n. 16019), fermo restando che le contestazioni rivolte al rendimento del conto di gestione “debbono a loro volta essere dotate di concretezza e specificità, non potendo consistere in un’enunciazione astratta delle attività cui il curatore si sarebbe dovuto attenere, ma piuttosto indicare puntualmente le vicende ed i comportamenti in relazione ai quali il soggetto legittimato imputa al curatore di essere venuto meno ai propri doveri, nonché le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate, così da consentire la corretta individuazione della materia del contendere e l’efficace esplicazione del diritto di difesa del curatore cui gli addebiti siano rivolti” (Sez. 1, 21/10/2010, n. 21653) ed altresì che all’esito è “necessario rimettere le parti ex art. 189 c.p.c., avanti al collegio, cui solo compete pronunciare in sede contenziosa” (Sez. 1, 06/08/2010 n. 18436); come appunto risulta essere avvenuto nel caso di specie, con conseguente attrazione alla competenza collegiale anche della decisione sulla domanda risarcitoria da mala gestio, per ragioni di connessione, come puntualmente rilevato dal Pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte.

1.8. Infine, quanto ai rapporti tra i due giudizi in questione, è stato precisato che essi ben possono procedere in via autonoma e distinta, mancando una relazione di pregiudizialità logico-giuridica ex art. 295 c.p.c., sicché “l’eventuale sentenza di approvazione del rendiconto non preclude uno specifico ed autonomo accertamento da parte del giudice investito dell’azione di responsabilità” (Sez. 6-1 14/01/2016 n. 529); in altri termini, “l’approvazione del rendiconto non ha effetto preclusivo di detta azione, che ha la sua sede naturale, ma non esclusiva, nel giudizio di rendiconto” (Sez. 1, 08/09/2011 n. 18438).

1.9. Va da ultimo osservato che nella fattispecie concreta non si pongono i dubbi sollevati a seguito della riforma di cui al citato D.Lgs. n. 5 del 2006, che ha trasformato il giudizio di rendiconto dinanzi al tribunale da contenzioso a camerale, creando così una divaricazione di forme processuali rispetto al giudizio di cognizione ordinaria cui continua ad essere soggetto il giudizio di responsabilità a carico del curatore L. Fall. ex art. 38 (per quanto in ipotesi esso stesso trattabile nelle forme del procedimento sommario di cognizione introdotto con l’art. 702-bis c.p.c.), dubbi da risolvere anche tenendo conto del principio di celerità delle procedure concorsuali e di economia dei giudizi.

  1. Il secondo motivo di ricorso, anch’esso duplice, prospetta invece la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2697 c.c., artt. 113, 115 c.p.c. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

2.1. La censura è palesemente inammissibile, sia per le ragioni già esposte sub 1.2. quanto al vizio motivazionale, sia perché le prospettate violazioni di legge veicolano in realtà censure di merito che, in quanto volte ad ottenere una rivisitazione (e differente ricostruzione) delle risultanze istruttorie, non sono ammesse in sede di legittimità, spettando al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 19547 del 2017, n. 962 del 2015, n. 26860 del 2014). Anche l’error in iudicando per violazione dell’art. 115 c.p.c., non risulta correttamente prospettato poiché dagli atti non emerge alcuna violazione del principio dispositivo, mentre il principio del libero convincimento del giudice opera sul piano dell’apprezzamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 3, 12/10/2017 n. 23940).

  1. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile senza necessità di statuizione sulle spese, in mancanza di difese della parte intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2019

Cass_civ_Sez_I_Ord_ 05_03_2019_n_6377




Nell’opposizione allo stato passivo, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c. che sia stato opposto con giudizio cancellato dal ruolo per inattività delle parti e non riassunto, non è opponibile alla massa fallimentare

Nell’opposizione allo stato passivo, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c. che sia stato opposto con giudizio cancellato dal ruolo per inattività delle parti e non riassunto, non è opponibile alla massa fallimentare

Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 5657 del 26/02/2019

Con sentenza del 26 febbraio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nell’opposizione allo stato passivo, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c. che sia stato opposto con giudizio cancellato dal ruolo per inattività delle parti e non riassunto, non è opponibile alla massa fallimentare, laddove il giudizio di opposizione sia iniziato prima dell’entrata in vigore, il 25 giugno 2008, ex art. 50 del d.l. n. 118 del 2008, convertito nella l. n. 133 del 2008, del nuovo testo dell’art. 181, primo comma c.p.c. alla luce del quale l’estinzione del giudizio in caso di inattività delle parti può essere pronunciata d’ufficio. Ne consegue che, in difetto di una esplicita pronuncia di estinzione divenuta inoppugnabile, richiesta secondo la formulazione della norma applicabile ratione temporis, il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà ex art.647 c.p.c. non può considerarsi passato in cosa giudicata formale e sostanziale e pertanto non è opponibile al fallimento.

 

Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 5657 del 26/02/2019

Nell’opposizione allo stato passivo, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c. che sia stato opposto con giudizio cancellato dal ruolo per inattività delle parti e non riassunto, non è opponibile alla massa fallimentare

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __- rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

B.- ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ORISTANO del __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Cons. Dott. __;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

  1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Oristano ha respinto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. proposta da B. ai fini dell’ammissione in via privilegiata del credito di Euro __ per “competenze discendenti dal rapporto di lavoro intercorso con la fallita”, portato da decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso dal giudice del lavoro del Tribunale di Oristano, cui era seguita una causa di opposizione cancellata dal ruolo per inattività delle parti in data __.
  2. Secondo il Tribunale, la mancanza di un’espressa dichiarazione di estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe stata impeditiva del giudicato, con conseguente difetto di un valido titolo per l’insinuazione al passivo fallimentare.
  3. Nel merito, il Tribunale ha ritenuto comunque mancante la prova del credito, non evincibile dalle scritture contabili della società fallita, in quanto costituenti idonea prova ai sensi dell’art. 2709 c.c., solo nei rapporti tra le parti e non anche nei confronti dei terzi, tra i quali rientra la figura del curatore fallimentare.
  4. Avverso tale pronuncia B. ha proposto due motivi di ricorso per cassazione. La curatela intimata non ha svolto difese.
  5. Con ordinanza interlocutoria n. __ del __ la Sezione Sesta – Prima di questa Corte ha disposto rinvio alla pubblica udienza.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo è stata dedotta la “Violazione della L. Fall., art. 95, comma 3 e della L. Fall., art. 89” per avere il Tribunale trascurato che il curatore si era limitato ad eccepire l’inopponibilità del decreto ingiuntivo, senza contestare an e quantum del credito di lavoro insinuato, per di più disattendendo l’istanza di esibizione delle relative scritture contabili.

1.1. La censura è infondata poiché, gravando sul creditore l’onere della prova dei fatti costitutivi del credito, questi, a fronte della eccezione di inopponibilità del decreto ingiuntivo sollevata dal curatore, avrebbe dovuto dimostrare con altri mezzi l’esistenza e la consistenza del credito.

1.2. Al riguardo, correttamente il Tribunale ha escluso l’utilizzabilità delle scritture contabili della società fallita, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte per cui “al curatore fallimentare, che agisca non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito ma nella sua funzione di gestione del patrimonio di costui, non è opponibile l’efficacia probatoria tra imprenditori, di cui agli artt. 2709 e 2710 c.c., delle scritture contabili regolarmente tenute, senza che tale inopponibilità, in sede di accertamento del passivo, resti preclusa ove non eccepita, trattandosi di eccezione in senso lato – e, dunque, rilevabile d’ufficio in caso di inerzia del curatore – poiché non si riconnette ad una azione necessaria dell’organo ma al regime dell’accertamento del passivo in sé, nel cui ambito il curatore, quale rappresentante della massa dei creditori, si pone in posizione di terzietà rispetto all’imprenditore fallito” (Sez. 1, 07/07/2015 n. 14054, Rv. 635932-01; in termini v. anche Sez. U, 20/02/2013 n. 4213, Rv. 625117-01, nel senso che il curatore non può essere annoverato tra i soggetti considerati dall’art. 2710 c.c., norma “operante soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa”).

1.3. Inoltre, a pag. 3 del decreto si legge che, anche a voler considerare dette scritture contabili “quali elementi indiziari in ordine all’esistenza del credito”, nel caso di specie sarebbero comunque mancate “istanze e allegazioni specifiche”, non avendo parte opponente “nemmeno indicato le scritture contabili dalle quali risulterebbe l’esistenza del proprio credito”.

  1. Il secondo mezzo prospetta la “Violazione della L. Fall., art. 96, comma 2, L. Fall., art. 3, art. 307 c.p.c., artt. 641, 642, 647 c.p.c.” per non avere il Tribunale considerato “che il decreto ingiuntivo de quo, verso il quale non era più proseguibile il giudizio di opposizione non riassunto nei termini dopo la cancellazione, è in tutto assimilabile ad una pronuncia passata in giudicato” – in quanto divenuto definitivo senza che fosse necessaria la declaratoria di esecutività ex art. 647 c.p.c., essendo esso già provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c. – ovvero “al più (in linea subordinata) esso potrebbe essere ritenuto quale provvedimento equipollente a sentenza con effetti ex art. 96”.

2.1. Anche questa censura è infondata, poiché, trattandosi di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo iniziato prima del 25 giugno 2008, ad esso non risultano applicabili l’art. 181 c.p.c., comma 1 e art. 307 c.p.c., comma 4, come modificati – rispettivamente dal D.L. n. 112 del 2008, convertito dalla L. n. 133 del 2008 (applicabile appunto ai giudizi instaurati successivamente a quella data) e dalla L. n. 69 del 2009 (applicabile ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009), con la conseguenza che l’estinzione non poteva operare d’ufficio, ma era necessaria la relativa pronunzia con apposita ordinanza; né risulta dagli atti che l’opponente avesse fatto istanza di esecutorietà ex art. 654 c.p.c., comma 1, sicché il titolo azionato in sede di verifica era semplicemente un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c., come tale effettivamente inopponibile al fallimento.

2.2. Tale conclusione è conforme ai principi elaborati in materia da questa Corte, la quale in particolare ha affermato che: 1) “qualora l’estinzione del processo di opposizione avverso il decreto ingiuntivo, ancorché verificatasi ope legis, non possa essere dichiarata con ordinanza resa a norma dell’art. 653 c.p.c., comma 1, come si verifica nell’ipotesi di cancellazione dal ruolo della relativa causa e di estinzione per mancata riassunzione nel termine perentorio di un anno, alla parte che ha richiesto ed ottenuto il provvedimento monitorio deve riconoscersi la facoltà di far valere la suddetta estinzione mediante istanza di declaratoria di esecutorietà dell’ingiunzione, rivolta, ai sensi dell’art. 654 c.p.c., comma 1, allo stesso giudice che ha emesso l’ingiunzione” (Sez. 3, 23/05/1986 n. 3465); 2) “il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale, idoneo a costituire titolo inoppugnabile per l’ammissione al passivo, solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la ritualità della notificazione, lo dichiari, in mancanza di opposizione o di costituzione dell’opponente, esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c., laddove, in caso di opposizione, come si evince dal coordinato disposto degli artt. 653 e 308 c.p.c., basta che il relativo giudizio si sia estinto e che, al momento della sentenza di fallimento, sia decorso il termine di dieci giorni per proporre reclamo avverso l’ordinanza di estinzione” (Sez. 6-1, 29/02/2016 n. 3987); 3) “il decreto ingiuntivo che sia stato opposto dal debitore poi fallito è opponibile alla massa fallimentare, a condizione che sia stata pronunciata sentenza di rigetto dell’opposizione ovvero ordinanza di estinzione, divenute non più impugnabili – per decorso del relativo termine – prima della dichiarazione di fallimento, restando irrilevante che con i detti provvedimenti sia stata dichiarata l’esecutorietà del decreto monitorio, ex art. 653 c.p.c., ovvero sia stato pronunciato, prima dell’apertura del concorso tra i creditori, il decreto di esecutività di cui all’art. 654 c.p.c.” (Sez. 1, 20/04/2018 n. 9933).

  1. Il ricorso va dunque rigettato, senza necessità di statuizione sulle spese, in mancanza di difese della parte intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2019

Cass_civ_Sez_I_Sent_n_5657del_26_02_2019




L’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo patrimoniale, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari

L’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo patrimoniale, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 7497 del 15/03/2019

Con sentenza del 15 marzo 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, sicché l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero, nell’ipotesi contraria, purché il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata.

 

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 7497 del 15/03/2019

L’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo patrimoniale, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

R. – ricorrente –

contro

E. S.p.A. – controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal cons. __.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

RITENUTO CHE:

La Corte di appello di Bari con la sentenza in epigrafe indicata ha confermato la prima decisione che aveva respinto la domanda proposta da R. nei confronti della S.SPA (ora E. SPA), volta ad ottenere la cancellazione dell’ipoteca iscritta da quest’ultima a cautela di un debito tributario ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, su immobili di proprietà della predetta, costituiti in fondo patrimoniale ai sensi dell’art. 167 c.c., perché effettuata – detta iscrizione – in violazione dell’art. 170 c.c.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che R. – cui incombeva l’onere probatorio – non avesse dimostrato – con specifico riferimento alla causale del tributo – che i tributi inadempiuti, dovuti sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), fossero da ascrivere a scopi estranei ai bisogni della famiglia, né tanto meno che l’esattore ne fosse consapevole.

R. ricorre per cassazione con due mezzi corredati da memoria; E. SPA replica con controricorso.

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c.

CONSIDERATO CHE:

  1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 170 c.c.
  2. Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per vizio di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c.; per omessa e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e per omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia respinto l’appello sul presupposto del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte di R., pur essendo pacifica e conosciuta dal creditore E. la natura del tributo (IRPEF); sostiene, inoltre, che il prelievo fiscale è sempre in contrasto con l’interesse della famiglia incidendo negativamente sulla ricchezza familiare.

  1. I motivi possono trattarsi congiuntamente per evidente connessione e vanno disattesi.

I giudici di merito hanno correttamente applicato i principi di questa Corte che ha rilevato che l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, sicché l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero – nell’ipotesi contraria – purché il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata (Cass. nn. 23876 del 23/11/2015, 1652 del 29/01/2016, 22761 del 09/11/2016, Cass. sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20998 del 23/08/2018).

Pertanto è vero che l’ipoteca non è un atto di espropriazione forzata o atto esecutivo vero e proprio, rappresentando un atto preordinato e strumentale all’espropriazione immobiliare, tuttavia appare corretto ritenere in via interpretativa che l’ambito di applicazione del citato art. 170 c.c., possa essere esteso anche all’iscrizione ipotecaria secondo la giurisprudenza di questa Corte che così ha ritenuto in casi analoghi in cui ha escluso la possibilità di iscrivere ipoteca su beni costituiti in fondo patrimoniale solo se derivante da debiti estranei alle esigenze familiari.

Pertanto ritenuto che l’iscrizione ipotecaria possa essere ricondotta al novero degli atti ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 170 c.c., latamente inteso, poiché, con accertamento di merito, la Corte territoriale ha ritenuto che non vi era prova che il debito fosse sorto per soddisfare bisogni estranei della famiglia (fol. 5 della sent. imp.), appare corretta l’applicazione della norma compiuta dai giudici di merito.

Quanto al vizio motivazionale, la ricorrente sostiene una sua personale ed apodittica valutazione delle emergenze istruttorie riconnessa sostanzialmente all’elevato importo del debito tributario, a suo dire inconciliabile con le esigenze familiari, tuttavia tale censura non coglie nel segno in quanto non attinge la statuizione impugnata fondata sul fatto che la prova, gravante sulla ricorrente, doveva riguardare la circostanza che il debito fosse stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa, e non indica sulla scorta di quali elementi di fatto ciò avrebbe dovuto o potuto desumersi.

  1. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna R. alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro __, oltre ad Euro __ per esborsi, alle spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed agli accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2018

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2019

Cass_Civ_Sez_I_Ord_15_03_2019_n_7497




A fronte di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio, unico legittimato a proporre l’opposizione è il condominio in persona dell’amministratore

A fronte di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio, unico legittimato a proporre l’opposizione è il condominio in persona dell’amministratore

Corte d’Appello di Milano, Sezione III Civile, Sentenza del 22/01/2019

Con sentenza del 22 gennaio 2019, la Corte d’Appello di Milano, Sezione III Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che a fronte di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio, unico legittimato a proporre l’opposizione ex art. 645 c.p.c. è proprio il condominio in persona dell’amministratore.

 

Corte d’Appello di Milano, Sezione III Civile, Sentenza del 22/01/2019

A fronte di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio, unico legittimato a proporre l’opposizione è il condominio in persona dell’amministratore

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

SEZIONE III CIVILE

In persona dei Magistrati

Dott. __ – Presidente rel. est.

Dott. __ – Consigliere

Dott. __ – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civili in grado di appello iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa con atto di citazione notificato il __

DA

CONDOMINIO (omissis) – APPELLANTE

CONTRO

P. S.r.l. – APPELLATA

OGGETTO: somministrazione di servizi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. – Con sentenza n. __, resa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c. in data __, il G.U. del Tribunale di Milano, definitivamente decidendo sull’opposizione proposta dal Condominio avverso il decreto ingiuntivo n. __, emesso nei suoi confronti dallo stesso Tribunale per il pagamento in favore della P. S.r.l. della somma di Euro __ (oltre interessi legali di mora e spese) a titolo di corrispettivo per la fornitura del “servizio di pulizia scale e rotazione sacchi”, nonché sulla domanda di ripetizione di indebito contestualmente proposta in via riconvenzionale dal Condominio intimato, per l’importo complessivo di Euro __, in relazione ai versamenti effettuati per il servizio anzidetto in favore della P. nel periodo __; ha revocato il provvedimento monitorio di cui innanzi e condannato il Condominio opponente al pagamento in favore della società opposta del minore importo di Euro __ (oltre accessori di legge ed interessi legali di mora dal __ al saldo), nonché alla rifusione in favore della controparte delle spese di lite.

Il giudice di primo grado, premesso che “la ricorrente allegava al ricorso n. 7 rapportini di intervento ed una sola fattura (fatt. n. (…) del 16.06.2015 – di quest’ultima è richiesto solo il minore saldo di Euro __), attestante, a dire della P., i lavori di pulizia e servizi di pattumiera eseguiti a favore del Condominio nel periodo da novembre __ ad aprile __, con indicazione di quanto sarebbe dovuto per ciascuna attività e spesa”, ha così motivato, quanto al merito, la propria decisione: “… Si evidenzia che i sette rapportini di intervento, di provenienza della ricorrente, sono privi di accettazione o sottoscrizione del legale rappresentante del Condominio”.

Con atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, il Condominio citava in giudizio P. sostenendo l’insussistenza del credito perché trattasi di importi superiori a quanto pattuito e comunque, nei limiti delle somme concordate, già pagati dalla committente. Si costituiva la P. eccependo la tardività dell’opposizione e, nel merito, insistendo per il riconoscimento del proprio credito. Con ordinanza del __, che qui si richiama, il giudice rigettava l’eccezione di tardività dell’opposizione, rilevando che l’atto fosse stato consegnato tempestivamente all’Ufficiale giudiziario; rigettava altresì la domanda di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto sia perché non provati i maggiori costi richiesti rispetto agli accordi contrattuali, sia perché la documentazione allegata al ricorso monitorio non è costituita da fatture e da corrispondenti scritture contabili, disattendendo l’art. 634 secondo comma c.p.c., ma solo da rapportini di provenienza unilaterale di parte ricorrente e non sottoscritti per accettazione dalla committente, inidonei, ab origine, a valere come prova scritta per l’emissione del decreto ingiuntivo. Assegnati alle parti i termini ex art. 183, c.6, c.p.c., la sola parte opposta formulava capitoli per la prova orale. Atteso che non è contestato che i lavori di pulizia ed i servizi di pattumiera siano stati correttamente resi, oggetto della prova è l’accordo di un aumento del corrispettivo, il costo di servizi extra rispetto al quantum concordato con il contratto del __ (doc. 1 fasc. monitorio) e quanto sia stato già effettivamente pagato dal Condominio.

Ammesso l’unico capitolo formulato sul punto da P., veniva sentita la testimone indicata e disposto l’interrogatorio formale dell’amministratore del Condominio. La testimone sentita, signora L.A., ha confermato la ricezione della mail dall’amministratore del condominio (doc. 5 fasc. opposta), con la quale egli, a fronte di una richiesta di P. di aumento del corrispettivo di Euro __ + IVA annuali, rispondeva che “andava bene”. A conforto dell’attendibilità della dichiarazione della teste vi è la dichiarazione resa dallo stesso amministratore del Condominio, signor A., che viene elevata a valore di confessione giudiziale, limitatamente al punto in cui, in risposta al cap. 3 della memoria n. 2 di parte opposta, riconosce di sua provenienza la e-mail allegata sub doc. 5 fasc. opposta, contenente la sua accettazione dell’incremento annuo di Euro __ + IVA del costo di fornitura sacchi immondizia. Non si tiene conto delle altre dichiarazioni rese dall’amministratore del Condominio, in quanto trattasi di circostanze favorevoli per lo stesso opponente. Il materiale probatorio con il quale questo giudice può arrivare ad una decisione è costituito, pertanto, dai documenti scritti allegati dalle parti, con particolare riferimento al contratto stipulato (doc. 1 fasc. monitorio), dalla mail di accettazione dell’aumento annuo del corrispettivo (doc. 5 fasc. opposta), dalla deposizione testimoniale e dalla dichiarazione confessoria dell’amministratore circa l’aumento annuo del costo di fornitura sacchi. Con riferimento all’aumento del corrispettivo secondo indici Istat, si evidenzia che il contratto prevede espressamente, in ultima pagina, sottoscritta dal Condominio, l’aumento annuale Istat. La circostanza, pertanto, si considera provata documentalmente. Con riferimento ai mesi in cui le prestazioni non sarebbero state pagate secondo l’assunto dell’opposta (da novembre __ ad aprile __, con un residuo a saldo riferito a giugno __ – fatt. n. (…) – doc. 9 fasc. monitorio), il Condominio non prova, pur avendone l’onere, di aver estinto l’altrui pretesa mediante il pagamento (Sent. Cass. n. 13533/2001). A questo riguardo il documento allegato (senza numero) da parte opponente che attesta l’avvenuto bonifico dal Condominio a P. di Euro __, riguarda il “pagamento fattura n. (…) del 31 agosto 2015”, fattura che non è stata azionata in via monitoria, e pertanto non si tiene conto di tale pagamento. Quanto alla domanda riconvenzionale svolta dal Condominio opponente, circa la restituzione della somma indebita di Euro __, tale richiesta è generica e non viene precisato dal Condominio da dove deriverebbe l’asserito credito e come esso viene calcolato. In ogni caso, la circostanza non è stata provata dalla parte, pur avendone l’onere. Per quanto sopra detto l’opposizione va accolta ed il decreto ingiuntivo deve essere revocato perché emesso in mancanza della prova scritta ex art. 634 c.p.c.

Tuttavia il Condominio deve essere condannato al pagamento a favore di P. di una somma di denaro nei limiti in cui è stata raggiunta la prova del credito. Tale somma è data dall’importo mensile concordato contrattualmente (Euro __ + accessori di legge), moltiplicato per i sei mesi “scoperti” (da novembre __ ad aprile __) pari ad Euro __ + accessori di legge, oltre al costo mensile del servizio pattumiera (Euro __ + accessori di legge) sempre moltiplicato per i sei mesi, pari ad Euro __ + accessori di legge, oltre al saldo di Euro __ di cui alla fattura n. (…), oltre all’aumento annuo di cui alla e-mail diviso a metà (sei mesi) pari ad Euro __ + accessori di legge. Il totale di quanto sopra è di Euro __ oltre accessori di legge. Gli interessi legali decorreranno dalla data di messa in mora del Condominio (PEC avv. __ del __).

  1. – Avverso la suddetta sentenza ha proposto tempestivamente appello il Condominio, con atto di citazione notificato il __, assumendone la erroneità nella parti concernenti: 1) “… i mesi richiesti in pagamento” da parte della P., giacché “il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere il corrispettivo e di conseguenza anche l’incremento annuo di Euro __ + IVA per i mesi richiesti nel ricorso per decreto ingiuntivo e nel giudizio di primo grado, che sono cinque e non sei (novembre e dicembre __, febbraio, marzo ed aprile _-)”; 2) il “pagamento di Euro __ per il mese di novembre __, giacché il primo giudice avrebbe dovuto dedurre tale importo dal debito complessivo accertato”, visto che, contrariamente a quanto dal medesimo affermato, la fattura n. (…), cui si riferiva il pagamento in questione (eseguito a mezzo bonifico bancario) “riguarda il rapporto di intervento n. __”, allegato al ricorso monitorio di P.; 3) il mancato accoglimento della “domanda riconvenzionale” svolta da esso Condominio, “in relazione a quei servizi esposti nelle fatture in aggiunta al mensile concordato, … tuttavia… ricompresi in tale corrispettivo mensile”, per un totale di Euro __ (specificamente per le voci “servizio rotazione sacchi in giorni festivi”, “servizio spalatura neve”, “fornitura di sale in caso di neve” e “liberazione delle canne di caduta”.
  2. – L’appellata, costituitasi in giudizio con comparsa datata __, ha contestato la fondatezza dell’appello ex adverso proposto, eccependone peraltro pregiudizialmente la nullità “per difetto dello jus postulandi, stante l’assenza di autorizzazione assembleare a radicare il presente giudizio”.
  3. – All’udienza del __, precisate come in epigrafe le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
  4. – L’eccezione di difetto di legittimazione processuale dell’amministratore del Condominio appellante (e, quindi, di nullità dell’atto di appello “per difetto dello jus postulandi stante l’assenza di autorizzazione assembleare a radicare il presente giudizio”, sollevata dalla P. S.r.l., è infondata.

