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Mandato Emissione di titoli di pagamento Decreto Ingiuntivo Intervento in Causa Litisconsorzio

Mandato Emissione di titoli di pagamento Decreto Ingiuntivo Intervento in Causa Litisconsorzio

Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 7895 del 30/03/2018

Con sentenza del 30 marzo 2018 la Corte di Cassazione Civile, Sezione III, nell’ambito del mandato con rappresentanza, il mandatario ben può, in adempimento dell’incarico ricevuto, richiedere l’emissione di titoli di pagamento (nella specie, un decreto ingiuntivo) direttamente in proprio favore relativamente alle somme da recuperare, salvo poi il suo obbligo di immetterle nella disponibilità, materiale e giuridica del mandante.


Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 7895 del 30/03/2018

Mandato Emissione di titoli di pagamento Decreto Ingiuntivo Intervento in Causa Litisconsorzio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. _______ – Presidente –

Dott. ________ – Consigliere –

Dott. _______ – Consigliere –

Dott. _______ – Consigliere –

Dott. _______ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso ______ proposto da:

M.G., M.L., elettivamente domiciliati in ______, presso lo studio dell’avv. _____________, che li rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

U. SPA, in persona del legale rappresentante, la soc. A. SPA a sua volta cessionaria dei crediti di U. SPA, elettivamente domiciliata in ________, presso lo studio dell’avv. _______, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. ______ della CORTE D’APPELLO di ______, depositata il ______;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2017 dal Consigliere Dott. ___;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ____ che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. _______ per delega.

Svolgimento del processo

Nel ____ C. s.r.l. otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di L. e M.G.

L. e M.G. proponevano opposizione, deducendo che C. avesse illegittimamente chiesto l’emissione del decreto in proprio favore, pur essendo solo mandataria della effettiva titolare del credito B., e chiedendo che se ne dichiarasse il difetto di legittimazione attiva.

Si costituiva in giudizio U. s.p.a., affermando di essere subentrata a C. nella titolarità del rapporto di questa con B., in conseguenza della fusione per incorporazione di C.s.r.l. in U. s.p.a.

L’opposizione veniva rigettata.

Anche l’appello di L. e M.G. veniva rigettato dalla Corte d’Appello di ______ con la sentenza qui impugnata, che affermava che correttamente il decreto, chiesto da C. quale mandataria di B., fosse stato emesso direttamente in favore di C., in quanto essa non aveva agito quale titolare di un credito proprio ma pur sempre, saldando il decreto ingiuntivo con il tenore del ricorso, quale mandataria di B.

L. e M.G. propongono ricorso per cassazione articolato in due motivi nei confronti di U. s.p.a., già C. s.r.l., per la cassazione della sentenza n. ____, depositata dalla Corte d’Appello di ______ il ________.

Resiste con controricorso U. s.p.a.

Ha depositato comparsa di intervento ex art. 111 c.p.c. la R. s.r.l.

Infine, ha depositato comparsa di intervento datata _____ la M. s.r.l., e per essa la sua mandataria D. s.p.a., esponendo che la R. s.r.l., il ____, nell’ambito di una operazione di cartolarizzazione, avrebbe ceduto con contratto di cessione pro soluto un pacchetto di crediti individuabili in blocco alla M. s.r.l., e in pari data, la M. s.r.l. avrebbe concluso un contratto di servicing con la D. s.p.a. conferendole l’incarico di svolgere attività di amministrazione, gestione, incasso e recupero crediti con ampia procura per la gestione, sia giudiziale che stragiudiziale.

La stessa M. s.r.l.  ha anche depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Preliminarmente, occorre dichiarare l’inammissibilità dei entrambi gli interventi ex art. 111 c.p.c., di R. s.r.l. e di M. s.r.l., effettuati entrambi per la prima volta nel corso del giudizio di cassazione in cui risulta costituito come controricorrente il loro dante causa, U. s.p.a. Ciò in applicazione del consolidato principio di diritto secondo il quale il successore a titolo particolare nel diritto controverso può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo in quanto tale la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass. n. 5759 del 2016). Tale principio non si pone peraltro in contrasto con l’affermazione contenuta in Cass n. 11638 del 2016, secondo la quale il successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c., può intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall’acquistata titolarità del diritto controverso, quando non sia costituito il dante causa, altrimenti determinandosi un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa, in quanto con quest’ultima pronuncia si è ritenuto ammissibile l’intervento nel giudizio di cassazione del successore a titolo particolare nel diritto controverso, muovendo da una situazione in cui il dante causa non aveva assunto il ruolo di controricorrente, rimanendo silente, ed in cui, non consentendo l’intervento del successore, la sua posizione processuale sarebbe rimasta priva di difesa. Nel caso di specie, essendo costituita la controricorrente U. s.p.a., l’intervento del successore a titolo particolare è senza meno inammissibile né può essere configurabile alcun pregiudizio ai diritti della difesa.

A ciò si aggiunga che gli interventi effettuati non sono neppure rispettosi delle regole che presiedono allo scambio degli atti nel giudizio di cassazione, finalizzate ad assicurare la pienezza del contraddittorio, in quanto gli atti di intervento risultano essere stati solo depositati e non anche notificati alla controparte. Nei limitati casi in cui si è ammesso l’intervento in cassazione si è infatti precisato che esso deve essere notificato alla controparte per assicurare il rispetto del contraddittorio, non essendo sufficiente il mero deposito dell’atto nella cancelleria della S.C., stante l’esigenza di assicurare il rispetto di una forma simile a quella del ricorso e del controricorso (Cass. n. 3741 del 2016 e 7441 del 2010, entrambe facenti riferimento a fattispecie in cui si era verificata la morte della parte durante il giudizio di legittimità, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio mediante deposito del ricorso o del controricorso).

Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1703, 1704 e 1388 c.c.

Sostengono che, essendo C. s.r.l. procuratrice speciale di B. e mandataria di C. s.r.l., essa avesse esulato dai confini del mandato, avendo chiesto e ottenuto l’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti di L. e M.G., fideiussori del debitore principale, direttamente in proprio favore, senza spendere il nome della mandante C. s.r.l., operando come se la stessa C. s.r.l. fosse direttamente titolare del diritto sostanziale nei confronti dei debitori, o ne fosse divenuta titolare, per successione a titolo universale o particolare.

Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano un difetto di pronuncia su un “motivo autonomo e non assorbito di appello”, e la violazione dell’art. 1722 c.c.

Si dolgono dell’omesso accoglimento del secondo motivo di appello, ovvero che non si sia tenuto in considerazione il fatto che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in luogo dell’opposta C. s.r.l. si fosse costituita U. s.p.a, quale società incorporante C. s.r.l., affermando di essere subentrata a C. s.r.l. nella procura speciale rilasciata da B., e chiedendo che la condanna di L. e M.G. al pagamento dell’importo portato dal decreto ingiuntivo venisse emessa nei propri confronti.

In riferimento alla posizione di U. s.p.a., oltre alle considerazioni già spese in relazione alla posizione di C. s.r.l. ed al difetto di legittimazione attiva di questa, in quanto solo mandataria e non anche titolare del credito, ribadiscono le considerazioni, svolte in appello e non prese in considerazione dal giudice dell’impugnazione, in termini di illegittimità della richiesta di emettere una condanna, nel giudizio di opposizione, non più conforme al decreto ingiuntivo, nei confronti di un soggetto diverso, cambiando in tal modo l’oggetto del giudizio. Sotto questo profilo, evidenziano anche una contraddittorietà nella posizione di U. s.p.a., che, da una parte chiedeva la conferma del decreto ingiuntivo già emesso e, dall’altra, chiedeva l’accoglimento di una pretesa diversa, ovvero l’emissione della pronuncia di condanna di L. e M.G. (non più in favore di C. s.r.l., come risultava dal decreto ingiuntivo, ma) in proprio favore.

All’interno del motivo introducono anche una diversa questione, se cioè la procura, che presuppone un rapporto fiduciario, possa sopravvivere alla estinzione del mandatario e se possa trasferirsi in favore di una diversa persona senza il consenso del mandante.

Il ricorso nel suo complesso supera a stento il vaglio di ammissibilità, in quanto all’interno di esso non è riprodotto il contenuto del ricorso per decreto ingiuntivo, né della procura, né del decreto né essi sono richiamati con precisione, impedendo in tal modo di verificare la veridicità degli assunti, cioè da un lato i termini della procura, dall’altro i termini del ricorso per decreto ingiuntivo, ovvero di verificare se C. s.r.l. avesse effettivamente chiesto l’emissione del decreto in proprio favore o in favore della sua mandante.

Esso è comunque infondato.

La motivazione della corte d’appello è sintetica ma corretta: data l’esistenza di una procura generale rilasciata da B. a C. s.r.l. nel ___ (procura il cui contenuto, nella parte che rileva ai fini del ricorso, solo la corte d’appello richiama estensivamente), che conferiva a C. s.r.l. il potere di porre in essere qualsiasi atto, extraprocessuale ed anche processuale, diretto al recupero dei crediti di B., incluso il potere di agire in giudizio e di incassare i crediti della mandante “conferendo altresì il potere di rappresentanza” rientrava nei poteri della mandataria quello di chiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo in proprio nome benché per conto altrui (come mandataria di B.).

A fronte della argomentazione dell’appellante, in base alla quale C. s.r.l. avrebbe travalicato i limiti del mandato, chiedendo ed ottenendo il decreto in nome proprio, anziché a nome della propria mandante, la corte d’appello supera l’obiezione di difetto di titolarità del credito saldando il contenuto del ricorso, in cui il decreto era stato chiesto nella qualità di mandataria, al contenuto del decreto (emesso a quanto è dato intendere – perché i ricorrenti non lo riportano – in favore di C. s.r.l. senza che la qualità di mandataria fosse indicata), in conformità di una operazione di integrazione degli atti già consentita da questa Corte con sentenza n. 16455 del 2004, richiamata da Cass. 20561 del 2017. Il principio richiamato faceva riferimento nelle sentenze citate ad una possibilità di ritenere integrata la motivazione del decreto (sulla riduzione del termine per proporre opposizione) per relationem, con un rinvio implicito alla esplicitazione dei giusti motivi esistente nel ricorso, colmando in tal modo la motivazione sulla sussistenza di giusti motivi, che devono essere enunciati nel provvedimento, quantomeno con un rinvio implicito alle condizioni che ne giustificano la sussistenza, specificamente rappresentate dal creditore nel testo del ricorso. Esso può considerarsi espressione del principio di ammissibilità della interpretazione extra testuale del titolo esecutivo, purché sulla base agli elementi acquisiti nel processo, affermato da Cass. S.U. n. 11066 del 2012.

La corte d’appello, attraverso questa operazione interpretativa, accerta in fatto che il ricorso era stato formulato chiedendo l’emissione del decreto in favore di C. s.r.l. non in proprio ma quale mandataria di B. Quindi, rigetta l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dai debitori affermando, seppur con l’indicata operazione interpretativa, che l’operato della mandataria era stato corretto in quanto aveva chiesto l’emissione del decreto non in proprio, ma nella qualità di mandataria.

Può aggiungersi che la fattispecie in esame si inquadra nell’ambito del mandato con rappresentanza, ed in quest’ ambito, diversamente dal mero mandato all’incasso non accompagnato da poteri di rappresentanza, ove un soggetto conferisca ad un altro un ampio incarico di compiere attività di recupero dei crediti, attraverso attività stragiudiziali ed anche attribuendogli il potere di promuovere se necessario attività giudiziarie, accompagnato dal potere di conferire ad altri la rappresentanza processuale, il mandatario ben può, in adempimento dell’incarico ricevuto, richiedere l’emissione di titoli di pagamento direttamente in proprio favore relativamente alle somme da recuperare, salvo poi il suo obbligo di immetterle nella disponibilità, materiale e giuridica del mandante. Il mandatario deve quindi attivarsi direttamente ai fini dell’effettivo recupero del credito, potendo svolgere tutta l’attività necessaria alla riscossione del credito direttamente e quindi, portato a termine il recupero, in espletamento dell’incarico affidato ritrasferire quanto acquisito al mandante in adempimento dell’incarico ricevuto calla mandante. L’eventuale richiesta di emissione di un decreto ingiuntivo in nome proprio, con obbligo di ritrasferimento fondato sul rapporto interno di mandato, non avrebbe comportato di per sé che il mandatario avesse illegittimamente assunto di essere titolare del diritto che faceva valere, atteso che pur sempre, in virtù dell’incarico ricevuto, agiva per conto altrui. L’ultimo punto del secondo motivo di ricorso, laddove deduce la violazione del principio della natura fiduciaria della procura, in virtù del quale essa perde efficacia con la morte del procuratore, assumendo che la corte d’appello non abbia tenuto conto della caducazione della procura rilasciata in favore di C. s.r.l. da B., a seguito della fusione per incorporazione della mandataria in altra società e della impossibilità, per il nuovo soggetto incorporante, di avvalersi in giudizio della procura rilasciata in favore di un diverso soggetto, è infondato in quanto muove da un presupposto in fatto infondato, e che non risulta accertato in giudizio in conformità di quanto confusamente esposto dai ricorrenti. Laddove C. s.r.l. aveva chiesto l’emissione del decreto ingiuntivo, operando quale mandataria di banca di Roma in virtù della procura generale del ___, U. s.p.a. si è costituita nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo processualmente come successore a titolo universale di C. s.r.l., e sostanzialmente non in forza della procura rilasciata nel ___, ma in forza di una nuova procura, rilasciata nel ____ da U. s.p.a. (nuova denominazione assunta da B.) in suo favore.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato notificato in data posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibili gli interventi.

Pone a carico dei ricorrenti le spese di lite sostenute dalla controricorrente U. s.p.a., che liquida in complessivi Euro ____, oltre ____ per esborsi, contributo spese straordinarie ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 1 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2018

 

 

Cass_Civ_Sez_III_30_03_2018_n_7895

 




Opposizione agli atti esecutivi Decorrenza del Termine Procedimento Esecuzione Forzata

Opposizione agli atti esecutivi Decorrenza del Termine Procedimento Esecuzione Forzata

Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 3430 del 13/02/2018

Recentemente è stato evidenziato che ai fini del decorso del termine per proporre opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. è sufficiente che la parte destinataria dell’atto esecutivo possa rendersi conto che un atto potenzialmente pregiudizievole è stato emesso nei suoi confronti, rimanendo suo onere attivarsi per percepirne integralmente il contenuto e senza che si possa opporre una qualche nullità per il fatto che esso non sia stato comunicato per intero, ma solo per estratto: questo perché anche in questo ambito opera sempre il principio di sanatoria per il raggiungimento dello scopo: quand’anche la comunicazione del provvedimento del giudice dell’esecuzione sia avvenuta in imperfetta ottemperanza al disposto del capoverso dell’art. 45 disp. att., come nel caso in cui essa sia stata non integrale, la relativa nullità è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, anche ai fini del decorso del termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, ove l’oggetto della comunicazione sia sufficiente a fondare in capo al destinatario una conoscenza di fatto della circostanza che è venuto a giuridica esistenza un provvedimento del giudice dell’esecuzione potenzialmente pregiudizievole; pertanto, in tal caso è onere del destinatario, nonostante l’incompletezza della comunicazione, attivarsi per prendere utile piena conoscenza dell’atto e valutare se e per quali ragioni proporre opposizione avverso di esso ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e nel rispetto del relativo complessivo termine, da reputarsi idoneo all’espletamento delle sue difese; ed incombe all’opponente dimostrare, se del caso, l’inidoneità in concreto della ricevuta comunicazione ai fini dell’estrinsecazione, in detti termini, del suo diritto di difesa.


 

Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 3430 del 13/02/2018

Opposizione agli atti esecutivi Decorrenza del Termine Procedimento Esecuzione Forzata

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 611 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:

P.A. (C.F.: ________________________) rappresentato e difeso dall’avvocato ____________;

– ricorrente –

nei confronti di:

  1. _______________ (C.F.: ___________________), in persona del Direttore Unico, legale rappresentante pro tempore, S.S.A. rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso, dall’avvocato ________________ (C.F.: ______________)

– controricorrente –

nonché I. (C.F.: _______________), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato ____________;

– intimato –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. _______, depositata in data ______ (e che si assume comunicata in data _________);

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data _________ dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

il ricorrente P.A.;

l’avvocato _______, per A.______ controricorrente;

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Soldi Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

P.A. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio in un procedimento di esecuzione forzata per espropriazione di crediti promosso nei confronti di A. _______, presso il terzo I. ______.

L’opposizione è stata dichiarata inammissibile, in quanto proposta tardivamente, dal Tribunale di Roma.

Ricorre il P., sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso l’A.________. Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra parte intimata.

Il ricorso è stato inizialmente trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto ritenuto dal relatore destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato, ma è stato poi rimesso alla pubblica udienza della sezione ordinaria con ordinanza del ____________.

Il ricorrente ha depositato un’istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite e successivamente una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Entrambe le parti hanno depositato ulteriori memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., e la controricorrente ha depositato altresì ulteriore documentazione.

Motivi della decisione

  1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione, sollevata dal ricorrente nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., di nullità del controricorso per difetto di ius postulandi per avere l’Ente, autorizzato, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43 ad avvalersi del patrocinio legale dell’Avvocatura dello Stato, conferito il mandato difensivo ad un avvocato del libero Foro, senza la prescritta Delib. autorizzativa da sottoporre agli organi di vigilanza; eccezione già accolta in altra pronuncia di questa Corte (Cass. ord. 20/11/2017, n. 27530), ma alla quale ha replicato, per così dire in prevenzione ed alla stregua di analoghe condotte processuali della controparte in altri contesti, la controricorrente depositando documentazione e argomentando nella sua memoria.
  2. Il precedente richiamato dal ricorrente ha affermato invero che per l’A. _________ è previsto – dal D.Lgs. 27 maggio 1999, n. 165, art. 2, comma 4, – il patrocinio facoltativo dell’Avvocatura dello Stato, disciplinato dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 richiamato dalla norma speciale succitata (Cass. Sez. U. 11/11/2005, n. 22021; Cass. 20/09/2005, n. 18959; Cass. 18/01/2006, n. 863); ed ha concluso che, per gli enti autorizzati ad avvalersi di tale patrocinio (art. 43, cit., come modificato dalla L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 11), al conferimento in via organica ed esclusiva all’Avvocatura dello Stato del potere di rappresentanza dell’Ente è apportata deroga (salvi i casi di conflitto con lo Stato e le Regioni) ed è prevista la facoltà di non avvalersi della difesa erariale, ma esclusivamente condizionata all’adozione di un’apposita e motivata Delib., senza la quale la possibilità di rivolgersi ad un avvocato del libero foro deve considerarsi esclusa (Cass. Sez. U. 29/08/1989, n. 3817; Cass. 27/07/1990, n. 7568; Cass. 22/03/1991, n. 3101; Cass. 04/05/1999, n. 5183; Cass. 13/05/2016, n. 9880); nella specie esaminata in concreto, all’esito di un’eccezione formulata per la prima volta con la memoria ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. e quindi senza alcuna possibilità per la controparte di replicare o reagire, questa Corte ha poi riscontrato come il mandato conferito da A. _______ – a margine del controricorso all’avvocato _______ non risultasse preceduto o assistito dalla Delib. suindicata, con conseguente rilievo della nullità del relativo atto.
  3. Ritiene il Collegio che non sia necessario affrontare funditus la questione del regime della rappresentanza in giudizio di A. ______, visto che anche la conclusione più rigorosa già fatta propria da questa Corte nella citata ordinanza 27530/17 può dirsi rispettata alla stregua della documentazione in concreto prodotta dalla controricorrente, oltretutto in conformità all’art. 372 c.p.c. proprio perché relativa alla stessa ammissibilità del controricorso: infatti, la Delib. di A._______ 18 giugno ____ (atto n. 315, avente ad oggetto “Collaborazioni degli Avvocati del libero Foro”), versata in atti (doc. n. 10 dell’indice della documentazione prodotta), integra gli estremi della delibera apposita e motivata sulla cui base disporre legittimamente l’affidamento di incarichi ad avvocati del libero Foro. Altrettanto legittimamente essa ha un tenore generale, siccome riferita a categorie di fattispecie (tra cui le cause seriali di valore medio per ciascuna causa non superiore a Euro ____) in cui è operata ex ante – del resto, in significativo documentato concerto con la stessa Avvocatura dello Stato – la valutazione di convenienza dell’affidamento dell’incarico a professionisti del libero Foro, in relazione al contenzioso seriale di minor valore (quando non ridotto ad autentico microcontenzioso, cioè relativo ad importi sovente di importo assai esiguo, al quale ben si riconduce la presente controversia, di valore di Euro ___ circa), a sua volta fondata sulla condivisibile considerazione della impossibilità, per l’Avvocatura dello Stato, di farvi adeguatamente fronte.
  4. Deve quindi concludersi, sia pure all’esito della disamina della documentazione prodotta ai sensi dell’art. 372 c.p.c., per l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal ricorrente solo con la memoria in vista della pubblica udienza di discussione e per la piena validità del conferimento del mandato all’avv. ____, con conseguente piena ritualità del controricorso da lui formato e dell’intera attività defensionale da lui svolta dinanzi a questa Corte.
  5. Ciò posto, può passarsi al merito, osservandosi come il ricorrente censuri la gravata sentenza, con l’unitario motivo, di “illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 134 c.p.c., comma 2, c.p.c. in combinato disposto con l’art. 45 disp. att. c.p.c., comma 2 – erroneità manifesta – illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 136 c.p.c., comma 1, – omessa motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.
  6. Al riguardo, egli prospetta la questione se, ai fini del decoroso del termine di decadenza di venti giorni per proporre tempestiva opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., sia sufficiente una comunicazione (nel caso di specie, a mezzo posta elettronica certificata) non contenente il testo integrale dell’ordinanza dichiarativa dell’incompetenza, ma soltanto il suo dispositivo, o se sia necessaria la comunicazione integrale del testo dell’ordinanza, al fine di mettere il destinatario in condizioni di valutare, sulla base della lettura della motivazione del provvedimento, se proporre o meno opposizione; e tanto perché, nel caso di specie, il giudice dell’opposizione ha ritenuto la sola comunicazione del dispositivo sufficiente a portare a conoscenza della parte interessata l’esistenza e il contenuto del provvedimento del giudice, e a porla in grado di esaminare l’opportunità o meno della impugnazione, ed idonea quindi a far decorrere il termine decadenziale di venti giorni di cui all’art. 617 c.p.c.
  7. In particolare, il ricorrente – che riproduce poi, a partire da pag. __ del ricorso, il testo della sua opposizione agli atti esecutivi – lamenta la violazione delle disposizioni cogenti in tema di comunicazione dei provvedimenti giudiziali resi fuori udienza, per avere il cancelliere dato notizia dell’ordinanza dichiarativa dell’incompetenza in forma abbreviata in luogo di quella integrale, privando così il destinatario della possibilità di conoscere le motivazioni e di espletare il suo diritto di difesa con cognizione di causa: infatti, quella illegittima comunicazione non avrebbe potuto fondare la “legale conoscenza” del provvedimento idonea a fare decorrere il termine di venti giorni per la proposizione della opposizione agli atti esecutivi, soprattutto perché, nel caso concreto, era stata di ufficio rilevata l’incompetenza e il creditore non avrebbe allora potuto, senza poter disporre della motivazione per intero e quindi per esteso delle specifiche ragioni dell’inattesa declaratoria, appunto determinarsi in ordine all’impugnazione con il detto rimedio.
  8. La controricorrente deduce preliminarmente la totale inerzia della controparte nel prendere conoscenza integrale del provvedimento a dispetto del chiaro contenuto della comunicazione della cancelleria; e contesta che il termine possa decorrere a seconda della volontaria condotta della parte onerata, che si decida infine ad accedere alla cancelleria per estrarre copia; per concludere che la “legale conoscenza” dell’atto era stata somministrata regolarmente al procedente con un atto che consentiva di esaminare l’opportunità di proporre o meno l’opposizione, così attivando utilmente il relativo termine; e ciò in quanto la peculiarità del processo esecutivo esige che, avuta uno dei suoi soggetti idonea notizia dell’esistenza di un atto, incomba a lui di attivarsi per acquisirne quella pienezza di conoscenza dei contenuti tale da valutare se proporre opposizione.
  9. Il Tribunale fonda la sua decisione di inammissibilità per tardività – avendo ritenuto utilmente iniziato il decorso del termine di venti giorni per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi fin dalla comunicazione del solo dispositivo dell’ordinanza che ne era oggetto – sul principio generale di libertà delle forme, richiamando espressamente Cass. 15/03/1995, n. 3025, secondo la quale “le comunicazioni prescritte dalla legge sono valide se effettuate in forme diverse da quelle previste dalla legge, sempreché risulti raggiunto lo scopo di portare a conoscenza della parte interessata l’esistenza ed il contenuto del provvedimento del giudice, ponendola, in tal modo, nella condizione di esaminare l’opportunità o meno dell’impugnazione”.
  10. Va preliminarmente ribadito che non è sorta questione sulla correttezza dell’impugnazione con opposizione agli atti esecutivi dell’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione ha dichiarato l’incompetenza del suo ufficio in favore di quello di Milano, in conformità ad un consolidato indirizzo ermeneutico di questa Corte, che non vi è quindi motivo di revocare in dubbio (con inammissibilità del regolamento di competenza: da ultimo, Cass. ord. 13/09/2017, n. 21185).
  11. Ciò posto, a convinto avviso del Collegio la questione posta dal ricorso va risolta sulla duplice premessa delle peculiarità della struttura del processo esecutivo e dei rimedi ad esso interni ed esclusivi: l’uno non comportando mai l’adozione di provvedimenti decisori e gli altri non potendo in alcun caso definirsi impugnazioni in senso stretto.
  12. Il processo esecutivo è, infatti e normalmente, una sequenza di attività materiali e procedimentali finalizzate alle prime, a loro volta di mera esecuzione del comando contenuto nel titolo (a partire, nelle espropriazioni, dalla liquidazione del bene e per finire all’attribuzione o alla distribuzione dell’eventuale ricavato): e si giustifica quindi che ogni suo atto – esclusa sempre e comunque la potestà del giudice dell’esecuzione in quanto tale di pronunciare sentenza o comunque di adottare atti in grado di pregiudicare diritti o di risolvere questioni diverse da quelle in ordine al mero rito del processo esecutivo – rilevi in quanto tale e cioè in una dimensione oggettiva od ontologica, per il solo fatto di essere stato adottato; in dipendenza di una tale peculiare rilevanza obiettiva di ciascun atto della sequenza procedimentale del processo esecutivo, né l’uno – singolarmente considerato né l’altro – nel suo complesso considerato – hanno mai una valenza decisoria, ovvero in grado di incidere su diritti o su questioni controverse ad essi relative.
  13. Il rimedio, consistente nel giudizio di contestazione di quegli atti sotto il profilo formale o – quando previsto – di opportunità, non è quindi un giudizio di impugnazione in senso stretto, perché la causa di cognizione, in cui si risolve ogni opposizione agli atti esecutivi, insorge solo quando quell’atto ne è reso oggetto. Così, a differenza del processo di cognizione, dove l’impugnazione ha ad oggetto un provvedimento appunto decisorio e cioè svolto all’esito di una sequenza procedimentale ordinata alla risoluzione di questioni controverse e quindi tipica estrinsecazione della giurisdizione cognitiva o piena, nel processo esecutivo il suo atto, che si assuma viziato, diviene oggetto di un processo di cognizione che si instaura ex novo e per la prima volta proprio in dipendenza della contestazione mossa avverso di esso e quindi dell’insorgenza di una questione in senso proprio.
  14. La stessa struttura e natura del processo di esecuzione, in cui difetta un contraddittorio in senso tecnico e in cui una delle due parti è istituzionalmente in posizione di legittima sovraordinazione processuale rispetto all’altra in virtù di un accertamento altrove eseguito della sua peculiare condizione di creditore e quindi di avente diritto sia alla prestazione ineseguita della controparte sia alle attività in cui si estrinseca il processo esecutivo cui assoggettare quest’ultima, esige che la sequenza ordinamentale sia agile e finalizzata appunto senza formalità non necessarie al soddisfacimento del diritto azionato e consacrato nel titolo, salvo beninteso il diritto del debitore alla regolarità formale del processo, quando questa susciti un suo particolare interesse.
  15. E’ ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio della sufficienza, ai fini della decorrenza del termine di decadenza previsto dall’art. 617 c.p.c., della conoscenza anche solo di fatto dell’atto da opporre (Cass. 31/10/2017, n. 25861; Cass. ord. 27/07/2017, n. 18723; Cass. 22/12/2015, n. 25743; Cass. 25110 del 2015; Cass. 31/08/2015, n. 17306; Cass. 30/12/2014, n. 27533; Cass. 13/11/2014, n. 12881; Cass. 28/09/2012, n. 16529; Cass. 09/05/2012, n. 7051; Cass. 13/05/2010, n. 11597; Cass. 17/03/2010, n. 6487; Cass. 30/04/2009, n. 10099): risultando così superata la più rigorosa precedente impostazione sulla necessità della conoscenza legale (da ultimo, v. Cass. 16/04/2009, n. 9018, che escludeva la sufficienza della conoscenza di fatto), già temperata dal riconoscimento della sufficienza della conoscenza di un atto della sequenza procedimentale che presupponeva l’atto viziato (già Cass. 06/08/2001, n. 10841; successivamente, tra le altre ed oltre quelle già ricordate che ammettono anche la rilevanza della conoscenza di fatto: Cass. 22/08/2007, n. 17880; Cass. 10/01/2008, n. 252).
  16. È , del resto, lo stesso tenore dell’art. 617 c.p.c., comma 2, ad indicare che, decorrendo il termine decadenziale dal giorno in cui l’atto esecutivo da opporre è stato compiuto, rileva quest’ultimo nella sua oggettiva esistenza e non da un’attività successiva, se prevista dalla norma processuale, che abbia lo scopo di portare a conoscenza di un determinato soggetto del processo esecutivo la venuta ad esistenza di quell’atto ed il suo contenuto.
  17. Ed invero, al riguardo, si consideri che, a differenza delle opposizioni all’esecuzione (in cui si contesta lo stesso diritto del creditore ad agire in via esecutiva e cioè l’an exsequendum sit), con le opposizioni agli atti esecutivi (o formali o di rito), ex artt. 617 e 618 c.p.c., si contesta la regolarità formale – o, per alcuni di essi che sono espressione di una valutazione discrezionale del g.e., l’inopportunità, stando all’elaborazione giurisprudenziale dell’istituto – di uno degli atti del processo esecutivo o di quelli ad esso prodromici (cioè preliminari e preparatori, ma strettamente collegati), come di titolo esecutivo o precetto o della notificazione dell’uno e dell’altro. E’ corrente l’affermazione che oggetto delle opposizioni formali sia quindi il difetto di presupposti procedimentali o formali e, per i detti atti espressione di valutazioni discrezionali del g.e., anche di quello specifico presupposto che è l’opportunità del provvedimento in sé considerato: pertanto, con espressione oramai appartenente alla tradizione giuridica nazionale, con queste opposizioni si contesta (solo) il quomodo (exsequendum sit). D’altra parte, la peculiarità dell’opposizione formale sta in ciò, che si instaura descrittivamente, si innesta – un incidente cognitivo (cioè corrispondente strutturalmente ad un processo di cognizione ordinario) nel corso ed in funzione di un processo, quale quello esecutivo, che cognitivo certamente non è.
  18. In questo contesto, l’agilità delle forme procedimentali esige dai soggetti del processo esecutivo un peculiare onere di diligenza, avente ad oggetto l’acquisizione della consapevolezza dello sviluppo del processo medesimo, sicché, avuta conoscenza anche informale o in via di mero fatto dell’esistenza di un atto di quello che si reputi o si sospetti viziato, è onere di chi intende renderlo oggetto di opposizione formale prenderne conoscenza nel tempo utile a formulare le sue difese.
  19. Una tale peculiarità non è, del resto, tipica o propria esclusivamente del processo esecutivo, dandosi anche nel rito civile di cognizione casi in cui un rimedio, per di più tipicamente impugnatorio, è concesso alla parte con fissazione della decorrenza del relativo termine anche solo dalla comunicazione, che così almeno in origine normalmente non era integrale, del provvedimento censurato: è questa l’ipotesi del regolamento necessario di competenza, ai sensi degli artt. 43 e 47 c.p.c., in ordine al termine per proporre il quale la consolidata giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto del tutto sufficiente anche una menzione imprecisa o incompleta del tenore del provvedimento stesso ed addossato all’impugnante il conseguente onere di provare l’inidoneità all’acquisizione della notizia di quello (fin dalla remota Cass. 27/07/1967, n. 1997, che ravvisò l’inidoneità, al fine di escludere la decorrenza del termine, nella carenza di qualsiasi menzione, nella comunicazione, della circostanza che vi era stata una pronunzia sulla competenza; ovvero da Cass. 24/05/2000, n. 6776, che si accontenta della presenza di estremi identificativi sufficienti all’individuazione del provvedimento e del fatto che esso ha pronunciato sulla competenza; l’orientamento è del tutto consolidato, come si desume, a contrario, da: Cass. 15/05/2000, n. 6232; Cass. 07/07/2004, n. 12462; Cass. 13/02/2006, n. 3077; Cass. ord. 12/03/2009, n. 6050; Cass. 27/09/2011, n. 19754).
  20. Ne consegue che già in ordine alla contestazione della pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento normalmente decisorio la reazione dell’impugnante era, fin dall’impostazione codicistica originaria, soggetta a termini più stringenti decorrenti dall’attività ufficiosa – evidentemente, per la peculiarità della questione risolta, incapace di incidere sul merito di qualsiasi questione controversa – e tale da postulare tuttora l’attività di previa diligente acquisizione di piena conoscenza del contenuto dell’atto entro il complessivo termine: modulandosi quindi i tempi e le forme dell’esercizio del diritto di contestare il provvedimento giurisdizionale in funzione della sua natura e della struttura del processo in cui è reso, fino ad esigere appunto oneri di diligenza del potenziale impugnante, ad evidente garanzia della ragionevole durata; e tali oneri sono tanto maggiori quanto minore è l’impatto diretto su questioni di diritto sostanziale, sì da essere collegati ad attività ufficiose normalmente indefettibili, quali la comunicazione ad opera della cancelleria del provvedimento del giudice (anziché, quale regola generale delle impugnazioni civili, dall’iniziativa della controparte o dal decorso del termine c.d. lungo).
  21. Tale conclusione si attaglia, appunto, alle pronunce di incompetenza del giudice della cognizione od agli atti del giudice dell’esecuzione in generale; ma è a maggior ragione applicabile alle ipotesi in cui si tratti di atti del giudice dell’esecuzione che abbiano ad oggetto proprio questioni di competenza, per così dire assommando in tal caso le caratteristiche delle due tipologie: infatti, il provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia per di più il contenuto di pronuncia sulla competenza del medesimo quanto al processo esecutivo, ciononostante ricondotto – secondo la giurisprudenza ricordata sopra al punto 10 – al novero degli atti opponibili ai sensi dell’art. 617 c.p.c., non può essere – a meno di un’irragionevole ed illegittima differenziazione del trattamento di situazioni processuali analoghe – soggetto a forme di tutela più ampie anche solo sotto il profilo delle modalità di conoscenza – né delle pronunce di incompetenza del giudice della cognizione, né di ogni altro atto esecutivo, singolarmente presi le une e gli altri, ma soggiace alle stesse regole, più stringenti rispetto all’impugnazione in senso proprio di provvedimenti decisori sul merito o su altre questioni di rito, quanto alle modalità di estrinsecazione della tutela.
  22. Può concludersi allora che la peculiare funzione degli atti del processo esecutivo comporta la sufficienza, per attivare tale onere, che dell’atto della cui legittimità (o, quando ammesso, opportunità) si dubita si sia avuta una conoscenza anche appunto sommaria o in via di mero fatto, desunta dalla più piena conoscenza di altro atto che quello presupponga: dovendo ricostruirsi il termine complessivo, significativamente aumentato dagli originari – talvolta difficilmente esigibili – cinque agli attuali venti giorni, come idoneo a consentire non solo l’esame diretto dell’atto oggetto di comunicazione, effettivamente possibile solo quando quest’ultima sia stata integrale, ma anche l’attivazione di ogni utile preventiva diligenza per acquisire gli elementi su cui procedere alla sua valutazione del medesimo e della conseguente opportunità di renderlo oggetto di opposizione.
  23. E, in linea di massima, può concludersi altresì che, ad integrare la conoscenza di fatto dell’esistenza del provvedimento pregiudizievole, è sufficiente che la comunicazione, perfino quando sia affetta da nullità per violazione di norme sul procedimento, dia sufficiente conto quanto meno di un dispositivo chiaramente pregiudizievole, restando esclusa l’idoneità all’attivazione del termine decadenziale soltanto quando la comunicazione non integrale o nulla abbia un contenuto concreto di obiettiva ambiguità o non significatività, ad esempio perché limitato all’avviso del deposito di un provvedimento non meglio specificato, il cui contenuto ed il tenore del cui dispositivo vengano completamente taciuti od omessi.
  24. Ora, è ben vero che ogni ordinanza pronunziata dal giudice fuori udienza va ormai comunicata, ai sensi del combinato disposto dell’art. 134 c.p.c., comma 2 e dell’art. 45 disp. att. cod. proc. civ. (nel testo modificato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 convertito in L. 17 dicembre 2012, n. 221), mediante trasmissione anche del testo integrale del provvedimento comunicato: ma occorre valutare se la non ottemperanza a tale formalità incida sul regime del dispiegamento dell’opposizione formale ex art. 617 c.p.c., come finora elaborato da questa Corte.
  25. Al riguardo, va però ricordato che le novelle in tema di comunicazione dei provvedimenti per via telematica, anche con la precisazione che quella della sentenza non attiva il termine breve per la proposizione dell’impugnazione, non hanno innovato le discipline speciali eventualmente dettate in relazione a singoli mezzi di gravame (v., tra le altre, Cass. ord. 05/11/2014, n. 23526, ovvero Cass. 28/09/2016, n. 19177), siccome chiaramente non finalizzate all’ampliamento della tutela del destinatario della comunicazione (sotto forma di assicurazione della conoscenza integrale dell’atto comunicato), ma alla razionalizzazione dell’ufficio sotto il profilo del funzionamento del cosiddetto processo civile telematico (per il quale è paradossalmente più complessa ed incongrua un’attività di estrapolazione, dal documento depositato per via telematica per intero, del solo dispositivo, in luogo del semplice inoltro di quanto come trasmesso, evidentemente in modo integrale, dal suo autore).
  26. Pertanto, ove nella materia in esame si possa rinvenire un principio autonomo in base al quale ricostruire i presupposti per la proposizione dell’opposizione formale, quell’innovazione non potrebbe poi dirsi in grado di rilevare, siccome lex posterior generalis e quindi inidonea a derogare a quella speciale (a quest’ultima equiparato ovviamente anche il principio consolidato all’esito dell’interpretazione giurisprudenziale), come principio applicabile estensivamente anche al regime delle comunicazioni delle ordinanze.
  27. Del resto, è stata ribadita la generale previsione di sanatoria della nullità delle comunicazioni telematiche in caso di raggiungimento dello scopo, essendosi sancito che “l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dell’atto ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto (stesso) e determinato così il raggiungimento dello scopo legale” (Cass. 31/08/2017, n. 20625), in sostanziale riaffermazione, anche dopo la novella sulle modalità telematiche delle comunicazioni di cancelleria, del principio sommariamente ribadito dal Tribunale di Roma nella qui gravata sentenza (Cass. 15/03/1995, n. 3025, cit. sopra al punto 9).
  28. L’applicazione di tali approdi ermeneutici al processo esecutivo va combinata con quella dell’applicabilità al medesimo del generale principio della sanabilità (tranne il caso dell’inesistenza dell’atto impugnato: tra le altre, v. Cass. 23894/12) delle nullità formali in caso di raggiungimento dello scopo (per tutte, Cass. ord. 15/12/2016, n. 25900; già in precedenza, Cass. 5906/06): benchè sia stato opportunamente e di recente – precisato che la nullità della notifica di un atto, quale il precetto, può sì essere sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, dalla medesima proposizione dell’opposizione, quale evidente dimostrazione dell’intervenuta conoscenza dell’atto, ma pur sempre solo quando è provato che tale conoscenza si è avuta in tempo utile a consentire all’atto nullo di espletare la funzione sua propria (e, quindi, nella fattispecie esaminata, a prevenire il pignoramento, atteso che la funzione tipica dell’atto di precetto è quella di consentire all’intimato di adempiere spontaneamente all’obbligazione portata dal titolo esecutivo, evitando proprio l’avvio dell’esecuzione forzata contro di lui: Cass. 16/10/2017, n. 24291).
  29. Di conseguenza, anche un atto formalmente nullo perché adottato in imperfetta ottemperanza alla normativa sulle modalità di comunicazione può fondare la conoscenza di fatto idonea ad attivare l’onere di prenderne idonea conoscenza e di dispiegare il rimedio oppositivo entro il complessivo, ben congruo (salvo il caso patologico di ritardi non imputabili al potenziale opponente, il quale però potrà allora chiedere la rimessione in termini, sussistendone i presupposti), termine di venti giorni.
  30. Tanto costituisce espressione del più generale principio di sanatoria delle nullità formali degli atti del processo esecutivo, anche all’esito del suo opportuno temperamento – dovuto al fatto che in tali ipotesi lo scopo non potrebbe dirsi egualmente raggiunto – nei casi di radicale inesistenza dell’atto o di non altrimenti rimediabile incertezza da esso indotta, ovvero (come adeguatamente precisato la già richiamata Cass. 24291/17) in quelli in cui sia incolpevolmente irrimediabile la conseguita preclusione l’attività concreta, al cui espletamento era finalizzato l’atto scevro da nullità, in danno del soggetto in origine interessato a farle valere.
  31. In applicazione poi di principi generali del processo in ordine alla sussistenza di specifici presupposti processuali, incombe all’opponente dimostrare, di certo nel caso in cui tanto non sia evidente ovvero in quello in cui tanto sia contestato, la tempestività della proposizione della sua azione nel rispetto del termine di decadenza a tal fine imposto dalla norma processuale: così scongiurandosi il caso di un’indagine caso per caso imposta preliminarmente in ogni evenienza al giudice davanti al quale l’azione è proposta.
  32. Deve quindi concludersi facendosi applicazione del seguente principio di diritto: “ai fini del decorso del termine per proporre opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., quand’anche la comunicazione del provvedimento del giudice dell’esecuzione sia avvenuta in imperfetta ottemperanza al disposto del capoverso dell’art. 45 disp. att. c.p.c., come nel caso in cui essa sia stata non integrale, la relativa nullità è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, anche ai fini del decorso del termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, ove l’oggetto della comunicazione sia sufficiente a fondare in capo al destinatario una conoscenza di fatto della circostanza che è venuto a giuridica esistenza un provvedimento del giudice dell’esecuzione potenzialmente pregiudizievole; pertanto, in tal caso è onere del destinatario, nonostante l’incompletezza della comunicazione, attivarsi per prendere utile piena conoscenza dell’atto e valutare se e per quali ragioni proporre opposizione avverso di esso ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e nel rispetto del relativo complessivo termine, da reputarsi idoneo all’espletamento delle sue difese; ed incombe all’opponente dimostrare, se del caso, l’inidoneità in concreto della ricevuta comunicazione ai fini dell’estrinsecazione, in detti termini, del suo diritto di difesa”.
  33. In applicazione del principio di diritto di cui al paragrafo precedente, pertanto, il motivo di ricorso deve dirsi infondato e va rigettato; ma le spese del presente giudizio di legittimità vanno adeguatamente compensate per la relativa novità della questione, in relazione se non altro al profilo specifico dell’incompletezza della comunicazione telematica di cancelleria.
  34. Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara integralmente compensate le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2018