Ed invero, premesso che nella specie, trattandosi di decreto ingiuntivo emesso nei confronti del Condominio, unico legittimato a proporre l’opposizione ex art. 645 c.p.c. era appunto il Condominio in persona dell’amministratore (v. Cass. 15567/2018), e che rientra tra le attribuzioni di quest’ultimo “erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni” (art. 1130, n. 3, c.c.); deve osservarsi che “l’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, può proporre opposizione a decreto ingiuntivo, nonché impugnare la decisione del giudice di primo grado, per tutte le controversie che rientrino nell’ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un’obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ovvero per dare esecuzione a delibere assembleari, erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o l’esercizio dei servizi condominiali” (v. Cass. 16260/2016. V. anche Cass. 12622/2010, nel senso che l’amministratore è legittimato a proporre opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio, senza necessità di autorizzazione assembleare, stante la posizione di convenuto assunta dall’intimato/opponente nel giudizio ex art. 645 c.p.c. e considerato che la legittimazione passiva dell’amministratore pro tempore del condominio, prevista dall’art. 1131, 2 comma, c.c., ha portata generale, in quanto estesa ad ogni interesse condominiale).

Non può validamente dubitarsi, dunque, che l’amministratore pro tempore del Condominio fosse autonomamente legittimato, senza bisogno di autorizzazione dell’assemblea, sia a proporre opposizione avverso il provvedimento monitorio in questione, sia ad impugnare la sentenza di primo grado, ove sfavorevole al Condominio.

Diversamente, per quel che concerne la domanda di ripetizione di indebito svolta in via riconvenzionale dal Condominio, si osserva che per principio acquisito, discendente direttamente dalla formulazione dell’art. 1131 c.c., l’amministratore è legittimato ad agire autonomamente in giudizio in rappresentanza del condominio, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare, esclusivamente “nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea”. Tuttavia, in caso di azione non rientrante nelle sue attribuzioni (sostanziali), il difetto di rappresentanza processuale dell’amministratore, determinato dalla mancanza della preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini, può essere sanato, in qualsiasi fase e grado del giudizio, con effetti ex tunc, da una delibera assembleare che ratifichi il suo operato (v. Cass. 12525/2018, Cass. 27236/2017); con la precisazione, peraltro, che tale ratifica opera “soltanto per la rispettiva fase del procedimento” cui si riferisce, e non può quindi sanare la mancanza della relativa autorizzazione assembleare per i precedenti gradi del giudizio (v. Cass. 15838/2012).

Orbene, nella specie, se appare evidente che la domanda di ripetizione di indebito proposta dall’amministratore del Condominio qui appellante non rientra in alcuna delle attribuzioni elencate dall’art. 1130 c.c., e che quindi per la sua proposizione l’amministratore avrebbe dovuto premunirsi di apposita autorizzazione dell’assemblea dei condomini; a sanare utilmente tale mancanza è intervenuta la delibera di ratifica (dell’operato dell’amministratore, sia con riferimento all’opposizione al decreto ingiuntivo n. __, sia con riferimento alla proposizione del presente appello) adottata dall’assemblea condominiale del __, il cui verbale è stato tempestivamente (al contrario di quanto eccepito da controparte) prodotto dal procuratore dell’appellante all’udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 350 c.p.c. del __, in risposta alla eccezione al riguardo sollevata, per la prima volta, dall’appellata con la sua comparsa di costituzione in appello.

  1. – Passando al merito della controversia; i primi due motivi di appello svolti dal Condominio sono fondati, alla stregua della documentazione in atti.

Ed invero, premesso che la P. non ha impugnato (facendo quindi ad essa acquiescenza) la decisione del giudice di prime cure, il quale ha accolto la sua domanda per il minore importo (rispetto a quello portato dal decreto ingiuntivo opposto) di “Euro __ oltre accessori di legge” (oltre agli interessi legali di mora dal __ al saldo), determinando nella misura complessiva di Euro __ il corrispettivo mensile dovuto a P. dal Condominio (Euro __ quale “importo concordato” + Euro __ per “servizio pattumiera” + 1/6 di Euro __ pari ad Euro __, per “aumento… di cui alla e-mail” di cui al doc. 5 fasc. opposta) ed escludendo la sussistenza per il resto del credito dalla prima fatto valere, salvo per l’importo di Euro __ di cui alla fattura n. (…); si osserva:

  1. a) quanto al primo dei detti motivi di censura, che effettivamente il giudice di prime cure ha errato nel moltiplicare l’anzidetto corrispettivo per “6 mesi ‘scoperti” (“da novembre __ ad aprile __”), giacché, come risulta chiaramente dagli atti di causa, e segnatamente dal ricorso monitorio e dalla documentazione prodotta dalle parti, la domanda di P. riguardava soltanto _ mesi, e cioè novembre e dicembre __ e febbraio, marzo ed aprile __ (la fattura relativa al gennaio __ rapporto di intervento n. __ del __ risulta infatti azionata solo per l’importo di Euro __, riferibile ad una “voce” non riconosciuta dal primo giudice). Dalla somma liquidata dal Tribunale a P. deve essere, quindi, detratto l’importo di Euro __ oltre accessori di legge, relativo alla mensilità di gennaio __, in quanto attribuito dal giudice in violazione dell’art. 112 c.p.c.;
  2. b) quanto al secondo motivo, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, risulta documentalmente che la “fattura n. (…) del __” (per l’importo di Euro __ + Iva: doc. 46 fasc. I grado appellante), cui si riferisce – con specifica imputazione fatta dall’ordinante Condominio – il bonifico del __ di cui al doc. 48 fasc. I grado appellante, è stata emessa da P. in riferimento al rapporto di intervento n. __ del __, ed è dunque tra quelle azionate da P. con il ricorso monitorio all’origine della presente controversia (v. doc. 2 fasc. monitorio). Si rileva peraltro che, come si è poc’anzi illustrato, per il mese di novembre __, cui si riferiscono la fattura ed il rapporto di intervento anzidetti, il giudice di primo grado ha accertato come dovuto dal Condominio (così come per gli altri mesi in questione) il minore importo di Euro __ oltre accessori di legge (Euro __ quale “importo concordato” + Euro __ per “servizio pattumiera” + 1/6 di Euro __, pari ad Euro __, per “aumento… di cui alla e-mail” di cui al doc. 5 fasc. opposta), e su tale accertamento di è formato il giudicato interno. Solo in tali limiti (Euro __ oltre accessori di legge) può, dunque, tenersi conto del suddetto pagamento nella rideterminazione del credito residuo in capo all’odierna società appellata.
  3. – Non merita accoglimento, invece, il terzo motivo di appello, concernente la domanda riconvenzionale di ripetizione di indebito proposta dal Condominio nei confronti di P.

Come correttamente sottolineato in motivazione dal giudice di prime cure, infatti, l’anzidetta domanda del Condominio era del tutto generica (come puntualmente rilevato nella sentenza appellata, “non viene precisato dal Condominio da dove deriverebbe l’asserito credito e come esso viene calcolato”: tale assoluta genericità risulta evidente, atteso il tenore non solo dell’atto di citazione introduttivo del giudizio, ma anche della memoria ex art. 183, c. 6, n. 1, c.p.c. dell’allora opponente), e giustamente è stata disattesa dal Tribunale, ancorché manchi nel relativo dispositivo una espressa declaratoria di inammissibilità o di rigetto per tale motivo. Né, attese le preclusioni processuali di cui all’art. 183 c.p.c., tale conclamata genericità può considerarsi suscettibile di sanatoria (e, quindi, utilmente sanata) attraverso le precisazioni fornite dal Condominio in sede “note conclusive” dinanzi al Tribunale e, poi, in sede di gravame con riferimento alle voci di spesa cui i singoli pagamenti indebiti sarebbero, a suo dire, riferibili.

  1. – La sentenza appellata deve essere pertanto parzialmente riformata, nei sensi e nei limiti di cui innanzi, con la rideterminazione nel minore importo di Euro __, oltre accessori di legge ed interessi legali di mora, della somma dovuta dal medesimo Condominio appellante alla P.
  2. – Considerato l’esito complessivo del giudizio, si giustifica la compensazione per 1/3 delle spese processuali di entrambi i gradi; spese che, come liquidate per la totalità dal Tribunale quanto al primo grado e come qui liquidate nel dispositivo che segue (in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014) quanto al presente grado, vanno poste per gli altri 2/3 a carico del Condominio appellante, stante la sua prevalente soccombenza.

P.Q.M.

La Corte d’appello di Milano, definitivamente decidendo sull’appello proposto dal Condominio, così provvede:

– in parziale riforma della sentenza n. __ resa tra le parti dal Tribunale di Milano in data __: a) ridetermina nell’importo di Euro __, oltre accessori di legge ed interessi legali di mora, la somma di cui al capo 3. del dispositivo della sentenza appellata; b) compensa per 1/3 tra le parti le spese di lite di cui al capo 4. del dispositivo della stessa sentenza, riducendo conseguentemente ai 2/3 di esse la statuizione di condanna a carico del Condominio opponente;

– conferma nel resto l’impugnata sentenza;

– condanna l’appellante alla rifusione in favore dell’appellata dei 2/3 (due terzi) delle spese di lite del presente grado, che dichiara compensate per il resto, liquidando la frazione in Euro __ (di cui Euro __ per la fase di studio, Euro __ per la fase introduttiva ed Euro __ per la fase decisionale), oltre al 15% per rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Milano, il 14 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2019.

Corte_d_Appello_Milano_Sez_III_Sent_22_01_2019

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Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza, attribuita dall’art. 645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale ed inderogabile

Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza, attribuita dall’art. 645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale ed inderogabile

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 2, Ordinanza n. 2237 del 28/01/2019

Con ordinanza del 28 gennaio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sottosezione 2, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al giudice di pace, poiché la competenza, attribuita dall’art. 645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale ed inderogabile, nel caso in cui l’opponente formuli domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del giudice adito, questi è tenuto a separare le due cause, trattenendo quella relativa all’opposizione e rimettendo l’altra al tribunale, il quale, in difetto, qualora gli sia stata rimessa l’intera causa, può richiedere nei limiti temporali fissati dall’art. 38 c.p.c. il regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c.

 

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 2, Ordinanza n. 2237 del 28/01/2019

Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza, attribuita dall’art. 645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale ed inderogabile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per conflitto di competenza, iscritto al n. __ R.G. sollevato dal Tribunale di Napoli con ordinanza del __ nel procedimento vertente tra:

C. e G., ed iscritto al n. __ R.G. di quell’Ufficio;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Dott. __;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale __, che conclude chiedendo che la Corte di Cassazione voglia dichiarare che il Giudice di Pace di Napoli è Giudice funzionalmente competente alla trattazione della causa di opposizione al decreto ingiuntivo n. __ del Giudice di Pace di Napoli, limitatamente alla sola causa di opposizione al decreto monitorio.

Svolgimento del processo

1 C., proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Napoli in favore di G. ed introduceva domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per un ammontare eccedente la competenza per valore del giudice di pace, che, con la sentenza n. __6 dichiarava la propria incompetenza per valore per essere competente il Tribunale di Napoli.

Riassunta la causa innanzi al Tribunale, il Tribunale di Napoli (nel procedimento RG n. __) con ordinanza del __ richiedeva d’ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell’art. 45 c.p.c., lamentando che il giudice di pace aveva rimesso al Tribunale sia la domanda di opposizione al decreto ingiuntivo che la domanda riconvenzionale eccedente i limiti della sua competenza.

Comunicata l’ordinanza e disposta la sospensione ex art. 48 c.p.c. del procedimento RG __ pendente innanzi al Tribunale di Napoli, non risultano pervenute scritture e note difensive delle parti.

Il PG, in persona del dott. __, ha concluso chiedendo dichiararsi che il Giudice di pace di Napoli è funzionalmente competente alla trattazione della sola causa di opposizione al decreto ingiuntivo n. __ emesso in favore di G.

Motivi della decisione

Deve dichiararsi la competenza del giudice di pace di Napoli in relazione al giudizio di opposizione proposto da C. al decreto ingiuntivo n. __, emesso su ricorso di G., mentre spetta al Tribunale di Napoli la competenza sulla domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, eccedente per valore la competenza del giudice di pace.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al giudice di pace, poiché la competenza attribuita dall’art. 645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto ha carattere funzionale ed inderogabile, nel caso in cui l’opponente formuli domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del giudice adito, questi è tenuto a separare le due cause, trattenendo quella relativa all’opposizione e rimettendo l’altra al tribunale, il quale, in difetto, qualora gli sia stata rimessa l’intera causa, può richiedere il regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c. (Cass. Ss.Uu. 9769/2001; Cass.272/2015).

Deve dunque dichiararsi che il giudice di pace di Napoli è funzionalmente competente alla trattazione della causa di opposizione al decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Giudice di pace di Napoli, dovendo rimettere al Tribunale di Napoli, previa separazione, la sola causa avente ad oggetto la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni proposta da C.

P.Q.M.

la Corte dichiara la competenza del giudice di pace di Napoli alla trattazione della causa di opposizione al decreto ingiuntivo n. __ emesso dal medesimo giudice.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2019

Cass_civ_Sez_VI_ 2_Ord_28_01_2019_n_2237




La sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l’ammontare, costituisce titolo esecutivo

La sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l’ammontare, costituisce titolo esecutivo

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 21/01/2019

Con sentenza del 21 gennaio 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, in tema di esecuzione forzata, ha stabilito che la sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l’ammontare, costituisce titolo esecutivo, pur in difetto di un’espressa domanda e di una specifica pronuncia, anche per conseguire il rimborso dell’Iva che la medesima parte vittoriosa assuma di aver versato al proprio difensore, in sede di rivalsa e secondo le prescrizioni dell’art. 18 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, trattandosi di onere accessorio che, in via generale, ai sensi dell’art 91, comma 1 c.p.c., consegue al pagamento degli onorari al difensore.

 

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 21/01/2019

La sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l’ammontare, costituisce titolo esecutivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

QUARTA SEZIONE

nella composizione monocratica della dott. __

ai sensi degli articoli 281 quater, 281 quinquies primo comma del codice di procedura civile vigente ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al numero __ del R.G.A.C.C., posta in decisione nell’udienza del __ , pubblicata come da certificazione in calce e vertente tra le seguenti

Parti

C. SRL

(opponente)

E

F. SAS di D.C.S.

(opposta)

Opposizione a precetto (Opposizione agli atti esecutivi art. 617 c.p.c.)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che si omette di circostanziare lo svolgimento del processo, atteso che, a norma dell’art. 132 c.p.c., come novellato a seguito della L. 18 giugno 2009, n. 69, la sentenza deve contenere unicamente la “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

Ai fini della concreta determinazione della ratio dell’espressione contenuta in detta norma, appare del tutto corretto tenere conto dell’art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 5 del 2003, che, seppur abrogato dalla L. n. 69 del 2009, costituisce un significativo elemento interpretativo della volontà del legislatore in materia, costituendo l’unica concreta applicazione legislativa dell’affermato criterio generale della “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Tale disposizione prevede che la sentenza possa essere sempre motivata in forma abbreviata “mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa” e la “esposizione delle ragioni in diritto” anche con riferimento a “precedenti conformi”, e chiarisce, quindi, che la concisa esposizione in fatto può certamente tradursi nel rinvio agli elementi di fatto riportati negli atti di causa, come la concisa esposizione in diritto può consistere nel riferimento ai precedenti giurisprudenziali.

Tanto premesso, quanto agli elementi di fatto nella prospettazione delle parti e alle loro rispettive domande, eccezioni e difese, si rinvia all’atto di citazione in opposizione al precetto e alla comparsa di costituzione.

Con atto di citazione ex art. 617 c.p.c., la Società Costruzioni Immobiliari e A. S.r.l. (di seguito C. S.r.l.) proponeva tempestivamente opposizione avverso l’atto di precetto notificato dalla F. s.a.s. di D.C.A. in data __ per complessivi Euro __ in virtù di sentenza n. __ emessa dal Tribunale Civile di Roma di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo n. __ emesso dal medesimo Tribunale. In particolare l’opposta intimava il pagamento della sorte, interessi spese liquidate e successive per complessive Euro __ come da decreto ingiuntivo n. __ (r.g. __), e risarcimento ex art. 96, III comma c.p.c. e spese di giudizio liquidate dalla sentenza n. __ oltre oneri per la somma complessiva di Euro __ oltre ad Euro _ per compensi cpa e iva e spese di notifica per atto di precetto.

A sostegno di tale opposizione, l’opponente deduceva:

– l ‘inesistenza di titolo esecutivo con riferimento al d.i. __ adducendo, da parte opposta, il mancato deposito di istanza di concessione del decreto di esecutorietà, prima del precetto con ciò comportando la nullità del precetto;

– l’illegittima precettazione delle spese con riferimento all’IVA, eccependo la non debenza delle somme richieste a titolo di IVA sui compensi imponibili (per un totale di Euro __) stante la qualità di soggetto titolare di partita IVA avente facoltà di detrazione degli importi corrisposti a titolo di Iva sulle fatture del proprio difensore. Alla luce di tale circostanza, la materiale corresponsione dell’Iva da parte della soccombente avrebbe rappresentato per la Società creditrice un importo ingiustificato.

La società opposta nel costituirsi contestava puntualmente le deduzioni dell’opponente ed in particolare, in ordine all’eccezione relativa alla richiesta degli importi a titolo Iva dichiarava la disponibilità a rinunciare a detti importi. Rilevava inoltre che al decreto ingiuntivo in questione, era stata apposta dal Tribunale di Roma la formula esecutiva in data __.

In data _-, rigettata l’istanza cautelare, venivano concessi i termini ex art. 183 VI comma c.p.c., nel rispetto dei quali le parti redigevano le tre memorie, e la causa, ritenuta di natura documentale e matura per la decisione, perveniva all’udienza di precisazione delle conclusioni del __. Si precisa che parte opposta chiedeva dichiarazione di cessata materia del contendere a seguito di notifica di nuovo precetto non opposto con conseguente venir meno dell’interesse delle parti.

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve rilevarsi l’avvenuta cessazione della materia del contendere in considerazione della notifica di nuovo precetto, non opposto, da parte della società con rinuncia al precetto notificato in data __.

“La cessazione della materia del contendere – che deve essere dichiarata dal giudice anche d’ufficio e dà luogo ad una pronuncia di carattere processuale, inidonea ad acquistare efficacia di giudicato- si verifica quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venir meno l’interesse ad agire e contraddire nell’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del Giudice, da accertare avendo riguardo all’azione proposta ed alle difese svolte dal convenuto” ( Cass, sez I, n. 14194 del 28 luglio 2004; Cass, Sez I , n. 10553 del 7 maggio 2009).

Nel caso di specie con la notifica di un secondo e successivo atto di precetto, è venuto meno da parte opposta l’interesse a proseguire ad una zione esecutiva in base al precetto in questione.

Tuttavia, residua un interesse alla decisione della controversia delle parti ai fini della liquidazione delle spese del giudizio secondo il criterio della soccombenza virtuale.

Le doglianze di parte opponente sarebbero state accolte.

In relazione alla prima doglianza si rileva che la sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, richiamata e riportata nel corpo del precetto, ebbe espressamente a pronunciarsi sull’esecutività del decreto ingiuntivo che, peraltro, non andava notificato unitamente al precetto ai sensi dell’art. 654 c.p.c. Tuttavia il medesimo articolo prevede espressamente che il precetto deve far menzione, oltre al provvedimento che ha disposto l’esecutorietà (requisito soddisfatto dal richiamo e dal testo della sentenza riportato nell’atto) dell’apposizione della formula del decreto ingiuntivo, formula che, per espressa ammissione di parte opposta, veniva apposta in data successiva alla proposizione della presente opposizione.

Tale omissione, pur non comportando la totale nullità e/o inefficacia del precetto, ha sostanziato di fatto una irregolarità che ha legittimato l’instaurazione, da parte dell’opponente, del presente giudizio.

Anche in ordine alla non debenza della somma di Euro __, richiesta a titolo Iva, il motivo di opposizione sarebbe risultato fondato.

“La sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l’ammontare, costituisce titolo esecutivo, pur in difetto di un’espressa domanda e di una specifica pronuncia, anche per conseguire il rimborso dell’Iva che la medesima parte vittoriosa assuma di aver versato al proprio difensore, in sede di rivalsa e secondo le prescrizioni dell’art. 18 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, trattandosi di onere accessorio che , in via generale, ai sensi dell’art. 91, comma primo, c.p.c. , consegue al pagamento degli onorari al difensore” ( Cass. Sez. III, 22.5.2007, n. 11877).

La deducibilità dell’Iva calcolata sulle spese di lite, invero, rileva in ambito esecutivo in base alla qualità personale della parte vittoriosa.

Costante è sul punto l’orientamento della Giurisprudenza di legittimità che , anche da ultimo, si è pronunciata in tal senso : “L’eventualità che la parte vittoriosa, per la propria qualità personale, possa portare in detrazione l’I.V.A. dovuta al proprio difensore non incide su detta condanna della parte soccombente, trattandosi di una questione rilevante solo in sede di esecuzione, poiché la condanna al pagamento dell’I.V.A. in aggiunta ad una data somma dovuta dal soccombente per rimborso di diritti e di onorari deve intendersi in ogni caso sottoposta alla condizione della effettiva doverosità di tale prestazione aggiuntiva (ovvero “se dovuta)” ( Cass., Sez II, n. 4674 del 7/07/2016 – 23/02/2017 ); si confronti altresì Cass n. 3968 del 19/02/2014; Cass. sez III, 22.3.2007, n. 6974; Cass. Sez III, 7.02.2006, n. 2529).

È quindi pacifico e conforme alla Giurisprudenza della Suprema Corte il corollario secondo, cui in sede esecutiva, la condanna al pagamento dell’imposta in esame deve intendersi sottoposta alla condizione della effettiva doverosità di tale prestazione aggiuntiva; ciò in considerazione della circostanza che l’IVA, per un soggetto titolare di partita IVA, non costituisce un costo ma una mera partita di giro.

Nel caso di specie, quindi la Società creditrice, soggetto titolare di IVA, ha notificato un precetto relativo alle spese di lite che implicava anche l’addebito della suddetta imposta per un totale complessivo di Euro __, pur potendo la stessa società creditrice portare in detrazione la suddetta imposta; in tal modo ha legittimato la società opponente a contestare tale pretesa accessoria con l’azionata opposizione a precetto al fine di far valere circostanze che , secondo le previsioni del D.P.R. n. 633 del 1972, escludono l’effettiva esigibilità dell’imposta medesima (si confronti Cass. Sez III, n. 11877 del 22/05/2007).

Le spese del presente giudizio, pertanto, liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri forensi di cui al D.M. n. 55 del 2014 calcolati nei valori minimi, debbono essere poste a carico della parte convenuta opposta, secondo il criterio della soccombenza virtuale perché l’opposizione in esame sarebbe stata necessariamente accolta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, nella composizione monocratica in epigrafe, definitivamente pronunziando tra le parti di causa, disattesa ogni altra domanda od eccezione:

– DICHIARA cessata la materia del contendere;

– CONDANNA la convenuta opposta F. s.a.s. di D.C.A. alla rifusione, in favore dell’opponente Società Costruzioni Immobiliari e A. s.r.l., delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro __ oltre spese generali, cpa e Iva.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2019

Tribunale_Roma_Sez_IV_Sent_21_01_2019

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La sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c. non può integrare una condanna suscettibile di esecuzione provvisoria

La sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c. non può integrare una condanna suscettibile di esecuzione provvisoria e, quindi, essere azionata come titolo esecutivo prima della definitività dell’assegnazione

Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 2537 del 30/01/2019

Con ordinanza del 23 gennaio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sottosezione 1, in tema di recupero crediti, ha stabilito che, nella sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c. con determinazione di (o condanna al) conguaglio a carico dell’assegnatario, va escluso che , quest’ultimo capo possa integrare una condanna suscettibile di esecuzione provvisoria e, quindi, essere azionato come titolo esecutivo prima della definitività dell’assegnazione in dipendenza del passaggio in giudicato della relativa statuizione.

 

Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 2537 del 30/01/2019

La sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c. non può integrare una condanna suscettibile di esecuzione provvisoria e, quindi, essere azionata come titolo esecutivo prima della definitività dell’assegnazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

G.

– parte ricorrente-

contro

F.

– parte intimata –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo assorbiti gli altri, in subordine rigetto di tutti.