 

 

Cass_civ_Sez_III_13_02_2018_n_3430

 




Opposizione al decreto ingiuntivo Competenza e Giurisdizione Civile Incompetenza territoriale del giudice

Opposizione al decreto ingiuntivo Competenza e Giurisdizione Civile Incompetenza territoriale del giudice

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione VI Civile, Sentenza del 30/01/2018

Il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione Sesta Civile, con sentenza del 30 gennaio 2018, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, ha stabilito che la sentenza con cui in sede di opposizione a decreto ingiuntivo si dichiari l’incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto non comporta la declinatoria della competenza funzionale a decidere sull’opposizione ma contiene, anche se implicitamente, la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo, in quanto tale declaratoria è conseguenza necessaria e inscindibile dalla pronuncia di incompetenza del giudice che lo ha emesso; di conseguenza ciò che trasmigra al giudice “ad quem” non è propriamente la causa di opposizione, ma una causa che si svolge secondo il rito ordinario, sulla base della previsione dell’articolo 645 c.p.c.


 

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione VI Civile, Sentenza del 30/01/2018

Opposizione al decreto ingiuntivo Competenza e Giurisdizione Civile Incompetenza territoriale del giudice

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

SEZIONE 6^ CIVILE

in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Francesco Ranieri,

ha emesso la presente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. ________________ r.g. vertente

TRA

V.F. e C.M. rapprs. e difesi dall’Avv. ______________

opponenti

E

s.r.l. P. rapprs. e difesa dall’Avv. ______________

opposto

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato e poi depositato nel novembre ___ V.F. e C.M. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 21314\016 emesso da questo Tribunale con il quale si ingiungeva il pagamento di Euro _____ oltre interessi legali e spese legali in favore della s.r.l. P.. Eccepivano l’incompetenza per territorio inderogabile ex artt. 21 c.p.c. – 447 bis c.p.c. invocando la competenza del Tribunale di Velletri; argomentavano diffusamente sulla questione. Nel merito contestavano la debenza della somma ingiunta in virtù di atto di transazione svolgendo all’uopo domanda riconvenzionale di invalidità della stessa con condanna alla restituzione di Euro ______ pagati ed al pagamento “dell’intera morosità maturata” oltre il risarcimento del danno; in subordine svolgevano eccezione di compensazione.

Parte opposta contestava l’eccezione pregiudiziale allegando di aver trasferito tempestivamente la propria sede da G. a R. e nel caso di specie si verteva in materia di obbligazione pecuniaria con esecuzione prevista pertanto presso il domicilio di esso creditore. Nel merito ripercorreva l’iter storico-fattuale della vicenda negoziale intercorsa e contestava l’assunto delle parti opponenti evidenziando come la somma ingiunta costituisse il residuo di quanto previsto nella transazione del dicembre ___. Contestava la domanda di invalidità – risoluzione della transazione svolta dagli opponenti argomentando in merito e svolgendo allegazioni ulteriori.

Con ordinanza riservata _____ veniva così disposto: “…. – sciogliendo la riserva assunta all’udienza ____ nella causa r.g. n. _____ – V. di opposizione a decreto ingiuntivo, preso atto dell’eccezione di incompetenza per territorio (Trib. Velletri), rilevato che l’oggetto del contendere concerne inadempimento di una transazione riferita ad un rapporto locatizio e che vi è domanda riconvenzionale degli ex locatori di pagamento di indennità di occupazione per rilascio tardivo dell’immobile locato, ritenuto che la questione pregiudiziale può condurre alla definizione del presente processo, fissa udienza al _____ per precisazione delle conclusioni…”.

All’esito della trattazione svolta la causa viene ora all’esame decisorio.

Motivi della decisione

1.1. Va dichiarata la incompetenza territoriale di questo Tribunale in favore del Tribunale di Velletri.

Ed invero sotto un primo profilo va osservato che “l’efficacia novativa” dedotta dall’opposto nelle note conclusionali circa la transazione del dicembre ____ con l’insorgere di una mera obbligazione pecuniaria da parte degli odierni opponenti costituisce un fatto nuovo e non una mera argomentazione come tale introdotta solo con le note conclusionali, dunque in un tempo processualmente non più consentito atteso che sulla questione di competenza il Giudice decide secondo il criterio direttivo indicato dall’art. 38 c.p.c. ultimo comma. Nella comparsa di risposta la difesa svolta dall’opposto è stata limitata a quanto allegato alle pagine 2 e 3 alla cui lettura si rimanda e più sopra evidenziata: mutamento della residenza del creditore.

Sotto un secondo profilo va osservato che giusta allegazione della parte opposta contenuta nel ricorso ingiuntivo la transazione ha riguardato la locazione dell’immobile ed il comodato dell’azienda, e si son stabiliti termini di pagamento delle somme dovute da parte degli odierni opponenti; dunque, il rapporto sostanziale regolato concerne all’evidenza materia locatizia ex artt. 447 e 21 c.p.c. In materia è noto che la Cassazione assoggetta alla materia locatizia anche quei rapporti che devono ancora costituirsi (id est: in tema di contratto preliminare). Nel caso di specie si verte in situazione che appare speculare anche se riferibile ad un tempo fattuale e giuridico successivo allo svolgersi del rapporto locatizio – comodatario. Ne consegue che la “materia” oggetto del contendere, tenuto anche conto delle eccezioni e della domanda riconvenzionale svolta dagli opponenti che attingono al rapporto sostanziale originario poi oggetto della transazione, resta di tipo locatizio e pertanto va affermata la competenza territoriale inderogabile del Giudice del luogo in cui si trova l’immobile.

E d’altra parte, la somma ingiunta concerne un residuo ritenuto dovuto per l’avverarsi della condizione della vendita dell’immobile; debenza contestata dagli opponenti i quali han dedotto l’esistenza di motivi vari di invalidità e di inefficacia della transazione e l’esistenza del loro diritto alla corresponsione delle indennità di occupazione dell’immobile dovute a seguito del protrarsi della detenzione dell’immobile locato.

E d’altra parte, ancora, va rilevato che la questione della condizione apposta alla transazione attiene non già al momento genetico costitutivo dell’accordo transattivo bensì al momento esecutivo dell’avverarsi del termine di pagamento della seconda tranche, oggi contestata con l’atto di opposizione. Dunque momento solo esecutivo, che non incide come tale sulla valutazione in ordine alla competenza per territorio riferita al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

1.2. Tutto ciò detto, va rilevato che in materia locatizia vige la competenza territoriale funzionale ed inderogabile del giudice del luogo dove si trova il bene locato. Soccorre in materia il combinato disposto di cui agli artt. 21, 447 bis 121314\016 e 221314\016 comma, 428 e 28 cod. proc. civ. per come comunemente interpretati da dottrina e giurisprudenza.

Quanto alla forma del provvedimento giurisdizionale da adottarsi va osservato che nel caso di incompetenza (per valore, materia o territorio) del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo si deve ritenere che il giudice del relativo procedimento di opposizione, nell’esercizio della propria competenza funzionale ed inderogabile sull’opposizione, debba pronunciare sentenza con la quale dichiara l’incompetenza del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo con conseguente declaratoria di nullità e revoca del decreto ingiuntivo stesso.

Sentenza e non ordinanza. Al riguardo va rilevato che è vero che ai sensi dell’art. 279 primo comma c.p.c. (nel testo modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69) il Collegio o il Tribunale in composizione monocratica (cfr. art. 281 bis c.p.c.) “pronuncia ordinanza … nonché quando decide soltanto questioni di competenza”, nel qual caso “se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa”; ed è vero che gli artt. 44, 45 e 50 c.p.c. sono stati modificati sempre nel 2009 sostituendo alla parola sentenza la parola ordinanza.

Sennonché nell’ipotesi in questione si deve tener conto della particolarità processuale dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Inveterata e costante giurisprudenza ritiene che in tali casi il giudice dell’opposizione nell’esercizio della propria competenza funzionale ed inderogabile sull’opposizione (come tale sussistente ex artt. 645 e 28 c.p.c.) deve dichiarare sia l’incompetenza del giudice che ha emesso il decreto sia la nullità del decreto ingiuntivo stesso (talora si parla nelle sentenze genericamente di “invalidità” del decreto ingiuntivo). Da detto costante indirizzo non v’è motivo di discostarsi.

Dal sistema Italgiure si traggono le seguenti massime in uno con la lettura della motivazione delle varie sentenze o ordinanze della Corte di cassazione:

– Cass. n. 15694\06: “La sentenza con cui in sede di opposizione a decreto ingiuntivo si dichiari l’incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto non comporta la declinatoria della competenza funzionale a decidere sull’opposizione ma contiene, anche se implicitamente, la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo, in quanto tale declaratoria è conseguenza necessaria e inscindibile dalla pronuncia di incompetenza del giudice che lo ha emesso; di conseguenza ciò che trasmigra al giudice “ad quem” non è propriamente la causa di opposizione , ma una causa che si svolge secondo il rito ordinario, sulla base della previsione dell’articolo 645 cod. proc. civ. Pertanto, la riassunzione tempestiva della causa davanti al giudice dichiarato competente non consente a quest’ultimo di richiedere d’ufficio, a norma dell’articolo 45 cod. proc. civ., il regolamento di competenza se non denuncia la violazione di uno dei casi di competenza inderogabile di cui all’articolo 28 del codice di procedura civile.””.

Analogamente ha disposto Cass. n. 10687\05.

Si noti che trattasi di casi di regolamento di competenza sollevati dal giudice “ad quem” e tutti respinti. In particolare, i giudici investiti come secondi nella trattazione della causa di merito lamentavano che il decreto ingiuntivo non era stato espressamente annullato o comunque invalidato dal giudice “a quo”, sicché essi si trovavano nella impossibilità di intervenire formalmente su un decreto ingiuntivo che risultava ancora in essere processualmente. La Cassazione ha replicato che in casi del genere la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo è “implicita” nella pronuncia di incompetenza rigettando così i regolamenti di competenza proposti;

– Cass. sez. L. n. 11748 del 2007: “La dichiarazione di incompetenza del giudice che ha emanato il decreto ingiuntivo, pronunciata dallo stesso giudice funzionalmente competente ex art. 645 cod. proc. civ., determina in ogni caso la caducazione del decreto, sicché l’eventuale riassunzione dinanzi al giudice competente non concerne la causa di opposizione, ormai definita, ma soltanto la causa relativa alla pretesa azionata dal creditore; ne consegue che, riformata in appello la sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione a decreto per incompetenza del giudice che aveva emesso il decreto, la mancata riassunzione della causa dinanzi al giudice competente non comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 338 cod. proc. civ., non configurandosi estinzione rispetto all’esito di definizione del giudizio di opposizione ad opera del giudice funzionalmente competente. (La S.C., in applicazione del principio soprariportato, ha confermato la sentenza d’appello, secondo la quale la dichiarazione di incompetenza del giudice che aveva emanato il decreto aveva eliminato il provvedimento monitorio, con la conseguenza che, estintosi il giudizio per mancata riassunzione, non era rimasta efficace alcuna sentenza di merito)”;

– Cass. n. 5623\90 che rimanda anche ad altre Cass. n. 88\69, n. 408\79, n. 2455\81, n. 2000\89: “La sentenza, con cui il giudice in sede di opposizione a decreto ingiuntivo dichiara l’incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto non comporta la declinatoria della competenza funzionale a decidere sulla opposizione, bensì contiene, ancorché implicita, la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo con la conseguenza della debita tempestiva riassunzione davanti al giudice dichiarato competente non della causa di opposizione al decreto ingiuntivo, ma di quella avente ad oggetto la domanda proposta dal creditore mediante il ricorso in sede monitoria”.

Da ultimo, va rilevato in argomento che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non sembra potersi applicare il più celere meccanismo processuale di cui all’art. 38 secondo comma ultima parte del c.p.c. ai sensi del quale quando le altre parti costituite aderiscono alla indicazione del giudice che la controparte ritiene territorialmente competente “la competenza del giudice rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione dal ruolo”. Va infatti ribadito che nel caso in esame: a) la competenza non è derogabile su accordo delle parti vertendosi in materia di competenza funzionale; b) nei casi in questione occorre “invalidare” il decreto ingiuntivo emesso. Dunque, un “accordo delle parti” è giuridicamente irrilevante per il giudice il quale deve comunque pronunciarsi nel senso di cui ora si è detto.

La riassunzione della causa – giusta indicazione dei provvedimenti della Cassazione sopra riportati – dinanzi al giudice competente costituisce onere di parte nel termine di trenta giorni ex art. 428 c.p.c.

1.3. Questione processuale contigua a quella esaminata è quella del rapporto tra competenza funzionale del giudice dell’opposizione e competenza del giudice della causa in rapporto di continenza, o connessa ad esempio a seguito di proposizione di domanda riconvenzionale. Al riguardo si rimanda a Cass. n. 14594\01 nonché, più in generale, a Cass. SS.UU. n. 10984\92 e n. 10985\92, dove si evidenzia l’aspetto impugnatorio della causa di opposizione a decreto ingiuntivo.

  1. Le spese di lite del presente processo possono essere compensate atteso che parte opposta ha agito in via monitoria sulla base di un atto di transazione e che la domanda giudiziale in via riconvenzionale è stata svolta dagli opponenti solo nella presente fase di opposizione a decreto ingiuntivo e non già in via autonoma e pregressa.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma definitivamente pronunciando sulla opposizione al decreto ingiuntivo n. 21314\016 emesso da questo Tribunale così provvede:

  1. dichiara la incompetenza territoriale di questo Tribunale in favore del Tribunale di Velletri;
  2. dichiara la nullità del decreto ingiuntivo n. 21314\016 emesso da questo Tribunale in favore della s.r.l. P. nei confronti di V.F. e C.M.; dichiara compensate le spese di lite del presente processo;
  3. onere di riassunzione del giudizio di merito nel termine di trenta giorni.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2018.

Trib_Roma_Sez._VI_30_01_2018

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Assenza di Opposizione al decreto ingiuntivo Decreto ingiuntivo esecutivo

Assenza di Opposizione al decreto ingiuntivo Decreto ingiuntivo esecutivo

Tribunale Ordinario di Rimini, Sezione Unica Civile, Sentenza del 24/02/2018

Il Tribunale Ordinario di Rimini, Sezione Unica Civile, con sentenza del 24 febbraio 2018, in tema di decreto ingiuntivo, ha stabilito che in assenza di opposizione, esso acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. Tale funzione consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio, che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi, in caso di fallimento, il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento.


 

Tribunale Ordinario di Rimini, Sezione Unica Civile, Sentenza del 24/02/2018

Assenza di Opposizione al decreto ingiuntivo Decreto ingiuntivo esecutivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI

Sezione Unica CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Susanna Zavaglia

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. ________________ promossa da:

F. S.P.A. GIA’ I.F. SPA ORA F. S.P.A. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. ____________, elettivamente domiciliato in _______ presso il difensore avv. _______

ATTORE

contro

L.M. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. ___________, elettivamente domiciliato in ___ presso il difensore avv. _________

CONVENUTA

U.A. SPA (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. ________, elettivamente domiciliato in __________ presso il difensore avv. ____________

TERZA CHIAMATA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato il ________, I.F. S.p.A. conveniva in giudizio L.M. per sentirla condannare, a titolo di responsabilità professionale, al risarcimento del danno conseguente alla mancata ammissione al passivo del Fallimento B.M. S.p.A. in liquidazione.

Il danno subito veniva quantificato in “un importo pari alla percentuale che verrà riservata ai creditori chirografari in sede di riparto, da parte del Fallimento B.M. S.p.A. in liquidazione, da applicarsi sull’importo di Euro ______…”. In particolare parte attrice deduceva quanto segue:

– in data _______ F. S.p.A. chiedeva, con apposita domanda predisposta dagli Avvocati ______ e depositata presso la Cancelleria Fallimentare del Tribunale di Rimini, di essere ammessa in via chirografaria al passivo del Fallimento B.M. S.p.A. in liquidazione per la complessiva somma di Euro ______;

– in data ________ il Curatore del Fallimento B.M. S.p.A., _____, comunicava a F. S.p.A. (domiciliata presso lo Studio di L.M.), la decisione assunta in merito alla domanda presentata ovvero “non ammesso in quanto credito non sufficientemente documentato”;

– in data _______ L.M. trasmetteva a F. S.p.A. copia della comunicazione pervenuta dal curatore precisando come “… a causa di un inspiegabile disguido, la lettera del Curatore Fallimentare, con la quale ci veniva peraltro comunicata la mancata ammissione del nostro credito, è stata inserita in altra pratica e quindi visionata oggi, per puro caso, dalla sottoscritta”;

– la tardività con la quale L.M. trasmetteva a F. S.p.A. quanto ricevuto dal Curatore, impediva alla parte attrice di proporre tempestivamente opposizione avverso la decisione assunta in merito al credito insinuato che, pertanto, rimaneva escluso dalla massa fallimentare.

In data _______ L.M. si costituiva in giudizio, contestando quanto affermato da parte attrice e chiedendo, in ogni caso, la chiamata in causa delle compagnie di assicurazione Fondiaria – Sai S.p.A. e C.A.U. S.p.A.

Con comparsa di costituzione e risposta del _______ e del _________ si costituivano rispettivamente F. S.p.A. e U.A. S.p.A.

Con ordinanza ______________ il giudice disponeva C.T.U. contabile per la quantificazione del danno lamentato, sospendendo nel contempo il processo fino all’approvazione del piano di riparto finale del Fallimento B.M. S.p.A. in liquidazione.

Intervenuto il decreto di esecutività del predetto riparto in data ________, la causa veniva riassunta da F. S.p.A e il giudice disponeva darsi seguito alla C.T.U. disposta dal precedente magistrato prima della sospensione.

Espletato detto incombente, all’udienza del ________ le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva discussa oralmente ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c.

I documenti 12 e 13 depositati dall’attrice dimostrano la sussistenza della legittimazione attiva di F. S.p.a. e del potere del dott. U.P. di conferire il mandato ai relativi difensori (si legge nella procura notarile che sono attribuiti al P. i seguenti poteri: “in caso di assenza o di impedimento del Direttore Generale, provvedere a fare quanto segue: in relazione ai rapporti di factoring deliberati dagli organi e dagli uffici competenti, promuovere azioni giudiziarie per la tutela dei diritti della società e resistere ad azioni promosse da terzi… con facoltà di nominare e revocare avvocati e procuratori per la rappresentanza e difesa in giudizio della società mandante…”), non essendo esigibile in questa sede la dimostrazione dell’assenza o impedimento del Direttore Generale che costituisce presupposto rilevante unicamente sul piano dell’organizzazione interna della società, e potendo farsi rientrare anche il presente giudizio tra le azioni relative ai “rapporti di factoring”, in quanto volta al recupero dell’equivalente del credito sorto da uno di detti rapporti.

È fondato l’addebito mosso nei confronti di L.M., che ha omesso di comunicare tempestivamente all’odierna attrice di aver ricevuto la comunicazione inoltratale ex art. 97 R.D. n. 267 del 1942 dal curatore del Fallimento B.M. S.p.a. in data _______, in cui si dava notizia della mancata ammissione al passivo del credito di F. S.p.A. in quanto non sufficientemente documentato, ciò che ha cagionato l’inammissibilità dell’opposizione proposta oltre i 15 giorni previsti dall’art. 98 del predetto R.D. n. 267 del 1942 (cfr. sentenza Tribunale Rimini _______, doc. 9).

Sussiste indubbiamente la negligenza di L.M., pacificamente ammessa nella comunicazione inviata via fax alla cliente il _______, nella quale L.M. ha riferito: “Devo purtroppo comunicarvi che, a causa di un disguido, la lettera del curatore fallimentare, con la quale ci veniva peraltro comunicata la mancata ammissione del nostro credito, è stata inserita in altra pratica e quindi visionata oggi, per puro caso, dalla sottoscritta … “ (doc. 5 allegato all’atto citazione di I.F. S.p.A.).

Né può sostenersi, come vorrebbe la convenuta, l’erroneità della predetta sentenza nella parte in cui dichiara inammissibile l’opposizione in quanto tardiva; invero, da un lato il termine per proporre l’opposizione previsto dall’art. 98 R.D. n. 267 del 1942è a tutti gli effetti termine processuale e dunque perentorio (Cass. 1990/4658), di talché alcun rilievo poteva avere la – dedotta – intempestività della costituzione in giudizio della Curatela; dall’altro del tutto correttamente il Tribunale ha ritenuto inapplicabile la disciplina di cui alla L. n. 890 del 1982 e al D.P.R. n. 655 del 1982 al caso di specie, attinente ad una comunicazione che non avviene a mezzo ufficiale giudiziario (Cass. SS.UU. 6404/2004).

Nondimeno, non vi è prova che a detta negligenza sia causalmente riconducibile il danno lamentato dall’attrice.

In tema di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale la Suprema Corte ha da tempo chiarito che: “quando il cliente pretende il risarcimento dal professionista, deve sempre dimostrare il danno e il nesso causale tra la condotta omissiva o negligente del mandatario e il pregiudizio patito. Se, poi, il professionista è un avvocato, o comunque un soggetto abilitato alla difesa in giudizio, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita” (Cassazione civile, sez. III, 26/04/2010, n. 9917).

Nel caso di specie, detta valutazione prognostica positiva non può essere effettuata atteso che dalla documentazione depositata in sede di domanda di ammissione al passivo e successiva opposizione (doc. 10 fasc. att.) non può evincersi che il credito sarebbe stato ammesso e, dunque, che l’opposizione, qualora fosse stata tempestivamente proposta, sarebbe stata accolta.

Invero, l’unico documento prodotto da I.F. a corredo della domanda di insinuazione al passivo del fallimento B.M. s.p.a. il ________ era il decreto ingiuntivo n. _______ del Tribunale di Milano privo di definitività.

Al riguardo, è appena il caso di ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte “In assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art.52 L.F.” (Cass. Civ., sez. I, 27.01.2014 n.1650).

A seguito di richiesta di integrazione del Giudice delegato, I.F. ha trasmesso al Curatore ulteriore documentazione, tra cui il contratto di factoring del ______, un elenco dei crediti insoluti e il conteggio degli interessi convenzionali redatto dal legale, documentazione ritenuta dal giudice delegato insufficiente a dar prova del credito (v. missiva del curatore ______, doc. 6 fasc. att.).

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, conclusosi con la declaratoria di inammissibilità per sua tardiva proposizione, l’attrice ha riprodotto detto contratto nonché “copia delle cessioni di credito” (doc. 2 allegato all’opposizione). Non può tuttavia ritenersi che detta documentazione fosse idonea a costituire prova del diritto del creditore istante; invero, F. ha dedotto nel ricorso per ingiunzione di vantare un credito nei confronti di B.M. S.p.a. pari a L. _______ quale “rimborso del prezzo anticipato delle cessioni di credito, nonché per commissioni, interessi e spese”. Non vi è alcuna prova tuttavia delle dedotte anticipazioni, previste nel contratto di factoring (volto a regolare le condizioni generali del rapporto) come meramente eventuali (cfr. art. 4), né per la verità delle cessioni dei crediti, essendosi l’odierna attrice limitata a depositare (almeno in questo fascicolo) fotocopie assai poco leggibili di solo alcune delle singole cessioni effettuate dal Fornitore, dalle quali è impossibile evincere l’importo ceduto e l’eventuale anticipazione dello stesso (la casella “Richiesta pagamento anticipato” non risulta mai barrata). Dette “cessioni”, inoltre, sono prive di data certa (atteso che la produzione in copia semplice neppure consente di ritenere ad esse riferibile la certificazione del notaio, a sua volta quasi illeggibile), e dunque per ciò solo inopponibili al fallimento.