Svolgimento del processo

  1. G. azionò esecutivamente la sentenza n. __ del Tribunale di Roma, con la quale era stata sciolta la comunione sull’immobile (sito in via (OMISSIS), piano __, int. __, in NCEU __a fg. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), sub (OMISSIS); e nel cui godimento la controparte si era trovata fin da prima della separazione giudiziale tra i coniugi, pronunciata con sentenza parziale del __) di cui era stata comproprietaria col marito F., mediante assegnazione dell’intero a quest’ultimo e riconoscimento di un suo obbligo di versare un conguaglio per “Euro __, oltre interessi legali dalla data della perizia al saldo”.
  2. Peraltro, l’intimato si oppose sia al precetto che al successivo pignoramento presso terzi, contestando – per quel che qui ancora rileva e fra l’altro – la sussistenza di un titolo esecutivo per il diritto al conguaglio, se non altro poiché si trattava di capo accessorio a sentenza di divisione, da ritenersi non eseguibile fino al passaggio in giudicato, neppure mancando di chiedere la condanna di controparte ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
  3. L’adito Tribunale di Roma, con sentenza n. __, accolse l’opposizione e – prima di compensare le spese – dichiarò l’inefficacia del pignoramento, sul presupposto della carenza di esecutività del capo di condanna al pagamento del conguaglio, siccome accessorio rispetto alla statuizione principale di “accertamento costitutivo” sull’assegnazione del bene e privo allora, alla stessa stregua del capo che quest’ultima disponeva, di esecutività fino al passaggio in giudicato della sentenza nel suo complesso.
  4. G. interpose appello – tra l’altro argomentando sulla sussistenza dell’esecutività dell’azionato capo di sentenza – e F. non solo vi resistette, ma dispiegò altresì appello incidentale quanto alla disposta compensazione delle spese ed al rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c.; e la corte territoriale, negata la riunione con l’appello avverso la sentenza azionata quale titolo esecutivo e disattese altre eccezioni preliminari dell’appellato, rigettò il gravame principale ed accolse parzialmente, soltanto cioè quanto alla compensazione delle spese, quello incidentale.
  5. La Corte d’appello di Roma, recepito il corrente orientamento circa l’esecutività prevista dall’art. 282 c.p.c. (come novellato dalla L. n. 353 del 1990) delle sole statuizioni di condanna e richiamate le questioni sull’esecutività dei capi condannatori di una sentenza che fossero legati ad altri costitutivi, ritenne di applicare alla fattispecie i principi elaborati da Cass. sez. U. 22/02/2010, n. 4059 (secondo cui occorreva distinguere le ipotesi di collegamento sinallagmatico fra capi costitutivi e capi di condanna da quelle in cui fra i diversi capi si potesse “riscontrare una certa autonomia”, solo nelle seconde delle quali andava esclusa l’efficacia esecutiva provvisoria per i primi e non pure per i secondi); e, qualificata come costitutiva la sentenza che attribuisse “ ad uno dei comunisti un bene con obbligo di conguaglio in favore dell’altro”, reputò legato da “relazione sinallagmatica” al capo costitutivo quello di eventuale condanna al pagamento del conguaglio, inferendone l’inidoneità di entrambi all’esecutività (evidentemente, provvisoria ai sensi dell’art. 282 c.p.c.); ma non mancò di evidenziare che il dispositivo della sentenza nemmeno si articolava in una condanna al pagamento di somme, limitandosi a dichiarare il F. tenuto al pagamento del conguaglio.
  6. Per la cassazione di detta sentenza di appello – pubblicata il __ col n. __ – ha proposto ricorso G., affidandosi a quattro motivi, mentre F., benché ritualmente intimato per essergli stato notificato il ricorso a mezzo p.e.c. il __, non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

  1. In via preliminare, il ricorso è tempestivo, applicandosi l’art. 327 c.p.c. nel testo anteriore alla sua novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17, la quale regola soltanto i giudizi iniziati dopo la sua entrata in vigore (ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa legge: 04/07/2009), mentre quello odierno ha avuto inizio il 02/12/2008; ed è pure soddisfatta la condizione di procedibilità consistente nel deposito tempestivo di copia autentica della sentenza gravata e del ricorso notificato a mezzo p.e.c., in copia analogica munita dell’asseverazione autografa – potendo, se non altro nel loro complesso, ascriversi le sottoscrizioni a tal fine apposte dall’avv. __ appunto alle singole componenti dell’atto in cui la relata si articola – di conformità all’originale telematico.
  2. Ciò posto, la ricorrente articola quattro motivi:

– col primo di quelli dolendosi di “violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 282 c.p.c. in relazione all’art. 2909 c.c.”: in primo luogo, perché la sentenza n. 4059/10 delle Sezioni Unite si riferiva al solo caso dell’azione ai sensi dell’art. 2932 c.c. e non poteva quindi riguardare il diverso caso dell’assegnazione; in secondo luogo, perché era comunque passato in giudicato proprio il capo della sentenza che aveva disposto l’assegnazione, appellato essendo stato solo il rigetto delle domande dell’assegnatario di restituzione – o di compensazione – delle somme corrisposte alla coniuge in costanza di matrimonio in relazione alle spese per l’appartamento e per altra attività commerciale in comune gestita;

– col secondo di quelli lamentando “violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 1362 c.c. e ss.”: sia pure invocando e per di più genericamente – i criteri di ermeneutica contrattuale, argomentando nel senso della sussistenza di un capo di condanna, alla stregua del tenore letterale della pronuncia di primo grado e della sua interpretazione complessiva;

– col terzo di quelli ed “in via subordinata rispetto al motivo n. 1”, prospettando “violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 282 c.p.c., art. 728 c.c.”: invocando la natura della condanna al conguaglio in caso di assegnazione di immobile e la sua esecutività, evidentemente immediata, richiamando – oltre a giurisprudenza di merito e dottrina – Cass. 24/10/2006, n. 22833 (e, sulla provvisoria esecutività di tutti i capi di condanna di una sentenza a prescindere dal loro collegamento o meno con una statuizione principale di accertamento o costitutiva, Cass. 03/08/2005, n. 16262, ovvero Cass. 10/11/2004, n. 21367), ma soprattutto Cass. 29/04/2003, n. 6653, essendo stata assegnata al F. l’intera quota dell’altra condividente ed essendo allora il relativo capo caratterizzato da natura traslativo-costitutiva;

– col quarto di quelli ed “in via subordinata rispetto ai motivi suesposti”, sollevando “eccezione di incostituzionalità dell’art. 282 c.p.c. e art. 728 c.c. in relazione ai parametri costituiti dagli artt. 3 e 111 Cost.”: avendo l’assegnatario già nel frattempo venduto il bene, si tratterebbe in modo differenziato la posizione di quello rispetto all’altro condividente, rimasto solo creditore del conguaglio, perché il primo già potrebbe validamente fruire del diritto (sia quanto al godimento, nella specie del resto anteriore allo scioglimento e tuttora protraentesi, sia quanto alla sua disposizione) e il secondo, ove gli si negasse l’esecutività della pronuncia, per farlo dovrebbe attendere la definitività di questa.

  1. Preliminare all’esame di ogni altra doglianza è, logicamente, il riscontro della configurabilità o meno di un capo di condanna nella sentenza di scioglimento della comunione poi azionata in via esecutiva: ciò che costituisce l’oggetto del secondo motivo di ricorso.
  2. Orbene, a dispetto del rilievo della qui gravata sentenza sulla non configurabilità di una sentenza di condanna nel capo che dichiarava, in uno alla pronuncia dell’assegnazione dell’unico bene da dividere, sussistente l’obbligo di versare un conguaglio a carico dell’assegnatario, è evidente trattarsi di una condanna implicita, non avendo altra funzione il riconoscimento di tale obbligo se non quella di consentirne l’azionamento anche coattivo, ovvero in via esecutiva, a perequare – per quanto si dirà ampiamente più oltre – l’altro capo della pronuncia.
  3. La condanna implicita è sovente ricavata dalla struttura stessa della pronuncia, secondo la giurisprudenza di questa Corte: e tanto pure in materia di diritti reali e perfino, ad esempio, in materia di costituzione di servitù (Cass. 26/01/2005, n. 1619): tanto comporta la fondatezza del secondo motivo, purché necessariamente depurato dall’incongruo richiamo ai criteri di ermeneutica contrattuale, complessivamente interpretato come censura della qualificazione data dalla qui gravata sentenza di insussistenza di un capo di condanna nella pronuncia posta a base dell’azione esecutiva opposta.
  4. Ciò posto, poiché il suo accoglimento renderebbe in radice superfluo l’esame degli altri per la conseguente erroneità del presupposto in diritto della gravata decisione, assume priorità logica a dispetto della sua prospettazione in via subordinata – il terzo motivo, con cui G. ribadisce la tesi dell’esecutività – e quindi evidentemente della sua idoneità a costituire valido titolo esecutivo, immediatamente azionabile – del capo della sentenza di divisione che condanna l’assegnatario di un bene dividendo a pagare un conguaglio ad uno o ad altri condividenti: ma una tale tesi non può condividersi.
  5. Al riguardo, questa Corte ha già affermato che il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all’effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell’apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; non opera invece, sicché la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell’altrui quota (Cass. 24/07/2000, n. 9659; Cass. 29/04/2003, n. 6653; Cass. 10/01/2014, n. 406).
  6. All’esito di tale conclusione, tuttavia, non paiono del tutto univoche le conseguenze tratte in punto di esecutività: da un lato questa è predicata come immediata per ogni (capo di qualunque) sentenza di scioglimento di comunione (tra le ultime, v. Cass. 21332/18, che richiama, sia pur quasi incidentalmente, Cass. 28697/13, cui è segnalata come conforme Cass. ord. 20961/18); dall’altro quell’esecutività in radice si esclude (Cass. 3934/16), fino al punto da configurare un’acquiescenza tacita – con conseguente preclusione dell’ulteriore impugnazione – nella spontanea esecuzione di una sentenza di primo grado, proprio perché non provvisoriamente esecutiva (in precedenza, in senso analogo e con diversità di accenti, anche Cass. 2483/04 e Cass. 406/14, la quale peraltro non escludeva l’esecutività per alcuni capi, purché meramente dipendenti e non anche corrispettivi), nonché la responsabilità professionale del notaio delegato in un giudizio di divisione (Cass. 4007/18) che abbia dato immediatamente seguito alle disposizioni della sentenza di divisione di primo grado versando ad uno dei condividenti il conguaglio nella misura ivi stabilita (poi riformata in appello).
  7. L’assegnazione di un bene per l’intero ad uno dei condividenti con previsione di conguaglio a suo carico è poi ricostruita (Cass. 22833/06 e Cass. 1656/17) come attribuzione immediata, costituendo il secondo un credito dipendente: sicché si è in modo espresso escluso un nesso di vera e propria sinallagmaticità con l’assegnazione stessa, analogo a quello tra le controprestazioni ravvisato nella fattispecie dell’art. 2932 c.c., a sua volta presupposto esplicito del principio di diritto di cui a Cass. Sez. U. 22/02/2010, n. 4059; con la conseguenza che l’adempimento dell’obbligo di corresponsione del conguaglio non costituisce condizione di efficacia della sentenza di divisione e può essere soltanto perseguito dagli altri condividenti con i normali mezzi di soddisfazione del credito, restando comunque ferma la statuizione sulla cessazione dello stato di indivisione dei beni.
  8. La difficoltà che si presenta a prima vista consiste quindi nell’esplicita negazione, da parte della giurisprudenza di questa Corte, di un vincolo sinallagmatico tra assegnazione (come quella prevista dall’art. 720 c.c.) e conguaglio, rapportata alla necessità di un vincolo di tal fatta quale presupposto dell’unitarietà del regime di (non) esecutività comune a capi costitutivi e condannatori, ricostruito da Cass. Sez. U. n. 4059/10.
  9. La difficoltà è peraltro più apparente che reale, perché la decisione può invece fondarsi adeguatamente proprio sull’attenta considerazione dei principi posti a base della richiamata Cass. Sez. U. 4059/10 (cui si è conformata la giurisprudenza successiva di legittimità: Cass. 8693/16, Cass. 12236/15 e Cass. 9714/13).
  10. Tale fondamentale arresto ha sancito che “la possibilità di anticipare l’esecuzione delle statuizioni condannatorie contenute nella sentenza costitutiva va riconosciuta in concreto volta a volta a seconda del tipo di rapporto tra l’effetto accessivo condannatorio da anticipare e l’effetto costitutivo producibile solo con il giudicato”; sicché, “a tal fine occorre differenziare le statuizioni condannatorie meramente dipendenti dal detto effetto costitutivo… dalle statuizioni che invece sono a tale effetto legate da un vero e proprio nesso sinallagmatico ponendosi come parte – talvolta “corrispettiva” – del nuovo rapporto oggetto della domanda costitutiva”.
  11. Eppure, la scrupolosa considerazione delle argomentazioni che sorreggono la conclusione consente di non limitarla ai casi di sinallagmaticità in senso proprio, ovvero di interdipendenza reciproca e tale che ognuna delle due statuizioni sia in grado di condizionare indissolubilmente l’altra, in cui le obbligazioni legate da quel nesso si pongono su di un piano paritetico e di perfetta, quasi simmetrica, reciprocità: la medesima Cass. Sez. U. 4059/10 somministra argomenti per una nozione più articolata, nel momento in cui definisce avvinti dal medesimo regime di (non) esecutività provvisoria quei capi che costituiscono gli elementi, evidentemente in quanto tra loro necessariamente coordinati da un vincolo teleologico o funzionale unitariamente considerato e tale da integrare un equilibrio tra le nuove situazioni giuridiche sostanziali prodotte dalla pronuncia costitutiva, del nuovo unitario rapporto oggetto di quest’ultima, in quanto l’uno integra il corrispettivo – in senso lato – dell’altro.
  12. La stessa Cass. Sez. U. 4059/10, insomma, si concentra sì su quella species del genus corrispettività che può essere identificata nella sinallagmaticità (e che corrisponde, in via approssimativa o meramente descrittiva, ad un’interdipendenza reciproca tra le due situazioni giuridiche modificative dello status quo ante poste a favore e a carico, rispettivamente, di ciascuna controparte, tale che la realizzazione od esecuzione dell’una condiziona quella dell’altra), ma tanto deve fare perché questa era la fattispecie posta al suo esame; ma quel che conta effettivamente, come è fatto palese dallo sviluppo delle sue argomentazioni e dalle persuasive premesse sulla esclusione dell’esecutività per i capi lato sensu costitutivi anche nel sistema delineato dalla novella del 1990/95 dell’art. 282 c.p.c., è la corrispettività del capo condannatorio rispetto a quello costitutivo nel nuovo assetto di interessi realizzato dalla complessiva pronuncia.
  13. Ne è riprova la coerenza della conclusione della provvisoria esecutività – e della loro configurabilità come titoli esecutivi – dei capi di condanna della pronuncia costitutiva che risultino soltanto dipendenti dalla modificazione in cui si sostanzia il nuovo assetto di interessi, vale a dire le conseguenze in senso stretto: è il caso della condanna alle spese, che non integra essa stessa il nuovo assetto di interessi, ma ne discende in forza del principio della soccombenza sul punto risolto con quello; ma è il caso pure della condanna alla restituzione di somme in caso di revocatoria di un pagamento (Cass. 29/07/2011, n. 16737) poiché in tal caso l’obbligo di restituire è una conseguenza dell’inefficacia dell’atto di disposizione e non già il suo corrispettivo.
  14. E tuttavia la sinallagmaticità in senso stretto non esaurisce la fattispecie: se quella è una species e pertanto ad essa va applicata senza esitazioni la conclusione di Cass. Sez. U. 4059/10 (di non esecutività immediata dei capi condannatori avvinti da un particolare nesso con quelli costitutivi), questa si attaglia comunque al genus della corrispettività e quindi si estende anche al di fuori dello stretto ambito della sinallagmaticità.
  15. Infatti, ogniqualvolta fra un capo costitutivo ed un capo condannatorio si ravvisi un nesso di corrispettività, quand’anche di intensità minore rispetto a quella sinallagmatica, per non essere la prestazione oggetto del secondo in grado di condizionare l’operatività del primo (sicché bene il diritto oggetto di assegnazione passa nella titolarità dell’assegnatario al momento della definitività della pronuncia e non è condizionato dall’adempimento delle obbligazioni riconosciute o poste in capo a lui), l’esigenza di non alterare l’equilibrio preesistente alla pronuncia fino alla definitività di quello derivante del nuovo assetto di interessi disegnato dalla pronuncia medesima è insita nel principio di parità delle armi delle parti nel processo (riconducibile agli artt. 111 e 24 Cost.).
  16. In base a questo non si potrebbe consentire una diversificazione dell’efficacia esecutiva tra le parti del medesimo rapporto innovato o costituito con l’unitaria pronuncia, in base alla quale costringere una delle parti stesse a patire anzitempo – cioè in forza di esecutività provvisoria e quindi rispetto alla definitività della sentenza – gli effetti a sé sfavorevoli della pronuncia, senza potere / beneficiare di quelli favorevoli che dei primi costituiscono – anche solo nella sostanza – un corrispettivo, in quanto funzionalizzati a compensarli, anche se non proprio a costituirne la controprestazione in senso tecnico.
  17. L’ordinamento conosce, del resto, ipotesi in cui la causalità reciproca tra prestazioni è condizione di operatività di meccanismi sostanziali di autotutela, a garanzia dell’esigenza di equilibrio tra situazioni giuridiche contrapposte e fra le azioni ed eccezioni offerte ai rispettivi titolari: è il caso dell’exceptio inadimpleti contractus, per il cui accoglimento è necessario presupposto un rapporto di corrispettività tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate; qui, se un legame stricto sensu sinallagmatico e cioè all’interno di uno stesso contratto è sicuro fondamento dell’eccezione (Cass. 07/12/1994, n. 10506; Cass. 21/02/1986, n. 1048), un collegamento funzionale e teleologico di reciproca interdipendenza implicherebbe la fondatezza dell’eccezione pure in caso di inadempienze e rifiuti in rapporti ontologicamente differenti (Cass. Sez. U. 26/11/1996, n. 10492).
  18. Ed una peculiare interdipendenza, diversa dal tradizionale nesso sinallagmatico, fra situazioni giuridiche è posta poi dall’ordinamento giuridico a fondamento di altri istituti di mantenimento dell’equilibrio tra le parti di rapporti complessi, come nel caso di peculiari obbligazioni di restituire nascenti dalla demolizione o dalla cessazione del contratto, che possono rifiutarsi dinanzi al mancato adempimento di altre obbligazioni a carico del creditore: se la dottrina più risalente, rilevato che almeno una di quelle nasceva direttamente dalla legge (come nel caso di annullamento o risoluzione del contratto), escludeva tale sorta di estensione analogica dell’exceptio inadimpleti contractus, quella più moderna tende invece ad ammettere l’operatività di questa in ipotesi di nessi di interdipendenza tra obblighi contrapposti delle parti anche di fonte diversa; rileverebbe, in sostanza, l’unitarietà del vincolo genetico di entrambe le situazioni giuridiche, che hanno origine in un medesimo fatto e rappresentano il corrispettivo scambievole (anche se questa Corte ha talvolta escluso l’applicazione dell’art. 1460 c.c. in ipotesi di obbligazioni restitutorie nascenti direttamente dall’esaurimento del contratto – Cass. 25/09/1996, n. 8477 – è stata in altra occasione adombrata la possibilità di una diversa soluzione: Cass. 14/01/1998, n. 271; mentre, poi, in caso di obbligazioni restitutorie scaturenti dalla rimozione del contratto la corrispettività è stata prevalentemente ricostruita come idonea a fondare l’exceptio; v., fra le altre: Cass. 23/04/1980, n. 2678; Cass. 27/03/1962, n. 623; contra, Cass. 11/11/1992, n. 12121).
  19. Un’interdipendenza di tal fatta esige allora, in linea generale, un unitario ed indifferenziato regime di esecutività delle relative statuizioni, anche se poste per la prima volta da una sentenza: sia per la carenza di una normativa espressa, sia, soprattutto, per la necessaria identità della tutela da apprestarsi alle parti e, in particolare, all’obbligato al versamento della somma di denaro; tutela finalizzata a prevenire il rischio di non potere ripetere quanto prestato o di non potere ottenere quanto dovuto, che dev’essere la medesima sia per chi è tenuto in base ad un titolo contrattuale, sia per chi è tenuto a titolo d’indebito, sia per chi è tenuto in base a sentenza, ogni qual volta a fronte dell’obbligazione solutoria stia un obbligo inverso e reciproco della controparte.
  20. Applicati tali principi alla fattispecie, si ha appunto un capo con efficacia costitutiva (quello sull’assegnazione all’unico condividente) ed un capo con efficacia condannatoria (benché fondato su condanna implicita, come ricordato, al pagamento del conguaglio): e l’obbligazione di versare il conguaglio, benché non condizioni sinallagmaticamente il trasferimento (nel detto senso e cioè, se non altro, che questo rimane svincolato dall’adempimento di quella e non si verifica soltanto al momento in cui quella è adempiuta), costituisce parte integrante del nuovo assetto di interessi disegnato in via costitutiva dall’assegnazione dell’unico bene ad uno solo dei condividenti, tanto da potersi atteggiare, in funzione perequativa delle situazioni patrimoniali delle parti modificate dalla sentenza, a corrispettivo del riconoscimento della proprietà piena ed esclusiva del bene in capo all’assegnatario (se non anche, rectius, del trasferimento a lui delle quote ideali del bene eccedenti la sua, in modo da costituirlo – con la concentrazione di tutte le quote in capo a lui – unico proprietario di tutte le quote prima esistenti e, così, dell’intero).
  21. Se ne deduce che neppure in tal caso può predicarsi l’operatività esecutiva – e quindi la consistenza di titolo esecutivo del provvedimento che lo preveda – di un obbligo di pagamento a fronte di un trasferimento di diritti – il quale ne costituirebbe la causa o giustificazione anche dal punto di vista teleologico – che ancora non si è verificato, dipendente come è quest’ultimo appunto dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento della divisione: infatti, soltanto quest’ultima – e per di più solo al momento della sua definitività: Cass. Sez. U. 4059/10, cit. – dà luogo, facendo cessare lo stato di indivisione, ad un mutato assetto dei cespiti dei condividenti.
  22. Se non altro a questi fini, pertanto, quel peculiare nesso di corrispettività – benché non pure di sinallagmaticità in senso stretto tra capo costitutivo e capo condannatorio, descritto da Cass. Sez. U. n. 4059/10 come condizionante l’esecutività immediata dell’uno e dell’altro, pienamente sussisterebbe nella specie: e va allora escluso che, nella sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c. con determinazione di (o condanna al) conguaglio a carico dell’assegnatario, quest’ultimo capo possa integrare – si badi, di per sé solo considerato – una condanna suscettibile di esecuzione provvisoria e, quindi, essere azionato come titolo esecutivo prima della definitività dell’assegnazione in dipendenza del passaggio in giudicato della relativa statuizione.
  23. A diversa conclusione sarebbe stato necessario giungere, naturalmente, ove il giudizio di scioglimento di divisione si fosse concluso con ordinanza ai sensi dell’art. 789 c.p.c. in assenza di contestazioni: in tal caso, l’impossibilità, per le parti, di rimettere in discussione quanto consacrato nell’ordinanza che aveva ratificato il loro accordo (fatta salva l’ipotesi in cui erroneamente il giudice, pur in presenza di contestazioni, le avesse colpevolmente ignorate, così che in tal caso il provvedimento, sebbene rivestito dalla forma dell’ordinanza, avrebbe avuto il contenuto sostanziale di una sentenza e sarebbe allora stato suscettibile dei normali rimedi impugnatori) avrebbe consentito di qualificare definitivo il relativo assetto di interessi ed imposto l’immediata eseguibilità di tutto quanto previsto nel progetto di divisione condiviso dalle parti, così allora attribuendosi a quell’ordinanza – ma appunto solo a quella – l’efficacia di titolo esecutivo immediatamente azionabile, perché definitivo.
  24. In altri termini, nel caso di scioglimento della comunione con attribuzione del bene ad unico condividente, la statuizione che imponga il pagamento di un conguaglio assume una funzione di perequazione del valore delle quote ereditarie assegnate e, dunque, si colloca, nell’assetto complessivo della decisione, come una previsione strettamente ed indissolubilmente connessa alla contestuale attribuzione dei diritti reali sui restanti beni dell’asse ereditario, della quale costituisce la necessaria e contestuale conseguenza.
  25. Né rileva la carenza di sinallagmaticità in senso stretto o del carattere di autentica controprestazione, atteso, che, a ben vedere, ciò cui occorre aver riguardo è l’interdipendenza tra la decisione sul capo costitutivo e la determinazione del conguaglio: sicché sarebbe iniqua – e comunque contraria al principio di parità delle armi da riconoscersi ad entrambe le parti di un giudizio a concludersi con pronuncia costitutiva, cui non potrebbe consentirsi di produrre effetti ad efficacia esecutiva differenziata fra le due parti del nuovo assetto a prodursi – l’esecuzione coattiva dell’obbligazione pecuniaria prima della realizzazione dell’effetto traslativo pieno evidentemente connesso alla irrevocabilità della pronuncia.
  26. La sentenza gravata ha correttamente identificato come applicabile alla fattispecie il principio di diritto di cui al precedente punto 24 e si sottrae così, ma solo per questo verso e per quanto si dirà, alla censura mossale, con conseguente infondatezza del terzo motivo, logicamente pregiudiziale in diritto.
  27. Infatti, la medesima sentenza, pur avendo correttamente enucleato il principio da applicare, ha errato poi nella ricognizione della fattispecie concreta, finendo con l’applicarlo falsamente: infatti, lo stesso principio, se escludeva a priori un’esecutività immediata del capo di condanna (anche solo implicita) al conguaglio prima della definitività di quello sull’assegnazione, non esigeva, per l’esecutività, la definitività di entrambi.
  28. Detto principio, anzi, imponeva l’esecutività del primo capo (quello sul conguaglio) al momento in cui avesse conseguito definitività il secondo (quello sull’assegnazione); ma la corte territoriale ha trascurato di verificare, nonostante le difese della creditrice precettante, quest’ultima – invece decisiva – circostanza.
  29. Invero, nella specie il capo della sentenza di scioglimento della divisione sull’assegnazione era divenuto definitivo, poiché l’appello avverso quella sentenza, che era articolata anche sull’altro capo in tema di conguaglio e sulla reiezione delle difese del precettato quanto all’estinzione almeno parziale del credito stesso, aveva investito questioni diverse dall’assegnazione, e cioè l’entità del conguaglio stesso in dipendenza di ragioni o fatti impeditivi od almeno parzialmente estintivi del relativo credito.
  30. Di conseguenza, costituendo soltanto la non definitività del capo sull’assegnazione (e non invece la non definitività della pronuncia nel suo complesso) l’impedimento all’operatività dell’ordinario regime di provvisoria esecutività di ogni pronuncia di condanna, il venir meno di quell’impedimento, dovuto al conseguimento della definitività del capo sull’assegnazione, comporta la riespansione o riattivazione della piena operatività di quell’ordinario regime: e l’esecutività propria di ogni sentenza di condanna, anche se impugnata, bene andava riconosciuta allora sul presupposto della conseguita definitività del capo sull’assegnazione, di questa essendo per quanto detto esaminando il terzo motivo – il corrispettivo l’obbligazione di pagamento del conguaglio.
  31. In tale contesto, le contestazioni limitate a quest’ultima non ne facevano venir meno il riconoscimento con sentenza di primo grado e questa doveva qualificarsi provvisoriamente esecutiva, anche in conformità alla lettura dominante dell’art. 282 c.p.c., proprio nonostante il gravame, limitato appunto ai profili obbligatori e non esteso a quelli dell’assegnazione.
  32. La gravata sentenza non ha fatto corretta applicazione alla fattispecie dello stesso principio di diritto pure correttamente elaborato in diritto e – assorbito il quarto motivo, prospettato in via condizionata al mancato accoglimento di almeno uno dei primi tre e del resto imperniato su di una eccezione di illegittimità costituzionale di una lettura qui rifiutata del combinato disposto delle norme coinvolte – va pertanto cassata, con rinvio alla stessa corte territoriale affinché riesamini l’opposizione del precettato alla stregua di quello, ma in relazione alla conseguita definitività del capo della sentenza azionata come titolo esecutivo in punto di assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c., in ogni caso provvedendo sulle spese dell’intero giudizio in relazione all’esito finale della lite.
  33. Il giudice del rinvio applicherà alla specie il principio di diritto sopra enunciato, ma declinato in riferimento alla peculiarità della fattispecie come appresso: della sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c. il capo di condanna dell’assegnatario al pagamento di conguaglio a favore dell’altro condividente integra una condanna provvisoriamente esecutiva – e quindi valido titolo esecutivo per l’esecuzione – quando, per mancata impugnazione del capo sull’assegnazione, quest’ultima sia divenuta definitiva, pure nel caso di impugnazione del capo sul conguaglio per la contestazione della sua spettanza o della sua entità.
  34. Va infine dato atto che, essendo stato almeno in parte accolto il ricorso, non sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il terzo motivo di ricorso ed accoglie il primo ed il secondo, assorbito il quarto. Cassa la gravata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019.