In conclusione, la mancata prova in questo giudizio della fondatezza nel merito della pretesa di F. di vedere ammesso il credito vantato al passivo del Fallimento B.M. S.p.a. non consente di addebitare alla condotta negligente di L.M. il danno conseguente la relativa esclusione.

Neppure possono essere addebitati al convenuto le spese processuali cui F. S.p.a. è stata condannata a fronte della soccombenza nella causa di opposizione allo stato passivo, considerato che l’odierna attrice era ben conscia che l’accoglimento dell’impugnazione era a dir poco improbabile ma ha inteso ugualmente “non lasciare nulla di intentato” effettuando detto tentativo (cfr. testualmente l’atto di citazione). La consapevolezza in capo all’opponente della (presumibile e comunque presunta, come si evince dalla corrispondenza intercorsa tra le parti – docc. 7-8) inammissibilità della domanda proposta, unitamente alla circostanza che l’azione è stata patrocinata da difensori diversi dall’odierna convenuta, mera domiciliataria (v. doc. 9), portano ad escludere che la soccombenza sia causalmente attribuibile a quest’ultima, che non può dunque rispondere delle relative conseguenze (i.e. condanna alle spese).

La domanda di parte attrice va dunque rigettata.

Le spese di lite vanno poste a carico dell’attrice soccombente, ivi comprese quelle sostenute dalle terze chiamate (divenute un unico soggetto a seguito di fusione per incorporazione in F.S. di U.), avendo la domanda della prima provocato e giustificato la chiamata in garanzia (Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 2492 del 08/02/2016). Esse vengono liquidate in dispositivo sulla base del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa indeterminabile di particolare importanza (scaglione fino a ______ Euro.), dell’espletamento nella fase istruttoria della sola CTU e della fase decisoria semplificata (con discussione orale ex art. 281 quinquies c.p.c.).

Le spese di CTU devono essere poste definitivamente a carico dell’attrice soccombente.

P.Q.M.

Il Giudice del Tribunale di Rimini in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa n. _______, così provvede:

  1. a) rigetta la domanda di F. S.p.A. nei confronti di L.M.;
  2. b) condanna F. S.p.A. alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla convenuta che liquida in Euro ____ a titolo di compenso ex D.M. n. 55 del 2014, oltre al 15% per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge;
  3. c) condanna F. S.p.A. alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalle terze chiamate che liquida complessivamente in Euro _____ a titolo di compenso ex D.M. n. 55 del 2014, oltre al 15% per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge;
  4. d) pone le spese di CTU definitivamente a carico della parte attrice soccombente.

Così deciso in Rimini, il 23 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2018.

Tribunale_Rimini_Sez_Civ_Unica_Sent_24_02_2018

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Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Onere della prova (inversione) elementi probatori a sostegno della propria pretesa

Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Onere della prova (inversione) elementi probatori a sostegno della propria pretesa

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 31/01/2018

In tema di onere della prova nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, con sentenza del 31 gennaio 2018,  ha stabilito che grava su chi fa valere un diritto, in giudizio, il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, parte opposta deve dimostrare gli elementi costitutivi del credito azionata in sede sommaria, mentre l’opponente ha l’onere di contestarlo allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda.


 

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 31/01/2018

Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Onere della prova (inversione) elementi probatori a sostegno della propria pretesa 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di ROMA

Diciassettesima sezione civile (già nona)

in persona del giudice dott.ssa Stefania Garrisi e in composizione monocratica, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. _____ del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno _____  proposta da:

N.M. SRL, con l’avv. _________________________

OPPONENTE

E

T.I. SPA con l’avv. ____________________________

OPPOSTA

OGGETTO: opposizione al decreto ingiuntivo n. ________emesso dal Tribunale di Roma il ___________

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con atto di citazione regolarmente notificato la N.M. SRL conveniva, innanzi a questo Tribunale, la T.I. SPA, per ottenere la revoca del decreto ingiuntivo in oggetto indicato, con cui le veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro _______________ oltre interessi e spese.

Si costituiva in giudizio la T.I. SPA che resisteva nel merito alla domanda attrice chiedendone il rigetto.

Con ordinanza riservata del _______________veniva denegata la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto e venivano assegnati i termini ex art. 183 c.p.c.

Senza attività istruttoria la causa, all’udienza del ___________, veniva trattenuta per la decisione con l’assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

  1. Ferma la procedibilità della domanda come attestato dall’istanza inviata dall’opposta al Corecom competente, la pretesa monitoria azionata trae origine dalle fatture insolute per consumi derivanti dal servizio di telefonia reso alla società odierna opponente.

Con l’opposizione proposta lamenta la società l’errata contabilizzazione dei consumi addebitati.

  1. Nel merito, l’opposizione è fondata e il decreto ingiuntivo va pertanto revocato.

Come noto, l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che si atteggia quale attore da un punto di vista sostanziale.

Ne consegue che la regola di ripartizione dell’onere della prova, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2967 c.c., si atteggia in modo tale per cui la prova del fatto costitutivo del credito incombe sul creditore opposto che fa valere un diritto in giudizio ed ha quindi il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa mentre il debitore opponente da parte sua dovrà fornire la prova degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto del credito (cfr. ex multiis, Cassazione civile, sez. I, 31 maggio 2007, n. 12765; Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005 n. 24815; Cassazione civile, sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2421): se solleva delle eccezioni volte a paralizzare la pretesa creditoria dell’opposto dovrà fornire la prova delle eccezioni sollevate.

La recente giurisprudenza di merito ha ribadito che “In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di provare la fondatezza di tale domanda incombe sul convenuto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto attore sostanziale (nel caso in esame la società opposta non ha fornito la prova della sussistenza del diritto di credito vantato)” (cfr. Tribunale Roma, sez. X, 22/01/2015, n. 1434) e che “In tema di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in tema di onere della prova grava a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, parte opposta deve dimostrare gli elementi costitutivi del credito azionata in sede sommaria, mentre l’opponente ha l’onere di contestarlo allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda” (cfr. Tribunale Arezzo, 11/01/2017, n. 34).

Come già sottolineato dall’ordinanza che ha denegato la provvisoria esecuzione, in questa materia e in caso di contestazione la Suprema Corte ha statuito, con orientamento ormai consolidato e da ultimo confermato che, in caso di contestazione, costituisce onere della società esercente il servizio di telefonia offrire la prova dell’affidabilità dei valori registrati da contatori funzionanti.

In particolare, “In tema di contratto di abbonamento telefonico, deve presumersi, in difetto di contestazione da parte dell’utente, il buon funzionamento del sistema di rilevazione del traffico mediante i contatori centrali delle società telefoniche, le cui risultanze fanno piena prova dei relativi addebiti, mentre, in caso di contestazione, costituisce onere della società esercente il servizio di telefonia offrire la prova dell’affidabilità dei valori registrati da contatori funzionanti; in ogni caso, l’utente è ammesso a provare che non gli sono addebitabili gli scatti risultanti dalla corretta lettura del contatore funzionante, ma a tale scopo dovrà allegare circostanze che univocamente autorizzino a presumere una utilizzazione esterna della linea nel periodo al quale gli addebiti si riferiscono, consentendo di escludere che soggetti diversi dal titolare dell’utenza, ma in grado di accedere ad essa, ne abbiano fatto uso per ragioni ricollegabili ad un difetto di vigilanza da parte dell’intestatario, ovvero alla mancata adozione di possibili cautele da parte del medesimo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che, nel periodo cui si riferivano gli addebiti contestati, l’utente non svolgesse più la sua attività professionale nell’immobile servito dalla relativa linea telefonica)” (cfr. Cassazione civile, sez. III, 16/05/2017, n. 12003).

Nel caso di specie l’opposta, che aveva visto il diniego di provvisoria esecuzione proprio per la mancanza di tale prova, non ha colmato la lacuna probatoria nel corso del procedimento, non richiedendo neanche, con la memoria istruttoria, di provare quanto costituiva oggetto di suo preciso onere ex art. 2697 c.c.

Il mancato riscontro probatorio alla richiesta creditoria dell’opposta determina quindi l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo emesso.

La condanna alle spese del procedimento, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede:

– accoglie l’opposizione proposta da N.M. SRL e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. ________ emesso dal Tribunale di Roma il ___________________;

– condanna T.I. SPA alla rifusione delle spese di giudizio sostenute da N.M. SRL che liquida in complessivi Euro ____________________ per compenso professionale, oltre Euro 338,00 per spese e oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2018.

 

Trib_Roma_Sez_XVII_Sent_31_01_2018




Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Ordinario giudizio a cognizione piena Potere – dovere del Giudice dell’opposizione

Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Ordinario giudizio a cognizione piena Potere – dovere del Giudice dell’opposizione

Tribunale Ordinario di Rimini, Sezione Unica Civile, Sentenza del 07-02-2018

Con sentenza del 7 febbraio 2018 il Tribunale Ordinario di Rimini ha stabilito che con l’opposizione al decreto ingiuntivo si instaura un ordinario giudizio a cognizione piena che sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio, si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario. Il giudice dell’opposizione è investito del potere – dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni proposte “ex adverso” ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio.


 

Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Ordinario giudizio a cognizione piena Potere – dovere del Giudice dell’opposizione

Tribunale Ordinario di Rimini, Sezione Unica Civile, Sentenza del 07-02-2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI

Sezione Unica CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Silvia Rossi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. ______________ promossa da:

M.C. (C.F. …) e C.B. (C.F. …) con il patrocinio dell’avv. _____________ ((…)) , elettivamente domiciliati in _____________________________ presso il difensore

OPPONENTI

contro

B.M. _________________ (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. _________________, elettivamente domiciliato in _______________________________ presso il difensore

OPPOSTO

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione depositato in data __________, C.M. e B.C. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. _________ emesso dal Tribunale di Rimini, in forma provvisoriamente esecutiva, a favore della B.M. _____________ (nel prosieguo anche solo B.M.) per la somma di Euro _______ oltre interessi e spese di procedura.

Esponevano gli opponenti di aver stipulato con la banca contratto di apertura di credito in conto corrente (n. …). Chiedevano dichiararsi la nullità del decreto ingiuntivo per mancanza di prova scritta, attesa la mancata produzione in fase monitoria dei riassunti scalari. In ogni caso, domandavano la revoca della predetta ingiunzione per asserita nullità dell’atto di revoca del rapporto bancario in quanto inviato all’indirizzo sbagliato, con conseguente mancata conoscenza da parte degli opponenti della revoca medesima. In via preliminare, insistevano per la revoca della provvisoria esecuzione.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data _______, si costituiva in giudizio B.M., chiedendo integrale conferma del decreto ingiuntivo opposto. Sosteneva la banca che la documentazione prodotta in fase monitoria era conforme al dettato legislativo, ed in particolare alla previsione di cui all’art. 50 TUB. Quanto all’eccezione di nullità della revoca, l’opposta ne chiedeva il rigetto atteso l’invio della comunicazione presso il medesimo indirizzo indicato in contratto dagli opponenti; indirizzo cui, solo pochi mesi prima, era stata inviata precedente comunicazione ritornata al mittente per compiuta giacenza (a dimostrazione del fatto che il domicilio effettivo coincideva con quello indicato nei contratti).

All’udienza del ___________ le parti insistevano nelle rispettive posizioni; con ordinanza del ________ il giudice istruttore respingeva la domanda di revoca della provvisoria esecuzione, trattandosi di richiesta esulante dal perimetro di cui all’art. 649 c.p.c.

Seguivano, dunque, una serie di rinvii per pendenza di trattative; il mancato raggiungimento di un accordo stragiudiziale, tuttavia, portava i difensori a chiedere, all’udienza del __________________, la concessione dei termini ex art. 183 co. 6 c.p.c. ; alla successiva udienza del ____________________ i difensori chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni. La causa, dunque, all’udienza del __________________________, veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..

La circostanza per la quale lo svolgimento del processo non è più elemento indefettibile della sentenza alla luce del novellato art. 132 c.p.c. consente di limitare a quanto sopra la ricostruzione della vicenda processuale. Per quanto non espressamente riportato ci si richiama ai documenti depositati in atti.

L’opposizione va respinta.

I motivi sollevati dagli opponenti non meritano accoglimento.

Quanto al primo profilo, ossia la mancanza di prova scritta del credito ingiunto, si osserva quanto segue. L’art. 50 TUB si pone come norma speciale rispetto alla regola generale dettata dagli artt. 633 e 634 c.p.c. in tema di “prova scritta”, derogando al principio generale di non invocabilità, a fini probatori, del documento di formazione unilaterale della parte che vuole giovarsene in giudizio.

Il citato art. 50 TUB prevede che “La B.I. e le banche possono chiedere il decreto ingiuntivo previsto dall’art. 633 del codice di procedura civile anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido”.

Nota è la differenza fra il saldaconto richiesto dalla normativa previgente e l’attuale estratto conto di cui al citato D.Lgs. n. 385 del 1993.

Prima dell’entrata in vigore del TUB, infatti, era consentito alla banca produrre un registro (il saldaconto, appunto) nel quale, invece di evidenziare analiticamente tutti i rapporti intercorsi fra la banca e il cliente, l’istituto di credito si limitava a esplicitare il risultato riassuntivo dei rapporti stessi senza specificarne il contenuto.

“L’attuale estratto conto di cui parla l’art. 50 TUB, invece, è un prospetto contabile in cui vengono annotate le rimesse effettuate, i rispettivi interessi, nonché il saldo attivo e passivo; tale documento, dunque, indica non solo la situazione finale del rapporto nel momento in cui esso ha termine, ma anche il risultato di tutte le operazioni compiute fino ad una certa data, con l’esplicitazione di un saldo finale. La norma facendo riferimento all’estratto “integrale” risponde all’esigenza di tutelare il correntista anche nell’eventuale fase di opposizione, consentendogli, così, una contestazione consapevole delle risultanze del documento stesso. Per estratto conto, dunque, si intende un documento nel quale vi è “esatta specificazione di goni operazione compiuta … ivi compresi i diritti di commissione, le spese, le ritenute fiscali e gli interessi attivi e passivi maturati – con l’indicazione di un saldo attivo o passivo che costituirà la prima posta della successiva fase di conto” (Trib. Torino 28 marzo 2013). E ancora, Cass. n. 25857/2011 per la quale nell’estratto conto integrale di cui all’art. 50 TUB “devono rientrare le voci di credito e debito nell’arco di tempo considerato, ivi compresi i diritti di commissione, le spese, le ritenute fiscali e gli interessi passivi maturati”.

L’estratto conto in questione è il documento indicato poi nell’art. 119 TUB quale documento inviato periodicamente al cliente in modo da renderlo edotto dell’andamento del rapporto bancario.

Venendo al caso di specie, si osserva che la banca ha prodotto, in sede monitoria, a sostegno della propria domanda creditoria, una documentazione contabile parziale. Ed invero, l’estratto conto integrale si compone di tre parti: la lista movimenti, il riassunto scalare e il conteggio delle competenze. Nel caso che occupa, la banca ha prodotto, sì, la lista movimenti dalla quale è possibile evincere le voci “dare” e “avere”, ma non anche gli scalari e le competenze.

Fatta questa premessa, si osserva, tuttavia, che un tale difetto probatorio è stato poi sanato in sede di giudizio di opposizione, giudizio in cui parte opposta ha prodotto tutta la documentazione necessaria per la prova del proprio credito. Si ricorda che per giurisprudenza ormai consolidata di legittimità e di merito, “L’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (artt. 633, 644 ss. c.p.c.) si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell’opposizione è investito del potere – dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni proposte “ex adverso” ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all’esito dello stesso” (Cassazione civile , sez. II, 04 dicembre 1997, n. 12311; conformi: Cassazione civile , sez. III, 24 novembre 1981, n. 6244; Cassazione civile , sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1184; Cassazione civile , sez. III, 31 maggio 2006, n. 13001; Cassazione civile , sez.III, 12 maggio 2003, n. 7188; Cassazione civile , sez. lav., 24 giugno 2004, n. 11762) e che, per giurisprudenza assolutamente maggioritaria, “il procedimento di opposizione è ricollegabile unitariamente alla procedura per decreto, tanto è che il giudice dell’opposizione è anche il giudice delle spese del procedimento monitorio (Cass. n. 17440/03, richiamata nella sentenza impugnata e Cass. n. 17469/07)… nel giudizio di opposizione il giudice deve accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione e non già per stabilire se l’ingiunzione fu emessa validamente, restando irrilevanti ai fini di questo accertamento eventuali vizi della procedura monitoria che non comportino l’insussistenza del diritto fatto valere con il procedimento monitorio e che possono dispiegare rilevanza solo sul regolamento delle spese (giurisprudenza consolidata e di recente Cass. n. 2997/04)” (Cass. n. 20613/2011; conforme Cass. n. 7892/1994; 4234/1983 secondo la quale “l’accertamento dell’esistenza del credito nel giudizio di cognizione travolge e supera le eventuali insufficienze probatorie riscontrabili nella fase monitoria”; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Bari 2696/2004, e ancora, recentemente Tribunale di Milano sez. XI, 17 ottobre 2016 per il quale “il creditore che abbia agito in via monitoria può integrare la prova fornita nella fase sommaria con efficacia retroattiva nell’eventuale giudizio di opposizione”.

Pertanto si ritiene che – a prescindere dalla sufficienza o meno della documentazione prodotta in fase monitoria ai fini della concessione del decreto ingiuntivo – la successiva produzione da parte della creditrice, nel corso del giudizio di opposizione, degli estratti conto completi, vale a rappresentare idonea prova scritta dell’esistenza del credito pienamente efficace anche nel giudizio di opposizione, precludendo in ogni modo alla revoca del decreto ingiuntivo per un eventuale mancanza probatoria afferente a quella fase.

Venendo, dunque, al merito della pretesa azionata dalla banca, si osserva che parte opponente non ha sollevato alcuna contestazione in ordine al quantum del saldo debitorio avanzato da parte opposta. L’assenza di eccezioni sul punto consente di ritenere regolarmente formatosi il saldo debitorio indicato dalla banca medesima.

Anche il secondo motivo di opposizione non può essere accolto.

In particolare, gli opponenti contestano di aver avuto conoscenza della comunicazione di revoca dell’apertura di credito del ____________, in quanto indirizzata a domicilio diverso da quello effettivo.

L’indirizzo cui è stata inoltrata la predetta comunicazione, tuttavia, non è un indirizzo sbagliato e privo di qualsiasi collegamento con gli opponenti: trattasi, infatti, dell’indirizzo indicato dai clienti nei contratti di cui si discute in questa sede e al quale la banca ha inviato regolare (o quantomeno non contestata) documentazione relativa al rapporto bancario intercorso fra le parti.

All’art. 5 del documento sottoscritto dalle parti in data ________, nominato “Condizioni generali relative al rapporto banca- cliente” (doc. 6 di parte opposta), articolo rubricato “Invio della corrispondenza alla clientela” si legge: “1. L’invio al cliente di lettere o di estratti conto, le eventuali notifiche e qualunque altra dichiarazione o comunicazione della banca sono validamente effettuati all’indirizzo indicato all’atto di costituzione dei singoli rapporti oppure fatto conoscere successivamente per iscritto con apposita comunicazione. 2. Quando un rapporto è intestato a più persone, le comunicazioni di cui al comma precedente, in mancanza di specifici accordi, possono essere effettuati all’indirizzo di uno solo dei cointestatari e sono operanti a tutti gli effetti anche nei confronti degli altri”.

Come si legge nell’intestazione del documento medesimo, in duplice copia in quanto sottoscritto separatamente da ambedue gli opponenti, l’indirizzo indicato alla banca alla data del ___________ è “via delle M. n. 18″, M. A. (R.)”. Il medesimo indirizzo figura anche nei contratti prodotti dalla banca, ed in specie: contratto di apertura del conto corrente del _________ (doc. 1 di parte opposta), lettera di apertura di conto corrente del _________ (doc. 2 di parte opposta) e relative condizioni di sintesi. Anche, del resto, la comunicazione del __________, con cui la banca ha fatto presente ai clienti la irregolarità dell’andamento del rapporto e la conseguente necessità di regolarizzazione dello stesso, è stata inviata all’indirizzo sopra indicato; alcuna contestazione di mancato ricevimento della predetta comunicazione vi è, nell’atto introduttivo, al riguardo. Tale missiva, come indicato dall’opposta in comparsa di costituzione, è tornata al mittente per compiuta giacenza. Ciò, dunque, indica un mancato ritiro della stessa, e non un inoltro presso un indirizzo non più attuale, atteso la mancata indicazione in tal senso da parte dell’addetto al servizio postale.

Si sottolinea, dunque, come per espressi accordi contrattuali, fosse onere del cliente informare la banca di un’eventuale variazione dell’indirizzo del domicilio, essendo, in caso contrario, la banca legittimata a inoltrare la corrispondenza presso l’indirizzo indicato nei diversi contratti sottoscritti. La ratio di tale previsione negoziale, del resto, è facilmente comprensibile ove si pensi, tra l’altro, alla circostanza per la quale i clienti in questione sono persone fisiche; per esse, dunque, non esiste alcun registro in cui la banca possa facilmente verificare eventuali trasferimenti di domicilio.

Del resto, che l’indirizzo eletto in contratto sia luogo di valida comunicazione, in assenza di specificazione legislativa al riguardo, è affermato anche dalla giurisprudenza, per la quale “Ai sensi dell’art. 1335 cod. civ., destinatario, nel luogo che, per collegamento ordinario (dimora o domicilio) o per normale frequentazione per l’esplicazione della propria attività lavorativa, o per una preventiva indicazione o pattuizione, risulti in concreto nella sfera di dominio e controllo del destinatario stesso, apparendo idoneo a consentirgli la ricezione dell’atto e la possibilità di conoscenza del relativo” (Cass. N. 773/2003).

La lettera di revoca inviata agli opponenti in data _________ è, quindi, valida; conseguentemente a tale data risale la risoluzione del rapporto contrattuale.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. Esse vengono liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Parametri medi; minimi per la fase istruttoria, atteso, di fatto, l’assenza di scambio di memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

  1. RIGETTA l’opposizione a decreto ingiuntivo n. _____________ emesso dal Tribunale di Rimini promossa da C.M. e B.C..
  2. DICHIARA il decreto ingiuntivo n. ________ emesso dal Tribunale di Rimini in data __________ definitivamente esecutivo.
  3. CONDANNA C.M. e B.C. a pagare a B.M. ______________ le spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro ________________ a titolo di compensi, oltre il quindici per cento della somma che precede a titolo di spese generali. Infine, IVA e CASSA come per legge.

Così deciso in Rimini, il 6 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2018.

Trib_Rimini_Sez_Unica_Sent_07_02_2018

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Validità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per irregolarità della notifica

Validità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per irregolarità della notifica

Tribunale di Caltagirone, Sezione Unica Civile, Sentenza del 01/03/2018

Con sentenza del 1 marzo 2018 il Tribunale di Caltagirone, Sezione Unica Civile, ha stabilito che la validità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per irregolarità della notifica presuppone che la prova di tale circostanza abbia dato causa alla mancata conoscenza tempestiva del provvedimento.


 

Tribunale di Caltagirone, Sezione Unica Civile, Sentenza del 01/03/2018

Validità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per irregolarità della notifica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI CALTAGIRONE

SEZIONE UNICA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Cristina Giovanna Cilla

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile Iscritta al n. r.g. ____________________ promossa da:

C.S., nato a _______________, il ______________, rappresentato e difeso dall’avv. ___________ , elettivamente domiciliato in ____________________________

OPPONENTE-ATTORE IN RICONVENZIONALE

contro

G.S., in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avv. _______________________, elettivamente domiciliato in ____________________

OPPOSTO

Svolgimento del processo

  1. Con atto di citazione ritualmente notificato C.S. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo del Tribunale di Caltagirone n. __________ del _________ con il quale gli è stato ingiunto il pagamento in favore di G.S., in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, della complessiva somma di Euro _____________ oltre a interessi legali da ogni scadenza al soddisfo e spese di giudizio, quale credito vantato per la esecuzione parziale di un contratto di appalto, avente ad oggetto la costruzione di un fabbricato sito in C., Via A. S. L. di proprietà dei germani C.S. e S. al 50.

Quale unico motivo di opposizione C.S. ha addotto l’inesigibilità del credito de quo per la mancanza verificazione delle due condizioni a cui era stata sottoposto il pagamento, giusta scrittura privata del _____________ allegata in atti, ossia il collaudo dell’opera (non avvenuto nel caso di specie per colpa esclusiva dell’opponente) e la scadenza dell’obbligazione prevista per il ________________.

Con il medesimo atto parte opponente ha spiegato altresì domanda riconvenzionale per l’importo di Euro ________________ per i danni che avrebbe subito a causa di vizi tecnici riscontrati nel manufatto eseguito dalla ditta G., scoperti in seguito al sopralluogo avvenuto nel mese di _______________.

  1. Con comparsa di costituzione e risposta depositata alla prima udienza del _____________, si è costituito in giudizio G.S. in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, il quale ha preliminarmente eccepito la tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto proposta oltre 140 giorni consentiti dalla norma ivi applicabile; nel merito, ha chiesto il rigetto dell’opposizione e della domanda riconvenzionale, giacché infondata in fatto ed in diritto.
  2. Acquisiti i documenti ritualmente prodotti dalle parti, la causa è stata istruita mediante prova per testi e chiamata per la prima volta dinanzi all’odierno decidente all’udienza del ____________.
  3. All’udienza di precisazione delle conclusioni del ____________ i procuratori delle parti hanno concluso come da verbale in atti e la causa è stata trattenuta per la decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Motivi della decisione

  1. L’eccezione di tardività dell’opposizione sollevata da parte opposta è fondata, di talché l’opposizione al decreto ingiuntivo per cui è giudizio va dichiarata inammissibile.

1.1 Più in dettaglio, parte opposta ha evidenziato che il decreto ingiuntivo opposto è stato notificato a C.S. ai sensi dell’art. 140 c.p.c. in data _________ e in pari data è stata spedita la relativa raccomandata con avviso di ricevimento; perciò, la notifica del decreto ingiuntivo opposto si è perfezionata per compiuta giacenza in data ______________, ossia dieci giorni dopo l’avviso effettuato il ___________, come da relata versata in atti in originale in seguito all’ordinanza del Tribunale del ____________.

Pertanto, deduce G.S., l’atto di opposizione per cui è causa è stato notificato allo stesso solo “al quarantanovesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo emesso, avvenuta, in data _________, ai sensi dell’art. 140 c.p.c.. Tale assunto viene definitivamente confermato dall’apposizione della formula di definitività da parte del giudice che lo ha emesso. Sul punto è utile ricordare che ai sensi dell’art. 650 c.p.c. invocato da controparte, è possibile per il debitore procedere alla opposizione tardiva del d.i. se il debitore stesso non sia stato informato della sua esistenza o non abbia potuto promuovere tempestivamente opposizione per cause a lui non imputabili. La mancata informazione deve innanzi tutto essere conseguenza diretta della irregolarità della notifica del decreto ingiuntivo e comunque l’opponente tardivo deve fornire piena prova che a causa di detta irregolarità”.

1.2 A fronte di ciò, parte opponente nell’atto introduttivo dell’odierno giudizio ha rappresentato soltanto l’avvenuta notifica del decreto ingiuntivo opposto in data _____________, senza aggiungere alcunché.

Alla prima udienza del ________ ha rappresentato che il decreto ingiuntivo “è stato ricevuto in data _______________, giusta originale del decreto ingiuntivo che si produce”; alla successiva udienza del ______________, a sostegno dell’avvenuta ricezione del plico in questione in data __________, ha prodotto “stralcio del Registro Protocollo del Comune di Caltagirone” e, richiamandosi alle note difensive del _______________, si è limitato a dedurre che “ai sensi dell’art. 650 c.p.c. è ammissibile l’opposizione tardiva allorquando provi di non aver avuto tempestiva conoscenza del decreto. Nel caso de quo, è provato che l’odierno opponente ha avuto conoscenza del decreto solo in data ____________ e l’opposizione è stata proposta entro il termine di 40 giorni dalla conoscenza”.

  1. Orbene, nel caso in esame, la notifica del decreto ingiuntivo opposto si è perfezionata nei confronti di C.S. per compiuta giacenza in data 14.5.2009, ossia dieci giorni dopo l’avviso effettuato il _____________, come da relata versata in atti.

A fronte di ciò, C.S. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo per cui è giudizio mediante citazione notificata, come da relata in atti, in data ______________ (nel caso per cui è giudizio, data di spedizione e di ricevimento coincidono), indi ben oltre il termine di quaranta giorni previsto per la proposizione dell’opposizione, avente scadenza in data __________________.

Tale circostanza, del resto, è confermata dal provvedimento del Tribunale del ____________ con cui il decreto ingiuntivo opposto è stato dichiarato esecutivo ex art. 647 c.p.c., come si evince dalla nota della cancelleria civile del ________________.

  1. Nessuna rilevanza assume ai fini che qui interessano la certificazione del Comune di Caltagirone del _____________________ prodotta in giudizio da C.S. relativa al n. cronologico ____ del __________ dal quale emerge che il plico è stato ivi depositato in data ________ e ritirato il _________, essendo irrilevante che lo stesso abbia materialmente ritirato il plico presso la Casa comunale dopo la scadenza del termine in cui si è perfezionata la compiuta giacenza. Difatti, l’art. 140 c.p.c. prevede che “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

La Corte costituzionale, con sentenza n. ___ del _________, ha dichiarato l’Illegittimità costituzionale del citato articolo nella parte in cui prevede che la notifica si perfezioni, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.

Pertanto, una volta perfezionatasi per il destinatario la notifica nel termini sopraindicati con la c.d. compiuta giacenza, ininfluente ai fini del computo del dies a quo per proporre l’opposizione a decreto ingiuntivo è la circostanza che l’atto giudiziario sia stato materialmente ritirato dal destinatario successivamente.

Intervenuta sull’argomento da ultimo, la Suprema Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., censurato per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. “nella parte in cui fa decorrere gli effetti della notifica, per il destinatario della stessa, dalla data in cui l’ufficiale giudiziario, depositata la copia dell’atto da notificare nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi ed affisso un avviso dell’avvenuto deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento, anziché prevedere che la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata, con la quale lo si avvisa dell’avvenuto deposito dell’atto presso la casa comunale, ovvero dalla data dell’effettivo ritiro della copia dell’atto, se anteriore, in modo analogo a quanto previsto dall’art. 8, comma 4, L. 20 novembre 1982, n. 890. La sentenza n. 3 del 2010 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevedeva che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. Il giudice a quo pone a raffronto fra loro situazioni eterogenee, in quanto, da un lato, l’art. 140 c.p.c., per come dichiarato costituzionalmente illegittimo, presuppone, per il perfezionamento del procedimento di notificazione, l’avvenuta ricezione, da parte del destinatario dell’atto, della raccomandata contenente l’avviso di deposito dell’atto stesso, in tal modo ponendo l’accipiens nelle condizioni di poter prendere prontamente contezza del contenuto del medesimo; mentre, dall’altro lato, la previsione di un termine di dieci giorni per il ritiro dell’atto presso l’ufficio postale, previsto dall’art. 8 L. n. 890 del 1982 in tema di notificazione degli atti a mezzo del servizio postale, si collega non al momento di effettiva ricezione dell’avviso, ma alla spedizione dello stesso, ovvero alla data di ritiro dell’atto se anteriore, con l’ovvio epilogo di individuare una diversa e ragionevole modulazione del termine per il perfezionamento dell’iter notificatorio. Di conseguenza, non avrebbe alcun senso estendere il termine “di compiuta giacenza “, di cui all’art. 8 della richiamata L. n. 890 del 1982, alla diversa ipotesi disciplinata dall’art. 140 c.p.c., considerato che, in tal caso, la conoscenza legale dell’atto coincide con il momento in cui può essere conseguita anche la conoscenza. Pertanto, la lesione dell’art. 3 Cost.per ingiustificata disparità di trattamento, così come la correlata violazione degli artt. 24 e 111 Cost., non sussistono in quanto, in considerazione della diversità delle fattispecie poste a confronto, la diversa disciplina delle situazioni si giustifica in termini di ragionevolezza” (v. Corte Costituzionale, 12/10/2016, n. 220).

  1. Del resto, parte opponente, nel richiamare nelle note difensive del 22.3.2010 la disciplina di cui all’art. 650 c.p.c. sostanzialmente ammette la tardività dell’opposizione, limitandosi a dedurre di aver avuto conoscenza del decreto ingiuntivo soltanto in data ___________________.

Tuttavia, non può applicarsi nel caso di specie la disciplina di cui all’art. 650 c.p.c., che consente l’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo subordinatamente alla prova da parte dell’opponente di non averne avuto conoscenza dello stesso per uno dei seguenti motivi: irregolarità della notificazione, caso fortuito, forza maggiore.

Nel caso de quo, invece, parte opponente non ha allegato (prima ancora che provato) alcuno dei motivi sopraindicati, restando quindi priva di riscontro probatorio la tesi dallo stesso sostenuta.

Oltretutto, parte opponente non ha dedotto alcuna irregolarità della notificazione (ad esempio, residenza diversa da quella effettiva), rilevante ai fini della prova richiesta dall’art. 650 c.p.c., specie alla luce della recente giurisprudenza che richiede la prova, ai fini della validità dell’opposizione tardiva, che la nullità della notificazione abbia dato causa alla mancata conoscenza tempestiva del provvedimento (Cass. 10831/2004).