Cass_civ_Sez_III_Ord_30_01_2019_n_2537




Il deposito in via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore

Nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, il deposito in via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 1717 del 23/01/2019

Con ordinanza del 23 gennaio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sottosezione 1, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, anche nella disciplina antecedente alla modifica dell’art. 16 bis del d.l. n. 179 del 2012, inserito dall’art. 1, comma 19, n. 2, della l. n. 228 del 2012, introdotta dal d.l. n. 83 del 2015, il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ove l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, è integrato il raggiungimento della scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti.

 

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 1717 del 23/01/2019

Nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, il deposito in via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

C.

– ricorrente –

nei confronti di:

Procuratore Generale Corte di appello di Napoli;

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Napoli;

Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;

– intimati –

avverso il decreto n. __ della Corte di appello di Napoli emesso il __ e depositato il __ R.G. n. __;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons. __.

Svolgimento del processo

CHE:

  1. Con ricorso del __ C., cittadina cinese, ha chiesto al Tribunale per i minorenni di Napoli di autorizzare la sua permanenza in Italia ex art. 31 TUI. A sostegno della sua richiesta ha dedotto di essere immigrata nel __ in Italia e di avere qui tutta la sua famiglia composta dal marito __, dal figlio maggiorenne __ giunto in ricongiungimento nel __, e dalla minore __ di anni __ nata e cresciuta in Italia.
  2. Il Tribunale per i minorenni di Napoli ha rigettato il ricorso con decreto del 4 ottobre 2016.
  3. C. ha proposto reclamo avverso il suddetto provvedimento innanzi alla Corte d’appello di Napoli lamentando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28 e art. 31, comma 4 e dell’art. 8 CEDU. 4. La Corte d’appello di Napoli, con decreto n. __, ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo, depositato telematicamente ed iscritto a ruolo in data 17 ottobre 2016 e quindi oltre il termine perentorio di cui all’art. 739 c.p.c., comma 2, ritenendo verificata la decadenza dall’impugnazione rilevabile d’ufficio.
  4. C. propone ricorso per Cassazione avverso il decreto suddetto affidandosi ad un unico motivo di ricorso con il quale deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 7, convertito in L. n. 221 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Motivi della decisione

che:

  1. Il ricorso appare fondato alla luce delle pronunce di questa Corte (Cass. civ., sez. seconda, n. 9772 del 12 maggio 2016, Cass. civ. sez. 6-1 n. 14523 del 9 giugno 2017) secondo cui nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, anche nella disciplina antecedente alla modifica del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 19, n. 2, introdotta dal D.L. n. 83 del 2015, il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ove l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, è integrato il raggiungimento della scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti.
  2. Il ricorso va accolto con conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio alla Corte di Appello di Napoli che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

Cass_civ_Sez_VI_1_Ord_23_01_2019_n_1717

 




Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non introduce un’autonoma fase di giudizio

Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non introduce un’autonoma fase di giudizio

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione V Civile, Sentenza del 22/01/2019

Con sentenza del 22 gennaio 2019, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione V Civile, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, ha stabilito che il relativo giudizio non introduce un’autonoma fase, ma produce solo l’effetto che sulla domanda dell’attore, già proposta nelle forme del procedimento monitorio, si debba conoscere attraverso le forme del processo ordinario. Ciò in considerazione della natura del giudizio di opposizione, che deve essere inteso come giudizio ordinario di cognizione sul merito della pretesa creditoria, che ha inizio con la proposizione del ricorso, e non come mero giudizio di accertamento sulla validità del decreto ingiuntivo.

 

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione V Civile, Sentenza del 22/01/2019

Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non introduce un’autonoma fase di giudizio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il dott. __, in funzione di Giudice Unico di primo grado, V Sezione Civile del Tribunale di Roma, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. __ Ruolo Generale Contenzioso

TRA

S.

PARTE OPPONENTE

E

C.

PARTE OPPOSTA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato, S. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di Roma, decreto con il quale gli veniva ingiunto di pagare, in favore di C. indicato in epigrafe, la somma di Euro __ oltre accessori dovuti per oneri non corrisposti per gli anni __ e __ (gestione ordinaria) e per gli anni __ e __ (riscaldamento). Eccepiva, fra l’altro, che il credito non era di sua ‘competenza’ bensì del conduttore, che talune delle rate non erano dovute, che gli importi relativi al riscaldamento erano ‘non chiari e discordanti’ e che il mancato deposito di tabelle e regolamento non consentiva alcun riscontro della difformità dei criteri di riparto dalla previsione di cui all’art. 1123 c.c.

Concludeva chiedendo che fosse revocato il decreto opposto. In via subordinata chiedeva di essere manlevato dal conduttore in ordine al quale chiedeva l’autorizzazione ad evocarlo in giudizio.

Il Condominio si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Rigettate le istanze ex art. 269 c.p.c. ed ex art. 649 c.p.c., all’udienza del __ venivano precisate le conclusioni come in atti. Infine la causa veniva trattenuta in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c..

Le delibere sono vincolanti ed efficaci ai sensi e per gli effetti di cui all’art.1137 c.c. Pertanto C.  è obbligato a corrispondere la quota di spesa risultante dalle delibere medesime perché le delibere costituiscono idoneo titolo fondante il credito potendo solo l’annullamento o la declaratoria di nullità delle stesse, a seguito di ricorso ex art.1137 c.c., far cessare tale obbligo.

E può formare oggetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo solo l’accertamento esterno in ordine alla perdurante efficacia della delibera. Non è consentito, invece, accertare la validità intrinseca della delibera, che può essere fatta valere, come detto, solo mediante l’impugnazione ex art. 1137 c.c. In altri termini, in sede di accertamento di un credito portato da delibera assunta ai sensi dell’art. 1136 c.c. in sede diversa dal giudizio seguito ad impugnazione ex art. 1137c.c., è consentito esaminare solo l’idoneità formale del verbale che documenta la delibera (che costituisce idoneo titolo anche in sede di opposizione) per verificarne l’esistenza ovvero per accertare l’idoneità sostanziale della pretesa azionata con riferimento alla documentazione posta a sostegno dell’ingiunzione, se sia effettivamente pertinente alla pretesa, ovvero alla persistenza dell’obbligazione dedotta in giudizio con particolare riferimento ai fatti estintivi/modificativi dell’obbligazione stessa successivi alla consacrazione del credito nella delibera e non, invece, a quelli consacrati nella delibera stessa non esaminabili se non nell’alveo dello strumento esplicitamente accordato all’uopo dal legislatore, previsto chiaramente per evitare l’incertezza nei rapporti fra i partecipanti al condominio. Interesse quest’ultimo, teso a cristallizzare il dettato assembleare, ritenuto prevalente dall’ordinamento rispetto ai contrapposti diritti dei partecipanti al condominio (in tal senso v. Cass. SSUU 4421/07). Tale sistema normativo si fonda sul rilievo prevalente che il legislatore, attraverso le norme di cui agli artt. 1130 e 1137 c.c., 63 disp. att c.c. in relazione agli artt. 633 e 634 c.p.c., garantisce preminenza all’interesse della collettività condominiale rispetto a quello dei singoli condòmini consentendo al condominio, che agisca nei confronti di C. per conseguire le quote da questi dovute, di ottenere, sulla sola base della delibera approvata e del piano di riparto allegato, prova del credito di per sé sufficiente anche nell’eventuale giudizio ordinario, decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e titolo per iniziare l’espropriazione forzata non sospendibile con la sola impugnazione. Ciò al fine di consentire al condominio di conseguire in concreto la sua istituzionale finalità di conservazione e gestione della cosa comune nei confronti della collettività dei partecipanti mediante la possibilità di far fronte con regolarità al pagamento delle spese necessarie. Il che postula la puntuale riscossione dei contributi dovuti secondo il piano di riparto approvato. Con la conseguenza che laddove si proceda, come avviene in sede di decreto di ingiunzione, al recupero di contributi non versati è assai limitato l’ambito entro il quale l’ingiunto può sollevare domande o eccezioni proprio per evitare che il corretto funzionamento del condominio possa essere compromesso dall’introduzione di eccezioni volte a paralizzare il diritto dell’ente di gestione alla rapida e sollecita riscossione dei contributi. Laddove il partecipante debitore, rimosse dapprima le delibere, riterrà di avere pagato più volte lo stesso debito o di essere creditore ben potrà agire separatamente per la ripetizione o per il conseguimento del dovuto con autonoma azione (Cass. SSUU 4421/07 e Cass.19519/05). Da tali presupposti discende altresì l’inesistenza di rapporti di pregiudizialità fra i giudizi di opposizione a d.i. e di impugnazione ex art. 1137 c.c. (sul punto v. la citata sentenza della S.C. a Sezioni Unite).

Orbene, nel caso in esame, tutte le eccezioni sollevate dall’opponente costituiscono motivi di impugnazione delle delibere in quanto postulano vizi nella formazione della volontà dell’assemblea (quali pagamenti non tenuti in cale prima dell’approvazione delle delibere, errori nel riparto e obbligo di procedere nei confronti del conduttore: eccezione quest’ultima che, occorre rilevare incidentalmente, è palesemente errata nel merito in quanto il proprietario è obbligato propter rem verso l’ente di gestione mentre il contratto di locazione rileva nei soli rapporti interni fra locatore e conduttore) e non possono, per quanto detto, essere fatte valere per paralizzare l’azione del condominio.

Donde il rigetto delle eccezioni.

E’ tuttavia emerso che, nel corso del giudizio, S. ha corrisposto parte di quanto dovuto e segnatamente la somma di Euro __ a C. (che ha riconosciuto il pagamento anche nelle memorie conclusive).

Il decreto, considerato che il debito è stato in parte estinto (anche se solo in epoca successiva all’emanazione del decreto) deve, pertanto, essere revocato in quanto il giudizio di opposizione non introduce un’autonoma fase ma produce solo l’effetto che sulla domanda dell’attore, già proposta nelle forme del procedimento monitorio, si debba conoscere attraverso le forme del processo ordinario d.i., ciò in considerazione della natura del giudizio di opposizione, che deve essere inteso come giudizio ordinario di cognizione sul merito della pretesa creditoria, che ha inizio con la proposizione del ricorso, e non come mero giudizio di accertamento sulla validità del decreto ingiuntivo.

Nel caso in esame, pertanto, costituendo circostanza pacifica l’avvenuto parziale pagamento del dovuto in corso di causa, il decreto deve essere revocato.

S. deve essere condannato a corrispondere a controparte la residua parte ancora dovuta pari ad Euro __ oltre agli interessi dalla domanda al saldo.

Per l’attribuzione delle spese di lite si deve avere riguardo a quando si realizza la pendenza delle lite onde verificare se, a tale momento, sussisteva o meno il credito e la domanda era fondata. Orbene la pendenza della lite, nel procedimento monitorio, si determina con la notificazione al debitore del decreto di ingiunzione (Cass. 1657/04). Pertanto laddove, a tale momento, il credito era già estinto la domanda giudiziale si deve ritenere infondata (Cass. 7526/07). Mentre laddove, come nel caso in esame, è risultato invece acclarato che il pagamento, peraltro parziale, è sopraggiunto solo nel corso della pendenza della lite, la domanda monitoria deve ritenersi fondata.

La sostanziale fondatezza della domanda avanzata da C. legittima pertanto la condanna di parte opponente alla refusione, in favore della controparte vittoriosa, del residuo dovuto pari ad Euro __ oltre agli interessi ed alle spese di lite della fase monitoria come ivi liquidate nonché alle spese di questa fase.

P.Q.M.

Definitivamente decidendo revoca il decreto ingiuntivo impugnato.

Condanna parte opponente al pagamento, in favore del Condominio indicato in epigrafe, della somma di Euro __ oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo nonché alla refusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro __ di cui Euro __per spese vive ed Euro __ per compensi (tenuti in cale anche quelli liquidati in sede monitoria), oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2019.

Tribunale_Roma_Sez_V_Sent_ 22_01_2019

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Incombe sul creditore, che chiede la collocazione sussidiaria, l’onere di provare che, è rimasto incapiente nell’esecuzione direttamente promossa

Incombe sul creditore, che chiede la collocazione sussidiaria, l’onere di provare che, è rimasto incapiente nell’esecuzione direttamente promossa

Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 5724 del 27/02/2019

Con sentenza del 27 febbraio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione II Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che ai fini dell’art. 2776 c.c. – il quale dispone che i crediti indicati nell’art. 2752 c.c., aventi privilegio generale sui mobili, nel caso di infruttuosa esecuzione su di essi, siano collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari – incombe sul creditore, che chiede la collocazione sussidiaria, l’onere di provare che, purché prima di partecipare alla distribuzione nella quale invoca il privilegio, ma non già anche prima di avere dispiegato l’azione esecutiva (pure soltanto mediante intervento), è rimasto incapiente nell’esecuzione direttamente promossa ed impossibilitato ad intervenire nelle precedenti esecuzioni, ovvero che il suo intervento era (o sarebbe) stato superfluo per l’insufficienza del patrimonio mobiliare del debitore a soddisfare il suo credito, anche se privilegiato.

 

Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 5724 del 27/02/2019

Incombe sul creditore, che chiede la collocazione sussidiaria, l’onere di provare che, è rimasto incapiente nell’esecuzione direttamente promossa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

D. S.P.A., già U. S.P.A.

– ricorrente –

contro

S. S.R.L.

– controricorrente –

e contro

G., A., L. e Z.

– intimati –

avverso la sentenza n. __ del TRIBUNALE di ROMA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo e rigetto del 2 motivo di ricorso;

udito l’Avvocato __ per delega non scritta;

udito l’Avvocato __.

Svolgimento del processo

  1. All’esito dell’espropriazione immobiliare iscritta al n. __ r.g.e. del Tribunale di Roma – da desume – si intentata dalla dante causa di U. spa, con l’intervento di S. srl, su beni di G., A., L. e Z.- fu proposto alle parti il progetto di distribuzione della somma ricavata e, nonostante la contestazione della procedente sia della ricostruzione dell’entità del suo credito che della quota di esso su cui riconoscere il privilegio ipotecario vantato, approvato con ordinanza del giudice dell’esecuzione in data __, addotta come comunicata il __.
  2. Fu, in particolare, escluso il privilegio ipotecario sugli interessi moratori in dichiarata applicazione di Cass. 8657/98 e 4124/99, attribuito a totale soddisfo del credito della procedente l’importo di Euro __ in via ipotecaria (oltre le spese in prededuzione per Euro __) e riconosciuto invece il privilegio, ex artt. 2751 bis e 2776 cpv. c.c., all’interventore S. srl per Euro __: ed il successore della procedente, D. spa, propose allora opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., con ricorso depositato il __.
  3. Costituitosi solo l’interventore con richiesta di rigetto dell’opposizione, l’adito tribunale la respinse: in primo luogo, escludendo dal privilegio ipotecario gli interessi moratori invocati dalla procedente e, in secondo luogo, riconoscendo all’interventore il privilegio per avere quello dato la prova di avere, nel corso del procedimento esecutivo, infruttuosamente tentato l’escussione sui mobili; e condannò l’opponente, soccombente, alle spese di lite della sola controparte costituita, liquidandole in Euro __, oltre spese generali e accessori.
  4. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata il __ col n. __, ha proposto ricorso la D. spa, articolato su due motivi e notificato dal __, cui ha resistito con controricorso S. srl; per la pubblica udienza del __, infine, entrambe le parti depositano memorie.

Motivi della decisione

  1. In via preliminare, la ritualità della notifica del ricorso almeno a mezzo posta ordinaria ad almeno alcuni dei contraddittori (gli intimati G., A., L. e Z.: essendosi completate le relative operazioni per il primo il __ e per il secondo ed il terzo in data __) esime dalla disamina della questione della ritualità o meno della prova – ai fini della procedibilità o dell’ammissibilità – della notifica del ricorso a mezzo posta elettronica (in apparenza eseguita il __) a S. srl, siccome carente di asseverazione autografa di conformità del messaggio di posta elettronica con cui quella notifica avrebbe avuto luogo: questione resa complessa, anche in ordine all’applicazione dei principi affermati da Cass. Sez. U. 24/09/2018, n. 22438 (seguita già da Cass. ord. 30/10/2018, n. 27480, a mente delle quali “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dalla ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente… non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2”) dalla circostanza non tanto dell’evidente tardività della notifica del controricorso (avvenuta non prima del 20/07/2017, benchè il relativo termine fosse scaduto il ventesimo giorno dal termine per la produzione della documentazione – di venti giorni dall’ultima notifica – da parte del ricorrente, per di più avutasi comunque il 21/11/2016), quanto piuttosto del dispiegamento di una simile contestazione soltanto con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., e quindi con un atto da ritenersi inammissibile in dipendenza proprio della tardività del controricorso (fra molte: Cass. 14/03/2017, n. 6563; Cass. 30/04/2005, n. 9023).
  2. Infatti, può farsi applicazione del principio della ragione più liquida (sul quale v., tra moltissime: Cass. Sez. U. 23/10/2107, n. 24969, p. 8 delle ragioni della decisione; Cass. Sez. U. 14/03/2018, n. 6335, p. 6 di dette ragioni), in base a cui deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche senza valutare la fondatezza o meno di questioni pregiudiziali o preliminari: in particolare, anche a prescindere dalla verifica dell’interesse della ricorrente a dolersi di una pronuncia su di un’ordinanza che comunque riconosce in modo non equivoco l’integrale soddisfo di ogni sua pretesa creditoria, potendo fin d’ora concludersi che ciascuno dei motivi vada disatteso.
  3. Orbene, quanto ai motivi dispiegati dalla ricorrente:

– col primo, essa lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2855 c.c., comma 3”: in estrema sintesi parendo dolersi che, rispetto alla precisazione del credito, erroneamente il professionista delegato – nel redigere il progetto di distribuzione, poi invece approvato dal giudice dell’esecuzione – avrebbe escluso ogni capitalizzazione e comunque avrebbe errato, come dimostrato dai prospetti genericamente richiamati, anche quanto ad esclusione degli interessi moratori dal privilegio ipotecario, sul punto richiamando, in addotto contrasto con la giurisprudenza applicata dalla sentenza gravata, la pronuncia di Cass. 6403/15;

– col secondo, deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2776 c.c., comma 2”: ribadendo la tesi di un non rispettato onere, per il creditore professionista che invochi il privilegio generale sugli immobili, di un previo espletamento infruttuoso di una procedura esecutiva quale condizione per dispiegare intervento e per il riconoscimento del privilegio in sede di distribuzione, richiamata al riguardo soprattutto giurisprudenza di merito.

  1. Il primo motivo è inammissibile: difettano, nel ricorso e senza che possa rilevare a colmare tale lacuna alcun altro atto successivo, gli elementi invece decisivi – se non sull’andamento della procedura esecutiva e sull’esatta identificazione degli esecutati e dell’esecutante originario, della somma ricavata e dei tempi degli interventi, quanto meno – sulla causa petendi azionata col ricorso per opposizione agli atti esecutivi (e non con il successivo atto di introduzione della fase di merito, irrilevante perché inidoneo a fissare il thema decidendum) e specialmente sulle differenti ipotesi di distribuzione via via succedutesi e tra loro contrapposte; in particolare, difettano soprattutto adeguati ed idonei stralci dei passaggi intermedi e l’indicazione puntuale delle ragioni di diritto in base alle quali pervenire ai risultati auspicati dall’odierna ricorrente e per contrastare analiticamente quelli invece accolti dal giudice dell’esecuzione col recepimento del progetto predisposto dal professionista delegato.
  2. Tale carenza impedisce di valutare se sia stata adeguatamente attinta da valida censura l’unica ratio decidendi posta dalla qui gravata sentenza a base della reiezione del primo motivo di opposizione, che si incentra nella non spettanza del privilegio sugli interessi moratori: in via dirimente, in quanto l’unico dato esistente in ricorso dà atto di un totale riconoscimento del credito azionato a totale soddisfo e per l’intero in via ipotecaria, ciò che esclude necessariamente che sia stata errata l’applicazione dell’art. 2855 c.c., riguardante una ripartizione tra privilegio e chirografo degli accessori del credito ipotecario che non c’è stata in concreto.
  3. Non può quindi verificarsi se sia stata fatta o meno corretta applicazione, quanto alla spettanza o meno del privilegio ipotecario sugli interessi moratori, della consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “nei crediti per capitale assistiti da ipoteca deve essere tenuto distinto l’ambito operativo dell’art. 2855 c.c., commi 2 e 3, atteso che il comma 2, disciplina i limiti di estensione della garanzia ipotecaria agli “interessi corrispettivi”, individuandoli nel triennio ivi considerato (biennio precedente ed anno in corso al momento del pignoramento) e sanzionando con la nullità gli accordi non conformi ai limiti legali, mentre il comma 3, ha per oggetto la disciplina dei limiti di estensione della garanzia ipotecaria agli “interessi moratori” (tali dovendo in ogni caso qualificarsi, ex art. 1219 c.c., comma 1, gli interessi maturati dopo la notifica del precetto), i quali, successivamente all’anno del pignoramento e fino alla data della vendita beneficiano dell’estensione del medesimo grado della originaria garanzia ipotecaria, me solo nella misura ridotta ex lege al tasso legale” (tra le ultime: Cass. 02/03/2018, n. 4927; in precedenza, nello stesso senso: Cass. 28/07/2014, n. 17044; Cass. 15/01/2013, n. 775; così superate le remore, desumibili nel senso dell’esclusione in ogni caso degli interessi moratori dal privilegio ai sensi dell’art. 2855 c.c., commi 2 e 3, di Cass. 24/10/2011, n. 21998, nonché di altre pronunce precedenti), 7. È quindi impossibile verificare se ed in che misura la statuizione della sentenza qui gravata, della non estensione del privilegio ex art. 2855 c.c. (senza distinzione tra secondo e comma 3) agli interessi moratori, benché effettivamente imprecisa per l’assolutezza della sua enunciazione (perché non si fa carico della differenziazione tra i detti due commi, che assoggettano a regime diverso i due tipi di interessi), abbia in concreto apportato negative conseguenze per il creditore, al quale, stando ai pochi dati trascritti in ricorso, è stato assegnato per intero e tutto con privilegio ipotecario il credito come ricostruito dal giudice dell’esecuzione per il tramite del suo ausiliario professionista delegato.
  4. Il secondo motivo, se non inammissibile a sua volta per la irrimediabile carenza in ricorso dei riferimenti alle concrete modalità di dispiegamento delle contestazioni avverso il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis c.c., è senz’altro infondato.
  5. Infatti, per la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “ai fini dell’art. 2776 c.c. – il quale dispone che i crediti indicati nell’art. 2752 c.c., aventi privilegio generale sui mobili, nel caso di infruttuosa esecuzione su di essi, siano collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari – incombe creditore, che chiede la collocazione sussidiaria, l’onere di provare di essere rimasto incapiente nell’esecuzione direttamente promossa e di essere stato impossibilitato ad intervenire nelle precedenti esecuzioni perché il suo credito non era ancora certo, liquido ed esigibile, ovvero che il suo intervento era (o sarebbe) stato superfluo per l’insufficienza del patrimonio mobiliare del debitore a soddisfare il suo credito, anche se privilegiato” (Cass. 01/03/1968, n. 673; Cass. 19/12/2016, n. 26101; Cass. 08/03/2017, n. 5809; Cass. ord. 03/10/2018, n. 24125).
  6. Al riguardo, ben può ammettersi che l’infruttuosità – quale presupposto per il privilegio stesso, a sua volta collegato alla natura del credito in ragione del particolare valore intrinseco riconosciutogli dall’ordinamento – dipenda da una mera prognosi – purché fondata su elementi probanti e cospicui – e non comporti l’imposizione al creditore della previa sopportazione di costi ed oneri con ogni probabilità inutili per potersi avvalere di quello che resta pur sempre un privilegio e quindi un trattamento di miglior favore.
  7. Ma, ad ulteriore specificazione del visto principio di diritto, incontestato – o, se non altro, non risultando dal ricorso essere stato contestato tempestivamente – nella fattispecie che l’esecuzione sia stata o si sia prospettata infruttuosa, l’altra questione sul tempo in cui il tentativo andava esperito va risolta considerando che le condizioni per essere preferiti nella distribuzione debbono sussistere al momento in cui possono essere fatte valere e quindi al tempo della distribuzione stessa e non a quello in cui l’azione esecutiva è esercitata: è, in altri termini, con riferimento al concorso che quelle condizioni debbono operare, non incidendo invece sulla legittimità dell’intervento (e, dopo la riforma del 2005/06, sulla sussistenza del potere o della legittimazione a dare impulso alla procedura esecutiva).
  8. Pertanto, il principio di diritto già consolidato va precisato nel senso che “ai fini dell’art. 2776 c.c. – il quale dispone che i crediti indicati nell’art. 2752 c.c., aventi privilegio generale sui mobili, nel caso di infruttuosa esecuzione su di essi, siano collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari – incombe al creditore, che chiede la collocazione sussidiaria, l’onere di provare che, purché prima di partecipare alla distribuzione nella quale invoca il privilegio, ma non già anche prima di avere dispiegato l’azione esecutiva (pure soltanto mediante intervento), è rimasto incapiente nell’esecuzione direttamente promossa ed impossibilitato ad intervenire nelle precedenti esecuzioni (ad esempio, perché il suo credito non era ancora certo, liquido ed esigibile), ovvero che il suo intervento era (o sarebbe) stato superfluo per l’insufficienza del patrimonio mobiliare del debitore a soddisfare il suo credito, anche se privilegiato”. E di esso non risulta fatta, nella controversia in esame, un’erronea applicazione da parte della qui gravata sentenza.
  9. L’inammissibilità del primo motivo e l’infondatezza del secondo comportano il rigetto del ricorso e la condanna della soccombente ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, benché limitatamente alle sole attività defensionali dello studio della controversia e della partecipazione all’udienza di discussione in dipendenza della vista tardività del controricorso (secondo la stessa giurisprudenza richiamata al precedente punto 1 delle ragioni della decisione), di cui va disposta l’attribuzione per la richiesta in tal senso del difensore della controricorrente associazione professionale.
  10. Va infine dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra moltissime altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente e con attribuzione al suo difensore per dichiaratone anticipo, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro __ ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2019