  1. Pertanto, in mancanza di prova del presupposti di cui all’art. 650 c.p.c., l’opposizione tardiva proposta da C.S. è inammissibile, con conseguente conferma del sopracitato decreto ingiuntivo del Tribunale di Caltagirone n. ______ del _________.
  2. In ordine alla domanda riconvenzionale di risarcimento del danni spesa dall’opponente, deve preliminarmente richiamarsi il costante orientamento della Suprema Corte (v. Cassazione civile, sez. III, 21/04/2006, n. 9361, richiamata da C.S.) secondo cui “l’inammissibilità dell’opposizione ad un decreto ingiuntivo, per mancata osservanza del termine all’uopo fissato per la sua proposizione non osta a che l’opposizione stessa produca gli effetti di un ordinario atto di citazione nel concorso dei requisiti previsti dagli artt. 163 e 163 bis cod. proc. civ., con riguardo alle domande che quella opposizione contenga, autonome e distinte rispetto alla richiesta di annullamento e revoca del decreto (tardivamente opposto) (v. Cass., n. 3769 del 15.3.2001; Cass., n. 11235 del 2.11.1990); nonché per inciso ricordato che la domanda riconvenzionale è consentita all’opponente (v. da ultimo Cass., n. 6202 e n. 11415 del 2004). E’ stato chiarito come l’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo preclude solo la possibilità di riproporre la domanda tendente a contrastare l’accertamento contenuto nel decreto stesso, ma non la domanda riconvenzionale avanzata con il medesimo atto di opposizione (v. Cass., 2.8.2002, n. 11602). Ed ancora si è ritenuto (Cass. 24.11.2000, n. 15178), che il giudicato sostanziale del d.i. esecutivo perchè non opposto – o non tempestivamente opposto – copre non solo l’esistenza del credito azionato, ma anche la deducibile inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione; mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi della domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto ingiuntivo (Cfr. anche Cass., n. 11602/2002 cit.; Cass., 11.6.1998, n. 5801)”.

Tale orientamento è stato di recente ribadito anche dalla giurisprudenza di merito, che ha chiarito che “nell’ipotesi di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo il giudice adito non può pronunciarsi né sulle eccezioni né sulle domande riconvenzionali non dotate dei requisiti di autonomia funzionale e sostanziale rispetto all’ opposizione dichiarata inammissibile per tardività, essendo possibile che l’opposizione medesima produca gli effetti di un originario atto di citazione unicamente con riguardo alle domande autonome e distinte rispetto alla richiesta d’annullamento e revoca del decreto. E nel caso di specie è indiscutibile che la domanda riconvenzionale spiegata dall’opponente non è affatto munita dei requisiti di autonomia funzionale e sostanziale rispetto all’opposizione inammissibile, perché inerisce al medesimo titolo processuale e sostanziale oggetto della pretesa monitoria (vale a dire, il decreto di omologazione della separazione personale inter partes) ed investe, tra l’altro, in termini di repetio indebiti, anche un periodo di tempo in cui è compreso quello della morosità fatta valere dall’opposta in sede monitoria, tanto che l’opponente chiede pure sulla base delle relative deduzioni, di “dichiarare non dovute le somme oggetto del ricorso per decreto ingiuntivo. Il giudicato sostanziale conseguente alla mancata (tempestiva) opposizione di un decreto ingiuntivo copre sia l’esistenza del credito azionato, del rapporto cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito e il rapporto stesso si fondano, sia l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e deducibili con l’opposizione. Pertanto ove la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente si fondi sulla deduzione di un fatto estintivo del credito portato dal decreto ingiuntivo, il relativo accertamento resta precluso dal giudicato sostanziale conseguente alla mancata tempestiva opposizione, dacché se ne deve affermare la improponibilità” (v. Tribunale Bari, sez. I, 19/03/2014, n. 1437).

  1. Orbene, anche a voler considerare ammissibile la domanda risarcitoria spesa da C.S., la stessa è infondata, non avendo egli assolto agli oneri probatori sullo stesso incombenti ex art. 2697, comma 1, c.c., segnatamente non avendo provato i danni per vizi e/o difetti nella struttura realizzata da G.S., rimasti indi soltanto labialmente denunciati.

Più in dettaglio, a fronte della specifica contestazione di parte opposta, C.S. non ha fornito la prova dell’esistenza di tali vizi, limitandosi ad enunciarli e non producendo nemmeno consulenza tecnica di parte a sostegno della propria domanda.

Per tali ragioni l’odierno decidente ha rigettato l’istanza di consulenza tecnica d’ufficio svolta da C.S., in linea con l’orientamento della Suprema Corte secondo cui la consulenza tecnica può essere ammessa laddove abbia il compito di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, mentre il suddetto mezzo di indagine “non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati” (ex multis, cfr. Cass. n. 212 del 2006; Cass. n. 342 del 1997; Cass. n. 2205 del 1996).

Peraltro, nel caso di specie, non essendo stato espletato alcun accertamento tecnico preventivo (che invece sarebbe stato opportuno anche in ragione della circostanza che, come dedotto dalla stessa parte opponente, al G. è subentrata una nuova ditta, che ha proseguito i lavori: cfr. pag. 4 dell’atto di citazione) ed essendo stato modificato lo stato del luoghi (i fatti risalgono al _______, indi a dieci anni fa), non sussistono i presupposti per disporre la consulenza tecnica d’ufficio richiesta da parte opponente.

Né a tal fine possono supplire le testimonianze raccolte in giudizio, giacché vertenti su circostanze di natura tecnica, indi implicanti valutazioni non demandabili a testi.

Alla luce delle superiori considerazioni, ne discende, pertanto, il rigetto della domanda riconvenzionale dell’opponente.

  1. L’esito particolare della lite, anche alla luce della disciplina in punto di spese vigente ratione temporis, impone la compensazione integrale delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Caltagirone, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

– DICHIARA INAMMISSIBILE l’opposizione proposta da C.S. e, per l’effetto, CONFERMA il decreto ingiuntivo opposto n. ________ emesso dal Tribunale di Caltagirone in data __________;

– RIGETTA la domanda riconvenzionale di C.S.;

– COMPENSA integralmente tra le parti le spese di lite dell’odierno giudizio.

Così deciso in Caltagirone, il 26 febbraio 2018.                                 Depositata in Cancelleria il 1 marzo 2018.

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Quietanza di pagamento rilasciata dal creditore al debitore Prova documentale nel recupero crediti

Quietanza di pagamento rilasciata dal creditore al debitore Prova documentale nel recupero crediti

Corte d’Appello di Palermo, Sezione Terza Civile, Sentenza del 15/01/2018

Con sentenza del 15 gennaio 2018 la Corte  d’Appello di Palermo, Sezione Terza Civile, in tema di obbligazioni, ha stabilito che la quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale su questo fatto estintivo dell’obbligazione secondo la previsione dell’art. 2735 c.c. , e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, se e nei limiti in cui sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti rispettivamente autore e destinatario di quella dichiarazione di scienza. Pertanto, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento del creditore per ottenere l’adempimento dell’obbligazione, deve negarsi che il debitore possa opporre la suddetta quietanza, quale confessione stragiudiziale del pagamento, atteso che il curatore, pur ponendosi, nell’esercizio di un diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo.


Corte d’Appello di Palermo, Sezione Terza Civile, Sentenza del 15/01/2018

Quietanza di pagamento rilasciata dal creditore al debitore Prova documentale nel recupero crediti

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI PALERMO

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta da

1) Dott. Michele Perriera – Presidente

2) Dott. Gioacchino Mitra – Consigliere

3) Dott. Marcello Petitto – Giudice Ausiliario

dei quali il terzo relatore ed estensore, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa iscritta al n. ___________________ del R.G. Contenzioso Civile di questa Corte di Appello, posta in decisione all’udienza collegiale del ___________________ e promossa in questo grado

DA

(…) in proprio e n.q. di titolare della omonima ditta, corrente in _________________________, P. IVA __________________________, elettivamente domiciliato in ___________________, presso lo studio degli avv. _______________, che lo rappresenta e difende giusta procura in atto di citazione

Appellante

CONTRO

CURATELA FALLIMENTO (…) C. s.r.l, P.IVA (…) elettivamente domiciliata in ________________ rappresentata e difesa dall’avv. ___________________, per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta

Appellati

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Marsala, con decreto D.I. n. _________________, emesso in data _____________, accogliendo il ricorso della Curatela del Fallimento E.C. srl, ingiungeva a C.G., titolare della ditta omonima, il pagamento in favore della ricorrente della somma di _______________ oltre interessi e spese legali del procedimento monitorio, per mancato pagamento di n.(…) fatture recanti n.(…) e (…) emesse in data ______________________.

Con atto di citazione in opposizione al predetto decreto ingiuntivo, C.G., in proprio e n.q. di titolare della omonima ditta, eccepiva in primis l’inesistenza ed insussistenza del credito -per avere regolarmente corrisposto la somma di cui alle fatture predette a mezzo assegni, le cui matrici produceva in giudizio, unitamente agli estratti del conto corrente n.(…) acceso presso U.B.- nonché l’insussistenza dei presupposti per l’emissione del provvedimento monitorio per quietanza apposta nelle fatture con data certa anteriore al fallimento.

Costituitasi la Curatela del Fallimento E.C. srl, eccepiva l’infondatezza dell’opposizione proposta sulla base della circostanza che, dal giornale di contabilità al _________________________ della fallita società, nonché dalla scheda contabile della E.C. srl, intestata all’opponente, risultava che la Curatela fosse ancora creditrice nei confronti della Ditta C.G. della somma di Euro ________________.

Con sentenza n. ____________ depositata il _____________, il Tribunale di Marsala rigettava l’opposizione rilevando che, dalla disamina della documentazione contabile prodotta dalla Curatela, ben potesse evincersi la sussistenza del credito vantato e portato con il decreto ingiuntivo opposto, a nulla rilevando che le fatture fossero state quietanzate, considerato che la quietanza rilasciata dal creditore al debitore all’atto di pagamento “ha natura di confessione stragiudiziale su questo fatto, estintivo dell’obbligazione secondo la previsione dell’art.2735 c.c. e come tale solleva il debitore dal relativo onere probatorio solo nel giudizio in cui siano parti gli stessi soggetti”, e non, quindi, in quello in cui siano parti la Curatela del fallimento del creditore (sebbene il curatore agisca nell’esercizio di un diritto del fallito).

Con atto di citazione ______________ proponeva appello C.G., chiedendo la riforma integrale della sentenza di primo grado, ritenuta erronea per contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti, con erronea applicazione degli artt. 2702 c.c., 214 e 216 c.p.c.; per non avere il Tribunale accolto l’eccezione proposta di insussistenza del credito alla luce della quietanza apposta nelle fatture con data certa anteriore al fallimento; l’erroneità della sentenza per avere statuito altresì in ordine al pagamento degli interessi e, infine, l’erroneità della statuizione sulla regolamentazione delle spese di lite.

Con comparsa di Cost. del _________________, si costituiva la Curatela del Fallimento E.C. srl, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato in fatto ed in diritto con conferma integrale della sentenza di primo grado.

Indi, sulle conclusioni delle parti precisate come in epigrafe, la causa all’udienza collegiale del __________ veniva posta in decisione.

Motivi della decisione

Con primo motivo di gravame, l’appellante lamenta la contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti, con erronea applicazione degli artt.2702 c.c., 214 e 216 c.p.c. per non avere il Tribunale accolto l’eccezione proposta di insussistenza del credito alla luce della quietanza apposta nelle fatture con data certa anteriore al fallimento.

I motivi, che sono in parte coincidenti e in parte connessi, vanno trattati congiuntamente, essendo peraltro tutti infondati, per le ragioni di cui appresso.

Giova in primis premettere che, come specificato dalla Suprema Corte, (da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 20/02/2003, n.4213) in ordine alla posizione del curatore rispetto agli atti del fallito, il curatore opera quale terzo rispetto agli atti del fallito(Cass.civ., sez.un., 28/08/1990, n.8879, Cass. 12/132824, Cass. 12/9175, Cass. 12/2299, Cass. 09/22430, e in epoca più remota Cass. 00/9539, Cass. 00/1370, Cass. 98/8143, Cass. 98/4551, Cass. 96/5920, Cass. 95/2707, Cass. 95/1110).

A sostegno di tale argomentazione la Suprema Corte rileva, tra l’altro, un dato di fatto “del tutto incontestabile”: il curatore, che non è successore del fallito, non ha partecipato al rapporto giuridico posto alla base della pretesa creditoria fatta valere (Cass. civ., Sez. Un., 20/08/2003, n.4213 cit).

Ciò premesso, per pacifica e consolidata giurisprudenza, la quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale su questo fatto estintivo dell’obbligazione secondo la previsione dell’art. 2735 cod. civ., e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, se e nei limiti in cui sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti rispettivamente autore e destinatario di quella dichiarazione di scienza. Pertanto, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento del creditore per ottenere l’adempimento dell’obbligazione, deve negarsi che il debitore possa opporre la suddetta quietanza, quale confessione stragiudiziale del pagamento, atteso che il curatore, pur ponendosi, nell’esercizio di un diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo.

Da tanto consegue che, nel predetto giudizio, l’indicata quietanza è priva d’effetti vincolanti ed assume soltanto il valore di un documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo (Cass. sez.III, sent. 18/12/2012, n.23318, Cass. n.23128 del 12/11/2015).

Ergo, nel caso di specie, la Curatela del Fallimento della ditta E.C., attraverso la produzione delle fatture nn.(…) e (…) del _______, dell’estratto autentico del registro Iva vendite della società fallita, del giornale di contabilità generale e della scheda contabile cliente intestata al C.G., ha dato prova della propria pretesa creditoria e deve negarsi che il debitore possa opporre la suddetta quietanza, atteso che, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento del creditore per ottenere l’adempimento di un’obbligazione, il curatore, pur ponendosi nell’esercizio di un diritto del fallito nella stessa posizione di quest’ultimo, è parte processuale diversa dal fallito medesimo.

Di contro la produzione delle matrici degli assegni e degli estratti di conto corrente prodotti dal debitore, non provano l’avvenuto pagamento del debitore: tale documentazione, infatti, non riporta nel proprio corpo il nominativo del prenditore dell’assegno, rendendola non utilizzabile, ai fini del decidere.

Da tanto consegue che, nel predetto giudizio, l’indicata quietanza e la documentazione suddetta risulta priva d’effetti vincolanti.

Anche l’ulteriore motivo di gravame inerente l’eccepita insussistenza del diritto ad ottenere il pagamento degli interessi, mancando la costituzione in mora del debitore, risulta infondato.

Posto che in base all’art. 1282 c.c. gli interessi sono dovuti sul solo presupposto della liquidità e dell’esigibilità del credito, a prescindere dalla sussistenza o meno della mora del debitore, si evidenzia che, per costante giurisprudenza, nel caso di inadempimento della prestazione di pagare il prezzo di una fornitura, sono sempre dovuti gli interessi moratori, nella misura legale, dalla scadenza delle fatture al saldo effettivo in virtù dell’art. 1219 comma 2 c.c..

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, rigetta l’appello proposto da C.G. in proprio e n.q. nei confronti della CURATELA DEL FALLIMENTO E.C. srl, in persona del curatore avverso la sentenza del Tribunale di Marsala n. ________________, depositata in cancelleria il ______________, che conferma; Condanna l’appellante al pagamento, in favore della CURATELA DEL FALLIMENTO E.C. srl, delle spese processuali che liquida, sulla base del D.M. n. 55 del 2014, nella complessiva somma di Euro ______________ oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre ancora IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Palermo, il 25 ottobre 2017.

Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2018.

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Interruzione della prescrizione e decadenza civile

Interruzione della prescrizione e decadenza civile

atti interruttivi: costituzione in mora

Con sentenza del 2 marzo 2018 la Corte  d’Appello Milano, Sezione Seconda Civile,  nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in tema di interruzione della prescrizione e costituzione in mora, ha stabilito che un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). Di talché, non è ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore e che è priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati, trattandosi di espressione che, per genericità ed ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi ad un’intimazione o ad una richiesta di pagamento.


Corte d’Appello Milano, Sezione Seconda Civile, Sentenza del 02/03/2018

PRESCRIZIONE E DECADENZA CIVILE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

SEZIONE II CIVILE

composta dai magistrati

Dott. Gabriella Anna Maria Schiaffino – Presidente

Dott. Maria Grazia Federici – Consigliere

Dott. Antonio Corte – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al numero di ruolo sopra riportato promossa in grado d’Appello con atto di citazione notificato il __________________________________

da

G.L. (C.F. _____________ ), con il patrocinio dell’avv. _____________, con elezione di domicilio in _______________, presso e nello studio del difensore

G.C. (C.F. _______________ ), con il patrocinio dell’avv. _____________, con elezione di domicilio in _______________, presso e nello studio del difensore

F.V. (C.F. __________________ ) , con il patrocinio dell’avv. _____________, con elezione di domicilio in _______________, presso e nello studio del difensore

G.F. (C.F. _________________ ) , con il patrocinio dell’avv. ______________, con elezione di domicilio in _______________, presso e nello studio del difensore

appellanti

CONTRO

P.M.A. (C.F. ___________________________ ) con il patrocinio dell’avv. _______________, con elezione di domicilio in _________________________ presso e nello studio del difensore

appellata

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato F.G., L.G., C.G. e V.F. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Monza G.V. ed il notaio M.A.P..

Deducevano di aver acquistato nel mese di ______________ dalla “famiglia V.” alcune unità immobiliari con atto notarile di trasferimento preceduto da un contratto preliminare di compravendita sottoscritto in data _____________, col quale le parti avevano pattuito la costituzione di una esclusiva servitù di passo a favore del mappale (…) che consentisse l’accesso a V., allorché sarebbe diventato confinante, che gli consentisse di assolvere alle esigenze di manutenzione straordinaria del fabbricato connesse agli spurghi dei pozzi presenti nella sua proprietà.

Esponevano in particolare che nel preliminare F.G. e G.V. si erano accordati nei seguenti termini: “in relazione al diritto di passo sul mappale (…) in favore del mappale (…) ed in alternativa ad esso, qualora nel tempo il passaggio recasse disagi le parti si accordano per la cessione da parte del sig. G. al sig. V. di una striscia di giardino prospiciente di mappale (…) con facoltà per il sig. F. G. di richiedere l’attuazione della cessione de qua”.

Accadde però che nel rogito di compravendita ___________, redatto dal notaio M.A.P., venne indicata una servitù diversa rispetto a quella pattuita nel preliminare e concordata in fase di trattative, e inoltre venne allegata una planimetria che non rispettava graficamente il reale stato dei luoghi, recando un passaggio in realtà inesistente.

Venivano instaurati, tra le medesime parti attrici e G.V., diversi giudizi aventi ad oggetto la servitù di passo carraio di cui rogito _________, definitisi con decisioni sfavorevoli agli attori.

Chiedevano quindi, allegando la responsabilità di G.V. per fatto illecito ex art. 2043 c.c. e del notaio P. per responsabilità professionale, la condanna delle parti convenute al risarcimento del danno, che quantificavano nella somma di Euro ______________________ per perdita di chance in relazione alla possibilità di vendita del compendio immobiliare e per le spese legali sostenute per approntare le difese in relazione alle pretese azionate da G.V. con riferimento alla servitù di cui all’atto notarile di compravendita, oltre alla condanna di G.V. al risarcimento del danno patito da V.F. per la grave “compromissione psicofisica” cagionata a quest’ultima dalla situazione di stress alla quale l’attrice era stata sottoposta per le vicende scaturite dalla compravendita immobiliare.

Si costituiva in giudizio G.V. chiedendo respingersi le domande svolte nei suoi confronti.

Si costituiva in giudizio M.A.P. eccependo in via preliminare la prescrizione del diritto azionato dalle controparti, nonché contestando nel merito la fondatezza, in fatto e in diritto, delle domande avversarie; chiedendone quindi il rigetto.

All’esito il Tribunale di Monza pronunciava sentenza n. ________ in data _________ con la quale respingeva le domande azionate dalle parti attrici nei confronti delle parti convenute, e condannava le parti attrici a rifondare le spese di lite del giudizio di primo grado ai convenuti.

Con riferimento in particolare alla posizione di M.A.P., accoglieva l’eccezione di prescrizione del diritto azionato da parti appellanti

Avverso la sentenza proponevano appello L.G., C.G., V.F. e F.G. nei confronti della sola M.A.P., deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui riteneva non sospeso il decorso della prescrizione ex art. 2941 n.8 c.c. ed individuava la decorrenza del relativo termine dalla data di stipula del rogito; deducendo subordinatamente l’erroneità della sentenza impugnata per omesso riconoscimento dell’efficacia interruttiva della prescrizione alle missive inviate dagli odierni appellanti nei confronti del notaio; contestando il comportamento negligente e l’inadempimento delle obbligazioni gravanti sul notaio ed infine contestando erroneità della sentenza in punto di liquidazione spese legali.

Si costituiva in giudizio M.A.P. chiedendo il rigetto dell’appello avversario per infondatezza dello stesso in fatto e in diritto, e chiedendo conseguentemente la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del giorno ___________ venivano precisate le conclusioni e venivano assegnati i termini per il deposito degli atti conclusivi.

Dato corso a quest’ultimo adempimento processuale la Corte tratteneva la causa in decisione.

Motivi della decisione

L’impugnazione non può essere accolta.

Il primo motivo d’appello- deducente l’erroneità della sentenza per non aver ritenuto sospeso il decorso della prescrizione ed aver individuato la decorrenza del relativo termine dalla data di stipula del rogito- non è fondato.

Parte appellante eccepisce un’erronea valutazione circa l’inizio della decorrenza della prescrizione, intendendo farlo decorrere dal momento in cui si è verificato il pregiudizio, identificabile nel passaggio in giudicato delle sentenze a sé sfavorevoli nell’ambito della controversia relativa all’esistenza e alla consistenza del passaggio intercorsa con G.V..

La prospettazione non è fondata.

Afferma costante giurisprudenza di legittimità che “in tema di azione risarcitoria per responsabilità professionale, ai fini dell’individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, si deve avere riguardo all’esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all’esterno come percepibile dal danneggiato alla stregua della diligenza da quest’ultimo esigibile ai sensi dell’art. 1176 c.c., secondo standards obiettivi e in relazione alla specifica attività del professionista, in base ad un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito” (Cassazione civile, sez. III, 22/9/2017, n. 22059); ancora, che “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui il professionista pone in essere la condotta potenzialmente causativa del danno, ma dal momento in cui si verifica effettivamente l’evento dannoso e tale evento si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere.” (Cassazione civile, sez. II, 3/5/2016, n. 8703)

Nel caso in esame viene in concreto contestato al notaio che tra gli allegati al rogito vi fosse una planimetria che non rispecchiava graficamente il reale stato dei luoghi, riportando un passaggio in realtà inesistente, oltre che non rispondente alle risultanze del Catasto.

Ai sensi dell’art. 2935 c.c. la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Si deve allora evidenziare -come correttamente affermato dal Tribunale- che le dedotte difformità rispetto allo stato reale dei luoghi ed alle risultanze catastali erano immediatamente percepibili.

La mappa catastale allegata al rogito era stata sottoscritta da ognuno degli acquirenti (doc. 2 fasc. parte appellata), ed era stata preceduta da una serie di bozze ugualmente recanti, nella sezione “Patti speciali”, clausole che riconoscevano la costituzione di detta servitù (“Sulla porzione di giardino a parte del mappale (…), evidenziata con colore azzurro nella planimetria che si allega al presente atto sotto la lettera “A” grava servitù di passo pedonale e carraio a favore delle unità immobiliari ai mappali (…) et (…)” – doc. 1, ibidem).

Si aggiunga che gli appellanti, a partire dal marzo _____, hanno avuto libero accesso al fabbricato, personalmente ed a mezzo del tecnico di loro fiducia geom. P., tanto da prefigurare una serie di modifiche catastali, quali fusioni e frazionamenti (doc. 6 di parte appellata).

Si deve quindi ritenere che nel caso in esame il lamentato vizio, ove in ipotesi ritenuto sussistente, risultava palese, avendo avuto gli appellanti la possibilità di avvedersi, ancor prima della stipula del rogito, della dedotta difformità catastale, e della non conformità della planimetria allo stato dei luoghi; consegue che il termine di prescrizione deve iniziare a decorrere dalla stipula del rogito, avvenuta in data _________.

Il profilo relativo il mancato accertamento da parte del notaio della reale volontà delle parti, con riferimento all’estensione della servitù, da mera servitù di passo a servitù di passo carraio, viene dedotto solo in appello, quindi tardivamente.

Il secondo motivo d’appello- deducente l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto efficacia interruttiva della prescrizione alle missive inviate dalla difesa degli appellanti al notaio- non è fondato.

Ai sensi dell’art. 2943 c.c. la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto che valga a costituire in mora il debitore.

Nel caso in esame non possono ritenersi efficaci ad interrompere la prescrizione le missive _______ e ___________ (di cui ai docc. 8 e 9 di parte appellante), nelle quali sono richiesti al notaio chiarimenti, ma non viene esplicitata dagli acquirenti alcuna richiesta risarcitoria tale da poter configurare una messa in mora.

Non può in particolare essere ritenuta sufficiente, ai fini dell’interruzione della prescrizione, la mera riserva contenuta nelle missive del seguente tenore: ” … i miei clienti mi hanno pregato di farLe presente che si riservano, qualora fosse configurabile una Sua responsabilità professionale, di agire anche nei Suoi confronti…” (doc. 8 fasc. di parte appellante); nonché ” …le ribadisco l’invito a volermi fornire, senza alcun indugio, tutti i chiarimenti del caso… riservandomi sin d’ora di assumere ogni opportuna iniziativa a tutela degli interessi dei miei assistiti..” (doc. 9 ibidem).

La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che “in tema di interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo)(…) ne consegue che non é ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore e che è priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati, trattandosi di espressione che, per genericità ed ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi ad una intimazione o ad una richiesta di pagamento”. (Cassazione civile, sez. 3, sentenza 12/02/2010, n. 3371, Rv. 611605; id. sez. Lavoro, Sentenza n. 17123 del 25/8/2015, Rv. 636425; id. Sez. 3, Sentenza n. 25500 del 30/11/2006 Rv. 594166).

Escluse dette missive, il primo atto interruttivo consiste nella citazione notificata al notaio il ______________, a termini ormai spirati.

La reiezione dei primi due motivi d’appello esime dall’esaminare le questioni relative alla responsabilità del notaio dott.ssa P. e ai danni asseriti da parti appellanti, risultando così superfluo ai fini della decisione esaminare tali ulteriori difese.

Infondato anche il motivo di appello relativo alla quantificazione delle spese di lite, che risultano calcolate correttamente sulla base dei parametri indicati in D.M. n. 55 del 2014, sulla base dello scaglione di valore azionato (Euro ____________________), applicando i valori medi.

Le spese seguono la soccombenza; vengono liquidate in dispositivo in conformità ai parametri indicati dal D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano seconda sezione, definitivamente pronunciando nel contraddittorio fra le parti, disattesa ogni diversa eccezione e istanza,

– respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza n. ____________ resa tra le parti il __________ dal Tribunale di Monza;

– condanna L.G., C.G., V.F. e F.G. al pagamento delle spese processuali del grado in favore di M.A.P. che liquida per compensi defensionali in Euro ________________, oltre spese generali 15%, IVA e cpa.

dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti L.G., C.G., V.F. e F.G. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall’art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228.

Così deciso in Milano, il 14 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2018.

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Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Domanda Riconvenzionale

Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Domanda Riconvenzionale

Con sentenza del 16 gennaio 2018 il Tribunale Ordinario di Velletri ha stabilito che nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, solo l’opponente, in via generale, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, ma non anche l’opposto, che, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione.


Tribunale Ordinario di Velletri, Sezione II Civile, Sentenza del 16-01-2018

Decreto ingiuntivo Opposizione al decreto ingiuntivo Domanda Riconvenzionale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI VELLETRI

SEZ. II ^ CIVILE

in composizione monocratica nella persona del Pres. Dott. M. Buscema, all’udienza del giorno 16 gennaio 2018 ha pronunciato ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al nr. _____________________

TRA

– P. R., in persona dell’amministratore p.t.

elettivamente domiciliato in _____________________ presso lo studio dell’avv. __________________ che lo rappresenta e difende in virtù di procura alle liti in atti

PARTE OPPONENTE

E

– E.G. Srl, in persona del legale rappresentante p.t.

elettivamente domiciliata in _____________________ presso lo studio dell’avv. __________________ che lo rappresenta e difende in virtù di procura alle liti in atti

PARTE OPPOSTA

NONCHE’

– M.R.

elettivamente domiciliato in _____________________ presso lo studio dell’avv. __________________ che lo rappresenta e difende in virtù di procura alle liti in atti

TERZA CHIAMATA IN CAUSA

OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo in materia di appalto privato.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Si controverte del decreto ingiuntivo nr. _____________ emesso il ______ dall’intestato Tribunale con cui, su istanza della società E.G. Srl, l’opponente condominio è stato condannato a pagare la somma di Euro _________ oltre interessi legali e spese di procedura a titolo di saldo prezzo residuo dei lavori edili di manutenzione straordinaria della palazzina condominiale.

La difesa dell’opponente ha dedotto che i lavori non erano stati accettati in quanto erano state riscontrate alcune problematiche e anomalie (crepe e lesioni con scrostatura della tinteggiatura sui cornicioni e diffuse infiltrazioni di acqua) ed inoltre l’impresa non aveva rilasciato il certificato di garanzia quinquennale cui era condizionato lo svincolo del saldo prezzo.

A fronte di ciò la difesa del condominio ha chiesto di poter chiamare in giudizio il direttore dei lavori nella persona dell’ardi. R.M., responsabile di aver arbitrariamente accettato il fine lavori ed autorizzato il pagamento del saldo, formulando altresì domanda riconvenzionale volta ad ottenere la riduzione del prezzo dell’appalto, con conseguente domanda risarcitoria nei confronti sia dell’impresa che del direttore dei lavori.

  1. La difesa dell’impresa edile, nel costituirsi in giudizio, ha controdedotto che i lavori erano stati eseguiti a regola d’arte, come certificato dal direttore dei lavori e, in ogni caso, ha eccepito la tardività della denuncia dei vizi, peraltro inesistenti, per poi concludere per il rigetto dell’opposizione e della domanda riconvenzionale.
  2. Si è costituita in giudizio anche la terza chiamata in causa la cui difesa ha contrastato quanto dedotto e argomentato dal condominio e, nello specifico, ha precisato di aver seguito in maniera accurata l’andamento dei lavoro, eseguendo il collaudo delle opere in contraddittorio con l’amministratore del condominio, la commissione dei lavori istituita per l’occasione e l’impresa appaltatrice, per poi redigere lo stato finale dei lavori come documentato in atti.
  3. Nel merito, indiscusso il contratto di appalto intercorso tra il condominio opponente e la E.G. Srl (doc. 6 fasc. opponente), il nodo della vicenda si incentra sulla contestazione di vizi e anomalie dei lavori, nonché sull’ulteriore doglianza che l’impresa non avrebbe consegnato al condominio il certificato di garanzia quinquennale come espressamente previsto all’art. 4 del contratto, quale condizione per effettuare il pagamento del saldo di Euro _________ al netto dell’iva da corrispondere in dodici rate mensili di pari importo.

Per quanto concerne la insorgenza di vizi e anomalie dell’opera va premesso che in tema di riparto dell’onere della prova nell’ambito dell’inadempimento contrattuale la giurisprudenza della Suprema Corte ha stabilito come sia il creditore che agisce per l’adempimento così come per la risoluzione del contratto a dover provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass., 12 febbraio 2010, n. 3373; Cass., 3 luglio 2009, n. 15667).

Ed inoltre, sempre in punto di diritto deve osservarsi che nei contratti di appalto l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione, e quindi di aver eseguito l’opera in conformità al contratto ed alle regole dell’arte (Cass., 20 gennaio 2010, n. 936; Trib. Potenza, 9 agosto 2013).

  1. Ciò premesso, a documentare la corretta e completa esecuzione dei lavori vi è la relazione finale del direttore dei lavori in data 10/3/2012 (doc. 7 fasc. opposta) la quale, dopo aver riepilogato il corso dell’appalto (lavorazioni e tempi) ed applicato la penale contrattuale, ha attestato che i lavori erano stati completati e regolarmente eseguiti (doc. 8 fasc. opposta) e che, pertanto, poteva procedersi al pagamento del saldo prezzo attraverso le dodici rate contrattualmente previste, a partire dal collaudo dell’opera (_____).

Ed ancora, a distanza di circa un mese (____________) lo stesso direttore dei lavori, dopo aver segnalato all’impresa una serie di lavorazioni di ridotta importanza (doc. 10 fasc. opposta), ha nuovamente predisposto una relazione a corredo dello stato finale, confermando la corretta esecuzione delle opere (doc. 11 fasc. opposta).

Onde inficiare tale attestazione, peraltro risalente al settembre del ______, il condominio ha depositato una relazione tecnica curata dall’ing. E.T. nella quale, a distanza di circa un anno (______), vengono evidenziati alcuni inconvenienti riguardanti le lavorazioni degli intonaci (microfessurazioni).

L’ing. T., chiamato a testimoniare, ha confermato che già dopo pochi mesi dall’ultimazione dei lavori alcuni condomini avevano segnalato le problematiche delle crepe e delle lesioni comparse sui cornicioni e sul prospetto dei balconi, inconvenienti che lo stesso perito del condominio aveva poi riscontrato nella sua relazione.