Cass_civ_Sez_III_27_02_2019_n_5724




Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, attore sostanziale, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso per decreto ingiuntivo, salva l’ipotesi della reconventio reconventionis

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, attore sostanziale, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso per decreto ingiuntivo, salva l’ipotesi della reconventio reconventionis

Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza n. 5415 del 25/02/2019

Con sentenza del 25 febbraio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione II Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che qualora nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, attore sostanziale, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso per decreto ingiuntivo, salva l’ipotesi della reconventio reconventionis, proponibile qualora l’opponente abbia formulato, con l’atto di opposizione, una domanda riconvenzionale. La domanda dell’opposto deve, pertanto, dipendere dal titolo dedotto in giudizio o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione o di domanda riconvenzionale.

Nel caso concreto secondo la Corte di merito non si riscontrava alcun collegamento tra la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per colpa professionale avanzata dal cliente e la domanda di pagamento delle competenze del professionista relativa agli incarichi specificati nella comparsa di risposta, in quanto si trattava di incarichi aventi ad oggetto prestazioni ulteriori, di talché gli opposti avevano inammissibilmente introdotto una pretesa del tutto estranea ai petitum ed alla causa petendi originari.

 

Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza n. 5415 del 25/02/2019

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, attore sostanziale, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso per decreto ingiuntivo, salva l’ipotesi della reconventio reconventionis

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

A. – ricorrente e controricorrente all’incidentale –

contro

B., C., A. e G. (tutti eredi dell’Arch. M.) – controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. __ della CORTE d’APPELLO di SALERNO, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato __ per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, che ha concluso come in atti.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data __, B., C., A. e G (quali eredi dell’arch. M.), chiedevano e ottenevano dal Presidente del Tribunale di Salerno l’emissione nei confronti di A. del decreto ingiuntivo n. __ di pagamento in loro favore, a titolo di compenso per prestazioni professionali del loro dante causa, della somma di Lire __ (pari a Euro __), oltre IVA, interessi legali dal __ e spese del procedimento monitorio. A sostegno della domanda d’ingiunzione i ricorrenti deducevano che il loro congiunto, per mandato conferitogli da A., aveva curato la progettazione e la direzione di lavori che avevano interessato edifici danneggiati dagli eventi sismici del __, ubicati nella circoscrizione di A.

Con atto di citazione del __, A. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, deducendo tra l’altro (per quanto qui interessa) l’inadempimento, da parte del professionista, degli obblighi scaturiti dal conferimento dell’incarico di provvedere a quanto necessario per attivare l’iter burocratico inteso a ottenere finanziamenti per i lavori da fare, ivi compresa la direzione di eventuali lavori affidati in concessione. Ciò a causa di gravissimi e ingiustificati ritardi nella predisposizione dei progetti, oltre che di gravi errori nel rilievo dello stato di fatto del (OMISSIS), con conseguente responsabilità del professionista per i danni cagionati alla committente, per la qual cosa spiegava domanda riconvenzionale.

Ciò premesso, l’opponente chiamava in causa gli opposti e il Ministero dei Lavori Pubblici, nonché la REGIONE CAMPANIA, chiedendo di revocare il decreto ingiuntivo n. __ e, tra l’altro, in accoglimento della domanda riconvenzionale, di condannare gli opposti al risarcimento dei danni derivanti da inadempimenti, errori e ritardi del loro dante causa, anche in relazione agli interventi di recupero su immobili non rientranti nel patrimonio dell’Ente, in caso di rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva.

Si costituivano in giudizio gli opposti, i quali resistevano all’opposizione chiedendone il rigetto, e proponevano domanda riconvenzionale, deducendo di essere creditori, nei confronti dell’opponente, dell’ulteriore somma di Lire __, oltre Lire __, per diritti dell’Ordine Professionale, IVA e Cassa Previdenza. Contestavano l’eccepito inadempimento e i lamentati danni e rilevavano la mancata specifica indicazione dei pretesi danni, oltre che la mancanza di prova.

Si costituivano il Ministero dei Lavori Pubblici, che chiedeva, in via pregiudiziale, di dichiarare il difetto di giurisdizione dell’autorità adita e in subordine il rigetto della domanda; e la Regione Campania, che concludeva anch’essa per il rigetto della domanda.

Espletata C.T.U., alla quale si aggiungevano due relazioni di chiarimenti, la causa veniva decisa con sentenza n. __, depositata in data __, con la quale il Tribunale: 1) revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente al pagamento, nei confronti degli opposti, della somma di Lire __ (pari a Euro __), con gli interessi legali dal __ sino al soddisfo; 2) rigettava la domanda riconvenzionale spiegata dall’opponente; 3) dichiarava improponibile la domanda formulata dall’opponente nei confronti del Ministero dei Lavori Pubblici; 4) rigettava la domanda formulata dall’opponente nei confronti della Regione Campania; 5) dichiarava inammissibile la domanda formulata dagli opposti nella comparsa di costituzione del __; 6) compensava per intero tra l’opponente e gli opposti le spese di lite, comprese quelle di CTU; 7) compensava per intero le spese tra opponente e chiamati in causa.

Avverso detta sentenza proponevano appello gli eredi  di M., deducendo: 1) che gli incarichi indicati nei punti da a) a f) del gravame, per tabulas erano riconosciuti da A., come risultava dall’intestazione degli atti; 2) che il Giudice di primo grado aveva erroneamente dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai medesimi; 3) che A., per effetto della rilevante soccombenza, andava condannata alle spese di lite. Chiedevano che A. fosse condannata anche al pagamento di Euro __ per le prestazioni professionali richieste con il decreto ingiuntivo, nonché di Euro __ per le prestazioni professionali richieste con la domanda riconvenzionale, avanzata nella comparsa di costituzione di primo grado del __, per complessivi Euro __, oltre interessi legali dal __.

Si costituiva in giudizio A., chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale. Sosteneva l’appellata che l’opera professionale dell’arch. M. si riferisse a beni estranei al patrimonio di A., ma ricadenti nel patrimonio di singole unità che i rappresentanti avessero conferito l’incarico non era sufficiente a configurare una responsabilità contrattuale di A., essendo evidente in essi la carenza di un potere di rappresentanza; in subordine, proponeva appello incidentale condizionato, deducendo che il Tribunale, dopo aver ricondotto ad A. alcuni degli incarichi professionali indicati nel ricorso monitorio, ingiustamente aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni, avanzata per i gravi ritardi e omissioni dell’arch. M. Specificava che il pregiudizio consisteva nell’esaurimento e nel mancato rifinanziamento dei contributi ex L. n. 219 del 1981, con perdita dei contributi stessi. Pertanto, chiedeva il rigetto dell’appello principale e l’accoglimento dell’appello incidentale, rigettando anche la parte della domanda degli appellanti principali, accolta dal primo Giudice; in subordine, l’accoglimento dell’appello incidentale condizionato e, previa declaratoria di responsabilità professionale dell’arch. M., condannare gli appellanti principali al risarcimento dei danni, con vittoria delle spese di lite del doppio grado.

Si costituivano anche gli altri appellati, i quali chiedevano darsi atto che la sentenza di primo grado non era stata impugnata relativamente ai capi del dispositivo con cui era stata, rispettivamente, dichiarata improponibile e rigettata la domanda proposta nei confronti del Ministero dei Lavori Pubblici e della Regione Campania.

Con sentenza n. __, depositata in data __, la Corte d’Appello di Salerno rigettava l’appello principale e quello incidentale, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del grado.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione A., sulla base di due motivi; resistono gli eredi dell’Arch. M. con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale sulla base di quattro motivi; cui resiste A. con controricorso al ricorso incidentale. I controricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo, A. lamenta la “Violazione e falsa applicazione di __, reso esecutivo con L. n. 810 del 1929, di cui costituisce allegato, nel testo originale (artt. 1 e 29) e in quello modificato con L. n. 121 del 1985 (artt. 3 e 7), nonché delle norme dei rispettivi Codici di Diritto __ relativo alla titolarità degli Enti __; violazione e falsa applicazione degli artt. 1398 e 1399 c.c.; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. La ricorrente deduce che, nel primo motivo di appello incidentale, aveva affermato che – per fondare una propria responsabilità contrattuale nei confronti dell’arch. M., e quindi dei suoi eredi – non fosse rilevante che su alcuni elaborati tecnici, relativi a beni di proprietà di altri Enti __, i rappresentanti dell’epoca fossero individuati e avessero firmato quali committenti, in quanto per le prestazioni affidate al professionista legittimato a contrarre non era __, ma i singoli __ delle __ a cui i beni rispettivamente appartenevano. Infatti, nel Concordato del 1929 – come in quello vigente – viene riconosciuta alla __ piena autonomia di organizzazione. L’art. 1 prevede la disciplina della rappresentanza degli Enti __i (elencati nell’art. 29) in base alle norme del diritto __ (del tempo), le quali – come quelle attuali – affidavano e affidano al __ la titolarità della __, restando escluso alla Diocesi ogni potere e responsabilità circa la gestione e amministrazione dei patrimoni __. Pertanto, A. non può essere chiamata a rispondere non solo degli incarichi conferiti all’arch. M. dai titolari di singoli e distinti Enti Ecclesiastici, quali risultano dalle sottoscrizioni sui prospetti dei progetti e da altri documenti prodotti dagli opposti, ma neppure degli incarichi conferiti al professionista dagli __dell’epoca in relazione a immobili estranei al patrimonio di A., in quanto appartenenti ad altri Enti __ forniti di propria autonomia giruridico-economica; per tali prestazioni sussisterebbe una carenza di titolarità in capo all’Ente __ e al suo legale rappresentante, che impedisce il sorgere di ogni obbligazione in capo al medesimo. Né assumerebbe rilievo che i __ avessero gestito direttamente l’esecuzione dei lavori fino alla loro ultimazione, in quanto tali comportamenti rivelano solo un’errata ingerenza in affari estranei all’Ente dai medesimi rappresentato.

1.1 Il motivo non è fondato.

1.2 La Corte di merito ha ritenuto, conformemente al giudice di prime cure, che vi fosse la prova che i 9 incarichi (riguardanti: 1) i lavori di installazione di un prefabbricato polivalente offerto da __; 2) i lavori di installazione di un prefabbricato polivalente offerto da __; 3) i lavori di riparazione dei danni causati dagli eventi sismici al __; 4) il progetto per il consolidamento e il restauro della __; 5) i lavori di restauro del __; 6) il progetto di consolidamento e restauro della __, con annessi __; 7) i lavori di riparazione dei danni per il terremoto a __; 8) i lavori per il restauro del __; 9) i lavori di consolidamento e restauro della __ e annessa __ (sentenza impugnata, pag. __)) fossero stati conferiti al professionista di __, assieme alla gestione dei lavori e delle pratiche amministrative, comprese quelle dirette a ottenere i finanziamenti pubblici; la qual cosa rendeva sicuramente riconducibili alla __ i rispettivi rapporti di opera professionale, mentre la sola intestazione delle restanti 6 pratiche ad A. non era sufficiente a dimostrare la conclusione dei relativi contratti.

In particolare – evidenziando, peraltro, che i lavori per cui è causa potevano essere gestiti direttamente dal __ e dalla Regione (a seconda che si trattasse di finanziamento statale o regionale), ovvero dati in concessione agli __ – la Corte territoriale, con riferimento ai predetti 9 incarichi, ha osservato che la __, relativamente ai beni in oggetto, non si fosse limitata a conferire ciascun incarico all’arch. M., ma avesse anche gestito direttamente l’esecuzione dei lavori fino alla loro ultimazione. Specificando che nella specie, A. ne aveva richiesto l’affidamento in concessione e, in tale veste, aveva stipulato contratti di appalto con le imprese esecutrici dei lavori e incassato i contributi erogati dallo Stato e dalla Regione (fatta eccezione per il contributo L. n. 219 del 1981, ex art. 65 per i lavori di riparazione dei danni causati dal sisma al __, non erogato per mancanza di fondi statali).

1.3 Correttamente, quindi, la Corte distrettuale ha rilevato che “tenuto conto dello svolgimento, successivamente alla stipula dei singoli contratti di opera professionale, della menzionata attività – tutta incontestatamente e pacificamente riferibile a __ – risulta incongruente e illogico escludere il potere di rappresentanza del __ relativamente al solo conferimento dei vari incarichi all’Arch. M. In altri termini (prosegue la Corte) l’odierna appellante incidentale, in persona del Vescovo, non solo ha direttamente provveduto al conferimento degli incarichi professionali all’Arch. M., come specificato nella motivazione della sentenza impugnata, ma ha anche utilizzato l’attività di quest’ultimo (ora di progettazione, ora di direzione dei lavori o contabilità) per eseguire e portare a termine i lavori, conseguendo, ove previsto e concretamente erogato, il finanziamento statale o regionale” (sentenza impugnata, pag. _).

1.4 Non vale dunque il richiamo operato da A. all’assetto concordatario (di cui alle richiamate norme) relativo alla piena autonomia riconosciuta a __ quanto alla organizzazione interna della stessa, con riferimento all’affidamento al __ della titolarità della parrocchia, restando escluso alla __ ogni potere e responsabilità circa la gestione e amministrazione dei patrimoni __. Il rapporto tra gli enti __ rimane tutt’interno al sistema __, e, in assenza di specifica normativa, non rileva in termini di validità ed efficacia della attività negoziale privatistica svolta secondo le norme del diritto civile. Qualora, infatti (come nella specie), sia in discussione la legittimità da parte della __ e degli enti __ dell’uso iure privatorum di beni soggetti alle norme del codice civile – in quanto non diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano – la __ e le sue istituzioni sono tenute all’osservanza, al pari degli altri soggetti giuridici, delle norme di relazione, essendo queste inidonee a dare luogo a quelle compressioni della libertà __ e delle connesse alte finalità che la norma concordataria di cui alla L. n. 121 del 1985, art. 2 in ottemperanza al dettato costituzionale, ha inteso tutelare, non avendo lo Stato rinunciato alla tutela di beni giuridici primari garantiti dalla Costituzione (Cass. n. 2166 del 2006; cfr. Cass. n. 497 del 1989).

  1. Con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce la Violazione degli artt. 163, 164 e 342 c.p.c. (quest’ultimo nel testo previgente alla sostituzione di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1 conv. con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4″, in quanto l’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. (nel testo previgente alla modifica del 2012) non doveva necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi solo un’esposizione chiara e univoca, anche se sommaria, sia della domanda sia delle ragioni della doglianza (Cass. n. 17960 del 2007).

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Con riferimento all’art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, ai sensi dell’art. 54, commi 2 e 3-bis cit. D.L.), questa Corte (ex plurimis, Cass. sez. un. n. 3033 del 2013) sottolineato che l’originario connotato di novum iudicium del processo d’appello (disciplinato dal codice di rito del 1865), notevolmente attenuato nel nuovo codice del 1940 dalle disposizioni contenute negli artt. 342, 345 e 346 c.p.c. a seguito delle profonde modifiche apportate dalla L. n. 353 del 1990, non è più riscontrabile nell’attuale processo civile, nel cui ambito il giudizio di secondo grado costituisce una revisio prioris instantiae, incanalata negli stretti limiti devoluti con i motivi di gravame – ha ribadito che, nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata.

In sostanza (Cass. sez. un. n. 28498 del 2005), l’appello deve puntualizzarsi all’interno dei capi di sentenza destinati ad essere confermati o riformati, ma comunque sostituiti dalla sentenza di appello (Cass. sez. un. n. 28498 del 2005). Pertanto, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, con la conseguenza che tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono; pertanto, nell’atto di appello deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame rilevabile d’ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (Cass. sez. un. n. 23299 del 2011; nonchè, Cass. n. 4068 del 2009; Cass. n. 18704 del 2015; Cass. n. 12280 del 2016).

2.3 Al fine quindi di verificare la corretta applicazione della norma in esame, si deve ribadire che non si rivela sufficiente il fatto che l’atto d’appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con idoneo grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 16 del 2000; Cass. sez. un. n. 28498 del 2005). Da ciò, la affermata inammissibilità dell’atto di appello redatto in modi non rispettosi dell’art. 342 codice di rito (Cass. sez. un. n. 16 del 2000, cit.), che va tuttavia applicato senza inutili formalismi e senza richiedere all’appellante il rispetto di particolari forme sacramentali (v., tra le altre, Cass. 12984 del 2006; Cass. n. 9244 del 2007; Cass. n. 25588 del 2010; Cass. n. 22502 del 2014; Cass. n. 18932 del 2016; Cass. n. 4695 del 2017).

2.4 Tali principi hanno trovato conferma anche nelle sentenze delle Sezioni unite n. 28057 del 2008 e n. 23299 del 2011); nonché da ultimo (con riferimento agli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo certamente più rigoroso, novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, e convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134) in Cass. sez. un. n. 27199 del 2017, che – in coerenza con la regola generale per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale (Cass. n. 10916 del 2017); e non trascurando che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Cass. n. 10878 del 2015; sent. CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia) – ha riaffermato che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice” (conf. Cass. n. 13535 del 2018).

2.5 La Corte di merito, nel dichiarare inammissibile l’appello incidentale, ha rilevato che – a fronte della mancata emersione di errori e/o irregolarità nell’esecuzione delle prestazioni, tali da far configurare violazioni dell’obbligo di diligenza ex art. 1176 c.c. – A. non aveva specificamente allegato e provato quali fossero gli incarichi che il professionista non avrebbe esattamente adempiuto e i termini previsti per l’adempimento; quali le documentazioni e progettazioni depositate in ritardo; quali i lavori e le opere che non avevano fruito del finanziamento e le ragioni della mancata erogazione; il rapporto di causalità tra i pretesi ritardi e la perdita dei contributi (sentenza impugnata, pag. 26).

  1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti deducono la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 c.c.e ss., artt. 1326 c.c. e ss., art. 1362 c.c. e ss., art. 2222 c.c. e ss., art. 2697 c.c. e artt. 2723 c.c. e ss. e degli art. 99, 100, 101, 112, 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la Corte di merito ha rigettato il motivo dell’appello principale degli eredi M., relativo al mancato riconoscimento dell’incarico professionale all’arch. M. da parte di A. con riferimento alle altre 6 prestazioni professionali, indicate nei punti da a) a f) del gravame. La sentenza impugnata avrebbe violato le norme in epigrafe non avendo valutato che l’incarico all’arch. M. era stato conferito da A. con carattere di generalità, cioè con riguardo a tutti gli interventi, le progettazioni e le esecuzioni delle opere occorrenti agli immobili appartenenti a __ a causa del terremoto del 23.11.1980. Dalla documentazione prodotta e dal finanziamento pubblico concesso alla __, viceversa, sarebbe emersa chiara l’esistenza del contrato d’opera tra A. e l’arch. M. Con il motivo si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme nella conclusione e sull’interpretazione dei contratti, tenuto conto dei criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss., nonché, alla luce del principio della libertà della prova, la violazione dell’art. 2729 c.c., data la presenza di una presunzione grave, precisa e concordante circa l’esistenza del rapporto contrattuale anche per tali 6 incarichi professionali.

3.1 Il motivo è inammissibile.

3.2 In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di “errori di diritto” individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretestuosamente violate (soprattutto allorquando dette norme siano numerose e riguardino aspetti eterogenei), ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Il controllo affidato alla Corte non equivale, dunque, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).

3.3 Sotto altro profilo, come sopra accennato, la allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna al paradigma dell’esatta interpretazione della norma di legge; essa infatti inerisce alla tipica valutazione spettante al giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Ciò, non senza sottolineare che le censure mosse dai controricorrenti si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), mediante specificamente un riesame generale delle rationes decidendi, inammissibile seppure effettuato con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dai controricorrenti; e quindi obliterando che rientra nelle prerogative del giudice del merito – nell’ambito dell’esame del materiale istruttorio acquisito nell’incarto processuale selezionare e valutare le prove ritenute pertinenti e rilevanti ai fini del decidere. L’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova (quale è l’atto negoziale, cui il giudicante può operare integrale riferimento ove ritenuto esente da censure) con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056 del 2016; nonchè, in tal senso, Cass. n. 15927 del 2016).

  1. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti deducono l’Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5), nella parte in cui la Corte distrettuale non avrebbe esaminato fatto per cui A. aveva affidato all’Arch. M. – in vista della ricostruzione e riparazione degli edifici sacri delle due __, danneggiati dal sisma del 23.11.1980 -, la direzione dell’Ufficio tecnico delle due __, specificando che il professionista aveva l’incarico di “provvedere a quanto necessario per attivare l’iter burocratico inteso ad ottenere finanziamenti per i lavori a farsi, ivi comprese la progettazione e la direzione di eventuali lavori affidati in concessione”; sicché sia la concessione che l’erogazione di contributi statali e regionali sorgesse in favore della __, la quale, anche per queste pratiche, aveva incassato il contributo, comprensivo delle spese tecniche, di pertinenza del D.L.

4.1 Il motivo è inammissibile.

4.2 L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al __, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il __) consente (Cass. n. 8053 e n. 8054 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

4.3 Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i controricorrenti avrebbero, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Orbene, nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter accedere all’esame del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’è traccia. Sicché, anche in questo caso, le censure mosse in riferimento a detto parametro si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018).

  1. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 99, 101, 112, 115, 116, 167, 183, 184, 633 e 645 c.p.c. e degli artt. 3, 24 e 111 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, nella parte in cui la Corte di merito ha rigettato il secondo motivo di appello degli eredi M. relativo alla dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale dai medesimi proposta con la comparsa di risposta depositata nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. La parte osserva che, nell’atto di opposizione erano presenti diverse espressioni che portavano a ritenere che la domanda riconvenzionale di A. riguardasse il risarcimento di tutti i danni derivati dall’intero rapporto intercorso con il professionista, cagionati e cagionandi in dipendenza degli inadempimenti del medesimo. Il riferimento anche ai beni immobili estranei al patrimonio era l’elemento interpretativo che confermava la portata generale dell’azione risarcitoria introdotta da A. con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo. Osservano gli eredi M. che – pur essendosi imposto l’orientamento giurisprudenziale più restrittivo (Cass. sez. un. n. 26128 del 2010), in base al quale l’opposto, che ha la veste sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso per ingiunzione, mentre all’opponente è consentito proporre anche domande riconvenzionali – tuttavia, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5 applicabile data la natura di giudizio ordinario di cognizione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è permesso all’attore-opposto di proporre le domande ed eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale. Né sarebbe necessario che la domanda principale e quella riconvenzionale debbano dipendere da un unico e identico titolo, in quanto basta che nelle contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo tale da rendere consigliabile la celebrazione del simultaneus processus. Nella fattispecie, la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, essendo relativa all’intero rapporto contrattuale intercorso tra l’arch. M. e A., avrebbe dovuto comportare la proponibilità della domanda avanzata dagli eredi M. con la comparsa di risposta depositata nel giudizio di opposizione, essendo direttamente collegata alla domanda riconvenzionale di A.