Lo stesso amministratore del condominio, nel corso del suo interrogatorio formale, ha confermato che erano stati eseguiti alcuni pagamenti delle rate a saldo anche dopo la dedotta insorgenza delle problematiche, circostanza confermata sia documentalmente (vedasi i bonifici di pagamento) che dai testi M., L. e S.S.; così come ha trovato riscontro la circostanza che al collaudo dei lavori erano presenti, oltre al direttore dei lavori e all’impresa, anche l’amministratore del condominio ed anche alcuni condomini (testi M. e S.S.).

  1. Orbene, in base a tali considerazioni deve quindi accogliersi l’eccezione di decadenza sollevata dalla difesa della E.G. Srl, tenuto conto che rispetto alla data di esecuzione delle opere e a quella di scoperta dei dedotti vizi (pochi mesi dopo il fine lavori e, comunque, certamente nel settembre ______, data della perizia dell’ing. T.) sono ampiamente decorsi i termini di cui all’art. 1667, comma 2 c.c., dal momento che non è stata documentata, né provata la denuncia di detti vizi prima della proposizione dell’odierna opposizione, risalente all’ottobre del _______.

Dunque, pur volendo uscire dalla logica dell’accettazione o meno delle opere, il dato saliente è che il condominio, ultimati i lavori ed avvenuta la consegna con le modalità su riportate, non ha mai formalizzato alcuna denuncia dei vizi, pur avendoli riscontrati ed avendone perciò una conoscenza completa grazie alle indagini svolte dal suo perito di parte, incorrendo pertanto nella decadenza di cui alla citata norma codicistica.

Allo stesso modo, anche a voler per ipotesi ricondurre il caso di specie nell’operatività dei gravi difetti ex art. 1669 c.c., la parte opponente risulterebbe comunque decaduta dalla garanzia, poiché è provato e documentato che la denuncia è avvenuta nell’ottobre del __________, ossia dopo essere decorso un anno dalla scoperta del settembre dell’anno prima.

  1. Anche l’ulteriore motivo di doglianza opposto dalla difesa del condominio è risultato inconsistente.

Infatti, il certificato di garanzia quinquennale previsto contrattualmente è stato emesso e consegnato all’amministratore del condominio, come risulta dal documento depositato dalla difesa della società (doc. 12 fasc. società) ed è stato confermato dai testi escussi (M. e S.).

Dunque, la contestazione riguardante la mancata consegna della certificazione in parola ha trovato smentita nelle carte processuali e, pertanto, non può costituire motivo posto a fondamento del mancato pagamento del saldo.

  1. In conclusione, l’opposizione va respinta e, di conseguenza, anche la domanda riconvenzionale spiegata dal condominio, con la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
  2. Va altresì dichiarata inammissibile la domanda risarcitoria, proposta in via riconvenzionale, dalla società opposta.

Da tempo la giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che “Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, solo l’opponente, in via generale, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, ma non anche l’opposto, che, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, potendo a tale principio logicamente derogarsi solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una “reconventio reconventionis” (Cass., 29 settembre 2006, n. 21245; Cass., 4 ottobre 2013, n. 22754; Cass., 7 febbraio 2006, n. 2529).

Poiché la domanda introdotta dalla società opposta attiene al risarcimento del danno conseguente al ritardo nel pagamento del saldo prezzo ai sensi dell’art. 1224, comma 2 c.p.c. e, pertanto, non scaturisce dalla domanda riconvenzionale introdotta dal condominio, non è ammissibile nell’odierno giudizio.

In ogni caso, anche a volerne esaminare il merito, non vi alcuna prova che il riscatto anticipato delle polizze finanziarie da parte della società E.G. sia conseguenza immediata e diretta del mancato pagamento del saldo prezzo, ovverosia che la società in quel periodo era in una situazione patrimoniale e finanziaria talmente deficitaria dal dover svincolare anticipatamente dette polizze, così da poter sopperire al mancato pagamento del saldo prezzo.

Inoltre, non sono stati dimostrati altri pregiudizi (art. 1224 c.c.) conseguenti al ritardo dei pagamenti, se non la corresponsione degli interessi legali dalla data del dovuto, satisfattivi del ritardo accumulato dal condominio.

  1. Le spese processuali sostenute dalla società opposta e dalla terza chiamata in causa, stante la soccombenza, vanno interamente poste a carico del condominio opponente e si liquidano in base al D.M. n. 55 del 2014 in ragione del valore della domanda.

Non si ravvisano i presupposti dell’art. 96 c.p.c..

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando sul giudizio iscritto al nr. _________ RG in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così decide:

1) Rigetta l’opposizione e, per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo opposto.

2) Rigetta la domanda riconvenzionale proposta dal condominio opponente.

3) Dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dalla E.G. srl.

4) Condanna il condominio P. R. di via S. n. 31 in T. a rifondere alle controparti le spese di lite, liquidandole a favore di ciascuna, in Euro ____ per compensi (Euro ____ per studio; Euro _____ fase introduttiva; Euro _________ trattazione e istruttoria; Euro ________ fase decisionale) oltre iva e cpa, nonché il rimborso delle spese generali.

Così deciso in Velletri, il 16 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2018.

 

Trib_Velletri_Sez_II_Civ_Sent_16_01_2018




Opposizione al decreto ingiuntivo Onere della prova Esistenza del credito

Opposizione al decreto ingiuntivo Onere della prova Esistenza del credito

Con sentenza del 11 gennaio 2018 il Tribunale Ordinario di Oristano, Sezione Civile, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in materia dell’onere della prova, ha stabilito che l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa e, quindi, l’esistenza del credito, incombe in capo all’opposto, poiché il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario a cognizione piena, diretto all’accertamento del diritto di credito fatto valere nel ricorso per ingiunzione e dove il creditore opposto e il debitore opponente assumono, rispettivamente, la posizione sostanziale di attore e convenuto.


Tribunale Ordinario di Oristano, Sezione Civile, Sentenza del 11/01/2018

Opposizione al decreto ingiuntivo Onere della prova Esistenza del credito

PROCEDIMENTO CIVILE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Roberta Contu

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. ______________________ promossa da:

A.E. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, con il patrocinio dell’avv. ___________, elettivamente domiciliata in _________, presso il difensore avv. _____________

OPPONENTE

contro

  1. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, con il patrocinio dell’avv. ___________, elettivamente domiciliata in _________, presso il difensore avv. _____________

OPPOSTA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Con ricorso del _______ la società K. s.rl. ha domandato al Tribunale Oristano di ingiungere alla società A.E. s.r.l. il pagamento in suo favore di Euro ________, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, dovuta a titolo di corrispettivo per l’installazione, il cablaggio, il collaudo e la relativa manutenzione di impianti fotovoltaici, così come indicati nelle fatture n. ___ del _____, n. ___ del ________, n. _____ del _________, n. __ del _________.

2 – Il Tribunale di Oristano, con decreto ingiuntivo n. ____ del _________, notificato in data _________, ha ingiunto quanto richiesto.

3 – Con atto di citazione del ___________ la società A.E. ha proposto opposizione avverso il predetto decreto ingiuntivo esponendo che: a) il credito fatto valere con il decreto impugnato era inesistente; b) le fatture n. ____ del _______ e n. ____ del _______ si riferivano ad attività di cablaggio e collaudo eseguite da altri soggetti, in particolare dall’Ing. C.S. e dall’Ing. E.S., retribuiti dalla stessa esponente; b) la fattura n. ____ del ________ si riferiva ad un’attività di montaggio e smontaggio di pannelli solari presso la ditta N. non compresa nel contratto di subappalto stipulato tra le parti e non successivamente autorizzata dall’esponente; c) la fattura n. ___del ______ si riferiva ad un’attività di pulizia dei cantieri già compresa nel contratto di subappalto e ad un’attività di supporto non effettuata dalla società opposta.

Ha chiesto, pertanto, la revoca del decreto ingiuntivo opposto e in via riconvenzionale l’accertamento dell’inadempimento e il conseguente risarcimento dei danni quantificati in Euro ________.

4 – Si è costituita in giudizio la società opposta, con comparsa del ________, la quale ha domandato, in via preliminare, la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo non essendo, secondo la sua prospettazione, l’opposizione fondata su prova scritta o di pronta soluzione, e nel merito la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

In particolare, ha sostenuto, da una parte, che le attività di collaudo e cablaggio di cui si chiedeva il pagamento con il decreto ingiuntivo opposto erano in realtà comprese nel contratto stipulato tra le parti ed erano state personalmente eseguite dalla società opposta, essendo le attività svolte dall’Ing. S. e Ing. S. esclusivamente relative alla certificazione formale del collaudo, e dall’altra che l’attività di smaltimento e conferimento in discarica dei materiali di risulta derivanti dall’istallazione dei pannelli non era incluso nel contratto, ed infine, che le altre prestazioni indicate in fattura erano state comunque autorizzate in via informale.

5 – In data ________ il giudice ha rigettato l’istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, poi confermata con ordinanza del ____________ a seguito di reiterazione della stessa, con la quale veniva rigettata, altresì, la domanda di condanna ai sensi dell’art. 186-bis c.p.c. formulata dall’opposta.

6 – La causa è stata istruita con l’interrogatorio formale del legale rappresentante della società opposta, prova testimoniale e produzioni documentali e all’udienza del _________ è stata trattenuta a decisione.

7 – L’opposizione è fondata e merita accoglimento.

È necessario premettere che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, com’è noto, l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa – e, quindi, l’esistenza del credito – incombe in capo all’opposto, poiché il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario a cognizione piena, diretto all’accertamento del diritto di credito fatto valere nel ricorso per ingiunzione e dove il creditore opposto e il debitore opponente assumono, rispettivamente, la posizione sostanziale di attore e convenuto (Cfr. Cass. nn. 5915 del 2011 e 17371 del 2003).

Pertanto, è sufficiente richiamare, in punto di onere della prova, il principio generale affermato ormai costantemente dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, come anche per l’adempimento o il risarcimento del danno, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova dell’eventuale fatto impeditivo, modificativo o estintivo dell’altrui pretesa.

Eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata, come nella specie, eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. o di inesatto adempimento (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento) (cfr. Cass. civ., Sez. 3, n. 826 del 20/01/2015).

Nel caso di specie, l’onere della prova circa la fonte negoziale del diritto della società opposta è stato assolto, anche se non le competeva, dalla società opponente la quale ha provveduto a produrre i contratti di subappalto intercorsi tra le parti (cfr. doc. 1-7), mentre la società opposta si è limitata ad allegare l’inadempimento all’obbligo di pagamento del corrispettivo dei servizi resi producendo esclusivamente le fatture oggetto del decreto opposto.

Occorre osservare che il valore probatorio della fattura commerciale è limitato alla fase monitoria del procedimento, essendo le fatture documenti formati dalla stessa parte che se ne avvale, senza alcun segno di riconoscimento del debitore, onde per cui esse non indicano di per sé la piena prova del credito riportato.

In tal senso, la giurisprudenza ritiene che: “la fattura è un mero documento contabile… che in nessun caso assume la veste di atto scritto avente natura contrattuale. Di qui, la sua assoluta inidoneità a fornire la prova tanto dell’esistenza, quanto della liquidità di un credito” (Cass. sez. II, 29.11.2004 n. 22401) “La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale, costituisce un atto giuridico a contenuto partecipativo e consiste in una dichiarazione indirizzata all’altra parte di un rapporto che il mittente assume già costituito, sicché, quando l’esistenza di tale rapporto sia contestato dal destinatario del documento, la fattura stessa, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può assurgere a prova del negozio, attese le sue caratteristiche genetiche inerenti alla formazione ad opera proprio della parte che intende avvalersene”.

Nel caso di specie, all’allegazione di parte opposta circa l’inadempimento al pagamento del corrispettivo di cui alle fatture oggetto del decreto ingiuntivo opposto, è seguita l’eccezione di inadempimento della parte opponente.

Ed invero, l’A.E., come già detto nella esposizione sintetica del fatto che precede, ha eccepito che le fatture n. __ del _____ e n. ____ del _______ si riferivano ad attività di cablaggio e collaudo eseguite da altri soggetti, in particolare dall’Ing. C.S. e dall’Ing. E.S., dalla stessa retribuiti; b) la fattura n. ___ del _______ si riferiva ad un’attività di montaggio e smontaggio di pannelli solari presso la ditta N. non compresa nel contratto e non successivamente autorizzata; c) la fattura n. ___ del _____ si riferiva ad un’attività di pulizia dei cantieri già compresa nel contratto di appalto retribuito e ad un’attività di supporto effettuata da un’altra società.

Ebbene, dall’istruttoria svolta, ed in particolare dalla documentazione agli atti e dalle prove testimoniali, per quanto concerne le fatture di cui alla lett. a) è risultato provato in causa che l’attività di cablaggio relativa all’impianto istallato presso l’azienda P. è stata eseguita dal tecnico E.S., incaricato e retribuito dalla società opponente (cfr. fattura n. ___ – doc. n. 3), così come confermato dallo stesso al momento della deposizione (cfr. verbale udienza del _____).

Allo stesso modo dalle prove raccolte nel corso del giudizio è emerso che l’attività di collaudo, eseguita presso gli impianti di P. e P., è stata svolta dall’Ing. C.S. il quale è stato incaricato e retribuito dalla società A.E. s.r.l. (cfr. certificazione di collaudo – doc. n. 2 e 4), come confermato anche all’udienza del _____ durante la quale il teste Ing S. ha detto “confermo che ho effettuato tali attività insieme al sig. P.B., con uno strumento che effettua le misurazioni della potenza erogata dall’impianto ……..riconosco la fattura che mi viene esibita (doc. 6 fasc. opponente) come quella relativa ai compensi per l’attività da me eseguita ” (..) confermo che ho eseguito tutte le attività indicate nel capo…., “. Sul punto anche il teste B. ha affermato “è vero che il sig. S. aveva redatto il certificato di collaudo; è vero che aveva effettuato i controlli e le verifiche che mi sono state lette (…) so quanto riferito perché ero dipendente della ditta opponente e nelle prove di collaudo ero presente anche io insieme all’Ing. S. (cfr. verbale udienza del _______).

Al contrario, nessuna prova, a parte la fatture che come già spiegato possono costituire prova solo nel processo monitorio, è stata prodotta da parte opposta, la quale si è limitata ad affermare che le attività di collaudo e cablaggio svolge dai tecnici in realtà era stata dalla medesima svolta.

Inoltre, dalla documentazione agli atti emerge che la società opponente aveva già corrisposto alcuni acconti per i lavori eseguiti nei predetti cantieri, onde per cui in assenza di alcuna specificazione nelle fatture delle singole voci questo Giudice non può distinguere per quali attività fossero state già date.

Relativamente alla fattura n. ____occorre evidenziare che dal contratto di subappalto concluso tra le parti è stato espressamente previsto che gli eventuali lavori in economia potevano essere eseguiti dalla ditta subappaltatrice solo su ordine scritto dell’impresa. Nella specie, nessuna prova è stata fornita dalla società opposta in merito all’autorizzazione successiva rilasciata dalla società A. per lo svolgimento di tale attività, in quanto ulteriore rispetto a quelle concordate di installazione, cablaggio e collaudo degli impianti.

Allo stesso modo dalla lettura del medesimo contratto, ed in particolare dall’art. 3, emerge come fosse incluso nello stesso anche la pulizia dei cantieri e la rimozione degli oggetti di scarto prodotti durante l’esecuzione dei lavori (cfr. lett. i) “la subappaltatrice dovrà provvedere durante l’esecuzione dei lavori al decoroso mantenimento del cantiere e al termine degli stessi, alla completa rimozione di oggetti di scarto da essa prodotti durante l’esecuzione dei lavori stessi”).

La parte opposta si è limitata ad affermare, senza darne prova, che i predetti materiali fossero già presenti nel cantiere in quanto prodotti nelle lavorazioni di taglio e sagomatura per la posa dei pannelli di copertura eseguite da altre imprese subappaltatrici della società A.E. s.r.l., oltre a dover considerare il fatto che nella stessa fattura non viene fatto alcun riferimento al cantiere N..

Ancora, nessuna prova è stata fornita dall’opposta per quanto concerne l’attività di supporto che la stessa asserisce di aver prestato alla ditta B. per la sistemazione dei pannelli e manto di copertura presso i cantieri S.. Al contrario dalla documentazione agli atti (cfr. doc. 5), confermata dalla testimonianza di P.F., emerge come i lavori siano stati eseguiti da quest’ultima.

Infine, anche relativamente alla fattura n. (…) pare evidente che il contratto prodotto in causa, laddove dispone che “i lavori dovranno essere eseguiti a perfetta regola d’arte, in conformità al progetto esecutivo ed agli accordi ed alle disposizioni anche verbali, che l’impresa si riserva di impartire di volta in volta durante l’esecuzione dei lavori stessi”, in mancanza di prova contraria e di una ulteriore autorizzazione in tal senso, includesse le spese di pulizia all’interno dello stesso corrispettivo il contratto prodotto in causa pare evidente

Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte fino ad ora, l’opposizione risulta fondata e il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato.

8 – La domanda riconvenzionale proposta dall’opponente relativa alla richiesta di risarcimento del danno va rigettata.

Ed invero, seppur è risultato provato un inadempimento alle attività di collaudo e cablaggio da parte della società opposta, nessuna prova di danno è stata fornita dalla A.E., essendo le somme pagate a titolo di acconto, in mancanza di prova contraria, corrisposte per l’attività di istallazione dei pannelli fotovoltaici non contestata agli atti, onde per cui la domanda va rigettata.

E’ inammissibile, invece, la domanda di risoluzione del contratto proposta in sede di prima memoria di cui all’art. 183 c.p.c. essendo consentita in tale sede solo la modificazione o la precisazione di quelle già introdotte con l’atto di citazione e non la proposizione di una domanda nuova.

9 – Le spese, tenuto conto della soccombenza reciproca della società opponente per quanto concerne la domanda riconvenzionale, possono essere compensate al 50%, mentre per il restante 50% devono essere poste a carico della società opposta tenuto conto dell’accoglimento dell’opposizione e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) Accoglie l’opposizione e per l’effetto revoca il decreto ingiuntivo n. _______ emesso dal Tribunale di Oristano il _________;

2) Rigetta la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente;

3) dichiara inammissibile la domanda di risoluzione del contratto proposta dalla società opponente;

4) Compensa per la metà le spese del giudizio e per l’altra metà condanna la parte opposta a rimborsare all’opponente le spese di lite, che si liquidano in Euro ________ per compensi professionali ed Euro _______ per spese documentate, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.

Così deciso in Oristano, il 9 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 11 gennaio 2018.

Trib_Oristano_Sent_11_01_2018

Recupero crediti  ad ORISTANO con ROSSI & MARTIN studio legale




Opposizione al decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto da un istituto di credito nei confronti dei fideiussori del debitore principale

Opposizione al decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto da un istituto di credito nei confronti dei fideiussori del debitore principale

Con sentenza del 14 febbraio 2018 la Corte di Appello di Milano, Sezione IV Civile, in materia di recupero del credito ha stabilito che l’attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l’attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell’atto di citazione.


Trib. Palermo Sez. V, Sent., 18/01/2018

BANCHE
Contratti bancari
conto corrente

INGIUNZIONE (PROCEDIMENTO PER)
Decreto ingiuntivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Palermo, Sezione V^ Civile, nella persona del Giudice dott. Andrea Illuminati, ha pronunciato la presente

SENTENZA

nel procedimento di I^ grado portante il N ___________ RG degli affari civili

tra

D.M.M. e R.R.M. (avv. _________________)

– opponenti –

e

M.P. spa, in persona del legale rappresentante p.t (avv. ______________)

– opposta –

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato D.M.M. e R.R.M. hanno interposto rituale opposizione avverso il D.I. n. _______________ emesso dal Tribunale di Palermo in data _______________, con il quale è stato loro ingiunto, in qualità di fideiussori, il pagamento della somma di Euro. 44.761,28, oltre interessi legali e spese monitorie, quale scopertura del c/c n. (…) acceso dalla A.G. srl.

A sostegno dell’opposizione eccepivano la mancanza di poteri rappresentativi dell’azienda di credito ingiungente in capo al sottoscrittore della procura alle liti avv. __________ e, a valle, il difetto di jus postulandi del difensore nominato; evidenziavano poi, in via pregiudiziale, il mancato esperimento da parte dell’intimante della procedura di mediazione ex art. 5 comma 1-bis D.Lgs. n. 28 del 2010 ; nel merito, assumevano, con riferimento alla fideiussione da essi sottoscritta, la violazione degli artt. 1938 e 1956 c.c. e, con riferimento al rapporto di conto corrente garantito n. (…), l’applicazione ad opera dell’istituto in danno del debitore (e dunque dei garanti) di interessi ultra – legali non pattuiti per iscritto (art. 1284c.c.) e con tassi superanti la soglia usuraria di cui alla L. n. 106 del 1998, nonché il conteggio di c.m.s. non espressamente previste in contratto, in contrasto con l’art. 117 del tub.

Istavano, per tutto ciò, per la revoca del DI, vinte le spese.

La banca opposta, costituitasi in giudizio, evidenziava l’infondatezza della opposizione di cui chiedeva rigetto; con condanna degli opponenti alla rifusione delle spese di lite.

Istruita la procedura a mezzo di CTU contabile e relativa integrazione, all’udienza del __________ venivano precisate le conclusioni e il giudice introitava la causa in decisione senza concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. in ragione della espressa rinuncia delle parti.

Così sinteticamente tratteggiato l’oggetto del contendere, va in primo luogo disattesa l’eccezione di difetto di rappresentanza da parte dell’avv. ______________ della B.M. spa, essendo i relativi poteri rappresentativi in capo a costui stati provati a mezzo del deposito, nel giudizio di opposizione, della procura notarile. A ciò consegue anche lo jus postulandi in capo al legale indicato nel mandato alle liti allegato a margine del ricorso per decreto ingiuntivo.

Sempre in limine litis deve essere disattesa l’eccezione di improcedibilità della domanda monitoria per mancato esperimento della procedura di mediazione.

Rivestendo gli opponenti la qualità di fidejubenti rispetto al rapporto bancario garantito, la domanda di pagamento svolta verso costoro è sottratta all’obbligatorietà della procedura di media conciliazione, ciò in quanto la fideiussione non rientra tra i “contratti bancari” stricto sensu previsti dal ridetto art. 5 co. 1 bis, costituendo al contrario contratto di garanzia disciplinato dal codice civile.

In tal senso si è espresso il Tribunale di Milano il quale, chiamato a pronunciarsi in un caso simile a quello che ci occupa, ha statuito che: “(…) parimenti infondata è la contestazione sollevata in corso di causa in ordine a una pretesa improcedibilità della domanda monitoria per non essere stata preceduta dall’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, dal momento che la controversia dedotta in giudizio verte su un rapporto di garanzia e, quindi, su materia non riconducibile nell’alveo della obbligatorietà della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 28 del 2010” (Trib. Milano, VI Sezione Civile, 13.01.2016).

Nel merito, esigenze di ordinata trattazione impongono la preliminare verifica del saldo del rapporto bancario azionato in sede monitoria dall’istituto alla luce delle contestazioni formulate dagli opponenti per poi passare in rassegna le eccezioni formulate all’indirizzo delle fideiussioni bancarie prestate.

Sotto il primo profilo si pone in evidenza che la banca ha reclamato nei confronti dei garanti il saldo del c/c n. (…) intrattenuto con la debitrice principale A.G. srl (oggi fallita) a partire dal 27/4/05 e sino al 28/1/13 (data di sua definitiva chiusura), quantificandolo in Euro. _________, oltre interessi al saggio convenzionale.

Procedendo dunque alla ricostruzione giudiziale del rapporto, si rileva che le condizioni economiche contenute nel documento di sintesi del 27/4/05 prevedevano “un tasso debitore per utilizzi in assenza di affidamento” del 13,5 %, una cms del 2,125 %, un tasso creditore dello 0,001 o/o, spese di tenuta conto di varia natura”, “spesa per liquidazione interessi debitori/penale passaggio debito di conti non affidati” per 89,90, nonché “altre spese e commissioni legate alla gestione del c/c”.

Nel riconteggio troverà anzitutto applicazione, almeno sino al primo trimestre 2006 incluso (per cui v. infra), il tasso di interesse a debito convenzionalmente pattuito, dovendo ritenersi infondata l’eccezione di usurarietà originaria del contratto.

A prescindere infatti dall’astratta inclusione o meno nel computo del teg delle cms sino al 2009 (nel senso della loro esclusione si è pronunziata Cassazione Civile, Sez. I, 03 novembre 2016, n. 22270, alla cui stregua: “In tema di contratti bancari, la disposizione dettata dall’ art. 2-bis, comma secondo, del D.L. n. 185 del 2008, che attribuisce rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 cod. civ., dell’art. 644 cod. pen. e degli artt. 2 e 3 della L. n. 108 del 1996, agl’interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, ha carattere non già interpretativo, ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti esauritisi in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degl’interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto”), nel caso in oggetto le stesse non potranno in ogni caso essere incluse nella determinazione del relativo computo, siccome da ritenersi nulle per indeterminatezza ex artt. 1346 e 1418 co. 2 c.c. della clausola che le ospita, per omessa – necessaria – previsione pattizia, accanto all’aliquota (2,125 %), delle modalità di determinazione del relativo onere (id est: base di calcolo e periodicità dell’addebito).

Non può essere seguito il contrario orientamento espresso in proposito da Trib. Taranto 31/1/17, secondo cui: “La Commissione di Massimo Scoperto nulla va in ogni caso conteggiata nel TEG: in siffatta evenienza infatti la Commissione di Massimo Scoperto degrada a semplice costo aggiuntivo del tasso di interesse in concreto applicato e quindi soggiace al trattamento normativo proprio del tasso di interesse”. A tale impostazione è facile replicare che ai fini del calcolo dell’usura del singolo rapporto deve aversi riguardo alle sole voci di costo validamente pattuite e non anche a quelle de facto illegittimamente applicate che non valgono a incidere, proprio perché nulle e quindi inefficaci, sul costo effettivo del rapporto.

Se dunque escludiamo dal calcolo del tasso globale effettivo le cms, otteniamo un teg pari ad 14,199 % , senz’altro inferiore alla soglia usura stabilita nel secondo trimestre del 2005, corrispondente ad 18,645 % (determinata avuto riguardo alle “aperture di credito in conto corrente fino ad Euro 5.000,00”, categoria da applicarsi nella determinazione del tegm in difetto di prova della sussistenza di un affidamento di credito sin dall’origine), con conseguente rispetto della L. n. 108 del 1996.

Nei periodi del rapporto in cui invece è avvenuto il superamento della soglia usura (individuati a pag. 10 della relazione integrativa di CTU) gli interessi a debito dovranno essere riportati entro soglia, ciò in quanto l’applicazione di interessi in misura superiore, da un lato, non sarebbe meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. ed, al contempo, risulterebbe in contrasto con il canone di buona fede oggettiva che impone di ridurre gli interessi nei limiti consentiti per legge quali di tempo in tempo fissati.

Si evince dall’esame degli e/c in atti (v. pag. 8 e 9 CTU integrativa) che a partire dal secondo trimestre 2006 la banca ha concesso un affidamento di credito, ciò risultando dalle circostanze appresso specificate: (i) a partire dal secondo trimestre 2006 vengono riportate, in data 11/4/06, delle spese di istruttoria pratica fido; (ii) a partire dal 1/6/2006 il tasso debitore subisce una variante riduzione al ribasso, passando da 13, 30 % all’8,00 % ; (iii) la cms, prima calcolata al saldo debitore trimestrale una percentuale fissa del 1,23 % , da tale trimestre viene calcolata distinguendo, all’interno del massimo saldo debitore trimestrale, un primo importo di Euro. 30.000,00 (presumibilmente l’importo del fido concesso) ed un secondo importo pari al fido residuo; (iv) nel terzo trimestre è possibile rilevare una nuova imputazione per spese di istruttoria pratica di fido datata 13/7/2006.

A ciò si aggiunga (v) che la banca, nella lettera di sollecito del 7/2/13, fa riferimento alla “revoca di tutti gli affidamenti già a Voi accordati”, e, nello specifico, al recesso “dall’apertura di credito che a suo tempo era stata concessa, utilizzata e regolata nel c/c n. (…) acceso presso la Filiale di Palermo Agenzia n. ____ (…)”.

A fronte di tale evenienze, non essendo stato rinvenuto agli atti alcun contratto scritto atto a regolamentare il fido, le cui condizioni sono state però applicate al rapporto, andrà dichiarata la nullità dell’apertura di credito per difetto di forma ex art. 117 tub.

A partire dal 1/6/06 il rapporto dovrà quindi essere ricostruito avuto riguardo al tasso legale, con esclusione inoltre delle ulteriori costi ed oneri e pattuizioni di fatto applicati dall’istituto, tanto sino alla effettiva chiusura del rapporto, avvenuta il 28/1/13.

In relazione poi alla assenza degli e/c relativi al secondo e terzo trimestre 2008, la carenza documentale andrà “colmata” raccordando il saldo finale al 31/3/18 con il saldo iniziale al 1/10/08, non potendo seguirsi la pretesa degli opponenti ad ottenere il riconteggio del rapporto a partire dall’ottobre 2008 e con applicazione del saldo “zero”; ciò in quanto l’assenza di singoli e/c non vale ad inficiare la attendibilità di una ricostruzione – quella del saldo del rapporto, appunto – effettuata per il resto in presenza di tutta la documentazione contabile occorrente dall’ inizio del rapporto al suo epilogo.

Passando dunque alla rideterminazione del saldo di c/c, ritiene il Tribunale debba farsi riferimento alla prima soluzione prospettata a pag. 12 della relazione di consulenza integrativa (v. anche allegato A allo stesso elaborato); otteniamo dunque un saldo negativo per il correntista alla data del 28/1/13 pari ad Euro ________ (in luogo di Euro ________ chiesti dall’istituto, con una differenza di Euro ____________), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Previa revoca del DI gli opponenti andranno condannati al pagamento della somma sopra accertata dovendo ritenersi infondate le eccezioni sollevate all’indirizzo del contratto di garanzia.

Va invero anzitutto disattesa l’eccezione di nullità della garanzia ex art. 1938 c.c. per mancata indicazione dell’importo massimo garantito, considerato che, per come si evince dal documento contrattuale del 5/5/05, questo è stato individuato in Euro ________________.

Risulta del pari privo di pregio il richiamo operato dalla parte opponente all’art. 1956 c.c., prevedente la liberazione del fideiussore per obbligazione futura nell’ipotesi di concessione, senza autorizzazione del garante, di credito al debitore in presenza di peggioramento delle sue condizioni patrimoniali. Il fideiussore che chiede la liberazione dalla prestata garanzia, invocando l’applicazione dell’art. 1956 cod. civ., ha infatti pur sempre l’onere di provare che il creditore, ha fatto credito al terzo “pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche” (cfr. Cass. Civ., Sez. III, n. 2524 del 07-020006). Nella specie non è stata fornita prova di tale peggioramento e che di tale circostanza l’istituto di credito fosse al corrente.

Alla luce degli esiti del giudizio – il saldo debitorio portato dalla banca con DI è stato ridotto in misura significativa – le spese di lite andranno compensate nella misura di 3/4 con condanna degli opponenti all’ulteriore 1/4 delle stesse spese.

I costi di ctu andranno infine fatti gravare su entrambe le parti nella misura di ½ ciascuna.

P.Q.M.

Il Tribunale di Palermo, Sezione V^ Civile, definitivamente pronunciando, così provvede:

revoca il DI opposto e condanna gli opponenti D.M.M. e R.R.M. a corrispondere a M.P. spa, in solido tra loro, Euro ____________________, oltre interessi al saggio legale dalla domanda al saldo effettivo;

condanna D.M.M. e R.R.M. a corrispondere a M.P. spa, in solido, la quota di ¼ delle spese di lite, determinate (a seguito della compensazione della restante quota di ¾ in Euro _______, oltre oneri e accessori di legge;

pone i costi di ctu, liquidati con separato decreto, a carico delle parti opponenti in solido nella misura di ½ e della parte opposta nella misura di ½.

Così deciso in Palermo, il 17 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2018.

Trib_Palermo_Sez_V_18_01_2018

Recupero crediti  a PALERMO con ROSSI & MARTIN studio legale




Recupero del credito fra imprenditori Domanda riconvenzionale

Recupero del credito fra imprenditori Domanda riconvenzionale

Con sentenza del 14 febbraio 2018 la Corte di Appello di Milano, Sezione IV Civile, in materia di recupero del credito ha stabilito che l’attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l’attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell’atto di citazione.

Corte di Appello di Milano, Sezione IV Civile, Sentenza del 14/02/2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

Sezione quarta civile

nelle persone dei seguenti magistrati:

  1. Marisa Nardo – Presidente
  2. Vincenzo Barbuto – Consigliere
  3. Maria Fulvia Castelli – Giudice Ausiliario rel

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. _____________________ promossa in grado d’appello

DA

I.G. SRL (C.F. …), elettivamente domiciliato in ____________________ presso lo studio dell’avv. ______________, che lo rappresenta e difende come da delega in atti,

APPELLANTE

CONTRO

N.E.O. SRL (C.F. …), elettivamente domiciliato in _____________________________ presso lo studio dell’avv. ____________________, che lo rappresenta e difende come da delega in atti,

APPELLATO

avente ad oggetto: Appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. c.c. (ivi compresa l’azione ex 1669 c.c.)

Svolgimento del processo

La società I.G. S.r.l. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. ________ emesso dal Tribunale di Monza, con il quale gli veniva ingiunto il pagamento dell’importo di Euro ____________ in favore della società N.E.O. S.r.l. a saldo delle fatture emesse da quest’ultima per i lavori eseguiti nei cantieri di Lignano e Busto Arsizio.

Parte opponente svolgeva preliminarmente eccezione di compromesso in ragione della previsione contrattuale di devoluzione delle controversie in arbitri, chiedendo in via principale la revoca del decreto opposto e la dichiarazione di risoluzione dei contratti di subappalto relativi ai suddetti cantieri, a causa dell’inadempimento di N.E.O. S.r.l., oltre alla condanna al risarcimento dei danni subiti, quantificati in Euro _______________  ed al rimborso dei costi per gli interventi di ripristino sulle opere affette da vizi, con compensazione delle eventuali somme a credito della società opposta.

La N.E.O. S.r.l., chiedeva la conferma del decreto opposto ed, in via riconvenzionale, l’accertamento del proprio maggior credito pari ad Euro __________ per le opere eseguite, oltre ad Euro __________ per i lavori extra capitolato effettuati, nonché l’accertamento del proprio diritto ad ottenere lo svincolo delle somme ritenute in garanzia, pari ad Euro ______________.

I.G. eccepiva l’inammissibilità della predetta domanda riconvenzionale.

Con sentenza n. _______________ del _____________ e pubblicata in data ________, il Tribunale di Monza rigettava sia l’opposizione al decreto ingiuntivo, confermandolo, sia la domanda di risoluzione dei contratti d’appalto per inadempimento ed accoglieva la domanda riconvenzionale svolta da N.E.O. condannando la società opponente al pagamento dell’importo di Euro __________, quale differenza tra il credito residuo per i lavori effettivamente eseguiti e l’importo già oggetto di ingiunzione.

La suddetta pronuncia, rigettava le eccezioni preliminari ritenendo espressamente esclusa dalla clausola compromissoria ogni controversia avente ad oggetto i pagamenti derivanti dal contratto ed ammissibili le domande riconvenzionali svolte dall’opposta in ragione della domanda di risoluzione contrattuale introdotta dall’opponente, mentre aderiva a quanto accertato e quantificato nell’ambito della C.T.U. espletata e dalle integrazioni della stessa richieste dall’opponente, secondo le quali N.E.O. S.r.l. aveva eseguito la maggior parte dei lavori commissionatigli, avendo legittimamente sospeso la conclusione degli stessi, ai sensi dell’art. 1460 c.c., a fronte dei mancati pagamenti da parte della committente.

La sentenza condannava la società opponente al rimborso delle spese di lite, mentre disponeva la compensazione fra le parti delle spese di CTU.

Con atto di citazione in appello tempestivamente notificato I.G. S.r.l. impugnava la sentenza di primo grado svolgendo sei motivi di gravame, previa richiesta di sospensione dell’esecutività della stessa: 1)Inammissibilità della domanda riconvenzionale svolta da N.E.O., 2) erroneo rigetto della domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento di N.E.O., 3)erronea liquidazione in favore di N.E.O. di corrispettivi per varianti e mancata detrazione di corrispettivi non dovuti per mancata esecuzione di opere, 4) omessa pronuncia sulla richiesta di detrazione della somma di Euro _____________ per mancata esecuzione di opere presso il cantiere di Legnano; 5) erroneo rigetto della domanda di condanna al pagamento delle penali contrattualmente previste per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, 6) erroneità della condanna all’integrale rimborso delle spese legali.

L’appellante concludeva chiedendo in via principale la revoca del decreto ingiuntivo opposto, nonché l’accertata risoluzione per inadempimento dei contratti di subappalto per inadempimento di N.E.O. con condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni quantificati in Euro ____________, ovvero nel maggiore o minor importo ritenuto equo oltre interessi legali dal tempo del dovuto pagamento al saldo; nonché, in via subordinata, la detrazione della somma complessiva di Euro ___________ dai corrispettivi dovuti a saldo delle opere svolte dalla società appellata ed in via ulteriormente subordinata l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

Si costituiva in giudizio N.E.O. s.r.l. chiedendo in via principale il rigetto del gravame proposto e, subordinatamente all’eventuale riforma della sentenza impugnata dichiarare la compensazione di quanto reciprocamente dovuto dalle parti.

Con ordinanza riservata del ______ depositata il ________ la Corte rigettava l’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata e rinviava la causa all’udienza del ________ ove le parti precisavano le proprie conclusioni ed il Collegio tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge per lo scambio delle memorie e repliche conclusionali. Con ordinanza Presidenziale del ________, la causa veniva assegnata al Giudice Ausiliario Dott.ssa Maria Fulvia Castelli e rimessa all’udienza del _________, ove le parti precisavano nuovamente le conclusioni rinunciando al deposito delle memorie conclusive già agli atti e la Corte provvedeva a trattenere in decisione la causa.

Motivi della decisione

La sentenza di primo grado merita integrale conferma in quanto nessuno dei motivi di appello risulta fondato.

Sul primo motivo:

Parte appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato l’ammissibilità della domanda riconvenzionale svolta dalla parte opposta avente ad oggetto l’accertamento del diritto al pagamento di tutti i corrispettivi ancora dovuti per i lavori effettivamente eseguiti, lamentando altresì che, alla luce di tale ammissibilità, il giudice di primo grado avrebbe dovuto comunque revocare il decreto ingiuntivo opposto, stante la sostituzione della nuova domanda con quella originata dalla procedura monitoria.

La censura è palesemente infondata.

A fronte della domanda riconvenzionale proposta da parte opponente volta ad accertare la risoluzione dei contratti di subappalto per inadempimento, con conseguente estensione del thema decidendum rispetto alle pretese fatte valere con la procedura monitoria chiedendo al giudice l’accertamento di fatti e questioni nuove in ordine agli inadempimenti contrattuali in cui sarebbe incorsa parte opposta, va certamente ritenuta legittima la successiva domanda riconvenzionale di quest’ultima, quale conseguenza diretta e necessaria delle domande proposte dalla controparte.

Tale principio è costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale “Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, potendo a tale principio derogarsi solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione di una “reconventio reconventionis” (Cass. civ. Sez. III, 04/10/2013, n. 22754).

Inoltre, Cass. Civ. n. 26782 del 22/12/2016 ha stabilito che: “L’attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l’attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell’atto di citazione: tuttavia la sua posizione non è assimilabile a quella del convenuto, né trovano, quindi, applicazione gli artt. 36 e 167, comma 2, c.p.c., atteso che la cd. “reconventio reconventionis” non è un’azione autonoma, ma può essere introdotta esclusivamente per assicurare all’attore un ‘adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e deve essere consequenziale rispetto ad esse. ”

Nel caso di specie pertanto va confermata l’ammissibilità della domanda riconvenzionale tempestivamente proposta da N.E.O. all’atto della costituzione nel giudizio di opposizione, in quanto è certamente sussistente il nesso di consequenzialità tra la stessa (domanda di accertamento del corrispettivo per le obbligazioni contrattuali adempiute) e le domande riconvenzionali svolte dall’opponente (azione di risoluzione per inadempimento): la ratio di tale disposizione è, infatti, la salvaguardia del diritto di difesa dell’opposto in relazione alle nuove o più ampie pretese avanzate dalla controparte.

Questa Corte ritiene altresì corretta la contestuale conferma del provvedimento monitorio opposto il quale, ai sensi del primo comma dell’art. 653 c.p.c. diviene immediatamente esecutivo, stante il rigetto dell’opposizione proposta derivandone la legittimità della relativa procedura compresa pertanto la liquidazione delle relative spese legali, non costituendo alcun impedimento a tale conferma l’accoglimento delle ulteriori pretese creditorie accertate all’esito della disamina della successiva domanda riconvenzionale.

Sul secondo motivo:

Con tale censura l’appellante lamenta l’omessa motivazione da parte del giudice di prime cure in ordine all’insussistenza dell’inadempimento alle obbligazioni contrattuali in cui sarebbe incorsa la N.E.O. abbandonando i cantieri prima della conclusione delle opere subappaltate, omettendo l’esecuzione dei collaudi delle opere eseguite, rifiutando di consegnare la documentazione attestante la regolarità contributiva e previdenziale del proprio personale, maturando un notevole ritardo nell’esecuzione dei lavori.

Secondo l’appellante inoltre la sentenza impugnata avrebbe errato nell’accogliere l’eccezione di inadempimento svolta dalla società opposta legittimando il rifiuto di questa al completamento delle opere a fronte della sospensione del pagamento dei corrispettivi da parte dell’Impresa Committente, con argomentazioni contraddittorie in quanto da un lato viene negata tale ultima circostanza affermando di avere versato Euro _______ in epoca successiva all’abbandono del cantiere di N.E.O. e dall’altro giustificando il mancato pagamento delle fatture azionate con il decreto ingiuntivo per non essere state preventivamente liquidate dai SAL mensili contrattualmente previsti senza i quali soltanto in esito alla CTU svolta in giudizio è stato possibile accertare quanto effettivamente dovuto.

L’appellante contesta altresì l’illogicità dell’affermazione del giudice secondo cui la fondatezza dell’eccezione ex art. 1460 c.c. viene ulteriormente confermata dalla comprovata incapacità di I.G. di far fronte al proprio rilevante debito, desumibile dal fatto che nel corso del giudizio di primo grado questa “aveva dichiarato di esser disposta a versare in contanti l’importo di Euro _______, mentre non sarebbe stata in grado di versare il residuo importo di Euro _______, richiedendone una lunga dilazione, non essendo in grado di pagarlo a breve, in tal modo evidenziando l’impossibilità di onorare il debito in tempi brevi”.

Ad avviso di questa Corte il Giudice di primo grado ha adeguatamente e logicamente motivato l’operatività dell’eccezione di inadempimento invocata dalla parte opposta.

Va ricordato infatti che nei contratti con prestazioni corrispettive (fra i quali va incluso anche il contratto di appalto), qualora una delle parti giustifichi la propria inadempienza con l’inadempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico ma anche e soprattutto dei rapporti di proporzionalità e corrispettività esistenti tra le prestazioni inadempiute, per stabilire se l’inadempimento o la prospettiva di inadempimento di una parte giustifichi il rifiuto di esecuzione della prestazione dovuta dall’altra (“Si ricorda, infatti, sul punto, che anche nell’appalto si applicano i principi generali in materia di contratti a prestazioni sinallagmatiche, per cui, se il committente rifiuta ingiustificatamente di pagare il residuo corrispettivo, l’appaltatore può legittimamente rifiutare, in applicazione del principio “inadimplendi non est adimplendum“, di consegnargli la restante parte dell’opera, senza che ciò legittimi il committente ad addurre la mancata accettazione di essa per escludere il suo inadempimento”. Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-04-2013, n. 8906.

Ora, nel caso di specie, dalle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio di primo grado è emerso che la società subappaltatrice si determinava a rifiutare di realizzare una residua parte delle opere, per un valore non contestato da entrambe le parti di Euro ________, pari a circa il 5% del valore complessivo degli interventi commissionati (Euro ______), a fronte di un credito per i corrispettivi relativi ai lavori già eseguiti pari ad Euro _______ (Euro ______ di cui al decreto ingiuntivo oltre ad Euro _______ come accertato dalla sentenza impugnata) la cui rilevante consistenza ha comprensibilmente legittimato il timore di perdere la controprestazione per le residue obbligazioni e dunque l’eccezione d’inadempimento; a tale riguardo va evidenziato che la gravità dell’inadempimento della Committente troverebbe conferma anche qualora si riconoscesse la fondatezza delle censure svolte riguardo alle somme ritenute dall’appellante come indebitamente riconosciute dalla C.T.U., nonché le penali per la ritardata consegna (che risultano complessivamente quantificate nella domanda di riforma in via subordinata in Euro ______), in quanto risulterebbe comunque un rilevante credito residuo di N.E.O. di Euro ______.

Risulta pertanto a questo Collegio del tutto condivisibile la valutazione effettuata dal primo giudice in merito al carattere pretestuoso degli eccepiti inadempimenti a carico della società subappaltatrice aventi ad oggetto obbligazioni c.d. collaterali del contratto, convincimento rafforzato dalla dichiarata incapacità di I.G. di corrispondere in un’unica soluzione la somma oggetto di proposta conciliativa.

Va infine evidenziato che la stessa parte appellante giustificando il mancato svincolo delle somme trattenute a garanzia con la mancata esecuzione del collaudo delle opere subappaltate pari al 10% del valore del corrispettivo pattuito, ha implicitamente riconosciuto l’effettiva esecuzione delle stesse da parte di N.E.O.; peraltro tale circostanza risulta smentita dalla documentazione acquisita in sede di C.T.U. dalla quale risulta provato che, quanto al Cantiere di Legnano, in data _______ il Direttore dei Lavori presentava Certificato di collaudo finale presso il Comune di Legnano (allegato 6 perizia di parte opposta allegata alla C.T.U.), mentre con riferimento al cantiere di Busto Arsizio, dalla certificazione del Settore Edilizia Privata- Attività Produttive della Città di Busto Arsizio _________ con cui si attesta l’agibilità dell’edificio a partire dal ___________, si può desumere il precedente deposito del certificato di collaudo finale e la Dichiarazione di Fine Lavori e conformità senza i quali tale attestazione non avrebbe potuto essere emessa (doc.7 perizia di parte opposta allegata alla C.T.U.).

Sul terzo motivo:

L’appellante evidenzia come il Tribunale di Monza abbia erroneamente liquidato in favore di N.E.O. delle somme che anche lo stesso CTU aveva reputato non dovute, ovvero, l’importo di Euro _____________ liquidato per l’esecuzione del muro perimetrale dell’ultimo piano nel cantiere di Legnano, il quale non sarebbe spettato a N.E.O., trattandosi di lavorazione già prevista in progetto, come appurato anche dal CTU.

Anche tale profilo di censura appare palesemente infondato in quanto tale intervento non poteva essere previsto nel progetto iniziale ove risultano indicate pareti in vetro, sostituite solo successivamente dalla Committente con opere in muratura, rappresentando pertanto un’opera extra capitolato come confermato dai testi G. e Q..

Del pari prive di pregio le censure riguardo all’omessa detrazione delle somme di Euro _________ quale corrispettivo per l’assistenza fornita per l’esecuzione della copertura in quanto non eseguita da parte di N.E.O., nonché della somma di Euro _____________ per la verniciatura delle opere in cemento armato resasi necessaria per eliminare le imperfezioni dovute ad una non corretta esecuzione da parte dell’impresa subappaltatrice: entrambe le censure infatti rimangono del tutto sfornite di supporto probatorio dovendo trovare conferma quanto affermato dalla sentenza impugnata in ordine sia alla ritenuta tardività della documentazione prodotta in sede di C.T.U. dalla società opponente, sia alla tardività della denuncia dei vizi lamentati.

Va infatti ricordato che la documentazione allegata durante le operazioni peritali, pertanto oltre i termini perentori previsti dall’art.183 6 comma c.p.c. per le produzione documentali, deve ritenersi inammissibile trattandosi di questione rilevabile d’ufficio non sanabile dall’acquiescenza delle parti, soprattutto laddove, come nel caso di specie, si tratti di fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni sollevate.

Sul quarto motivo:

Parte appellante ripropone nel presente giudizio la richiesta di detrazione della somma di Euro _________ da quanto eventualmente dovuto nei confronti di N.E.O., per la mancata esecuzione di pendenze nell’edificio realizzato presso il cantiere di Legnano, ritenendo errata la quantificazione effettuata dal CTU e fatta propria dal giudice di primo grado, di Euro ___________________.

Questa Corte non ritiene di disattendere tale quantificazione (censurata esclusivamente in ordine alla quantità delle opere non eseguite e non in merito ai prezzi applicati), in quanto adeguatamente motivata e circostanziata anche in seguito ai chiarimenti offerti dal C.T.U. successivamente alle medesime contestazioni di I.G., mentre lo stesso non può dirsi per le argomentazioni svolte sul punto da quest’ultima volte a sostenere una maggiore estensione delle superfici oggetto di pendenze.

Sul quinto motivo:

L’appellante si duole della decisione del Tribunale nella parte in cui ha rigettato la domanda di applicazione delle penali da ritardo nell’esecuzione dei lavori da parte di N.E.O., giustificando tale ritardo con la presentazione di varianti in corso d’opera omettendo di considerare l’esiguità del valore di tali varianti rispetto a quello dell’intero subappalto e la loro conseguente inidoneità a legittimare lo slittamento del termine contrattualmente previsto per la consegna dei lavori.

Anche tale censura risulta priva di pregio, considerato che il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto non raggiunta la prova, di cui era onerata la Committente, dell’imputabilità del ritardo all’impresa subappaltante sulla base della comprovata presentazione di varianti in entrambi i cantieri, le quali hanno certamente comportato un allungamento dei tempi dovuti non soltanto all’esecuzione di opere ulteriori rispetto a quelle inizialmente preventivate, ma anche all’iter amministrativo per addivenire all’approvazione delle stesse, tanto è vero che non risulta nemmeno dimostrata la formale contestazione da parte di I.G. dei ritardi lamentati durante lo svolgimento del subappalto, né la conseguente richiesta di applicazione delle relative penali.

Sul sesto motivo:

Parte appellante impugna la decisione di primo grado nella parte in cui pone interamente a proprio carico le spese di lite, sostenendo che anche le domande della parte opposta in primo grado non sarebbero state completamente accolte, dato che l’importo liquidato in suo favore corrisponde a circa la metà di quanto richiesto con l’atto introduttivo, concludendo per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti nella misura del 50%.

Anche tale l’ultimo motivo di gravame non può essere accolto, risultando corretta la condanna dell’odierna appellante al rimborso per intero delle spese di lite del primo grado di giudizio, in applicazione del principio di causalità che sta a fondamento della regola della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., il quale non viene inficiato dalla minore quantificazione operata dal giudice in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla società opposta.

Al rigetto integrale del gravame consegue, secondo il principio della soccombenza, la condanna dell’appellante I.G. alla rifusione delle spese anche del secondo grado in favore dell’appellata N.E.O., liquidate, per il presente grado, come in dispositivo, secondo criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da I.G. S.r.l. avverso la sentenza n. ______ resa dal Tribunale di Milano in data _____________ e pubblicata il ___________, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

-rigetta l’appello e per l’effetto conferma integralmente la sentenza di primo grado;

-dichiara tenuto e condanna l’appellante I.G. S.r.l. alla rifusione, in favore della società appellata, delle spese di lite da questa sostenute che si liquidano in Euro _________, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e ai competenti oneri fiscali e previdenziali come per legge.

-dà atto della sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiunto dall’art. 1, comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228 e che la parte appellante è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Milano, il 8 giugno 2017.

Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2018.

App_Milano_Sez._IV_Sent.,_14_02_2018

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Opposizione a Precetto e Opposizione Procedimento esecutivo eccessività della somma portata nel precetto

Opposizione a Precetto e Opposizione Procedimento esecutivo eccessività della somma portata nel precetto

Con Sentenza del 10/01/2018 il Tribunale Ordinario Belluno, Sezione Civile, ha stabilito che l’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito.

Tribunale Ordinario Belluno, Sezione Civile, Sentenza del 10/01/2018

ESECUZIONE FORZATA
Opposizione al precetto e all’esecuzione
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI BELLUNO

Il Tribunale di Belluno in composizione monocratica, nella persona del giudice Chiara Sandini, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. __________ R.G. promossa

da

M.D., L.D. E M.M. con l’avv. ________, con domicilio eletto in ________, come da mandato in calce all’atto di citazione

– ATTORE

contro

  1. S.P.A., con l’avv. _________, con domicilio eletto in ____________, come da procura

– CONVENUTA

Oggetto: Opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato a U. s.p.a. in data 11.1.2016 M.D., L.D. e M.M. proponevano opposizione avverso l’atto di precetto notificato nei loro confronti dall’istituto di credito, evidenziando che l’importo per il quale era stato loro intimato il pagamento, pari ad Euro _____, era stato indicato senza tener conto dei pagamenti intervenuti.

Esponevano che, in epoca successiva alla emissione di un decreto ingiuntivo di valore pari ad Euro __________, avevano concluso con la creditrice un accordo transattivo che prevedeva un saldo rateale del debito (doc. 1).

Evidenziavano che erano stati effettuati i seguenti pagamenti:

  1. a) in data _____ era stata pagata la somma di Euro _______;
  2. b) in data ________ era stata pagata la somma di Euro _______;
  3. c) in data ________ era stata pagata la somma di Euro _____;
  4. d) in data _______ era stata pagata la somma di Euro _______.

Gli attori sottolineavano che, a seguito dei predetti pagamenti, U. s.p.a. aveva comunicato di essere creditrice del residuo importo di Euro _______ (v. doc. 6 di parte attrice).

Chiedevano pertanto di accertare l’insussistenza del diritto di U. s.p.a. di agire in esecuzione forzata e di dichiarare l’illegittimità del precetto.

Con comparsa del ______ si costituiva in giudizio U. s.p.a. chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Esponeva la convenuta che, che per un difetto di aggiornamento dei dati inseriti nel sistema di comunicazione telematico utilizzato con i legali esterni, nella comunicazione di incarico ricevuta dalla mandante non risultavano inseriti gli incassi precedenti alla notifica dell’atto di precetto.

Pur condividendo l’affermazione secondo cui il credito residuo ammontava ad Euro ________, evidenziava che l’accordo non novativo prodotto dalla controparte sub doc. 1 doveva intendersi risolto e che la banca aveva pertanto il diritto di agire in esecuzione forzata per il credito residuo.

Con ordinanza pronunciata all’esito della prima udienza veniva sospesa l’efficacia esecutiva in relazione all’importo superiore ad Euro ________, tenuto conto della prova documentale fornita dagli opponenti e del riconoscimento di parte opposta.

La causa è stata ritenuta matura per la decisione sulla base delle risultanze documentali ed all’udienza del ________ le parti hanno precisato le conclusioni nei termini indicati in epigrafe.

Risulta pacifico in causa che, a fronte dei pagamenti intervenuti in epoca antecedente alla notifica dell’atto di precetto, avvenuta il _____, il credito residuo di U. s.p.a. nei confronti degli attori e pari ad Euro _______, oltre ad interessi e spese successivamente maturati.

Tale importo è stato indicato dagli attori nell’atto introduttivo, i quali hanno richiamato la comunicazione dell’________ inviata da U. s.p.a. e prodotta sub doc. 6.

  1. s.p.a., dal canto suo, ha riconosciuto nella comparsa di costituzione e risposta che l’importo residuo era pari alla cifra indicata.

Va pertanto dichiarata la nullità parziale del precetto nella parte in cui, in relazione al credito vantato da U. nei confronti degli odierni opponenti, non tenendo conto dei pagamenti successivamente intervenuti, ha intimato il pagamento di una somma superiore al dovuto.

Va in ogni caso riconosciuto il diritto di parte convenuta di agire in esecuzione forzata nei confronti di D.M., D.L. e M.M. limitatamente al residuo importo di Euro _______, comprensivo di capitale e interessi sino all’_______, oltre ad interessi e spese successivi, non oggetto di specifica discussione nel presente giudizio.

Come osservato da consolidata giurisprudenza, infatti, “l’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito” (Cass. 19.12.2014 n. 27032).

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate, nella misura indicata in dispositivo, secondo i valori medi del D.M. n. 55 del 2014.

Le spese di lite vanno in particolare poste a carico della convenuta tenuto conto del fatto che l’importo precettato, a fronte di pagamenti eseguiti in epoca anteriore alla notifica del precetto, è risultato di molto superiore a quello dovuto.

P.Q.M.

Il Tribunale di Belluno, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, domanda ed eccezioni disattese:

1) dichiara la nullità parziale del precetto nella parte in cui ha intimato il pagamento di importi già corrisposti dagli odierni opponenti e accerta il diritto di U. s.p.a. di agire in esecuzione forzata nei confronti degli attori limitatamente all’importo di Euro ________, comprensivo di capitale e interessi sino all’_______, oltre ad interessi e spese successivi;

2) condanna parte convenuta al pagamento delle spese di lite in favore di parte attrice che si liquidano nell’importo di Euro _____ per compensi – di cui Euro ______ per la fase di studio, Euro _____ per la fase introduttiva ed Euro _____ per la fase decisionale – ed Euro _____ per spese, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Belluno, il 30 dicembre 2017.

Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2018.

Trib_Belluno_Sent_10_01_2018

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Onere della prova nel Giudizio di Opposizione a decreto ingiuntivo

 Onere della prova nel Giudizio di Opposizione a decreto ingiuntivo

Con sentenza del 31 gennaio 2018 il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII civile, in tema di onere della prova nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha stabilito che grava su chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, parte opposta deve dimostrare gli elementi costitutivi del credito azionata in sede sommaria, mentre l’opponente ha l’onere di contestarlo allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda.

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 31/01/2018

Procedimento in Opposizione a decreto ingiuntivo

PROVA IN GENERE IN MATERIA CIVILE
Onere della prova
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di ROMA

Diciassettesima sezione civile (già nona)

in persona del giudice dott.ssa Stefania Garrisi e in composizione monocratica, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. ______ del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2012 proposta da:

N.M. SRL, con gli avv.ti ____________________ e _____________

OPPONENTE

E

T.I. SPA con l’avv. ____________________

OPPOSTA

OGGETTO: opposizione al decreto ingiuntivo n. _____  emesso dal Tribunale di Roma il ______ e ritualmente notificato

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con atto di citazione regolarmente notificato la N.M. SRL conveniva, innanzi a questo Tribunale, la T.I. SPA, per ottenere la revoca del decreto ingiuntivo in oggetto indicato, con cui le veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro ___________ oltre interessi e spese.

Si costituiva in giudizio la T.I. SPA che resisteva nel merito alla domanda attrice chiedendone il rigetto.

Con ordinanza riservata del _____________ veniva denegata la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto e venivano assegnati i termini ex art. 183 c.p.c.

Senza attività istruttoria la causa, all’udienza del _________, veniva trattenuta per la decisione con l’assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

  1. Ferma la procedibilità della domanda come attestato dall’istanza inviata dall’opposta al Corecom competente, la pretesa monitoria azionata trae origine dalle fatture insolute per consumi derivanti dal servizio di telefonia reso alla società odierna opponente.

Con l’opposizione proposta lamenta la società l’errata contabilizzazione dei consumi addebitati.

  1. Nel merito, l’opposizione è fondata e il decreto ingiuntivo va pertanto revocato.

Come noto, l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che si atteggia quale attore da un punto di vista sostanziale.

Ne consegue che la regola di ripartizione dell’onere della prova, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2967 c.c., si atteggia in modo tale per cui la prova del fatto costitutivo del credito incombe sul creditore opposto che fa valere un diritto in giudizio ed ha quindi il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa mentre il debitore opponente da parte sua dovrà fornire la prova degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto del credito (cfr. ex multiis, Cassazione civile, sez. I, 31 maggio 2007, n. 12765; Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005 n. 24815; Cassazione civile, sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2421): se solleva delle eccezioni volte a paralizzare la pretesa creditoria dell’opposto dovrà fornire la prova delle eccezioni sollevate.

La recente giurisprudenza di merito ha ribadito che “In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di provare la fondatezza di tale domanda incombe sul convenuto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto attore sostanziale (nel caso in esame la società opposta non ha fornito la prova della sussistenza del diritto di credito vantato)” (cfr. Tribunale Roma, sez. X, 22/01/2015, n. 1434) e che “In tema di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in tema di onere della prova grava a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, parte opposta deve dimostrare gli elementi costitutivi del credito azionata in sede sommaria, mentre l’opponente ha l’onere di contestarlo allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda” (cfr. Tribunale Arezzo, 11/01/2017, n. 34).

Come già sottolineato dall’ordinanza che ha denegato la provvisoria esecuzione, in questa materia e in caso di contestazione la Suprema Corte ha statuito, con orientamento ormai consolidato e da ultimo confermato che, in caso di contestazione, costituisce onere della società esercente il servizio di telefonia offrire la prova dell’affidabilità dei valori registrati da contatori funzionanti.

In particolare, “In tema di contratto di abbonamento telefonico, deve presumersi, in difetto di contestazione da parte dell’utente, il buon funzionamento del sistema di rilevazione del traffico mediante i contatori centrali delle società telefoniche, le cui risultanze fanno piena prova dei relativi addebiti, mentre, in caso di contestazione, costituisce onere della società esercente il servizio di telefonia offrire la prova dell’affidabilità dei valori registrati da contatori funzionanti; in ogni caso, l’utente è ammesso a provare che non gli sono addebitabili gli scatti risultanti dalla corretta lettura del contatore funzionante, ma a tale scopo dovrà allegare circostanze che univocamente autorizzino a presumere una utilizzazione esterna della linea nel periodo al quale gli addebiti si riferiscono, consentendo di escludere che soggetti diversi dal titolare dell’utenza, ma in grado di accedere ad essa, ne abbiano fatto uso per ragioni ricollegabili ad un difetto di vigilanza da parte dell’intestatario, ovvero alla mancata adozione di possibili cautele da parte del medesimo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che, nel periodo cui si riferivano gli addebiti contestati, l’utente non svolgesse più la sua attività professionale nell’immobile servito dalla relativa linea telefonica) (cfr. Cassazione civile, sez. III, 16/05/2017, n. 12003).

Nel caso di specie l’opposta, che aveva visto il diniego di provvisoria esecuzione proprio per la mancanza di tale prova, non ha colmato la lacuna probatoria nel corso del procedimento, non richiedendo neanche, con la memoria istruttoria, di provare quanto costituiva oggetto di suo preciso onere ex art. 2697 c.c.

Il mancato riscontro probatorio alla richiesta creditoria dell’opposta determina quindi l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo emesso.

La condanna alle spese del procedimento, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede:

– accoglie l’opposizione proposta da N.M. SRL e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. _________ emesso dal Tribunale di Roma il ___________;

– condanna T.I. SPA alla rifusione delle spese di giudizio sostenute da N.M. SRL che liquida in complessivi Euro ________ per compenso professionale, oltre Euro 338,00 per spese e oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2018.

Trib_Roma_Sez_XVII_Sent_31_01_2018

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Ingiunzione di pagamento richiesta dal lavoratore per la corresponsione delle somme ad esso dovute

 Ingiunzione di pagamento richiesta dal lavoratore per la corresponsione delle somme ad esso dovute

Con sentenza del 6 febbraio 2018 il Tribunale Ordinario di Catania, Sezione lavoro, in materia di Ingiunzione di pagamento richiesta dal lavoratore, ha stabilito che la ditta non ha una sua soggettività giuridica distinta da quella del suo titolare persona fisica, ovvero l’imprenditore individuale e, trattandosi di una impresa individuale, il datore di lavoro non può che coincidere con la persona alle cui dipendenze la prestazione è stata svolta, mentre la ditta è soltanto un elemento distintivo dell’impresa. Di talché la ditta non può essere destinataria dell’ingiunzione di pagamento richiesta dal lavoratore al fine di ottenere la corresponsione delle somme ad esso dovute.

Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, Sentenza del 06/02/2018

PROCEDIMENTO
Opposizione a Decreto ingiuntivo

PROVA IN GENERE IN MATERIA CIVILE
Onere della prova

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI CATANIA

Sezione Lavoro

In persona del giudice unico, dott.ssa Patrizia Mirenda, in funzione di giudice del lavoro, dando pubblica lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, all’udienza del 6 febbraio 2018, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. ________

promossa da:

M.A.G., titolare della ditta individuale S.C., rappresentata e difesa, per procura rilasciata a margine del ricorso, dall’avvocato ____________________;

-opponente-

contro

N.R. nato a C. il (…), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall’avvocato _______________;

-opposto-

avente ad oggetto: opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. ___________

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’opposizione è in parte fondata e, atteso il dimostrato fatto estintivo del pagamento di parte della somma ingiunta, il decreto ingiunto deve essere revocato e l’opponente deve essere condannata a pagare in favore di N.R. la minore somma, rispetto a quella ingiunta, di Euro ________.

Prima di esplicitare le ragioni della decisione conviene premettere quanto segue.

Su ricorso per decreto ingiuntivo proposto da N.R., che aveva lavorato alle dipendenze di M.A.G., titolare della ditta individuale S.C., dal 19 novembre 2004, quale commesso inquadrato nel quarto livello del CCNL, fino al 31 luglio 2012, allorché il rapporto di lavoro era cessato, ed aveva lamentato che la datrice di lavoro non gli aveva corrisposto il trattamento di fine rapporto, il Tribunale di Catania, giudice del lavoro, ingiungeva a M.A.G. di pagare in favore del lavoratore la somma di Euro ______ oltre rivalutazione monetaria ed interessi come per legge ed oltre le spese del procedimento monitorio liquidate in misura pari ad Euro ________.

Avverso il decreto ingiuntivo proponeva tempestiva opposizione M.A.G..

Deduceva l’opponente che il decreto ingiuntivo fosse nullo in quanto l’ingiunzione era stata emessa nei confronti di un soggetto diverso dal datore di lavoro, cioè nei confronti di M.A.G. laddove la datrice di lavoro era la ditta S.C..

Eccepiva l’estinzione per pagamento dell’obbligazione avente ad oggetto il trattamento di fine rapporto per effetto di alcuni versamenti effettuati tra febbraio e settembre del 2012; in proposito deduceva che i detti pagamenti risultavano dalla documentazione che allegava al ricorso in opposizione e precisava che, in tanto erano stati effettuati quei pagamenti in acconto sul TFR, in quanto l’opposto aveva manifestato a N.G., suo fratello e marito di essa opponente, l’intenzione di intraprendere una nuova attività, sicché gli erano state versate sia le somme risultanti dalla menzionata documentazione che altre somme in contanti.

Sosteneva che la documentazione posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo non fosse dotata di efficacia probatoria.

Instava per la revoca del decreto ingiuntivo.