5.1 Il motivo non è fondato.

5.2 Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte (Cass. n. 2529 del 2006; Cass. n. 23294 del 2006), mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis (Cass. n. 16564 del 2018). Ad ogni modo la reconventio reconventionis deve dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Cass. n. 2244 del 2006; Cass. n. 8582 del 2013). Sicchè, in analoga fattispecie, questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di pagamento delle opere extra contratto, proposta dall’opposto con la comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, relativo al pagamento del corrispettivo di un appalto per l’esecuzione di lavori edili, in quanto non ammesso l’ampliamento del thema deicidendum (Cass. n. 25598 del 2011). E, del resto, anche la sentenza delle Sezioni unite (Cass. sez. un. n. 26128 del 2010) – richiamata dalla stessa ricorrente – consente la proposizione di una nuova domanda da parte dell’opposto solo se essa nasca dalle difese dell’opponente contenute nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, ma tale circostanza non ricorre nel caso in esame.

5.3 Di tali principi ha tenuto conto la Corte di merito, la quale ha correttamente affermato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’opposto, attore sostanziale, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso per decreto ingiuntivo, salva l’ipotesi della reconventio reconventionis, qualora l’opponente abbia proposto, con l’atto di opposizione, una domanda riconvenzionale, per cui la domanda dell’opposto deve dipendere dal titolo dedotto in giudizio o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione o di domanda riconvenzionale. Secondo la Corte di merito, nella specie, non si riscontrava alcun collegamento tra la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per colpa professionale avanzata da A. e la domanda di pagamento delle competenze dell’arch. M., relativa agli incarichi professionali specificati nella citata comparsa di risposta, in quanto si trattava di incarichi aventi ad oggetto ulteriori prestazioni del professionista, mentre la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni era riferita alla colpa professionale dell’arch. M. in relazione agli incarichi contemplati dalla domanda monitoria. Così, pertanto, gli opposti avevano inammissibilmente introdotto una pretesa del tutto estranea al petitum ed alla causa petendi originari.

  1. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti deducono l’ulteriore “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)”, lamentando che la Corte di merito abbia omesso di esaminare la reale portata della domanda riconvenzionale proposta dalla odierna ricorrente, dando per scontato il fatto che la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per colpa dell’arch. M. riguardasse “le modalità di espletamento degli incarichi oggetto della domanda monitoria e del pedissequo decreto”.

6.1 Il motivo è inammissibile.

6.2 Valgono integralmente le considerazioni svolte sub 4.2. e 4.3., cui si fa integrale rinvio.

Aggiungendo peraltro, quale ulteriore e autonomo profilo di inammissibilità della censura, la considerazione della assoluta carenza di specificità del motivo, giacché l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere. Ne consegue che il motivo che non rispetti tale requisito si deve considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 e nell’art. 375 c.p.c. con il riferimento alla “mancanza dei motivi” (Cass. n. 24773 del 2018).

  1. Il ricorso principale e quello incidentale vanno, pertanto, rigettati. In ragione della soccombenza reciproca, si dispone ex art. 92 c.p.c., comma 2, la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. Va, viceversa, emessa a carico del ricorrente principale e di quello incidentale la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, ciascuno, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2019

Cass_civ_Sez_II_Sent_n_5415_del_25_02_2019




La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito

La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito

Tribunale Ordinario di Bergamo, Sezione IV Civile, Sentenza del 25/01/2019

Con sentenza del 25 gennaio 2019, il Tribunale Ordinario di Bergamo, Sezione IV Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto.

 

Tribunale Ordinario di Bergamo, Sezione IV Civile, Sentenza del 25/01/2019

La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Bergamo

Sezione Quarta Civile

Il Tribunale, in persona del giudice __ ha

pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al __ R.G. promossa da

A. (C.F. (…))

ATTRICE OPPONENTE

contro

D. S.R.L. (P.IVA (…)), in persona del legale rappresentante __,

CONVENUTA OPPOSTA

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato alla controparte, A. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. __ R.G., con il quale il Tribunale di Bergamo, in data __, le aveva ingiunto il pagamento, in favore della società D. S.r.l., della somma di Euro __, oltre interessi e spese, a saldo della fattura n. (…) del __, relativa all’esecuzione di lavori di ristrutturazione e alla fornitura di beni presso il magazzino sito in __, via __ n. __.

L’opponente ha in particolare eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, negando di avere commissionato i lavori oggetto della fattura azionata monitoriamente. Ha chiesto pertanto la revoca del decreto ingiuntivo opposto e la condanna della controparte ex art. 96 c.p.c..

La società D.E. S.r.l. si è costituita regolarmente, depositando in data __ la propria comparsa di costituzione e risposta, con la quale ha chiesto il rigetto dell’opposizione e, in via subordinata, la condanna dell’opponente al pagamento del medesimo importo oggetto del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Escussi alcuni testimoni e interrogata formalmente l’opponente, all’udienza del __, i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni e, concessi i termini di legge di cui all’art. 190 c.p.c., la causa è passata in decisione.

Motivi della decisione

Il presente giudizio di opposizione trae origine dal ricorso monitorio depositato dalla società D. S.r.l. al fine di ottenere il pagamento della somma di Euro __, a saldo della fattura n. (…), emessa nei confronti di A., per lo svolgimento di lavori di ristrutturazione e per la fornitura di beni, effettuati tra ottobre e novembre __, presso il magazzino sito in __, via __ n. __.

L’opponente è comproprietaria, assieme al figlio M. dell’intero immobile sito in __, via __ n. _-, composto da un appartamento al primo piano e un magazzino al piano terra, quest’ultimo oggetto dei lavori di ristrutturazione di cui si discute.

A. ha negato di avere commissionato alla società opposta i summenzionati lavori e di avere avuto conoscenza della relativa esecuzione.

La società D. S.r.l. ha invece sostenuto che sia stata proprio A. a commissionare i lavori e si è quindi affermata titolare nei confronti di quest’ultima del diritto di credito azionato.

A sostegno della domanda, la difesa della parte convenuta opposta ha depositato la fattura n.(…) intestata alla parte opponente, regolarmente iscritta nel registro I.V.A. vendite, e ha formulato alcuni capitoli di prova volti a dimostrare sia il conferimento dell’incarico sia la diretta conoscenza dei lavori in capo ad A. Ha inoltre fatto rilevare, al fine di giustificare l’assenza di un documento scritto, che il contratto di appalto era stato stipulato fra A., in qualità di committente, e il figlio M., comproprietario del magazzino, in qualità di legale rappresentante della società appaltatrice.

Ciò posto, va rammentato in via di principio che il creditore è tenuto a dimostrare la sussistenza del vincolo contrattuale e la fonte dell’obbligazione fatta valere in giudizio (v. Cass. SU 13533/2001) e che il comproprietario del bene oggetto del contratto non è per ciò solo tenuto ad adempiere le obbligazioni da esso derivanti (stante il limite di efficacia delle obbligazioni di cui all’art. 1372 comma 2 c.c.).

L’intestazione della fattura all’opponente, a fronte delle contestazioni di quest’ultima, non è elemento di prova sufficiente. Al riguardo si richiama l’orientamento secondo il quale la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto (v. Cass. n.5915/2011)

All’esito della prova testimoniale, l’onere della prova gravante sulla parte convenuta opposta non può ritenersi assolto.

Il teste E. ha dichiarato di essere stato inviato ad eseguire i lavori di ristrutturazione del magazzino di cui è giudizio da parte di M. in qualità di suo datore di lavoro (“titolare”) e ha riferito di avere in qualche occasione visto in cantiere A.G., senza ricevere dalla stessa alcuna indicazione.

Il teste M. ha escluso che la madre A. fosse coinvolta nel contratto di appalto.

L’eccezione di incapacità a testimoniare del suddetto teste sollevata dalla parte convenuta opposta non può essere presa in considerazione, non essendo stata riproposta né dopo l’assunzione della testimonianza né in sede di precisazione delle conclusioni; in ogni caso, la stessa va superata, essendo M. attualmente estraneo alla società D. S.r.l. e non ricorrendo pertanto alcuna delle ipotesi di incapacità di cui all’art. 246 c.p.c.

Il legame di parentela con la parte opponente e il pregresso incarico ricoperto nella società opposta da M., nonché la sussistenza di ragioni di conflitto con la società stessa sono elementi di fatto idonei, al più, a inficiare la deposizione sotto il profilo della attendibilità.

Peraltro, anche a qualificare inattendibile la testimonianza di M., manca del tutto la prova positiva della assunzione della qualità di contraente da parte della opponente; a tal fine, non è infatti rilevante che la stessa si sia in qualche occasione presentata in cantiere.

In forza del considerazioni che precedono e in accoglimento della eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da A., il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato.

Va disattesa anche la domanda di condanna proposta dalla società opposta in via subordinata, ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Al riguardo, è sufficiente rammentare che “l’azione generale di arricchimento non può essere proposta quando il soggetto che si è arricchito è diverso da quello con il quale chi compie la prestazione ha un rapporto diretto, in quanto in questo caso l’eventuale arricchimento costituisce solo un effetto indiretto o riflesso della prestazione eseguita, essendo altresì carente anche il requisito della sussidiarietà (art. 2042, c.c.), che non sussiste qualora il danneggiato possa esperire un’azione tipica nei confronti dell’arricchito o di altri soggetti, che siano obbligati nei suoi confronti “ex lege” o in virtù di un contratto” (v. Cass. n. 11835/2003).

Di contro, non risultando che la parte convenuta opposta abbia agito in giudizio con mala fede o colpa grave, va respinta la domanda proposta dalla parte attrice opponente ex art. 96 c.p.c.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico della società opposta nella misura liquidata direttamente in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita,

1) Revoca il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di Bergamo in data __ nei confronti di A. e in favore di D. S.r.l.;

2) Rigetta la domanda proposta dalla parte opponente ex art. 96 c.p.c.;

3) Condanna la parte convenuta opposta a rimborsare alla parte attrice opponente le spese di lite, che si liquidano in Euro __ per compensi e in Euro __ per esborsi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario al 15%.

Così deciso in Bergamo, il 24 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2019.

Tribunale _Bergamo_Sez_IV_Sent_25_01_2019

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L’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità od inefficacia parziale per la somma eccedente

L’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità od inefficacia parziale per la somma eccedente

Tribunale Ordinario di Milano, Sezione III Civile, Sentenza del 09/01/2019

Con sentenza del 9 gennaio 2019, il Tribunale Ordinario di Milano, Sezione III Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che l’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità od inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito.

 

Tribunale Ordinario di Milano, Sezione III Civile, Sentenza del 09/01/2019

L’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità od inefficacia parziale per la somma eccedente

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MILANO

SEZIONE III CIVILE

in composizione monocratica nella persona del magistrato dott. __ ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. __ R. G., avente ad oggetto: opposizione a precetto

TRA

A. s.p.a.

OPPONENTE

E

T. e R.

OPPOSTI

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. A. s.p.a. ha proposto opposizione avverso il precetto notificato il __ con il quale, sulla base della sentenza n. __di questo Tribunale, T. e R. le hanno intimato il pagamento della somma di Euro __ a titolo di risarcimento del danno derivante dalla morte del proprio figlio I.

L’opponente ha dedotto: a) di non aver mai ricevuto la notifica dell’atto introduttivo del giudizio di merito; b) di aver versato, in via stragiudiziale, in pendenza dello sconosciuto giudizio concluso con la sentenza sopra citata, la somma di Euro __; c) che “gli intimanti, poco chiariscono il loro domicilio attuale così come la loro difesa attuale, per come dedotta nell’esordio dell’Atto di Precetto, qui opposto” (p. 2 dell’atto introduttivo del presente giudizio); d) che erronea è l’entità della somma richiesta, nel precetto, a titolo di interessi, anche considerato che il titolo esecutivo non indica la data esatta di liquidazione dell’acconto percepito dai danneggiati nelle more del giudizio, “così non permettendo corretto calcolo dell’interesse maturato sull’importo residuo liquidato che, di fatto, nel precetto, viene esposto sul danno intero. E comunque, dall’esame del precetto qui opposto, non si comprende il calcolo dell’interesse eseguito da controparte” (p. 3 dell’atto introduttivo); e) che gli intimanti “nella deduzione dell’acconto percepito, errano in difetto, sempre a danno della Compagnia. La verifica contabile è presto fatta con la comparazione tra la Sentenza (pure errata) ed il precetto” (p. 3 dell’atto di citazione); f) che il comportamento della controparte “concretizza azione contraria alle regole del buon padre di famiglia, atteso che risulta assolutamente contrario ai principi di correttezza e buona fede indicati e confermati dalla Suprema Corte” (p. 3 dell’atto introduttivo del presente giudizio) e che, in caso di corretta citazione nel giudizio di merito l’odierna opponente avrebbe potuto far valere il concorso del fatto colposo del figlio degli odierni opposti.

  1. e R. hanno chiesto il rigetto delle domande svolte dalla controparte deducendo che le censure sollevate da A. s.p.a. attengono al giudizio di merito e non sono ammissibili nella presente opposizione a precetto e, in ogni caso, che l’atto introduttivo del giudizio di merito riporta le somme versate dall’assicurazione a titolo di acconto. Ancora, gli opposti hanno allegato: i) che la procura con elezione di domicilio può essere rilasciata anche successivamente al precetto, “assolvendo in tal caso la funzione di ratifica (…) anche implicita” (p. 3 della comparsa di costituzione); ii) che, quanto alla pretesa erronea indicazione della misura degli interessi, la censura svolta dalla controparte è assolutamente generica (non riportando la pretesa entità degli interessi dovuti ed il motivo del prospettato errore di calcolo); iii) che estremamente generica è pure la doglianza relativa alla mancata valutazione degli esborsi già sostenuti da A. s.p.a.
  2. Salvo quanto si dirà con riferimento al motivo sopra riportato sub lettera c), la domanda proposta da A. s.p.a. deve essere qualificata come opposizione all’esecuzione, contestando l’opponente, nel quantum, il credito delle controparti.

2.1. Così qualificata la domanda, deve rilevarsi come secondo costante, condivisa giurisprudenza di legittimità (in alcun modo contrastata dall’opponente nonostante gli opposti abbiano -nella sostanza-eccepito l’inammissibilità dell’iniziativa della controparte) “nel giudizio di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l’inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame.” (Cass. 3277/2015, conforme, tra le tante, Cass. 9205/2001).

2.2. La citata giurisprudenza impone di ritenere inammissibili i motivi di opposizione all’esecuzione sopra riportati alle lettere a), b) ed f) (nella parte in cui -unica esaminabile in questa sede – A. s.p.a. lamenta la mancata valutazione – da parte del giudice del merito- del concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c.).

2.3. Con riferimento alla censura sopra riportata sub lettera d), deve rilevarsi come, effettivamente, la sentenza pronunziata da questo Tribunale non rechi indicazione della data del versamento degli acconti (cui pure fa riferimento).

Ne discende che il titolo esecutivo deve essere interpretato nel senso di contenere condanna al pagamento degli interessi (secondo il richiamato criterio affermato da Cass. S.U., 1712/95) sulla sola somma ancora spettante a ciascuno degli opposti; non è infatti possibile, interpretando il titolo esecutivo, adottare un differente (e più favorevole per i creditori) criterio di calcolo.

Ebbene, atteso che il residuo credito per danno non patrimoniale di T. è pari ad Euro __ (differenza tra Euro __ e l’acconto di Euro __), sulla base di programma in uso a questo giudice gli interessi e la rivalutazione (calcolati alla luce del criterio richiamato nella sentenza di merito) dal __ (data del sinistro) al __ (data della sentenza) sono pari ad Euro __.

Con riferimento al titolo qui in esame a T. spetta quindi la somma di Euro __.

Quanto alla R., tenuto presente che il residuo credito per danno non patrimoniale è pari ad Euro __ (differenza tra Euro __ e l’acconto di Euro __), alla luce dei medesimi parametri sopra indicati gli interessi e la rivalutazione devono essere quantificati in Euro __47.

Con riferimento al titolo qui in esame alla R. spetta quindi la somma di Euro __.

2.4. Quanto al motivo di opposizione sopra indicato sub lettera e), ferma l’estrema genericità della relativa formulazione, deve rilevarsi come lo stesso sia infondato.

Alla luce degli elementi risultanti dal titolo esecutivo, la somma spettante per danno non patrimoniale (già detratti gli acconti) è, infatti, per capitale, pari ad Euro __. L’indicazione contenuta in precetto (pari ad Euro __) non può ritenersi erronea, considerando anzi che, a ben vedere, alla R. è stata riconosciuta l’ulteriore somma di Euro __ “per spese mediche future di sostegno psicologico”.

Da ultimo, vanno integralmente riconosciute le spese legali per il procedimento di merito e per la redazione del precetto quali riportate nell’atto qui opposto; spese con riferimento alle quali – peraltro – nessuna contestazione è stata svolta.

2.5. Considerato che secondo condivisa giurisprudenza di legittimità “l’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito” (Cass. 5515/08), il credito complessivo degli opposti spettante sulla base del qui impugnato precetto deve, alla luce di quanto sopra osservato, essere rideterminato nella misura di Euro __ (pari alla somma di Euro __ come riportata – a titolo di capitale – in precetto, di complessivi Euro __ come sopra rideterminati a titolo di interessi e rivalutazione e delle spese e competenze per il giudizio di primo grado e per il precetto secondo quanto risulta dal precetto – non censurato per i profili da ultimo richiamati – opposto) oltre interessi legali (calcolati ai sensi dell’art. 1284, co. 1, c.c. non essendo in concreto applicabile, quanto meno sotto il profilo temporale, la disposizione contenuta al comma 4 del medesimo articolo) dal __ al saldo.

  1. Da ultimo, con riferimento al motivo di opposizione sopra indicato sub lettera c) occorre rilevare come lo stesso, nonostante la genericità della formulazione, debba essere qualificato come opposizione agli atti esecutivi, lamentando l’opponente una irregolarità dell’atto di precetto.

L’opposizione, tempestiva (l’atto introduttivo del presente giudizio è stato infatti notificato il __ ed il precetto risulta notificato il __), è infondata.

Con riferimento al pretesa poca chiarezza della difesa attuale degli oppositi deve richiamarsi la condivisa giurisprudenza di legittimità secondo la quale “il precetto, pur rientrando tra gli atti di parte il cui contenuto e la cui sottoscrizione sono regolati dall’art.125 c.p.c., non costituisce “atto introduttivo di un giudizio” contenente una domanda giudiziale, bensì atto preliminare stragiudiziale, che può essere validamente sottoscritto dalla parte oppure da un suo procuratore “ad negotia”. Ne consegue che, in caso di sottoscrizione del precetto da parte di altro soggetto in rappresentanza del titolare del diritto risultante sul titolo esecutivo, tale rappresentanza è sempre di carattere sostanziale, anche se conferita a persona avente la qualità di avvocato, restando conseguentemente irrilevante il difetto di procura sull’originale o sulla copia notificata dell’atto” (Cass. 8213/2012; conforme, tra le altre, Cass. 3998/06). Sulla base della natura sostanziale dell’atto di precetto la Suprema Corte, in modo consolidato, ha del resto ritenuto “valido il precetto sottoscritto da difensore non munito di mandato se il titolare del diritto risultante dal titolo esecutivo gli conferisce la procura dopo la notifica di esso (art. 480 c.p.c.), perché la ratifica del “dominus” è ammissibile per il compimento di qualsiasi atto giuridico di natura sostanziale” (Cass. 19362/07, conforme, tra le altre, Cass. 9873/07) sì che, in ogni caso, non potrebbe non tenersi conto della procura rilasciata (anche) in favore dell’avv. A. (sottoscrittore dell’atto di precetto qui opposto) e depositata nel presente fascicolo unitamente alla comparsa di costituzione.

Con riferimento alla scarsa chiarezza del domicilio eletto occorre, infine, osservare come (ferma la indicazione – in precetto – dell’elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. E., in __, tale circostanza non sarebbe comunque causa di nullità del precetto (art. 480 c.p.c.) e, in ogni caso, come la pretesa (inesistente) nullità sarebbe stata in concreto sanata per effetto del raggiungimento dello scopo dell’atto (art. 156, co. 3., c.p.c.).

  1. Atteso che i motivi di opposizione sono stati quasi integralmente rigettati e che minima è stata la rideterminazione del credito degli opposti, le spese di lite devono essere integralmente poste, in applicazione del criterio della soccombenza, a carico dell’opponente. Tali spese sono liquidate come da dispositivo alla luce dei valori medi previsti dal D.M. n. 55 del 2014 per i giudizi di cognizione innanzi al Tribunale di valore sino ad Euro __ aumentati del 10% (art. 6, D.M. n. 55 del 2014) limitatamente alle fasi di studio ed introduttiva, non essendo stata svolta attività istruttoria ed avendo le parti rinunziato ai termini previsti all’art. 190 c.p.c.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria o diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:

1) in parziale accoglimento dell’opposizione, ridetermina il credito risultante dal precetto qui opposto di T. e R. nei confronti di A. s.p.a., in persona del legale rappresentante p. t., in Euro __ oltre interessi legali dal __ al saldo;

2) condanna A. s.p.a., in persona del legale rappresentante p. t., al pagamento, in favore di T. e R. delle spese del presente giudizio che liquida in Euro __, oltre 15% spese generali, C. A. ed I. V. A. come per legge.

Così deciso in Milano, il 9 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2019.

Tribunale_Milano_Sez_III_Sent_09_01_2019

Recupero crediti  a Milano con ROSSI & MARTIN studio legale




La compensazione, quale fatto estintivo dell’obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all’esecuzione forzata

La compensazione, quale fatto estintivo dell’obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all’esecuzione forzata

Tribunale Ordinario di Marsala, Sezione Civile, Sentenza del 09/01/2019

Con sentenza del 9 gennaio 2019, il Tribunale Ordinario di Marsala, Sezione Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la compensazione, quale fatto estintivo dell’obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all’esecuzione forzata, fondata su titolo esecutivo giudiziale coperto dalla cosa giudicata, qualora il credito fatto valere in compensazione, rispetto a quello per cui si procede, sia sorto successivamente alla formazione di quel titolo, mentre in caso contrario resta preclusa dalla cosa giudicata, che impedisce la proposizione di fatti estintivi od impeditivi ad essa contrari; né ha alcun rilievo il fatto che anche il credito del debitore esecutato sia assistito da titolo esecutivo giudiziale, quest’ultimo non privando di efficacia esecutiva il titolo del creditore esecutante in quanto non vale a estinguerne il credito.

 

Tribunale Ordinario di Marsala, Sezione Civile, Sentenza del 09/01/2019

La compensazione, quale fatto estintivo dell’obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all’esecuzione forzata

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MARSALA

SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del dr. __, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. __ R.G. vertente

TRA

D., in proprio e n.q. di legale rappresentante pro-tempore di E.

OPPONENTE

E

S. SPA in persona del legale rappresentante pro tempore

OPPOSTA

E

A., in persona del legale rappresentante pro-tempore

OPPOSTO- CONTUMACE

Oggetto: opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato in data __ l’opponente indicato in epigrafe ha proposto opposizione avverso la cartella di pagamento n. (…) dell’importo di Euro __, notificatagli nel marzo del __, nonché della cartella n. (…), notificatagli in data __, dell’importo di Euro __; all’uopo ha esposto che la Procura Regionale della Corte dei Conti aveva citato in giudizio l’E., ente di formazione regionale dallo stesso rappresentato, per sentirlo condannare alla restituzione, in favore dell’erario, della somma di Euro __, importo delle economie di gestione realizzate dall’ente nell’ambito del __ e dallo stesso indebitamente trattenute; ha aggiunto che, pur riconoscendo il debito, aveva già in quella sede eccepito la compensazione di tale importo con altre tranches di finanziamenti allo stesso spettanti e non ancora erogate; con sentenza n. __ la Corte dei Conti, confermata in grado di appello, lo aveva condannato al pagamento in favore della Regione Sicilia della predetta somma, oltre accessori; di qui l’emissione della prima cartella di pagamento sopra indicata (il cui importo veniva imputato quanto a Euro __ per sorte derivante dalla sentenza dei Corte dei Conti sopra citata e quanto a Euro __ per interessi ), notificata a D. n.q. di legale rappresentante di E. e coobbligato in solido con l’ente, seguita da poi dall’altra cartella, notificatagli in data __, quale legale rappresentante di E., avente medesima causale della precedente, e costituente pertanto un’indebita duplicazione della medesima pretesa creditoria.

Ha dunque chiesto l’annullamento di entrambe le cartelle, opponendo ancora una volta in compensazione i crediti dallo stesso vantati verso l’amministrazione, precisamente i finanziamenti a valere sul progetto n. __ e sul progetto n. __, in relazione ai quali lo stesso risulterebbe ancora creditore di un importo di Euro __.

S. S.p.A., costituitasi in giudizio, ha preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva quanto alle eccezioni attinenti al merito della pretesa creditoria nonché l’inammissibilità dell’opposizione in quanto tardivamente proposta.

A., pur ritualmente evocato in giudizio, non è costituito.