Resisteva in giudizio il ricorrente in senso sostanziale spiegando ampie difese volte al rigetto del ricorso ed evidenziando che i pagamenti addotti da parte opponente non erano altro che il rimborso in suo favore disposto dopo che egli aveva con assegni corrisposto ai fornitori il prezzo della merce; era prassi infatti che la datrice di lavoro e il marito della stessa, fratello di esso opposto, gli chiedessero di eseguire alcuni pagamenti ai fornitori per conto della ditta. Aggiungeva poi che l’importo di Euro _____ che figurava nell’estratto conto prodotto dall’opponente rappresentava l’importo che egli aveva corrisposto per conto della parte datoriale all’autofficina presso la quale aveva portato l’autovettura della detta parte, mentre quanto al versamento mediante bonifico di Euro _____ recante la causale in conto liquidazione sosteneva che lo stesso era da riferirsi a retribuzione ancora dovuta e non al trattamento di fine rapporto.

Istruita la causa mediante l’interrogatorio formale dell’opponente e l’escussione di tre testi, la stessa all’udienza odierna veniva decisa con la presente sentenza con motivazione contestuale.

Tanto premesso e venendo alle ragioni della decisione, va preliminarmente disattesa l’eccezione di nullità del decreto ingiuntivo per essere stato emesso nei confronti di soggetto diverso dalla effettiva datrice di lavoro.

Assume parte opponente, muovendo dall’erronea prospettazione secondo cui la ditta avrebbe una sua soggettività giuridica, distinta da quella dell’imprenditore individuale che esercita la relativa attività valendosi della ditta, di non essere legittimata passivamente rispetto alla pretesa fatta valere da N.R. per essere questi dipendente della ditta e non della persona fisica nei cui confronti è stata emessa l’ingiunzione.

L’assunto è privo di fondamento; la ditta non ha alcuna soggettività giuridica distinta da quella del suo titolare persona fisica e il datore di lavoro, trattandosi di una impresa individuale, non può che coincidere con la persona alle cui dipendenze la prestazione è stata svolta, mentre la ditta è soltanto un elemento distintivo dell’impresa. Il decreto ingiuntivo dunque non poteva essere chiesto ed emesso nei confronti di alcun altro se non della persona fisica datrice di lavoro, la ditta non avendo alcun soggettività giuridica.

Tanto premesso osserva il decidente che -alla luce dell’ordinaria ripartizione del peso dell’onere probatorio- spetta al datore di lavoro fornire la prova del fatto estintivo dell’obbligazione, ossia dell’avvenuto pagamento. Ed infatti, in tema di obbligazioni contrattuali le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n.13533/2001) hanno affermato che -fatto salvo il caso delle obbligazioni negative- è onere del creditore provare il titolo contrattuale e limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte. Spetta, invece, al debitore fornire la prova dell’eventuale fatto estintivo o modificativo del debito; ciò in ragione della presunzione di persistenza del diritto posto alla base dell’art. 2697 comma 2 c.c. ed in ragione del criterio di riferibilità o vicinanza della prova, fondato sulla constatazione logica che è più agevole per il debitore fornire la prova del fatto positivo dell’avvenuto adempimento parziale o totale piuttosto che per il creditore fornire la prova di un fatto negativo qual è l’inadempimento.

Ciò posto, pare opportuno evidenziare, alla stregua di una considerazione di carattere generale in ordine alle peculiarità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che, poiché il creditore opposto ha il potere di indicare e produrre nuove prove ad integrazione di quelle già poste a fondamento del ricorso proposto per ottenere il decreto ingiuntivo, il giudice dell’opposizione non valuta più soltanto la sussistenza delle condizioni di legge e, in particolare, l’efficacia probatoria dei documenti per l’emanazione del decreto ingiuntivo, ma l’intero materiale probatorio acquisito nella causa in guisa che l’eventuale accertamento positivo dell’esistenza del credito travolge, superandole, le eventuali insufficienze o lacune della prova offerta nella fase monitoria.

Risolvendosi il processo di opposizione a decreto ingiuntivo in un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione, nel cui ambito la richiesta di conferma del decreto ingiuntivo importa quella di condanna al pagamento del credito, “esso riguarda non solo le condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio, ma anche la fondatezza della domanda sul merito della quale il giudice deve comunque pronunciarsi, nel senso che deve accoglierla o rigettarla secondo che ritenga o non provato il credito dedotto e ciò indipendentemente dalla sufficienza, validità o regolarità degli elementi in ragione dei quali quel decreto sia stato emesso” (cfr. Cass. n. 7036/1999 e, ancora, ex plurimis, Cass. nn. 475/1985; 3783/1985; 7777/1987; 297/1992; 10169/1997).

Nella specie, invero, contrariamente a quanto sostenuto da parte opponente, già a fondamento del decreto ingiuntivo, richiesto sulla scorta del CUD 2013 relativo all’anno 2012, è stata posta documentazione proveniente dalla società datrice di lavoro idonea a fornire prova scritta del credito anche in questa fase a cognizione piena.

A fronte della documentazione già allegata al ricorso per decreto ingiuntivo (modello CUD) la società opponente non ha seriamente messo in discussione la valenza probatoria di tale documentazione dalla stessa proveniente in ordine alla esistenza del credito nella misura che nel detto documento trova riscontro. Ha invece eccepito, senza contestare specificamente l’importo risultante dalla detta documentazione, il fatto estintivo del pagamento, sia invocando gli accrediti che risultano essere stati effettuati in favore del ricorrente in senso sostanziale e che figurano nell’estratto conto bancario e nella ricevuta di un bonifico allegati al ricorso in opposizione, sia invocando la corresponsione di denaro in contanti.

Non ammesse le prove orali dedotte da parte opponente volte a dar conto di pagamenti in contanti effettuati a titolo di trattamento di fine rapporto a cagione della loro genericità, deve innanzitutto rilevarsi come, dal riscontro con l’estratto conto dell’opposto, gli accrediti risultanti dall’estratto conto allegato al ricorso in opposizione effettuati in favore di N.R. risultano avere causali estranee rispetto a quelle che ci si sarebbe attesi ove si fosse trattato di anticipazioni sul TFR.

Gli accrediti in questione risultano infatti sorretti da causali quali “acconto retribuzione”, “acconto stipendio” o “arretrati stipendio”.

Ebbene, in relazione a tali pagamenti l’opposto ha, ad ogni modo, dimostrato che la causale degli stessi era da ricondursi ad anticipazioni da questi fatte in favore della datrice di lavoro (coniuge del fratello N.G.); risultano, infatti, allegati alla memoria difensiva degli assegni emessi da N.G. aventi quali destinatari soggetti che i testi escussi hanno riconosciuto essere fornitori della ditta o comunque autotrasportatori di cui la ditta si valeva. È risultato altresì provato dall’istruttoria svolta, e del resto non è stato neanche contestato che l’autovettura descritta in memoria sia quella nella disponibilità della opponente, che sia stato l’opposto a farla riparare presso l’autofficina versando il corrispettivo richiesto per la riparazione di Euro 350,00, importo corrispondente a quello che figura nell’estratto conto prodotto in uno al ricorso in opposizione per comprovare l’assunto della corresponsione di acconto sul TFR.

Quanto fin qui osservato, ovvero che le causali dei versamenti in questione non recano alcun riferimento al TFR, figurando piuttosto quali retribuzione ed anzi essendo emerso che si trattasse di versamenti riferibili a causali estranee al rapporto di lavoro, induce ad escludere la valenza estintiva dei pagamenti documentati dall’estratto conto allegato al ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo; del resto il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto sorge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, laddove i pagamenti che figurano nel detto estratto conto siccome effettuati in favore di N.R. da parte della opponente datrice di lavoro sono tutti precedenti la cessazione del rapporto di lavoro, ad eccezione di uno di essi: quello di Euro _____________ che figura nell’estratto conto prodotto dall’opponente come effettuato in data 18 settembre 2012. Esso corrisponde a quello di cui alla ricevuta del bonifico avente causale “in conto liquidazione” (cfr. all. 5 al ricorso in opposizione).

Ora in proposito parte opposta ha dedotto che quel versamento era da riferire al saldo della retribuzione ancora dovuta e non al trattamento di fine rapporto.

A fronte della imputazione operata dalla parte debitrice incombeva sull’opposto fornire la prova dell’esistenza di un debito più risalente cui imputare quel pagamento effettuato “in conto liquidazione”, cioè, nessun altro significato sembrando potersi attribuire all’espressione usata, in acconto sul trattamento di fine rapporto. Sul punto invece l’opposto ha apoditticamente riferito che si trattava del saldo della retribuzione ancora dovuta, senza altro specificare in ordine alla esistenza, il 18 settembre 2012, di un diverso e più risalente credito nei confronti della datrice di lavoro tale da giustificare la diversa imputazione prospettata.

La circostanza dell’avvenuto pagamento della somma di Euro _______ a titolo di acconto sul TFR comporta la revoca del decreto ingiuntivo opposto e la condanna dell’opponente al pagamento dell’importo residuo.

Sul punto le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7448/1993, componendo un contrasto di giurisprudenza, hanno affermato il principio secondo il quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (che, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione) il giudice, qualora riconosca fondata, anche solo parzialmente, l’eccezione di pagamento formulata dall’opponente con l’atto di opposizione o nel corso del giudizio, deve revocare in toto il decreto opposto, senza che rilevi, in contrario, l’eventuale posteriorità dell’accertato fatto estintivo rispetto al momento dell’emissione del d.i., sostituendosi la sentenza di condanna al pagamento dei residui importi del credito all’originario decreto ingiuntivo (cfr. anche Cass. Civ. n. 1657/2004 e da ultimo Cass. 2404/2016).

Occorre, dunque, revocare il decreto ingiuntivo emesso dal giudice del Tribunale di Catania e condannare M.G.A. al pagamento, in favore di N.R. di Euro _________ oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione del credito fino al soddisfo.

Le spese di lite, comprese quelle della fase monitoria, risultata fondata ma non integralmente la pretesa creditoria, vanno poste a carico di M.A.G. nella misura di 4/5 e compensate quanto al restante quinto.

Esse, liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, stante l’ammissione della parte opposta al beneficio del patrocinio a spese dello Stato devono essere corrisposte, dimezzate ai sensi dell’articolo 130 D.P.R. n. 115 del 2002, a favore dell’Erario ai sensi dell’articolo 133 del DPR cit.

P.Q.M.

Il Tribunale di Catania, in persona del giudice unico, dott.ssa Patrizia Mirenda, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. _____ R.G., disattese ogni ulteriore domanda, eccezione e difesa, così statuisce:

In parziale accoglimento dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo numero _____ emesso il _____ dal Tribunale di Catania in funzione di giudice del lavoro e condanna M.A.G. a corrispondere in favore di N.R. la somma di Euro __________ oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge.

Condanna M.A.G. a corrispondere in favore dell’Erario le spese di lite, sia della fase monitoria che della fase di merito, nella misura di 4/5 che, per tale frazione e dimezzate ai sensi dell’articolo 130 D.P.R. n. 115 del 2002, liquida in complessivi Euro _______, oltre rimborso spese generali al 15% CPA e IVA come per legge. Compensa il restante quinto delle spese.

Così deciso in Catania, il 6 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2018.

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Il termine per la proposizione del riesame del Decreto ingiuntivo europeo

Il termine per la proposizione del riesame del Decreto ingiuntivo europeo

La Cassazione Civile, Sezioni Unite con la sentenza del n. 7075 del 20/03/2017, in tema di ingiunzione di pagamento europea, ha stabilito che il termine per la proposizione del riesame, nei casi di cui all’art. 20, comma 1, del Reg. CE n. 1896 del 2006, si identifica in quelli desumibili dall’art. 650 c.p.c., quale disposizione che disciplina il relativo procedimento in Italia, sicché esso va individuato nel termine previsto dall’ordinamento italiano per l’opposizione tempestiva a decreto ingiuntivo, qualora non sia iniziata l’esecuzione, ovvero, quale termine finale, in quello di cui al terzo comma del cit. art. 650, quando l’esecuzione sia iniziata.

Cassazione Civile Sezioni Unite, Sentenza del 20/03/2017, n. 7075

COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE
Giurisdizione

INGIUNZIONE (PROCEDIMENTO PER)
Opposizione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16221/2015 proposto da:

FUTURA IMMOBILIEN GMBH, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in _____________, VIA ____________________________, presso lo studio dell’avvocato ___________, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati _________________________, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P., elettivamente domiciliato in _______, VIALE ___________, presso lo studio dell’avvocato _________, rappresentato e difeso dagli avvocati ___________________, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 724/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 16/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

uditi gli avvocati ____________________________;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso, in subordine rilievo delle questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia.

Svolgimento del processo

  1. Futura Immobilien GmbH ha proposto ricorso per cassazione contro M.P. avverso la sentenza del 16 dicembre 2014, con la quale la Corte d’Appello di Trieste ha rigettato il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Udine dell’8 marzo 2012.

Con quella sentenza era stata dichiarata inammissibile la richiesta di riesame, proposta da essa ricorrente ai sensi dell’art. 20 del Regolamento CE n. 1896 del 2006, con riferimento all’ingiunzione di pagamento Europea (in prosieguo: IPE), richiesta al Tribunale di Udine dal M. ed ottenuta il 22 ottobre 2010 per l’importo complessivo di Euro 138.012,43. Somma asseritamente dovuta dalla ricorrente, quale corrispettivo per una prestazione d’opera professionale, consistita nella progettazione relativa alla costruzione di un edificio realizzato nella Repubblica Federale Austriaca e precisamente in (OMISSIS).

  1. Come ragioni giustificative della richiesta di riesame la Futura Immobilien GmbH aveva dedotto la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo per la mancata individuazione della sede legale della convenuta e per non essere stata rispettata la disciplina relativa alla notificazione all’estero dell’IPE, la nullità e/o inesistenza della notificazione sotto altri profili, ed inoltre il difetto di giurisdizione del giudice italiano sotto vari profili.
  2. Il Tribunale di Udine, nella costituzione del M., dichiarava inammissibile la richiesta di riesame, reputandola tardiva. Tanto perché alla sua proposizione trovava applicazione l’art. 650 c.p.c.ed essa risultava introdotta oltre il termine previsto da tale norma.
  3. La Corte territoriale, nella sentenza impugnata, ha ribadito la valutazione di inammissibilità del riesame per tardività, condividendo la tesi dell’applicabilità di quel termine.
  4. Al ricorso per cassazione, che è affidato a sei motivi, il quinto dei quali inerisce a difetto di giurisdizione del giudice italiano, ha resistito con controricorso l’intimato.
  5. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame dell’eccezione relativa alla nullità della notifica per mancata individuazione della sede legale di Futura Immobilien GmbH”.

Vi si lamenta che la sentenza impugnata avrebbe omesso qualsiasi decisione sulla questione, relativa all’essere stata la notificazione dell’IPE effettuata presso un indirizzo non corrispondente alla sede legale della società ricorrente, e vi si assume espressamente di voler riproporre la questione.

1.2. Il secondo motivo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame dell’eccezione relativa alla nullità della notifica per mancato rispetto della disciplina sulla notifica all’estero – mancata traduzione dell’atto”, dolendosi – pur con espressa affermazione che la questione sarebbe stata ritenuta assorbita – che la sentenza impugnata nulla abbia detto sulla nullità della notificazione dell’IPE, in quanto avvenuta in lingua italiana.

1.3. Il terzo motivo, anch’esso parametrato all’art. 360 c.p.c., n. 5, fa valere “omesso esame dell’eccezione relativa alla inesistenza/nullità della notifica per carenza e/o deficienza della relazione di notifica” e nuovamente dichiara di voler riproporre tale questione, che viene prospettata adducendo che la relazione di notificazione non sarebbe stata tradotta in lingua tedesca ed avrebbe presentato deficienze, avendo identificato l’atto solo come “ricorso per emissione di decreto ingiuntivo Europeo”.

1.4. Nel quarto motivo, dedotto in via subordinata rispetto ai precedenti, pur dichiarandosi espressamente che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul punto per avere ritenuto decisiva la questione della tardività della richiesta di riesame, si prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle norme sulla notificazione dell’IPE, di cui agli artt. 13 e 14 e ss. del Regolamento CE n. 1896 del 2006, in quanto discendente dai fatti di cui nei motivi precedenti si è lamentato l’omesso esame.

1.5. Il quinto motivo deduce testualmente, ai sensi del n. 1 dell’art. 360 c.p.c., “difetto di giurisdizione – legge austriaca applicabile – prescrizione”, ma non vi si sostiene alcunché in punto di prescrizione, bensì vi si argomentano ragioni che, a dire della ricorrente, escludevano che l’IPE potesse essere emessa dal giudice italiano alla stregua del Regolamento CE del Consiglio n. 44 del 2001 e in base alla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, in quanto richiamata dalla L. n. 218 del 1995, art. 57.

1.6. Con il sesto motivo, in fine, si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del Regolamento CE n. 1896/2006 in relazione all’art. 650 c.p.c. ” e questa volta si impugna l’effettiva ratio decidendi della sentenza della corte triestina, svolgendo la tesi che non doveva applicarsi il termine di cui all’art. 650 c.p.c..

  1. I primi cinque motivi sono inammissibili, in quanto pongono questioni sulle quali la Corte territoriale non ha deciso, avendo ritenuto di condividere la decisione di primo grado riguardo al punto preliminare dell’inammissibilità della richiesta di riesame per la tardività della sua proposizione.

Ciò, ha comportato, come del resto afferma la stessa sentenza impugnata (e come, peraltro, la stessa ricorrente dice nell’illustrare il secondo ed il quarto motivo), il loro assorbimento.

La decisione su dette questioni sarebbe stata possibile solo se il giudice d’appello avesse accolto l’appello ed avesse ritenuto ammissibile la richiesta di riesame.

Tanto vale anche riguardo al quinto motivo, che pone la questione di giurisdizione e che ha giustificato la rimessione del ricorso all’esame delle Sezioni Unite, giacché quella questione era stata dedotta come ragione di ingiustizia dell’IPE e come tale sarebbe stata scrutinabile solo se la richiesta di riesame fosse stata ammissibile.

2.1. Peraltro, con specifico riferimento al quinto motivo, si deve rilevare che, quando pure in questa sede si dovesse reputare erronea la valutazione di inammissibilità della richiesta di riesame, assumerebbe rilievo il fatto che l’ipotetica circostanza che l’IPE sia stata emessa da un giudice carente di giurisdizione non rappresenterebbe – come ha ritenuto, di recente, questa Corte (Cass., Sez. Un. n. 10799 del 2015) una ragione deducibile con la richiesta di riesame ed in particolare (non essendo nemmeno astrattamente riconducibile al paradigma del comma 1 dell’art. 20 del Regolamento) ai sensi del comma 2 di tale norma.

  1. L’unico motivo di ricorso esaminabile è, dunque, il sesto ed è infondato, in quanto è da ritenere corretta la tesi, che entrambi i giudici di merito hanno fatto propria, cioè quella che la richiesta di riesame ai sensi dell’art. 20 del Regolamento n. 1896 del 2006, nel caso di specie, dovesse ritenersi soggetta al termine di cui all’art. 650 c.p.c., nella specie non rispettato.

Questa tesi è stata sostenuta dalla corte territoriale muovendo dalla premessa che il regolamento comunitario, con il suo art. 20, ammette il riesame “in casi eccezionali” e purché la parte “agisca tempestivamente”, ma non prevede un termine, a differenza di quello di trenta giorni, indicato dall’art. 16, comma 2, per l’opposizione, per così dire, “ordinaria” all’ingiunzione, il quale, del resto, secondo la corte giuliana non potrebbe ritenersi applicabile al riesame, perché una simile conclusione sarebbe impedita dal principio per cui ubi lex voluit dixit.

Sulla base di tale premessa, la corte giuliana: a) ha rilevato che “nel dubbio, per fornire una soluzione che dia certezza del diritto, non può che ricorrersi all’art. 26 del regolamento, secondo il quale “tutte le questioni procedurali non trattate specificamente dal presente regolamento sono disciplinate dal diritto nazionale”, nonché all’art. 29, che affida agli Stati membri la regolazione del procedimento di riesame.”; b) ha, conseguentemente, ritenuto applicabile il termine di cui all’art. 650 c.p.c. e, pur concedendo che “si tratta di un termine assai ristretto, dati gli ostacoli logistici e linguistici nel caso di ingiunzione Europea”, ha concluso che si tratterebbe di un termine applicabile ad un mezzo di tutela, il riesame, ammesso in casi eccezionali ed ha soggiunto che esso sarebbe l’unico che garantirebbe “coerenza e certezza al sistema”.

3.1. Mette conto di rilevare che la motivazione espressa dalla corte territoriale, peraltro, non chiarisce expressis verbis se essa abbia inteso riferire l’applicabilità del termine di cui all’art. 650 c.p.c. alla richiesta di riesame, tanto nelle ipotesi di cui al comma 1 quanto nelle ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 20.

3.2. Inoltre, dalla lettura della motivazione non emerge alcuna individuazione dell’atto che avrebbe segnato il dies a quo del termine di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3, ma è chiaro che la corte territoriale ha ritenuto che un atto di quel genere, cioè un primo atto di esecuzione, vi fosse stato e, naturalmente, che vi fosse stato nell’ordinamento austriaco.

  1. La critica alla tesi della sentenza impugnata è stata svolta dalla ricorrente con i seguenti argomenti:
  2. aa) l’applicazione del termine di cui all’art. 650 c.p.c.sulla base dell’art. 26 del Regolamento e, quindi, il dare rilevanza al termine di dieci giorni dall’inizio dell’esecuzione forzata, che nella specie aveva avuto corso presso il Tribunale di Innsbruck con deposito di una Executionsantrag, si sarebbe concretata in una soluzione, che non avrebbe considerato le marcate differenze fra la legislazione austriaca e quella italiana, in punto di attività prodromica dell’inizio dell’esecuzione forzata;
  3. bb) tali differenze sarebbero date dal fatto che, mentre il nostro ordinamento prevede che, per iniziare l’esecuzione forzata, è necessario notificare al debitore, oltre al titolo esecutivo, anche l’atto di precetto, il che consentirebbe al medesimo di avere “un’ulteriore possibilità di conoscenza della volontà esecutiva del creditore”, viceversa la legge austriaca sull’esecuzione (ExeKutionsordnung) non contemplerebbe “atti similari al nostro atto di precetto ed il procedimento esecutivo austriaco” sarebbe “profondamente diverso da quello italiano”, giacché in Austria, a seguito della richiesta del creditore di autorizzazione all’esecuzione (Executionsantrag), di cui non si deve dare avviso al debitore, il Giudice autorizza l’esecuzione con un’ordinanza, che viene successivamente comunicata al debitore, di modo che è solo con tale notifica che costui viene a conoscenza dell’esecuzione;
  4. cc) che, anche avuto riguardo al principio affermato da Cass. n. 12155 del 1995 (erroneamente attribuita alle Sezioni Unite), circa l’identificazione, agli effetti del decorso del termine di cui all’art. 650 c.p.c., dal “primo atto esecutivo”, inteso come atto “normalmente percepito e conosciuto dal debitore, (che) lo immette nell’effettiva condizione di valersi dell’indicato rimedio”, l’Executionsantrag non potrebbe essere identificato come tale, atteso che esso non viene notificato al debitore, onde soltanto la notifica dell’ordinanza giudiciale potrebbe meritare quella identificazione;
  5. dd) la controparte avrebbe “confessato” (sic), come emergerebbe da una dichiarazione del legale del suo legale, indicata come doc. 10, che l’ordinanza del Tribunale di Innsbruck, autorizzativa dell’esecuzione era stata notificata il 17 maggio 2011, ma, a prescindere dal rilievo che con detta dichiarazione non avrebbe assolto all’onere di provare tale circostanza, in ogni caso bene si evidenzierebbe che la ricorrente avrebbe comunque avuto, anche a partire da quella data, un brevissimo lasso di tempo per reagire rispetto al momento del deposito del ricorso per riesame, avvenuto il 31 maggio 2011, e ciò tanto più perché all’ordinanza austriaca il titolo non era allegato e la conoscenza di esso si era potuta acquisire “solo a seguito di specifiche ricerche all’interno dei competenti uffici giudiziari”, tenuto che l’ordinamento austriaco non prevede né la previa notifica del titolo esecutivo né quella del precetto.

4.1. Per tali ragioni la scelta esegetica della corte territoriale sarebbe stata, ad avviso della ricorrente, erronea, ed inoltre si sarebbe risolta nell’attribuire al cittadino straniero oneri maggiori e più gravosi di quelli a carico di un cittadino italiano, con conseguente violazione del diritto di difesa.

Se ne fa derivare che il rinvio alla legge nazionale, di cui all’art. 26 citato, evocato dalla corte giuliana, dovrebbe essere inteso solo come relativo al rito ed alla procedura di cui all’art. 650 c.p.c. e non anche al termine da quella norma previsto.

Si sottolinea che nel breve termine di cui all’art. 650 c.p.c. la ricorrente, senza avere avuto conoscenza del titolo per la nullità e irregolarità della sua notifica e senza avere avuto conoscenza della Executionsantrag, si sarebbe dovuta attivare, una volta ricevuta l’ordinanza di suo accoglimento da parte del giudice austriaco, per far tradurre il titolo esecutivo dall’italiano e rivolgersi ad un legale in Austria, il quale a sua volta si sarebbe dovuto rivolgere ad un collega italiano, per la redazione ed il deposito della richiesta di riesame.

Sulla base di tali argomenti si sostiene che sarebbe allora più corretto individuare il termine in trenta giorni, come per l’ordinaria opposizione all’ingiunzione.

4.2. E’ opportuno rilevare che nemmeno la ricorrente precisa se la sua prospettazione riguardi oppure no tutte le ipotesi di riesame, cioè sia quelle di cui al comma 1, sia quelle di cui al comma 2.

4.3. Inoltre, è necessario osservare che parte ricorrente ragiona del termine di cui all’art. 650 c.p.c. con esclusivo riferimento a quello di cui al terzo comma della norma, senza considerare che quella norma, in realtà, non lo prevede come unico termine per l’opposizione tardiva, ma lo considera solo come il termine ultimo, di chiusura, che opera qualora non debba invece operare il termine nella misura prevista per la proposizione dell’opposizione in via ordinaria.

Tale termine, invece, a norma della previsione dettata dal primo comma della norma in via implicita, opera, allorquando la conoscenza del decreto – per irregolarità della notificazione, per caso fortuito o per forza maggiore – non sia stata acquisita dall’ingiunto in un momento utile per proporre l’opposizione tempestivamente, cioè nel termine apparentemente decorso dalla notificazione, in modo da poterne beneficiare interamente in quanto decorrente da essa, ma, tuttavia, sia stata acquisita successivamente a quel momento e ciò indipendentemente dall’inizio dell’esecuzione.

In questo caso, cioè se un’esecuzione no sia iniziata, l’opposizione – fermo il presupposto legittimante – deve essere proposta nell’osservanza del termine ordinariamente previsto e non in quello ridotto di cui al terzo comma, con la sola particolarità che esso decorre dal momento della effettiva conoscenza del decreto.

Il termine di cui all’art. 650, comma 3, invece, opera allorquando l’ingiunto abbia acquisito conoscenza dell’ingiunzione esclusivamente a seguito del compimento del primo atto di esecuzione.

Per riferimenti al riguardo si vedano Cass., Sez. Un., n. 9938 del 2005, Cass., Sez. Un., n. 14572 del 2007, nonché, da ultimo Cass. n. 17759 del 2011, secondo cui: “Nel caso di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, l’art. 650 c.p.c. prevede, al primo comma, il termine ordinario di quaranta giorni per la sua proposizione decorrente dalla conoscenza del decreto irregolarmente notificato, e distintamente, al comma 3, il termine di chiusura di dieci giorni dal compimento del primo atto di esecuzione; ne consegue che il termine stabilito dal comma 3 non esclude l’operatività di quello previsto dal comma 1”.

4.3.1. Ora, la prospettazione della ricorrente, ragionando dell’art. 650 c.p.c. solo nella contemplazione del termine di cui al suo terzo comma, implica che Essa non abbia inteso porre in discussione che nella specie vi sia stato un atto di inizio dell’esecuzione.

Esecuzione che ha avuto natura immobiliare, come si dice a pagina 4 del ricorso.

Ciò, è tanto vero, che Essa, dopo avere escluso che a quei fini possa avere avuto valore il deposito della richiesta di autorizzazione all’esecuzione (cioè, in definitiva, che l’esecuzione immobiliare inizi in Austria con il deposito di tale richiesta), fa riferimento in proposito alla successiva notificazione del provvedimento autorizzativo dell’esecuzione, per sostenere che da quel momento dovrebbe decorrere non il termine di dieci giorni, ma quello di trenta per l’opposizione “ordinaria” all’IPE. Non può, dunque, revocarsi in dubbio che la prospettazione della ricorrente è stata svolta nel senso che un primo atto di esecuzione evocato dall’art. 650 c.p.c., u.c. si dovrebbe ravvisare nella notificazione dell’autorizzazione all’esecuzione.

La prospettazione è confermata dalla memoria, tanto che a pagina 23 si allude all’inizio dell’esecuzione quantomeno dalla data del notifica dell’autorizzazione.

Dunque, lo scrutinio cui la Corte è sollecitata deve avvenire nel presupposto che nell’ordinamento austriaco, secondo la ricorrente, l’esecuzione forzata immobiliare inizi con la notificazione della l’ordinanza del tribunale autorizzativa dell’esecuzione.

  1. Prima di esporre le ragioni di infondatezza del sesto motivo è necessaria, a questo punto, una premessa.

La lettura dell’art. 20 del Regolamento evidenzia che le due ipotesi di ammissibilità del “riesame in casi eccezionali”, rispettivamente previste dal comma 1 e dal comma 2, hanno presupposto diversi.

5.1. Nel comma 1, le situazioni legittimanti sono due ed entrambe suppongono che circostanze estranee alla formazione dell’IPE abbiano reso impossibile rispettare il termine per la proposizione dell’opposizione “ordinaria”, di cui all’art. 16.

La prima, individuata dalla lettera a), ha due presupposti, indicati nelle lettere i) e ii).

Essi sono che la notificazione dell’IPE sia stata effettuata a norma dell’art. 14 del Regolamento, cioè, come recita la sua rubrica, “senza prova di ricevimento da parte del convenuto”, e che in relazione al momento della notificazione, che non si suppone necessariamente viziata, non sia stato possibile proporre l’opposizione “ordinaria” nel termine “per ragioni non imputabili” al convenuto ingiunto: pertanto i presupposti legittimanti sono che la notificazione sia stata fatta ai sensi dell’art. 14 e che, tanto se essa sia stata rituale (secondo le sue previsioni) quanto se non lo sia stata, si sia comunque verificato un fatto non imputabile all’ingiunto, che abbia impedito l’opposizione tempestiva ed abbia assunto tale idoneità in dipendenza del momento della notificazione (corretta o viziata che sia stata). Il riferimento al “tempo utile” sottende evidentemente, e ciò rileva comunque, cioè, quando la notifica sia stata corretta, che all’ingiunto la conoscenza diretta dell’IPE, ricevuta da altro soggetto, non si pervenuta effettivamente in un momento tale da consentirgli l’opposizione ordinaria tempestiva.

La seconda fattispecie legittimante ai sensi del comma 1 è indicata dalla lettera b) e, in primo luogo, essa si riferisce, come risulta implicitamente, ad ogni forma di notificazione dell’IPE e, quindi, anche a quella dell’art. 14. In secondo luogo, ha come presupposto legittimante “situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali”, che abbiano impedito l’opposizione tempestiva “per ragioni non imputabili” all’ingiunto. Anche qui il presupposto non esige una notificazione non corretta, ma l’inserirsi di una causa ostativa non imputabile.

5.2. I presupposti legittimanti del riesame, di cui all’art. 20, comma 2, sono stati identificati dalle Sezioni Unite nella già citata sentenza n. 10799 del 2015, osservando che:

a1) l’ipotesi dell’ingiunzione Europea “emessa manifestamente per errore, tenuto conto dei requisiti previsti dal presente regolamento” “si riferisce ai soli casi di errore manifesto circa la sussistenza dei requisiti formali per l’emissione del provvedimento e, quindi, a vizi formali propri del procedimento idonei ad inficiare la possibilità per il debitore di contestare l’ingiunzione, quali (a titolo meramente esemplificativo): l’assoluta incertezza dell’autorità che ha emesso l’ingiunzione, l’omessa indicazione della somma ingiunta o, più in generale, la non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ovvero anche tra l’identità di una o entrambe le parti, l’insussistenza di informazioni da riportare nel modulo standard all. A (quale ad es. la descrizione delle prove) o da indicare nell’IPE (quali ad es. l’indicazione delle possibilità spettanti al convenuto ai sensi all’art. 12, commi 3 e 4), l’uso di una lingua non ammessa davanti al giudice adito per l’ingiunzione”.

b1) l’ipotesi dell’ingiunzione Europea “emessa manifestamente per errore (….) a causa di eventi eccezionali” è “conseguente a circostanze eccezionali (evidentemente non assimilabili alle ipotesi di rimessione in termini previste dal comma 1, lett. b) (e) deve intendersi riferita, come suggerito anche dall’esempio fatto nel par. 25 considerando, a vizi patologici intervenuti nella formazione del procedimento, simili a quelli che possono giustificare la revocazione straordinaria ex art. 656 c.p.c.”.

Sulla base di queste precisazioni le sezioni Unite hanno concluso che “Qualunque altra contestazione, sul merito e/o sull’ammissibilità del provvedimento” debba ricondursi “all’ambito di operatività dell’art. 16 del Regolamento e, quindi, al giudizio di cognizione ordinaria conseguente all’opposizione tempestiva (salvo i casi di rimessione in termine di cui all’art. 20, comma 1)”, il che ha appunto giustificato l’esclusione della questione di giurisdizione dall’ambito dell’art. 20, comma 2.