Disposta con ordinanza del __ la sospensione dell’efficacia esecutiva delle cartelle opposte, la causa è stata istruita con acquisizione della documentazione rispettivamente prodotta dalle parti; indi, precisate le conclusioni ed assegnati i termini ex art. 190 c.p.c., è stata assunta in decisione.

Ciò posto, l’opposizione merita accoglimento.

Va preliminarmente osservato che, in base al tenore dei motivi di opposizione (con cui si fa valere un fatto estintivo del credito successivo alla formazione del titolo esecutivo) essa va qualificata come opposizione ex art. 615 c.p.c., per cui non è soggetta a termini di decadenza, contrariamente a quanto eccepito dall’ente della riscossione.

Nel merito, appare, innanzitutto, pacifico il riconoscimento del debito da parte dell’opponente, che ha dato atto della sua incontrovertibilità, siccome accertato con sentenza passata in giudicato.

D’altro canto l’opponente ha allegato la sussistenza di un fatto estintivo dell’obbligazione sorto successivamente alla formazione del predetto titolo, deducendo, in particolare, il maturarsi di crediti per finanziamenti afferenti a progetti formativi approvati successivamente alla sentenza della Corte dei Conti sopra citata (v. __, in atti); entro tali limiti l’eccezione di compensazione appare ammissibile in sede di opposizione all’esecuzione, per principio del tutto consolidato: “La compensazione, quale fatto estintivo dell’obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all’ esecuzione forzata, fondata su titolo esecutivo giudiziale coperto dalla cosa giudicata, qualora il credito fatto valere in compensazione, rispetto a quello per cui si procede, sia sorto successivamente alla formazione di quel titolo, mentre in caso contrario resta preclusa dalla cosa giudicata, che impedisce la proposizione di fatti estintivi od impeditivi ad essa contrari; né ha alcun rilievo il fatto che anche il credito del debitore esecutato sia assistito da titolo esecutivo giudiziale, quest’ultimo non privando di efficacia esecutiva il titolo del creditore esecutante in quanto non vale a estinguerne il credito” (cfr ex multis Cass. n. 9912 del 24/04/2007).

V’è da osservare, peraltro, che l’opponente ha dato conto dell’avvenuta riscossione, da parte del convenuto Assessorato, delle somme poste in esecuzione, mediante compensazione con opposte ragioni di credito vantate da E., depositando, seppur tardivamente rispetto ai termini assegnati ex art. 183 c.p.c., i provvedimenti amministrativi (__ e __) con cui si è proceduto a detta forma di riscossione; trattandosi di provvedimenti emessi successivamente allo spirare dei predetti termini, la loro produzione tardiva va ritenuta ammissibile; da essi, poi, si ricava, ad oggi, il venir meno della pretesa creditoria su cui erano fondati i titoli esecutivi qui opposti, che vanno pertanto annullati.

Le spese seguono la soccombenza e vanno poste in solido sia a carico dell’Assessorato, rimasto contumace, in considerazione della tardività con cui ha provveduto a riconoscere l’estinzione della pretesa creditoria mediante la compensazione, tempestivamente richiesta di E., sia a carico di S. S.p.A., sebbene l’accoglimento dell’opposizione riguardi fatti attinenti al merito della pretesa creditoria; va condiviso, infatti, il consolidato principio secondo cui “Nella controversia con cui il debitore contesti l’ esecuzione esattoriale, in suo danno minacciata o posta in essere, non integra ragione di esclusione della condanna alle spese di lite nei confronti dell’agente della riscossione, né – di per sé sola considerata – di loro compensazione, la circostanza che l’illegittimità dell’azione esecutiva sia da ascrivere al creditore interessato, restando peraltro ferme, da un lato, la facoltà dell’agente della riscossione di chiedere all’ente impositore la manleva dall’eventuale condanna alle spese in favore del debitore vittorioso e, dall’altro, la possibilità, per il giudice, di condannare al loro pagamento il solo ente creditore interessato o impositore, quando questo è presente in giudizio, compensandole nei rapporti tra il debitore vittorioso e l’agente della riscossione, purché sussistano i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c., diversi ed ulteriori rispetto alla sola circostanza che l’opposizione sia stata accolta per ragioni riferibili all’ente creditore.” (cfr. di recente Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3105 del 06/02/2017; Sez. 3 – Sentenza n. 15390 del 13/06/2018).

P.Q.M.

Il Tribunale come sopra composto, definitivamente pronunciando, in accoglimento dell’opposizione proposta da D. in proprio e nella qualità di legale rappresentante di E., dichiara l’inefficacia delle cartelle di pagamento n. (…) dell’importo di Euro __, notificatagli in data __, e n. (…), notificatagli in data __.

Condanna in solido tra loro A. e S. S.p.A., in persona dei rispettivi rappresentati pro-tempore, a rifondere all’opponente le spese di lite che liquida, ex D.M. n. 55 del 2014 e succ. mod., in Euro __ per esborsi ed Euro __ per compensi, oltre rimb. forf spese generali, IVA e CPA.

Così deciso in Marsala, il 8 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2019.

Tribunale_Marsala_Sent_09_01_2019

 




La disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli

La disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 08/01/2019

Con ordinanza dell’8 gennaio 2019 il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli, sicché con l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. non possono farsi valere vizi, quali la nullità della notificazione del titolo esecutivo e del precetto, quando sanati per raggiungimento dello scopo ex art. 156, ultimo comma, c.p.c., in virtù della proposizione dell’opposizione da parte del debitore. L’opposizione al precetto, in particolare, costituisce prova evidente del conseguimento della finalità di invitare il medesimo ad adempiere, rendendolo edotto del proposito del creditore di procedere ad esecuzione forzata in suo danno.

 

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 08/01/2019

La disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZ. IV

nella persona del Giudice designato dott.ssa __, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. __ del ruolo generale per l’anno __, trattenuta in decisione all’udienza del 20 giugno 2018 con l’assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., vertente:

TRA

G.

ATTORE – DEBITORE OPPONENTE

E

S.

CONVENUTA-CREDITRICE OPPOSTA

OGGETTO: opposizione a precetto

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione regolarmente notificato in data __ G. ha proposto opposizione avverso il precetto, allo stesso notificato in data __ ad istanza di S. per il credito di Euro __ oltre accessori maturandi e spese occorrende, in forza del decreto di liquidazione di CTU emesso dal Tribunale di __ in data __ nell’ambito della causa civile iscritta al n. __.

L’opponente ha dedotto, in particolare:

– La nullità della procura a margine dell’atto di precetto – e in via derivata dello stesso precetto – conseguente alla assunta falsità della data apposta alla stessa, in quanto anteriore ad alcuni fatti riportati nell’atto di precetto (da qualificare come motivo di opposizione ex art. 617 c.p.c.);

– La nullità della notifica del precetto per varie cause (da qualificare come motivo di opposizione ex art. 617 c.p.c.);

– La nullità della rinuncia dei precedenti precetti, contenuta nel precetto opposto, con conseguente nullità di quest’ultimo in quanto intimato nonostante il precedente già notificato (da qualificare come motivo di opposizione ex art. 617 c.p.c.);

– L’abuso del diritto in ragione della duplicazione di precetti (da qualificare come motivo di opposizione ex art. 615 c.p.c.);

– La violazione dell’obbligo di buona fede per mancato previo invio della parcella e per la mancata chiara indicazione nell’atto di precetto di tutti i coobbligati (da qualificare come motivo di opposizione ex art. 615 c.p.c.);

Sulla base delle indicate deduzioni, come appena sinteticamente riportate, l’opponente concludeva come riportato in epigrafe.

Si è costituita S. contestando la fondatezza dell’opposizione di cui ha chiesto il rigetto.

In data __ D., nella riferita qualità di procuratore di G., proponeva querela di falso avente ad oggetto la procura rilasciata a margine del precetto opposto.

Deve preliminarmente decidersi in ordine alla querela di falso, depositata in via telematica in data __, e su cui non si è provveduto da parte del precedente titolare.

La presentazione della querela di falso non può essere autorizzata risultando presentata da soggetto diverso dall’attore (D.) – che, pur qualificandosi procuratore speciale dello stesso, non ha depositato la procura notarile pure indicata nell’atto di querela – né potendo il procuratore speciale delegare altri (nella specie l’avv. D.) alla presentazione secondo il noto principio “delegatus delegare non potest”.

La stessa querela, inoltre, sarebbe pure inammissibile nell’oggetto giacché mira a contestare un fatto (la contestualità dell’emissione della procura rispetto alla compilazione dell’atto di precetto) che non rientra nella sfera di fidefacienza propria del potere di autentica di firma nella procura a margine di un atto e neanche tra i requisiti di validità della stessa, la quale, anzi, ben può essere rilasciata prima della materiale compilazione dell’atto cui si riferisce.

Passando al merito dell’opposizione la stessa, pur ammissibile per i motivi di opposizione ex art. 617 c.p.c. (in quanto tempestivamente interposti nei venti giorni dalla notifica del precetto), è infondata in relazione a tutti i motivi di opposizione proposti.

In particolare, sgombrato il capo dal motivo riguardante l’assunta invalidità del precetto conseguente alla dedotta incongruenza della data apposta in calce alla procura rispetto ai tempi dei fatti riferiti nel corpo dell’atto stesso (motivo già disatteso in relazione all’esame della querela di falso), restano da esaminare gli ulteriori motivi di opposizione.

Quanto alle doglianze relative alla dedotta nullità della notifica del precetto oggetto di opposizione, la sua infondatezza discende dal consolidato principio interpretativo della Suprema Corte secondo cui la disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli, sicché con l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c.non possono farsi valere vizi, quali la nullità della notificazione del titolo esecutivo e del precetto, quando sanati per raggiungimento dello scopo ex art. 156, ultimo comma, c.p.c., in virtù della proposizione dell’opposizione da parte del debitore, quella al precetto in particolare costituendo prova evidente del conseguimento della finalità di invitare il medesimo ad adempiere, rendendolo edotto del proposito del creditore di procedere ad esecuzione forzata in suo danno ( cfr. tra le più recenti, Cass. Civ. 25900/2016).

Nel caso di specie lo stesso opponente ammette di avere ricevuto notifica del precetto limitandosi a dolere di vizi meramente formali che, quand’anche in ipotesi ricorrenti, sarebbero, per quanto sopra detto, irrilevanti perché sanati.

Infondati sono pure i motivi riguardanti la dedotta irritualità della rinuncia ai precedenti precetti, contenuta nel precetto opposto, ed il lamentato carattere abusivo della duplicazione dei precetti che, in quanto riguardanti la medesima questione della rinnovazione del precetto possono essere trattati insieme.

Più in generale, non può dirsi preclusa al creditore la rinnovazione del precetto per l’intero importo del credito e fino alla totale estinzione dello stesso, purché egli non chieda, col precetto successivo, spese, compensi ed accessori dei precetti anteriori, in quest’ultima ipotesi, essendo il nuovo precetto illegittimo, tuttavia, solo per tali voci e non per l’intero (cfr. Cass. Civ. n.19876/2013).

Ed infatti la rinnovazione del precetto configura senza dubbio un’attività legittima quand’anche possa effettivamente comportare la revoca del precedente (cfr. al riguardo Cass. Civ n. 114/1966, n. 3736/1981, n. 1985/1990, 10613/2006, 14189/2012), purché non comporti un ingiustificato incremento delle spese precettate, con la richiesta di quelle dei precedenti, se non altro quando non altrimenti giustificabili.

E tanto non costituisce affatto, a differenza del frazionato azionamento di un credito unitario (cfr. Cass Civ n. 8576/2013), abuso del diritto di agire esecutivamente, proprio perché al creditore spetta il diritto di proseguire il processo esecutivo fintantoché il debitore esecutato non abbia pagato per intero l’importo dovuto, in forza del titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione (per limitarsi alle più recenti: Cass. Civ n. 23745/2011, n. 21008/2012).

E’ poi certamente consentito al creditore notificare al debitore una seconda volta il precetto al fine di sanare un vizio formale del primo (cfr. Cass. Civ n. 14189/2012). In particolare è giurisprudenza costante della Suprema Corte (cfr. tra le più recenti Cass. Civ n. 18161/2012 ) che neanche la pendenza del procedimento esecutivo precluda ovvero renda inutile la reiterazione dell’atto processuale che vi dà inizio, al fine di porre al riparo la concreta attuazione della pretesa esecutiva dai possibili insuccessi conseguenti ad eventuali vizi di precedenti atti: pertanto, il creditore può validamente notificare al debitore il precetto per l’esecuzione di un titolo sulla base del quale egli abbia già promosso azione esecutiva ancora pendente nel momento della notifica del successivo precetto ( cfr. anche Cass. Civ n. 4963/2007, n. 8164/1991).

Nell’ipotesi in esame, è lo stesso opponente a sollevare dubbi sulla ritualità della notifica dei primi precetti in tal modo dando, in concreto, ragione dell’iniziativa della rinnovazione dell’atto operata dal creditore.

Inoltre, nessuna spesa riferita al primo precetto viene riportata nel secondo sicché veramente di nessun pregiudizio può dolersi il debitore per la legittima rinnovazione del precetto contenente espressa rinuncia al precedente.

Infine, il credito vantato dalla creditrice nei confronti dell’odierno opponente riposa su titolo giudiziario e tale titolo legittima la pretesa di pagamento oggetto del precetto opposto. Da ciò consegue l’assoluta irrilevanza del previo invio da parte della creditrice di parcella c.d. “pro forma” al solo dei condebitori (diverso dall’odierno opponente) ad averle versato l’acconto rimanendo, comunque, gli altri tenuti per il medesimo titolo.

Il precetto si sostanzia nell’intimazione di pagamento di un credito al debitore con avviso, in difetto, dell’avvio dell’attività esecutiva per il suo recupero coattivo sicché non è richiesto che in esso si indichino gli altri condebitori solidali che non ne siano destinatari libero il creditore di intimare il pagamento ai più condebitori con atti ed in tempi diversi.

In definitiva l’opposizione di P.G. va rigettata in toto e le spese regolate secondo il principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, ogni altra deduzione e difesa disattese ed assorbite:

– non autorizza la presentazione della querela di falso;

– rigetta l’opposizione;

– condanna G. alla rifusione in favore di S. delle spese di lite che liquida in Euro __ per compensi oltre spese generali, Iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 8 gennaio 2019.

Tribunale_Roma_Sez_IV_Sent_08_01_2019

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La mancata indicazione espressa, nel pignoramento e nella nota di trascrizione, dei dati identificativi catastali propri, esclusivi ed univoci, di una pertinenza integra una diversa risultanza dell’atto di pignoramento e della sua nota di trascrizione

La mancata indicazione espressa, nel pignoramento e nella nota di trascrizione, dei dati identificativi catastali propri, esclusivi ed univoci, di una pertinenza integra una diversa risultanza dell’atto di pignoramento e della sua nota di trascrizione

Tribunale Ordinario di Latina, Sezione I Civile, Sentenza del 04/01/2019

Con sentenza del 04 gennaio 2019, il Tribunale Ordinario di Latina, Sezione I Civile, in tema di pignoramento immobiliare, ha stabilito che la mancata indicazione espressa, nel pignoramento e nella nota di trascrizione, dei dati identificativi catastali propri, esclusivi ed univoci, di una pertinenza, a fronte dell’espressa indicazione di quelli, diversi e distinti, di altri beni, integra, in difetto di ulteriori ed altrettanto univoci elementi in senso contrario, una diversa risultanza dell’atto di pignoramento e della sua nota di trascrizione, idonea a rendere inoperante la presunzione dell’art. 2912 c.c.

 

Tribunale Ordinario di Latina, Sezione I Civile, Sentenza del 04/01/2019

La mancata indicazione espressa, nel pignoramento e nella nota di trascrizione, dei dati identificativi catastali propri, esclusivi ed univoci, di una pertinenza integra una diversa risultanza dell’atto di pignoramento e della sua nota di trascrizione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LATINA

I SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, in persona della dott.ssa __ ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. __ R.G. cont. __

TRA

A. e F.

ATTORI –

CONVENUTI IN RICONVENZIONALE –

RICORRENTI IN RIASSUNZIONE

E

G.

CONVENUTA –

ATTRICE IN RICONVENZIONALE –

RESISTENTE IN RIASSUNZIONE

O., quale erede di H., convenuta deceduta in corso di causa,

RESISTENTE IN RIASSUNZIONE –

ATTORE IN RICONVENZIONALE

S., quale erede di H., convenuta deceduta in corso di causa – contumace

RESISTENTE IN RIASSUNZIONE

NONCHÉ

F. E P.

contumaci nel giudizio riassunto

P.,

F. S.R.L. – contumace

CHIAMATI IN CAUSA

DALLE CONVENUTE F. E S.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Deve premettersi che il fascicolo di ufficio, andato smarrito, risulta solo parzialmente ricostituito.

Non si rinviene infatti in atti il fascicolo di parte dei terzi chiamati F. e P., che risultano costituiti in giudizio (precedentemente alla riassunzione) a ministero dell’avv. __.

Purtuttavia, il difensore non è più comparso a decorrere dall’udienza del __, né i terzi chiamati F. e P. si sono costituiti successivamente alla riassunzione del giudizio, nonostante la rituale notificazione del ricorso in riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza all’avv. __, a mezzo pec.

Deve pertanto ritenersi che le domande dagli stessi proposte (desumibili dalle conclusioni riportate nella comparsa conclusionale depositata dagli attori) siano state oggetto di rinuncia, cosicché nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle stesse.

Risultano inoltre mancanti i verbali delle udienze del __ e del __; tuttavia, nessuna delle parti ha dedotto che sia stata espletata attività istruttoria nel corso di tali udienze, cosicché la causa può essere decisa pur in mancanza dei suddetti verbali.

Tanto premesso, deve in primo luogo essere esaminata la domanda proposta dall’attore A.

La stessa è destituita di fondamento.

L’attore, infatti, assume di essere divenuto comproprietario dei locali sottotetto per cui è causa in virtù del decreto di trasferimento rep. n. (…) del __ del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Latina, emesso nella procedura esecutiva immobiliare RGE __.

Tuttavia, tale decreto di trasferimento ha ad oggetto unicamente l’appartamento sito al piano _, interno _, dell’immobile in _, via _, distinto in NCEU al foglio _, p.lla _ sub _, con annessa cantina al piano seminterrato di mq _, distinta al n. _ e il posto auto al piano seminterrato di mq _, distinto con il n. interno _ “il tutto nello stato di fatto e di diritto in cui attualmente trovansi e meglio descritto nella perizia di ufficio”.

Tale perizia non è stata tuttavia depositata, cosicché non vi è prova che la stessa si riferisca anche ai locali sottotetto; neppure è stata depositata la nota di trascrizione del pignoramento immobiliare che ha dato origine alla procedura esecutiva, che avrebbe consentito di verificare se nel vincolo fossero stati compresi diritti di comproprietà sui locali sottotetto.

Deve aggiungersi che tali locali risultano muniti di autonomi identificativi catastali, cosicché non potrebbero ritenersi ricompresi, quali pertinenze, nel pignoramento e nel conseguente trasferimento dell’appartamento e degli ulteriori immobili che ne formano l’oggetto (cfr. Cass. n. 11272 del 21/05/2014: “La mancata indicazione espressa, nel pignoramento e nella nota di trascrizione, dei dati identificativi catastali propri, esclusivi ed univoci, di una pertinenza, a fronte dell’espressa indicazione di quelli, diversi e distinti, di altri beni, integra, in difetto di ulteriori ed altrettanto univoci elementi in senso contrario (ricavabili, ad esempio, da idonee menzioni nel quadro relativo alla descrizione dell’oggetto o nel quadro “D” della nota meccanizzata), una diversa risultanza dell’atto di pignoramento e della sua nota di trascrizione, idonea a rendere inoperante la presunzione dell’art. 2912 cod. civ.”).

In mancanza di dimostrazione della qualità di comproprietario dei locali sottotetto, in capo ad A., le domande dallo stesso proposte devono essere integralmente rigettate.

Le domande proposte dagli attori E. e A. sono invece fondate nei termini di seguito esposti e devono pertanto essere accolte per quanto di ragione.

I suddetti attori hanno infatti dimostrato di essere proprietari pro quota (più in particolare, per la quota di un sesto, atteso che il fabbricato per cui è causa è composto di sei appartamenti e di tre sottotetti, espressamente qualificati come cose comuni negli atti di acquisto degli appartamenti) dei sottotetti per cui è causa, attraverso il deposito del contratto di compravendita a rogito notaio L. del _, repertorio _, raccolta _, e della relativa nota di trascrizione.

Con tale contratto gli attori F. e A. hanno acquistato dalla S.C. srl (a sua volta proprietaria per avere realizzato l’edificio su un lotto di terreno dalla stessa acquistato, e pertanto per accessione) l’appartamento in _, via _, piano _, int. _, con locale di sgombero, locale cantina e locale garage (meglio descritti in contratto), in NCEU al foglio _, p.lle _ sub _ e _. L’acquisto comprende la proporzionale comproprietà pro quota sugli spazi e sulle cose comuni, con la inclusione, tra le suddette cose comuni “a norma del menzionato atto d’obbligo in data _ rep. n. _, degli ambienti sottotetto del fabbricato, con le più ampie garanzie da parte della società venditrice circa la proprietà …”.

La convenuta G. deduce di essere piena proprietaria del sottotetto dalla stessa occupato (censito al foglio _, p.lla _ sub _, come accertato dal CTU), affermando di averne acquistato una quota all’atto dell’acquisto dell’appartamento in _, via _, piano _, int. _, in NCEU al foglio _, p.lla _ sub _ (analogamente a quanto avvenuto per gli attori F. e A.), e di avere successivamente acquistato un’ulteriore quota.

La prospettazione è destituita di fondamento.

Deve infatti in primo luogo rilevarsi che la convenuta non ha acquistato, unitamente all’appartamento, esclusivamente una quota del sottotetto dalla stessa occupato, ma piuttosto una quota indivisa (da ritenersi pari ad un sesto, come per gli attori F. e A.), dei tre locali sottotetto espressamente qualificati beni comuni negli atti di compravendita degli appartamenti.

In secondo luogo, l’ulteriore acquisto dalla stessa effettuato a mezzo scrittura privata (non trascritta, non essendo stata peraltro autenticata) da B., quale procuratore di F. e A., oltre che di G., deve ritenersi affetto da nullità per violazione degli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985, in quanto la suddetta scrittura è priva degli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria, né vi è stata allegata copia conforme della relativa domanda, corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione.

Ne discende che la convenuta G. deve ritenersi comproprietaria della quota di un sesto dei sottotetti del fabbricato, analogamente agli attori F. e A.

Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento all’acquisto effettuato dalla convenuta H. (deceduta in corso di causa, ed alla quale sono succeduti S. e O.).

La stessa, infatti, ha acquistato, unitamente all’appartamento in _, via _, posto al piano _, int. _, in NCEU al foglio _, p.lla _ sub _, “i diritti di comproprietà, ai sensi dell’art. 1117 c.c., su tutte le parti comuni, con espresso riferimento agli ambienti sottotetto del fabbricato” (cfr. pag. 2 del contratto a rogito notaio M. del _, repertorio _, raccolta _, e pertanto la quota indivisa (da ritenersi pari ad un sesto, come per gli attori F. e A. e per gli altri comproprietari di appartamenti ricompresi nell’edificio di _, via _), dei tre locali sottotetto espressamente qualificati beni comuni negli atti di compravendita degli appartamenti.

La scrittura privata intervenuta, in data _ tra la stessa e la F. srl non può essere qualificata come contratto di compravendita, atteso che le parti, premesso che “la sig.ra H. intese a suo tempo acquistare due quote dei locali del sottotetto” hanno previsto che quest’ultima si obbligasse nei confronti della F. srl  a tenere indenne la società stessa di quanto fosse tenuta a sborsare nei confronti di chicchessia nonché a rispondere in prima persona in eventuali cause o giudizi che potrebbero coinvolgere la menzionata società che di fatto mai utilizzerà i più volte menzionati locali sottotetto in quanto non li ha mai intesi trasferiti per diritti a suo favore”.

La manifestazione di volontà espressa nella suddetta scrittura privata appare qualificabile come riconoscimento della proprietà, in capo a H., di un’ulteriore quota dei sottotetti comuni. Tuttavia, la suddetta scrittura è in sé del tutto inidonea al trasferimento della proprietà (i cui modi di acquisto sono tipici, e non ricomprendono il riconoscimento del diritto), né la convenuta ha depositato alcun atto di trasferimento (che dovrebbe, in ogni caso, ritenersi limitato ad un’ulteriore quota dei tre sottotetti comuni, e non alla quota di un mezzo del sottotetto occupato dalla medesima convenuta).

La prova per testi svolta in corso di causa deve ritenersi in primo luogo inammissibile per violazione dell’art. 2725 c.c. (non essendo neppure stata dedotta la ricorrenza del presupposto di cui all’art. 2724, n. 3 c.c.) ed in ogni caso insufficiente alla prova del trasferimento in favore della convenuta.

Ed invero, i testi escussi hanno riferito dell’esistenza di procure e di atti di tenore analogo a quello della scrittura privata intervenuta tra B. e la convenuta G., e pertanto (anche ove effettivamente sussistenti), da ritenersi affetti da nullità per i medesimi motivi.

Ne discende che anche la convenuta H. e, successivamente al suo decesso, i suoi eredi, devono ritenersi comproprietari della sola quota di un sesto dei sottotetti del fabbricato, analogamente agli attori F. e A. ed agli altri proprietari di appartamenti nel fabbricato comune.

L’incontestato utilizzo esclusivo, da parte dei convenuti F. e S. – O., dei due sottotetti censiti al foglio _, particella _, sub_ e sub _, e la conseguente estromissione degli attori F. e A. dal godimento degli stessi, trasformati da locali sottotetto ad uso comune in appartamenti, costituisce violazione dell’art. 1102 c.c.

Ne discende che in accoglimento, sul punto, della domanda attorea, i convenuti G. e S. e O., questi ultimi quali eredi di H. devono essere condannati al rilascio, in favore dei (soli) attori E. e A., dei locali sottotetto dagli stessi occupati in via esclusiva, attraverso la rimozione di qualsivoglia impedimento all’accesso (e ferma restando, evidentemente, la permanenza della facoltà di utilizzo in comune anche da parte dei comproprietari G. e S. e O.), nonché alla riduzione in pristino dei medesimi locali, atteso che la trasformazione è stata effettuata in assenza di titolo ed in violazione dei requisiti minimi per l’abitabilità (come accertato nell’espletata consulenza tecnica di ufficio).

La domanda di risarcimento del danno avanzata dagli attori E. e A. è invece infondata e deve essere rigettata.

Gli attori, invero, non hanno dedotto quale sarebbe stato l’utilizzo che gli stessi avrebbero effettuato dei locali sottotetto, ove questi ultimi fossero rimasti nella loro disponibilità.

Tali locali, inoltre, al momento dell’occupazione esclusiva da parte dei convenuti si trovavano ad uno stato grezzo e non avrebbero potuto pertanto essere locali a terzi come appartamenti. Anche successivamente alle trasformazioni operate dai possessori, tali locali non rispettano i requisiti minimi di legge per la abitabilità/agibilità, sia in termini di altezze minime interne che in termini di superfici illuminanti, come accertato dal consulente di ufficio nominato nel presente giudizio, cosicché l’utilizzo degli stessi a titolo abitativo appare in contrasto con la disciplina urbanistica.

Non a caso, come accertato dall’espletata CTU, le trasformazioni operate dei possessori nei sottotetti per cui è causa non sono assistite da validi titoli edilizi (la domanda di condono edilizio presentata da G. in relazione al sottotetto censito alla particella _, sub _, non è stata seguita, allo stato, dal rilascio di alcun titolo, mentre nessuna domanda di condono è stata presentata in relazione alla particella _ sub _).

Ne discende che, nell’impossibilità di locare a terzi, ad uso abitativo, i suddetti sottotetti (privi, pertanto di valore locativo a tale titolo, cosicché non può tenersi conto della quantificazione operata dal CTU), ed in assenza di qualsivoglia allegazione in ordine all’utilizzo che gli attori ne avrebbero fatto, e all’eventuale perdita patrimoniale dagli stessi subita per la privazione del godimento degli stessi, non appare dimostrata la ricorrenza di alcun danno risarcibile.

Le domande, avanzate dalle convenute F. e S., al fine di sentire dichiarare che le stesse sono proprietarie del posto auto scoperto al piano _ distinto con il numero _ (la convenuta S.) e con il numero _(la convenuta F.) devono essere accolte.

L’acquisto dei suddetti posti auto (peraltro non contestato dagli attori) è infatti espressamente ricompreso negli atti di compravendita depositati delle medesime convenute (contratto di compravendita a rogito notaio L. del _, repertorio _, raccolta _ e contratto a rogito notaio M. del _, repertorio _, raccolta _).

Le altre domande riconvenzionali proposte dalle convenute F. e H. sono invece infondate e devono essere rigettate.

In assenza di valido atto di acquisto della piena ed integrale proprietà dei locali sottotetto dalle stesse occupati, non può infatti essere dichiarato che le convenute (quanto alla convenuta H., i suoi eredi) sono esclusive proprietarie dei medesimi sottotetti, essendo, al contrario, emerso che le stesse ne sono comproprietarie solo pro quota (in virtù delle argomentazioni che precedono).

Nessuna prova, e, prima ancora, idonea allegazione, è stata svolta dalle convenute al fine di supportare la richiesta di declaratoria di abusiva occupazione, da parte degli attori, di una non meglio specificata porzione di giardino condominiale, nonché di manufatti e pertinenze condominiali (solo genericamente indicati), cosicché tale domanda deve ritenersi integralmente destituita di fondamento, al pari della conseguente domanda di rilascio.

Pure destituita di fondamento è la domanda di condanna degli attori alla restituzione delle somme spese dalle convenute per la trasformazione dei locali sottotetto.

Premesso, infatti, che non è stata fornita alcuna prova di esborsi sostenuti a tale titolo, deve in ogni caso rilevarsi che la abusiva trasformazione dei sottotetti in locali destinati all’uso abitativo è stata effettuata in assenza di titolo ed in violazione dei requisiti minimi per l’abitabilità (come accertato dal CTU), e deve pertanto ritenersi illecita (con conseguente necessità di riduzione in pristino degli immobili).

Ne discende che le spese sostenute a tale titolo non possono formare oggetto di ripetizione dagli altri comproprietari, non costituendo miglioramenti della cosa comune (e non essendo peraltro state deliberate da alcuna assemblea condominiale).

La domanda risarcitoria avanzata dalle convenute deve parimenti essere rigettata, non essendo stata dimostrata alcuna illecita condotta degli attori, foriera di danni per le convenute stesse.

La domanda di divisione dei locali sottotetto deve invece essere dichiarata inammissibile, in ragione dell’abusiva trasformazione degli stessi in appartamenti.

Ed invero, come ha chiarito la Suprema Corte, “in tema di scioglimento della comunione di diritti reali, disciplinata dall’art. 1111 c.c., si applica la nullità prevista dall’art. 17 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento a vicende negoziali inter vivos relative a beni immobili privi della necessaria concessione edificatoria. Tale nullità ha carattere assoluto (ed è quindi rilevabile d’ufficio e deducibile da chiunque vi abbia interesse) in quanto quel regime normativo, sancendo la prevalenza dell’interesse pubblico alla ordinata trasformazione del territorio rispetto agli interessi della proprietà e mirando a reprimere ed a scoraggiare gli abusi edilizi, limita l’autonomia privata e non dà alcun rilievo allo stato di buona o mala fede dell’interessato” (Cass. n. 630 del 17/01/2003). Anche la giurisprudenza successiva (cfr. anche Cass. n. 2313 del 01/02/2010) ha esplicitamente chiarito che agli atti di scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti, successivi all’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47 si applica l’art. 40 di tale legge, che prevede la nullità degli atti inter vivos aventi ad oggetto diritti reali dai quali non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare (o di quella rilasciata in sanatoria). Tale orientamento giurisprudenziale deve essere condiviso, tenuto conto della formulazione della disposizione in considerazione che, avuto riguardo all’espressione: “atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali”, comprende evidentemente anche lo scioglimento della comunione.

Analoga previsione è contenuta, con riferimento agli edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, nell’art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001, che dispone che gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria.

Deve aggiungersi che, a prescindere dal contrasto degli atti di scioglimento della comunione di beni immobili abusivi con il disposto dell’art. 40 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, l’assenza di titolo legittimante la realizzazione ne determina, in ogni caso, la nullità anche ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 comma II e 1346 c.c., per illiceità dell’oggetto.

Ne discende che lo scioglimento della comunione non può essere concordato (né giudizialmente disposto, non potendosi raggiungere per via giudiziale un risultato analogo ad un atto di autonomia privata affetto da nullità; cfr., sul punto, Cass. n. 15133 del 28/11/2001, in motivazione) ove gli immobili che ne formano l’oggetto non siano muniti di licenza o concessione edilizia, ovvero presentino abusi edilizi non sanati, tali da renderli difformi rispetto alla licenza o alla concessione edilizia sulla cui base gli stessi sono stati edificati.

Ritiene infatti il tribunale che la licenza o la concessione edilizia, anche in sanatoria, debba essere qualificata come condizione dell’azione di scioglimento della comunione (ove per “condizione dell’azione” deve intendersi, con la giurisprudenza della Suprema Corte, l’evento – fattuale o giuridico – che, quand’anche insussistente al momento della proposizione della domanda, consente al giudice di esaminare il merito della controversia se, al tempo della decisione, risulta essersi verificato: cfr. tra le altre Cass. n. 1626 del 01/03/1996), con la conseguenza che la mancanza della stessa conduce ad una pronuncia di inammissibilità della domanda (cfr., per una fattispecie in cui il difetto di condizione dell’azione ha determinato, nel giudizio di merito, l’emissione di una pronuncia di improcedibilità, Cass. n. 4985 del 19/05/1998).

Le domande avanzate dalle convenute nei confronti della terza chiamata P. devono ritenersi ammissibili, atteso che, come si rileva dalla lettura della comparsa di costituzione, la richiesta di chiamata del terzo è stata accompagnata da quella di spostamento della prima udienza di comparizione, ai sensi dell’art. 269 c.p.c.

In ordine a tale richiesta è stato adottato il relativo provvedimento all’udienza del __, non avendo il giudice emesso il decreto previsto dall’art. 269 comma II c.p.c. (come si rileva dalla lettura del verbale della medesima udienza del _).

Nel merito, la domanda di manleva avanzata dalle convenute nei confronti di P. è destituita di fondamento, in quanto non fondata su alcun titolo.

La domanda di rilascio avanzata dalle convenute nei confronti di P. deve ritenersi in primo luogo ammissibile (avendo ad oggetto porzioni di sottotetto del medesimo edificio, comuni ai condomini, analogamente a quelle occupate dai convenuti) e, nel merito, fondata, per le medesime argomentazioni già svolte con riferimento ai locali occupati dalle convenute.

In particolare, la terza chiamata non ha depositato alcun atto di acquisto relativo ai locali sottotetto, e la prova per testi espletata deve ritenersi inammissibile, ed in ogni caso insufficiente ai fini della dimostrazione dell’acquisto in capo a P.., per le stesse ragioni esplicitate con riferimento alla prova articolata dalle convenute.

L’istanza di esibizione avanzata da P. non può essere accolta, essendo diretta a supplire all’onere probatorio, sulla stessa gravante, relativo al deposito dell’atto di acquisto del locale sottotetto dalla stessa occupato.

Ne discende che, in accoglimento per quanto di ragione delle domande proposte da G. e O., quale erede di H., la terza chiamata P. deve essere condannata al rilascio, in favore dei (soli) convenuti G. e F., del locale sottotetto dalla stessa occupato in via esclusiva, attraverso la rimozione di qualsivoglia impedimento all’accesso (e ferma restando, evidentemente, la permanenza della facoltà di utilizzo in comune anche da parte della chiamata in causa P.).

La domanda risarcitoria e di pagamento somme avanzata in via riconvenzionale dalla chiamata in causa deve essere rigettata, per le medesime argomentazioni che hanno condotto al rigetto della analoga domanda avanzata dai convenuti.

Avuto riguardo alla soccombenza reciproca degli attori e dei convenuti, le spese di lite devono essere integralmente compensate tra gli stessi.

Con riferimento alle domande proposte dai convenuti nei confronti della terza chiamata P. e da quest’ultima in via riconvenzionale, le spese del presente giudizio devono essere compensate per il 50% avuto riguardo alla soccombenza reciproca parziale delle parti, mentre il restante 50%, liquidato come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della natura e del valore della controversia e dell’attività difensiva svolta (scaglione ricompreso tra Euro _ ed Euro _, trattandosi di causa di valore indeterminabile modesto, ai valori minimi relativi a tutte le fasi, tenuto conto della scarsa complessità della controversia), segue la prevalente soccombenza di P.

Le spese della CTU, liquidate con separato decreto, devono essere definitivamente poste a carico dei convenuti G. da un lato e S. e O. (quali eredi di H.) dall’altro, al 50% ciascuno, tenuto conto della soccombenza degli stessi in ordine alla domanda di rilascio dei sottotetti e di condanna al pagamento delle somme asseritamente spese per la ristrutturazione degli stessi.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così decide:

rigetta le domande proposte dall’attore A.,

in accoglimento per quanto di ragione delle domande proposte dagli attori E. e A., condanna i convenuti G., S. e O., gli ultimi due quali eredi di H. al rilascio, in favore dei medesimi attori E. e A., dei locali sottotetto rispettivamente occupati in via esclusiva dai convenuti, attraverso la rimozione di qualsivoglia impedimento all’accesso (e ferma restando la permanenza della facoltà di utilizzo in comune anche da parte dei comproprietari G.. e O., quest’ultimo quale erede di H.), nonché alla riduzione in pristino dei medesimi locali;

rigetta le altre domande proposte dagli attori E. e A.;

in accoglimento per quanto di ragione delle domande riconvenzionali avanzate dai convenuti G. e O., quest’ultimo quale erede di H., accerta e dichiara che G. e O., quest’ultimo quale erede di H. e per la quota allo stesso spettante in via ereditaria, sono proprietari dei posti auto scoperti al piano _ dell’edificio in _, via _, distinti con il numero _ quanto agli eredi della convenuta H. e con il numero _ quanto alla convenuta F., meglio descritti nei rispettivi atti di acquisto, indicati in motivazione;

dichiara inammissibili le domande riconvenzionali di divisione avanzate dalle parti convenute;

rigetta le altre domande riconvenzionali avanzate dalle parti convenute;

in accoglimento per quanto di ragione delle domande proposte da G. e O., quest’ultimo quale erede di H., nei confronti di P., condanna quest’ultima al rilascio, in favore dei convenuti G. e O., del locale sottotetto dell’edificio in _, via _, dalla stessa occupato in via esclusiva, attraverso la rimozione di qualsivoglia impedimento all’accesso e ferma restando la permanenza della facoltà di utilizzo in comune anche da parte della chiamata in causa P.;

rigetta nel resto le domande proposte dai convenuti nei confronti della terza chiamata;

rigetta le domande riconvenzionali avanzate da P.;

compensa integralmente le spese di lite tra gli attori e i convenuti;

condanna P. alla rifusione del 50% delle spese di lite in favore di G. e di O., che liquida, per ciascuno, in Euro _ per compenso al difensore, oltre spese generali, iva e cpa;

compensa per il restante 50% le spese del giudizio tra i convenuti e P.;

pone definitivamente le spese della CTU, liquidate con separato decreto, a carico dei convenuti G. da un lato e S. e O. (quali eredi di H.) dall’altro, al 50% ciascuno.

Così deciso in Latina, il 2 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2019.

Tribunale_Latina_Sez_I_Sent_04_01_2019

Recupero crediti  a Latina con ROSSI & MARTIN studio legale




Qualora il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel decreto ingiuntivo, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso decreto, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo la sua emissione

Qualora il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel decreto ingiuntivo, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso decreto, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo la sua emissione

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, Ordinanza n. 2242 del 28/01/2019

Con ordinanza del 28 gennaio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sottosezione 3, in tema di recupero crediti, ha stabilito che qualora il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel decreto ingiuntivo, comprensiva degli interessi e delle spese processuali liquidate nel provvedimento monitorio, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso decreto, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo la sua emissione e necessarie per la notificazione, dovendo, per tali spese, esperire semmai l’azione di cognizione ordinaria.

 

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, Ordinanza n. 2242 del 28/01/2019

Qualora il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel decreto ingiuntivo, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso decreto, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo la sua emissione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. __ proposto da:

I.

– ricorrente –

contro

V.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. __ del TRIBUNALE di __, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

In forza di sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di __, I. corrispondeva all’avvocato V. l’importo di Euro __, a saldo dei compensi distratti in favore della stessa.

V., invece, determinava le proprie spettanze nella minor somma di Euro __; alle stesse, tuttavia, aggiungeva i compensi autoliquidati per un atto di precetto redatto solo successivamente al pagamento, da parte di I., del già menzionato importo di Euro __ (maggiore di quanto la stessa creditrice riconosceva esserle dovuto in forza della sentenza); intimava, quindi, il pagamento della differenza e per tale importo procedeva a pignoramento presso terzi ai danni dell’Istituto previdenziale.

I. proponeva opposizione all’esecuzione, deducendo di aver estinto integralmente il debito in data anteriore alla redazione dell’atto di precetto e che, pertanto, le spese di quest’ultimo atto (che, nella sostanza, esaurivano la somma intimata) non erano dovute.

Con ordinanza del __ il giudice dell’esecuzione dichiarava improcedibile l’azione esecutiva e ne dichiarava l’estinzione, ritenendo non dovute le somme autoliquidate da V. nell’atto di precetto.

Contro tale decisione la creditrice proponeva opposizione agli atti esecutivi e il Tribunale di __, in accoglimento dell’opposizione, quantificava come ancora dovuto da I. l’importo di Euro __ e condannava l. al pagamento dell’ulteriore somma di Euro __ per onorari e di Euro __ per spese vive, oltre accessori.

La sentenza è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, da parte di I.

V. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Motivi della decisione

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.

In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. (Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490) – deve esaminarsi anzitutto il quarto motivo di ricorso, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio. Infatti, il predetto principio consente l’esame delle censure verificandone l’impatto operativo, piuttosto che la coerenza logico-sistematica, sostituendo il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze costituzionalizzate di economia processuale e di celerità del giudizio, con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Sez. 6 – 50, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014, Rv. 631058).

Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 480 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che, dopo il pagamento da parte dell’I.N.P.S. delle spese legali liquidate nel verbale di conciliazione, l’avvocato distrattario della parte vittoriosa potesse intimare, con l’atto di precetto, il pagamento di ulteriori diritti ed onorari relativi ad attività poste in essere successivamente all’emissione del titolo esecutivo e non liquidate nel medesimo.

Il motivo è fondato.

Questa Corte, infatti, ha già puntualizzato che, allorché il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel decreto ingiuntivo, comprensiva degli interessi e delle spese processuali liquidate nel provvedimento monitorio, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso decreto, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo la sua emissione e necessarie per la notificazione, dovendo, per tali spese, esperire semmai l’azione di cognizione ordinaria (Sez. L, Sentenza n. 9807 del 13/05/2015 – Rv. 635386 – 01).

Nella specie, il pagamento da parte di I. è avvenuto il __, mentre il titolo munito di formula esecutiva è stato notificato in data __. Quindi non possono essere legittimamente richieste le spese relative all’atto di precetto redatto quando il debito per sorte capitale era stato oramai già integralmente saldato.

L’accoglimento di tale motivo comporta l’assorbimento delle ulteriori censure, in quanto determina – già da solo – l’infondatezza dell’opposizione proposta da V.

Pertanto, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, è possibile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, – decidere la causa nel merito, rigettando l’opposizione proposta da V. e condannando la stessa al pagamento delle spese di tutti i gradi di giudizio, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta l’opposizione.

Condanna V. al pagamento in favore di I. delle spese del giudizio di merito, che liquida in euro __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge, nonché del giudizio di legittimità, che liquida in Euro __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro __ e agli accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2019

 

Cass._civ_Sez_VI_3_Ord_28_01_2019_n_2242




Nel giudizio di opposizione all’esecuzione, iniziata in base ad un titolo esecutivo giudiziale, non possono essere sollevate eccezioni anteriori alla formazione del titolo stesso

Nel giudizio di opposizione all’esecuzione, iniziata in base ad un titolo esecutivo giudiziale, non possono essere sollevate eccezioni anteriori alla formazione del titolo stesso

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 03/12/2018

Con sentenza del 3 dicembre 2018, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nel giudizio di opposizione all’esecuzione, iniziata in base ad un titolo esecutivo giudiziale, non possono essere sollevate eccezioni anteriori alla formazione del titolo stesso, le quali si sarebbero dovute far valere unicamente nel procedimento conclusosi con il titolo posto in esecuzione.

 

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione IV Civile, Sentenza del 03/12/2018

Nel giudizio di opposizione all’esecuzione, iniziata in base ad un titolo esecutivo giudiziale, non possono essere sollevate eccezioni anteriori alla formazione del titolo stesso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZ. IV

nella persona del Giudice designato dott.ssa __, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. __ del ruolo generale per l’anno __, trattenuta in decisione all’udienza del __ con l’assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., vertente:

TRA

P.,

ATTORE – DEBITORE OPPONENTE

E

T. s.p.a.

CONVENUTA – CREDITRICE OPPOSTA

E

A. s.r.l.

INTERVENUTA – CREDITRICE OPPOSTA

OGGETTO: opposizione a precetto

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione regolarmente notificato, P. ha proposto opposizione avverso il precetto, notificatogli in data __ ad istanza di T. s.p.a. per Euro __ in forza di titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di Roma.

L’opponente ha dedotto la prescrizione decennale dei crediti vantati dalla controparte e la illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi concludendo per la declaratoria di nullità del precetto con accertamento dell’estinzione per prescrizione dei crediti intimati e, comunque, per la riduzione degli stessi nei limiti di ragione in relazione agli interessi, con vittoria delle spese di lite.

Si è costituita la creditrice opposta contestando la fondatezza dell’opposizione, di cui ha chiesto il rigetto con vittoria delle spese di lite.

Nel corso del processo, denegato il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, ed intervenuta ex art. 111 c.p.c. l’A. s.r.l., cessionaria da T. s.p.a., la causa è stata trattenuta per la decisione all’udienza del __ sulle conclusioni delle parti, come in epigrafe indicate, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per le difese conclusive.

Il primo motivo di opposizione è infondato.

Quanto al primo motivo riguardante la prescrizione del diritto di credito vantato dapprima da T. s.p.a. ed, in seguito a cessione nelle more della causa, da A. s.r.l., detta società, costituendosi, ha allegato e documentato, ai fini della interruzione della prescrizione decennale:

– l’interruzione del termine di prescrizione ex artt. 1310, 2943 e 2945, 2 co c.c. dal __ (data in cui altra coobbligata solidale ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo alla base del precetto opposto) e sino al __ (data del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che ha rigettato l’opposizione – cfr. doc. 4 del fascicolo di parte di T. s.p.a.);

– l’avvenuta insinuazione, per il credito vantato nei confronti dell’odierno opponente nella qualità di fideiussore della società U. s.r.l., nel passivo del fallimento della predetta società, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Roma del __ producendo comunicazioni ricevute dal curatore al creditore originario B., che attestano l’avvenuto deposito del piano di riparto finale in data __.

– L’interruzione dal __ (data di introduzione del giudizio) al __ (data della pubblicazione della sentenza di cassazione) per effetto della revocatoria promossa dalla Banca nei confronti (tra gli altri) dell’opponente al fine di ottenere l’inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di compravendita con cui P. aveva venduto un immobile di sua proprietà (cfr. doc. 7- 8 del fascicolo di parte della cedente).

Come è noto infatti la presentazione dell’istanza di insinuazione al passivo fallimentare, equiparabile alla domanda giudiziale, determina, ai sensi dell’art. 2945, comma 2, c.c., l’interruzione della prescrizione del credito, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, anche nei confronti del fideiussore del fallito, ex art. 1310, comma 1, c.c. (cfr. recentemente Cass. Civ. n. 9638/2018)

Analogo effetto interruttivo-sospensivo produce ex artt. 2943 e 2945 cod. civ. la proposizione dell’azione revocatoria, al fine di garantire la soddisfazione di un diritto di credito trattandosi di un comportamento univocamente finalizzato a manifestare la volontà di esercitare specificamente il diritto medesimo (cfr. Cass. Civ. n. 1084/2011 e 16293/2016).

Orbene, in ragione della pluralità degli atti interruttivi e dei conseguenti periodi di sospensione, il termine di prescrizione decennale è tornato a decorrere dal __ cosicché lo stesso non era di certo decorso alla data della notifica del precetto opposto (__).

Il secondo motivo di opposizione è inammissibile.

Con detto motivo l’opponente intende contestare la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi come stabiliti nel decreto ingiuntivo alla base del precetto opposto.

Aderendo alla costante giurisprudenza della Suprema Corte, tale accertamento è precluso nella presente sede poiché “Il titolo esecutivo giudiziale copre i fatti estintivi (o modificativi o impeditivi) del credito intervenuti anteriormente alla formazione del titolo e non può essere rimesso in discussione dinanzi al giudice dell’esecuzione ed a quello dell’opposizione per fatti anteriori alla sua definitività, in virtù dell’intrinseca riserva di ogni questione di merito al giudice naturale della causa, per cui, qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell’esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l’efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo solo controllare la persistente validità di quest’ultimo ed attribuire rilevanza ai fatti posteriori alla sua formazione” (cfr. da ultimo in questi termini Cass. Sez. L, Sentenza n. 3667 del 14/02/2013; Sez. 3, Sentenza n. 12911 del 24/07/2012 secondo cui “nel giudizio di opposizione all’esecuzione, iniziata in base ad un titolo esecutivo giudiziale, non possono essere sollevate eccezioni anteriori alla formazione del titolo stesso, le quali si sarebbero dovute far valere unicamente nel procedimento conclusosi con il titolo posto in esecuzione”; Sez. 3, Sentenza n. 24027 del 13/11/2009; Sez. 1, Sentenza n. 22402 del 05/09/2008).

Del tutto inconferente la giurisprudenza richiamata dall’opponente a sostegno dell’ammissibilità dell’opposizione giacché in essa si tratta il caso in cui la contestazione investe lo schema di calcolo degli accessori, come operata dall’intimante in forza di titolo senza determinazione di ammontare degli stessi, e non invece – come nel caso di specie – la determinazione degli interessi come disciplinata nello stesso titolo giudiziale.

L’opposizione va, dunque, rigettata.

Le spese tra l’ultima cessionaria del credito precettato e l’opponente seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

– respinge l’opposizione;

– condanna P. alla rifusione in favore della A. s.r.l. delle spese di lite che liquida in Euro __ per compensi oltre spese generali, Iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2018.

Tribunale_Roma_Sez_IV_Sent_03_12_2018

Recupero crediti  a Roma con ROSSI & MARTIN studio legale