5.3. La richiesta di riesame oggetto di lite risultava pacificamente basata su ragioni, che, quanto a quelle che la ricorrente ha inteso riproporre con i primi quattro motivi, ne identificavano la riconducibilità alla fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 20 e segnatamente a quella della sua lettera a) (come, del resto suggerisce l’espressa evocazione in essi dell’art. 14 del Regolamento e, in particolare, nell’illustrazione del primo l’espressa affermazione che l’IPE venne notificato ai sensi dell’art. 14), in quanto esse prospettavano “vizi” inerenti al procedimento di notificazione dell’IPE, i quali risultavano sostanzialmente addotti come determinativi di una situazione che le aveva precluso la proposizione di una tempestiva opposizione “ordinaria”.

Viceversa, la ragione esposta nel quinto motivo, relativa al difetto di giurisdizione, di per sé prospettava una doglianza che, non solo non implicava una circostanza idonea a determinare anche solo astrattamente una preclusione della possibilità di proporre tempestivamente l’opposizione di cui all’art. 16 alla stregua del comma 1 dell’art. 20, ma neppure poteva rilevare come motivo alla stregua del comma 2 della stessa norma.

  1. Ne consegue allora che la questione della tempestività o meno del ricorso per riesame deve qui esaminarsi con riferimento alla fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 20, mentre non rileva la questione della tempestività riguardo all’ipotesi di cui al comma 2 della norma e ciò perché nessuna delle ragioni giustificative della richiesta di riesame era riconducibile ad essa.

Peraltro, mette conto di rilevare che l’individuazione del termine per il riesame nella fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 20 deve, necessariamente, essere fatta unitariamente, giacché quella norma, nella sua ultima proposizione, dicendo che il diritto di chiedere il riesame sussiste, “purché in entrambi i casi (il convenuto) agisca tempestivamente”, impone di considerare il problema in modo unitario (e tanto rende anche irrilevante la riconduzione delle ragioni riproposte con i primi quattro motivi, alla lettera a) o alla lettera b) del comma 1.

  1. Tanto premesso, ritiene il Collegio, ancorché la ricorrente non l’abbia prospettata, di dover disattendere una tesi che, ai fini dell’individuazione del detto termine, è stata enunciata proprio facendosi leva sul riferimento al dovere il convenuto “agire tempestivamente”.

Si è creduto – in ragione della circostanza che tanto la situazione sub a) quanto quella sub b) implicano che in un certo momento l’impossibilità di proporre l’opposizione ai sensi dell’art. 16 del Regolamento, derivante dalle situazioni descritte dalle due lettere, ad un certo momento cessa, sì da rendere possibile la reazione contro l’IPE – di poter ipotizzare che il termine per il riesame decorra da tale cessazione e che l’imposizione del dover agire tempestivamente significhi che da quel momento decorra quello stesso termine di trenta giorni, che il convenuto avrebbe avuto per proporre l’opposizione “ordinaria”.

Senonché, questa ipotesi esegetica suppone innanzitutto che all’avverbio “tempestivamente” si dia il valore di individuare il termine, ma ciò è in manifesta contraddizione con il suo significato, che, essendo quello di riferirsi ad un’azione compiuta in tempo utile, non si preoccupa di definire quando essa sia tale, dovendo risolversi tale problema aliunde ed essendo l’avverbio soltanto descrittivo di una qualificazione dell’azione appunto aliunde da ricercarsi e che suppone, naturalmente, l’individuazione del dies a quo per la presentazione della richiesta del riesame.

Ne segue allora che la tesi in discorso pretende di risolvere il problema non tanto valorizzando il suddetto avverbio, quanto reputando che, poiché la disciplina dettata dal Regolamento per l’opposizione in via ordinaria prevede un termine di trenta giorni, tale termine debba applicarsi anche alla richiesta di riesame, una volta che la sua proposizione sia divenuta possibile per il convenuto.

Suppone, dunque, che la disciplina del termine del riesame, nell’ipotesi dell’art. 20, comma 1, sia stata dettata in modo implicito.

7.1. Questa tesi sarebbe certamente sostenibile e valida, se nello stesso Regolamento non trovasse decisivo ostacolo in una norma dello stesso regolamento, quella dell’art. 26, la quale in tema di “rapporto con le norme nazionali”, prevede un criterio esegetico delle norme del Regolamento stesso, che si risolve, in buona sostanza, nel divieto di ricercare la soluzione interpretativa di una questione procedurale, emergente nell’esegesi delle sue norme, facendo ricorso a criteri come l’interpretazione sistematica, l’interpretazione estensiva o l’interpretazione analogica.

L’art. 26 – correttamente evocato, dunque, dalla corte territoriale – disponendo, sotto la rubrica “Rapporto con le norme processuali nazionali”, che “Tutte le questioni procedurali non trattate specificamente dal presente regolamento sono disciplinate dal diritto nazionale”, si connota, infatti, come una metanorma, cioè come una norma con cui si è inteso regolare l’attività interpretativa delle norme del Regolamento stesso. Il principio che esso esprime è che, in tutte le ipotesi in cui una questione inerente il processo nella materia del Regolamento non sia “trattata specificamente”, cioè espressamente regolata, da una norma di esso, la disciplina deve ricercarsi nel diritto nazionale.

Ebbene, attribuire all’avverbio “tempestivamente” il significato voluto dalla tesi in discorso non è accettabile: poiché, come s’è veduto, non sarebbe direttamente l’espressione “agire tempestivamente” ad individuare l’applicabilità della disciplina del termine di trenta giorni, previsto per l’opposizione ordinaria, ma un’operazione esegetica di carattere sistematico, innestata sul valore teleologico dell’uso dell’avverbio, è indiscutibile che tale operazione risulta vietata dall’art. 26.

E’ appena il caso di rilevare che la questione concernente il termine di proposizione del riesame è, del resto, certamente una “questione procedurale”, giacché inerisce al momento in cui il procedimento di riesame deve iniziare. Poichè il termine per un rimedio esperibile concerne indiscutibilmente una previsione relativa al procedimento, è del tutto infondata la tesi della ricorrente, che vorrebbe espungere il problema del termine dal concetto da quella questione.

  1. Se non fosse decisivo già quanto osservato, peraltro, la tesi in esame risulterebbe impercorribile anche per la ragione che nella successiva norma dell’art. 29, al comma 1, lett. b), venne disposto che “entro il 12 giugno 2008, gli Stati membri comunicano alla Commissione (….) il procedimento di riesame e i giudici competenti ai fini dell’applicazione dell’art. 20”.

E’ palese che, sempre per l’inerire della questione del termine al “procedimento”, la devoluzione alla comunicazione concerneva anche l’individuazione del termine per il riesame.

Lo Stato Italiano ha fatto tale comunicazione nei seguenti termini, che concernono sia il riesame ai sensi del comma 1, sia il riesame ai sensi del comma 2 dell’art. 20: “Art. 29(1)(b) – Procedimento di riesame. Il giudice competente per il riesame di cui all’ art. 20, paragrafo 1, del regolamento n. 1896/2006/CE, e il relativo procedimento, è lo stesso giudice che ha emesso l’ingiunzione, ai sensi dell’art. 650 c.p.c. italiano. Il giudice competente per il riesame di cui all’ art. 20, paragrafo 2, del regolamento n. 1896/2006/CE, e il relativo procedimento, è lo stesso giudice ordinario competente per l’ingiunzione, da adire secondo le regole ad esso comunemente applicabili”.

Il significato di tale comunicazione è chiaro: quando, a proposito del comma 1 dell’art. 20, si dice che il procedimento è quello dell’art. 650 c.p.c. si è inteso fare riferimento anche al termine art. 650 c.p.c., comma 3, perché esso costituisce una previsione relativa al procedimento.

Qualora, dunque, dal combinato disposto dell’art. 26 e dell’art. 29 del regolamento, si volesse inferire che la questione dell’individuazione del termine per il riesame, pur non specificamente regolata, era stata dal legislatore comunitario sottratta all’operare della metanorma di cui all’art. 26, e ricondotta alla norma dell’art. 29, con la conseguente delega al legislatore nazionale del potere di individuare la disciplina procedimentale del riesame, evidentemente non vi sarebbe che da prendere atto che lo Stato Italiano ha individuato questa disciplina nell’art. 650 c.p.c. e, quindi, anche nel termine previsto da tale norma, che, si rileva, non è, come s’è sopra avvertito, solo quello di cui al comma 3, ma anche quello ordinario per l’opposizione al decreto ingiuntivo italiano, operante allorquando l’esecuzione non sia iniziata.

Mette conto di rilevare, per completezza ed a fini di nomofilachia: a1) che, con riferimento alle due ipotesi di riesame del comma 2, siccome individuate da queste Sezioni Unite, il termine per il riesame nelle ipotesi che si sono dette similari a quelle di cui all’art. 656 c.p.c. risulta individuabile in quello che opera con riguardo all’istituto disciplinato da tale norma, che deve ritenersi implicitamente evocato dalla comunicazione dello Stato Italiano; a2) con riguardo all’ipotesi dell’ingiunzione Europea “emessa manifestamente per errore, tenuto conto dei requisiti previsti dal presente regolamento” si deve ritenere che, una volta considerato che in tale ipotesi l’IPE è stato conosciuto, ma, per i suoi difetti intrinseci, i suoi vizi propri, è stata inficiata la possibilità per il debitore di contestare l’ingiunzione, risulta agevole, secondo il tenore della comunicazione fatta allo Stato Italiano, ritenere che il termine per il riesame decorra da quando l’IPE (non opposto in via ordinaria) venga utilizzato contro il convenuto e, dunque, dal primo atto di esecuzione, cui allude l’art. 650 c.p.c. e ciò perché la regola ivi dettata può reputarsi “comunemente applicabile” a maggior ragione quando si debba reagire pur essendosi conosciuta l’IPE, e restando, invece, inapplicabile il termine ordinario che rileva nel comma 1 della norma.

  1. Le considerazioni svolte bastano a giustificare il rigetto del sesto motivo, nella parte in cui sostiene che, in presenza di inizio dell’esecuzione sulla base dell’IPE non opererebbe il termine di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3, dovendosi osservare che l’esegesi del Regolamento, cui si è proceduto, è talmente chiara che non si configura, come il Pubblico Ministero in udienza ha prospettato (peraltro solo in linea del tutto subordinata) alcuna questione interpretativa, che imponga una rimessione alla Corte comunitaria, vertendosi in definitiva in tema di c.d. acte claire.
  2. Si deve a questo punto rilevare che, risultando la questione del termine per il riesame risolta dall’esegesi delle norme del Regolamento e, segnatamente, dall’art. 26, nonché, in ogni caso, dalla norma dell’art. 29, comma 1, lett. b), le argomentazioni enunciate dalla ricorrente, nel senso che l’applicazione del termine di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3 (si badi, prospettate, come s’è veduto, nel presupposto che un atto di inizio dell’esecuzione vi sia), si risolverebbe in una lesione del diritto di difesa in dipendenza della particolare regolamentazione dell’inizio dell’esecuzione forzata in Austria non potrebbero risultare rilevanti per giustificare una diversa interpretazione, ma soltanto – ancorché la ricorrente non si spinga a sostenerlo – l’ipotizzare una possibile questione di conformità al diritto comunitario, inteso come comprensivo della disciplina della Cedu, riguardo all’applicazione della normativa italiana sull’art. 650 c.p.c.con riferimento all’ipotesi di IPE notificato in un ordinamento di uno Stato membro, che, nella propria regolamentazione delle modalità di inizio dell’esecuzione forzata, non conosca un equivalente del nostro precetto, che, per la sua funzione di preavviso dell’esecuzione e di dilazione del suo inizio a dieci giorni dalla sua notificazione, assolva ad un’oggettiva funzione di assicurare uno spatium deliberandi prima di essa e, quindi, si risolva nell’assicurare un termine a difesa ulteriore rispetto a quello di dieci giorni dal primo atto di esecuzione di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3.

Questa prospettazione, però, si fonderebbe su un assunto erroneo: quello che l’inizio dell’esecuzione cui allude l’art. 650 c.p.c., comma 3, nell’ordinamento italiano, sia sempre dilazionato a dieci giorni per effetto della notificazione del precetto. Assunto erroneo, sol che si rifletta sulla possibilità che, a norma dell’art. 482 c.p.c., il giudice possa autorizzare l’esecuzione immediata, senza l’osservanza del detto termine dilatorio. Possibilità che può certamente verificarsi anche con riguardo al primo atto di esecuzione, cui allude l’art. 650 c.p.c..

10.1. Si deve, inoltre, rilevare, a questo punto, che la prospettazione della ricorrente che, pur identificandosi l’inizio dell’esecuzione con la notifica dell’ordinanza del Tribunale di Insbruck autorizzativa dell’esecuzione, tale notifica non sarebbe stata dimostrata dalla controparte, che l’avrebbe solo allegata, introduce una questione di fatto, di cui non v’è traccia nella motivazione della sentenza impugnata, senza individuare dove e come era stata prospettata nelle fasi di merito e, particolarmente, al giudice d’appello.

Comunque, tale prospettazione non risulta nemmeno essere stata fatta oggetto di una specifica e chiara censura e parte ricorrente nemmeno ha replicato alle deduzioni svolte sul punto nel controricorso.

  1. Va, inoltre, considerato che, giusta il precetto del secondo inciso del comma 3 dell’art. 20 del Regolamento l’istituto del riesame è costruito dal legislatore comunitario come un rimedio che ha natura meramente rescindente e, soprattutto, come rimedio che esplica tale funzione rescindente, espressa con la previsione della nullità dell’IPE, sulla base del mero riconoscimento da parte del giudice dell’esistenza della stessa situazione legittimante il riesame ai sensi dell’art. 20.

E’ palese, dunque, che l’applicazione del termine di cui all’art. 650 c.p.c. non può apparire, per la sua brevità, riduttiva delle possibilità di esercitare il diritto di difesa da parte dell’ingiunto, giacché il contenuto delle difese, a differenza di quanto accade per l’istituto dell’art. 650 c.p.c. nell’ordinamento italiano, quando sia esperito contro un decreto ingiuntivo nazionale, si sostanzia nella sola deduzione della situazione legittimante di cui all’art. 20, il che, all’evidenza, non comporta che si debba prendere posizione sulla fondatezza dell’IPE. Ne segue che anche per tale ragione il diritto di difesa non subisce la benché minima menomazione e ciò anche se si confronta la situazione del richiedente il riesame con quella di chi si oppone tardivamente a un decreto ingiuntivo nazionale.

  1. Il sesto motivo – ribadito che nella specie esso sollecitava lo scrutinio della questione di diritto con riferimento all’ipotesi che l’esecuzione dell’IPE fosse stata iniziata – è, dunque, rigettato sulla base del seguente principio di diritto: “In tema di ingiunzione di pagamento Europea, il termine per la proposizione del riesame nei casi di cui all’ art. 20, comma 1, del Regolamento (CE) n. 1896/2006, essendo il relativo procedimento disciplinato in Italia dall’art. 650 c.p.c., si identifica in quelli desumibili da tale norma e, dunque, nel termine previsto dall’ordinamento italiano per l’opposizione tempestiva al decreto ingiuntivo, quando non sia iniziata l’esecuzione, ed in quello di cui al comma 3 di tale norma, che costituisce il termine finale, quando l’esecuzione sia iniziata”.

L’inammissibilità dei primi cinque motivi ed il rigetto del sesto comportano il rigetto del ricorso.

L’assoluta novità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

Cass_civ_Sez_Unite_Sent_20_03_2017_n_7075




La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa

La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa

Tribunale Ordinario di Reggio Emilia, Sezione I Civile, Sentenza del 27/06/2016

Con sentenza del 27 giugno 2016 il Tribunale Ordinario di Reggio Emilia, Prima Sezione Civile, in materia di recupero del credito, con riferimento al credito fra imprenditori, ha stabilito che la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto.

Tribunale Ordinario di Reggio Emilia, Sezione I Civile, Sentenza del 27/06/2016

La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA

SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. __

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. __ promossa da:

D. S.A.S. DI B.W. e W.B. in proprio

ATTORI-OPPONENTI

contro

L.L. S.R.L.

CONVENUTO-OPPOSTO

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data __ la società L.L. s.r.l. otteneva, da questo Tribunale, decreto ingiuntivo nei confronti della D. s.a.s. di B.W. e C. e del socio accomandatario W.B. per il pagamento della somma di Euro __ dovutale, oltre interessi e spese, a saldo del prezzo delle merci e delle prestazioni di cui alle fatture nn. (…) e (…), che produceva in copia.

Con atto di citazione ritualmente e tempestivamente notificato proponevano opposizione gli ingiunti, eccependo che la società D. non aveva mai ordinato né tantomeno ricevuto i materiali descritti nelle fatture azionate in via monitoria e aveva estinto ogni debito nei confronti de L.L. “fin dal __”. Premesso che fra le due società erano intercorsi, in passato, rapporti commerciali, gli opponenti esponevano che la D. s.a.s., dopo aver ripetutamente ricevuto fatture per materiali mai ordinati o errati, con fax del __ aveva invitato L.L. a non dar corso ad alcun ordine senza sua previa accettazione scritta. Ciò posto, eccepivano che l’ordine allegato al ricorso per d.i. (doc. 4 ric.) mancava di qualsivoglia sottoscrizione o accettazione da parte del cliente, ciò che confermava come i materiali di cui alle fatture allegate al ricorso per d.i. non fossero mai stati richiesti.

Concludevano pertanto chiedendo la revoca del d.i., con vittoria di spese.

La società L.L., nel costituirsi in giudizio, contestava il fondamento dell’opposizione e ne chiedeva il rigetto con vittoria di spese. Deduceva che, alla fine dell’anno __, la società opponente aveva avviato un progetto pubblicitario relativo alla linea di prodotti denominati “__” e aveva commissionato ad essa convenuta la realizzazione di un cosiddetto “digipak” (ovvero una copertina per DVD cartonata, stampata e plastificata al cui interno andava applicato, oltre al contenitore per il disco, anche un opuscolo di presentazione dell’azienda), nonché del DVD da allegare al predetto digipak, contenente un filmato pubblicitario illustrativo dei suoi prodotti e, in particolare, di quelli antimuffa. Proseguiva esponendo che essa convenuta aveva altresì realizzato, su incarico della D., dei mini-cataloghi (cd “folder”) raffiguranti i prodotti della committente, uno studio per la realizzazione di etichette, scatole ed espositori per una linea di prodotti di autocosmesi, nonché scatole in cartone e folder per una linea di prodotti denominati “smuffa” e destinati alla commercializzazione diretta da parte di un cliente della D., società N.G. s.r.l. Precisava che tutti i materiali commissionati dalla società opponente non erano mai stati ritirati da quest’ultima – per motivi ignoti – ed attualmente giacevano presso i magazzini di essa ricorrente.

Con ordinanza resa a verbale di udienza del __, il precedente G.I. respingeva l’istanza di concessione della provvisoria esecuzione del d.i. opposto e ammetteva parzialmente le prove orali richieste dalle parti.

Assunte le prove orali ammesse, all’udienza del __ la causa veniva trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 190 c.p.c. sulle conclusioni delle parti come precisate in epigrafe.

È pacifico in giurisprudenza che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la posizione di attore (in senso sostanziale), con i relativi oneri, spetta al creditore istante nella fase monitoria, pur assumendo quest’ultimo il ruolo (meramente formale) di convenuto, e che, in tema di prova del credito fra imprenditori, la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto (per tutte, Cass. Ord. n. 5915/2011; Cass. n. 5071/2009; Cass. n. 17371/2003).

Venendo al caso in esame, la società L.L. s.r.l. ha prodotto in sede monitoria unicamente le fatture nn. __ e __ del __2 (docc. 1 e 2 ric.) dalla stessa emesse e l’estratto autentico notarile delle proprie scritture contabili (doc. 6 ric.), unitamente ad un ordine-preventivo datato __ (doc. 4 ric.) che però, non essendo sottoscritto per accettazione del cliente, è privo di qualsivoglia efficacia probatoria.

Ne consegue che, a fronte della radicale contestazione del credito da parte degli opponenti, era onere della ricorrente provare l’effettiva conclusione inter partes di un contratto di compravendita/appalto di servizi che giustificasse la sua pretesa creditoria, nonché di provare che le somme reclamate trovassero riscontro in una espressa pattuizione.

Ebbene, ritiene questo giudice che l’onus probandi gravante sulla convenuta opposta non sia stato adeguatamente assolto.

Ed invero, come eccepito dagli opponenti, la società L.L. non ha prodotto alcun documento (ad es., ordine d’acquisto, preventivi, documenti di trasporto, corrispondenza) comprovante gli accordi asseritamente intercorsi fra le parti, limitandosi ad offrire, a sostegno dei propri assunti, delle prove testimoniali le quali, tuttavia, non hanno trovato riscontri oggettivi e sono state smentite dalle deposizioni di opposto tenore rese dai testi indotti da controparte.

Ed invero, nel corso dell’istruttoria sono stati escussi i testi di parte convenuta opposta L.C. e P.D. e i testi di parte opponente F.C., G.G., G.P. e C.G..

Quanto alla attendibilità dei testimoni escussi, giova osservare che il teste L. e il teste P. sono ed erano anche all’epoca dei fatti rispettivamente agente e socio prestatore d’opera della convenuta L.L.; d’altra parte, il teste G. era all’epoca dei fatti dipendente della D. s.a.s (e oggi è dipendente della D. s.r.l.) e il teste C. era anch’ egli dipendente della D. s.a.s. con mansioni di responsabile commerciale e oggi è socio della D. s.r.l.

È evidente pertanto che, pur non vertendosi, in relazione a ciascuno dei testi escussi, in ipotesi di incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c., le deposizioni rese dai medesimi devono essere valutate con particolare rigore.

Appaiono invece sostanzialmente estranei alle parti e dunque particolarmente attendibili i testi P. e G., entrambi consulenti fiscali e commercialisti della società opponente.

Ciò detto, il teste L.C., confermando tutto il capitolato di parte convenuta, ha affermato che la D. s.a.s., nell’anno __, commissionò alla convenuta la realizzazione di un digipak, di un filmato da distribuire su DVD e di un folder a 32 pagine, precisando di essersi occupato della predetta commissione personalmente e di aver trattato “con il sig. B.W. ed il sig. C.”. Il teste ha altresì confermato che la D. s.a.s. partecipò alla realizzazione delle riprese e delle fotografie nonché allo sviluppo dei prodotti (“i vari step del lavoro venivano controllati, visionati, approvati o modificati dai sigg.ri C. e B.W.”) e approvò il risultato finale (“il lavoro integralmente fu realizzato ed approvato dal cliente nella sua versione finale. Fu approvato dai sigg. B. e C. a me personalmente”).

Tali circostanze sono state tuttavia smentite dal teste di parte opponente C.F. il quale, sentito a controprova sul capitolato avversario, ha negato di aver mai commissionato alla convenuta la realizzazione di un digipak nell’anno __. Il teste sul punto ha precisato che, anteriormente al suo ingresso in azienda, nel luglio __ “la D. sas aveva parlato con L.L. per cercare di realizzare ed ideare qualcosa di presentazione per l’azienda” ma che, a causa di sopraggiunte difficoltà commerciali, non aveva dato seguito al progetto. Il C. ha inoltre riferito di aver visto il prodotto digipak (all. 2 opposta), nella sua veste definitiva, solo nel __ quando era già operante la nuova società D. s.r.l. (“Tale prodotto fu terminato nel corso del tempo dalla L. perché era solita realizzare i prodotti anche senza una specifica approvazione”). Il teste ha inoltre negato di aver mai commissionato alla L., per conto della D. s.a.s., un folder a 32 pagine e di aver mai approvato il prodotto finito (“io ho visto solo il prodotto finito, ma non lo approvai mai, né mi fu richiesta approvazione e messa in produzione avendo altre esigenze in qual momento di carattere commerciale”).

Le dichiarazioni dei testi L. e C. sono poi risultate ulteriormente contrastanti per quanto concerne l’ordine e la realizzazione di un secondo e diverso folder e dello studio grafico e dei bozzetti per una linea di prodotti per autocosmesi (circostanze confermate da primo e negate dal secondo).

Quanto, in particolare, ai campioni dei materiali pubblicitari relativi alle linea di prodotti per autocosmesi, il teste L. ha riferito che la commessa provenne dalla D., nelle persone del B. e del C., mentre quest’ultimo ha dichiarato che i campioni vennero richiesti dal cliente B. s.r.l. il quale, una volta visionati i bozzetti, decise di affidare il lavoro ad altra ditta (“…L.L. fu interpellata dalla D. sas, dal sig. B., per un possibile studio, come segnalazione del cliente B.. Tuttavia lo stampaggio e la realizzazione di questo tipo di prodotti pubblicitari furono realizzati dalla G. su commissione della B.”).

Infine, anche per quanto concerne gli studi grafici e i bozzetti per la linea di prodotti denominata “smuffa” e destinata alla commercializzazione diretta da parte della società N.G. s.r.l., con sede in Napoli, il teste L. ha riferito che l’incarico fu conferito dalla D. (“preciso che la commissione e l’incarico lo avemmo dalla D. dal sig. C. il quale però al momento del pagamento ci mandò dalla N..”), mentre il teste C. ha negato la circostanza, riferendo di essersi limitato a fornire alla L. il contatto della società N., senza assumere alcun impegno in proprio (“il nostro cliente N.G. ci chiese indicazioni su chi realizzava per noi le confezioni, per i prodotti antimuffa a loro marchio, così io diedi il contatto a L. (…). L. ci disse che aveva contattato la N.G., ma che poi questa decise di non procedere con quel prodotto a proprio marchio”).

Ebbene, a fronte dell’insanabile contrasto tra le due deposizioni sopra riportate, non può ritenersi adeguatamente assolto l’onere probatorio gravante sulla ricorrente, attrice in senso sostanziale.

In tal senso non soccorre, infatti, la deposizione dell’altro teste indotto dalla convenuta, P.D., il quale era addetto a mansioni operative interne alla società L.L. e ha espressamente ammesso di essere del tutto estraneo all’attività commerciale (“lo apprendo chi è il committente solo dalla documentazione interna dell’azienda, non prendo parte ai contratti e ai conferimenti degli incarichi dai clienti”), rilasciando dichiarazioni prevalentemente de relato.

Conclusivamente, pertanto, deve ritenersi che la ricorrente non è stata in grado di dimostrare, né documentalmente né a mezzo dei testimoni escussi, l’esistenza del titolo contrattuale fonte del presunto credito.

Tale conclusione appare suffragata dal contenuto delle deposizioni rilasciate dai testi P. e G., commercialisti della D. s.a.s., i quali hanno entrambi riferito che, nell’anno __, quanto la predetta società cessò la sua attività produttiva e commerciale, affittando l’azienda alla neocostituita D. s.r.l., provvide a definire tutte le posizioni ancora aperte, compresa quella con L.L. s.r.l. Quanto al debito all’epoca esistente nei confronti di quest’ultima, i testi hanno concordemente dichiarato che lo stesso venne ripianato mediante il rilascio di effetti cambiari e che, al momento della chiusura della posizione debitoria, non risultavano contabilmente altre pendenze. Il teste P. sul punto ha aggiunto: “durante i colloqui che ho avuto con il referente della L. non mi fu accennato o riferito di altre posizioni aperte”; il teste G. ha del pari dichiarato: “preciso che contabilmente non risultavano altre pendenze con L.L. s.r.l. oltre a quella né seppi che comunque ce ne fossero altre”.

Ebbene, tali deposizioni, della cui attendibilità e veridicità non vi è ragioni di dubitare, inducono a ritenere provato che, qualsiasi rapporto commerciale ci fosse stato tra le parti negli anni __ e __, lo stesso sia stato definito in occasione della cessazione di attività dell’opponente. Risulta infatti del tutto inverosimile che, a fronte di un credito – in tesi attorea – non ancora contabilizzato ma già maturato di oltre Euro __, la società ricorrente abbia accettato un piano di rientro e titoli cambiari a saldo di posizioni pregresse senza nulla precisare o concordare in ordine al proprio credito residuo, e senza neppure discutere la questione con i commercialisti incaricati dalla debitrice.

In accoglimento della proposta opposizione, il d.i. va dunque revocato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Definitivamente decidendo, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: in accoglimento dell’opposizione

1) revoca il d.i. n. __;

2) condanna la convenuta opposta al rimborso, in favore dell’opponente D. s.a.s. di B.W. & C., delle spese di lite che liquida in Euro __ per esborsi ed Euro __ per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Reggio Emilia, il 23 giugno 2016.

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2016.

Trib_Reggio_Emilia_Sez_I_Sent_27_06_2016

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Contratto di mutuo non è titolo esecutivo idoneo per esecuzione forzata

Contratto di mutuo non è titolo esecutivo idoneo per esecuzione forzata

Con sentenza del 12 giugno 2017 il Tribunale Ordinario di Pescara, Sezione Civile, ha stabilito che non può essere annoverato nella categoria dei titoli esecutivi di cui all’art. 474, co. 1, n. 2, c.p.c., quindi lo stesso non può ritenersi di per sé idoneo a sorreggere l’esecuzione forzata con conseguente necessaria declaratoria di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, il contratto di mutuo, pur se stipulato per atto pubblico notarile, nel quale, benché la somma sia stata dichiarata come erogata e quietanzata essa, per la verità, sia costituita, presso la stessa banca, in deposito cauzionale a garanzia dell’adempimento di tutte le condizioni poste a carico della medesima parte finanziata, emergendo così che la somma in questione, mentre in una parte del predetto documento viene dichiarata come erogata, in altra, invece, viene indicata come ancora vincolata e giacente presso la banca e dunque, non disponibile, per il mutuatario.

Tribunale Ordinario di Pescara, Sezione Civile, Sentenza del 12/06/2017

Esecuzione Forzata

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA

VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. __

tra

(…)

ATTORE/I

e

B.D.C. COOP

CONVENUTO/I

Oggi __, alle ore __, innanzi al dott. __, sono comparsi:

Per (…) l’avv. __ nonché per la B.D.C. COOPERATIVO l’avv. __

l’Avv.__ di (…) si riporta alle proprie istanze formulate nell’atto di opposizione insistendo per la sospensiva del titolo esecutivo con rigetto di tutte le avverse eccezioni siccome infondate in fatto ed in diritto.

l’avv. __ di  B.D.C. COOP si riporta alla depositata comparsa di costituzione e risposta insistendo per l’accoglimento delle conclusioni ivi formulate ed il rigetto quindi della spiegata opposizione e dell’istanza di sospensione.

Il Giudice

Si riserva di decidere in coda d’udienza in camera di consiglio, autorizzando i procuratori delle parti ad allontanarsi dall’aula.

Successivamente, alle ore __

all’esito della camera di consiglio,

letta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo promossa da parte dell’opponente

letta la comparsa di costituzione e risposta depositata dall’Istituto di credito opposto;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

(…) propone opposizione all’atto di precetto notificatole in data __, da parte della B.D.C. Coop, invocando, in via preliminare, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo medesimo sul duplice presupposto: a) inidoneità del titolo stragiudiziale ad avere efficacia di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. e, dunque, inesistenza del diritto della opposta ad agire in executivis; b) nullità dell’atto di precetto per indeterminatezza o indeterminabilità delle somme precettate. Nel merito, chiede che, accertata e dichiarata l’usurarietà pattizia originaria del tasso nominale di mora, il contratto di mutuo fondiario ripassato tra le parti sia dichiarato improduttivo di interessi, che essa attrice opponente sia tenuta alla restituzione in favore della banca convenuta della sola quota capitale del finanziamento, secondo la periodicità ivi convenuta, e che sia riconosciuto il diritto di essa attrice a ripetere dalla banca convenuta tutti gli interessi ed i costi pagati, ad eccezione di imposte e tasse e, quindi chiede rideterminarsi, a mezzo di ctu, l’esatto dare-avere tra le parti. In subordine, per le ragioni espresse nel ricorso, rideterminarsi gli interessi da applicare la contratto in esame, anche a mezzo di espletanda ctu, in ogni caso con dichiarazione che, al momento della notifica dell’atto di precetto non vi erano debiti scaduti gravanti su di essa attrice in favore della banca convenuta e, dunque, non sussiste il diritto della stessa banca ad agire in executivis.

Si è costituito l’Istituto di credito opposto, insistendo per il rigetto dell’avversa istanza di sospensione e, in subordine, nella sola denegata ipotesi di accoglimento della sospensione medesima, insistendo per l’imposizione a parte opponente di una cauzione a favore della opposta.

Riservata ogni decisione relativa ai motivi di merito al prosieguo del processo, per il quale risulta già fissata udienza di prima comparizione e trattazione, dev’essere in questa sede esaminata ‘istanza formulata, in via cautelare da parte dell’opponente, di sospensione della efficacia esecutiva del titolo costituito dal contratto di mutuo.

E’ orientamento costante della giurisprudenza di legittimità che al fine di accertare se un contratto di mutuo possa essere utilizzato quale titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., occorre verificare, attraverso la sua interpretazione integrata con quanto previsto nell’atto di erogazione e quietanza o di quietanza a saldo ove esistente, se esso contenga pattuizioni volte a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata, e che entrambi gli atti, di mutuo ed erogazione, rispettino i requisiti di forma imposti dalla legge (Sentenza n. 17194 del 27/08/2015).

La creditrice opposta deduce e comprova, nelle proprie difese, che l’importo del mutuo per cui è esecuzione veniva contestualmente erogato dalla Banca alla parte mutuataria, in pari data, valuta __, sul conto n. (…) acceso presso la Banca ed intestato alla sig.ra (…) (cfr. doc. 2 di parte opposta); che di tale effettiva erogazione la parte mutuataria rilasciava alla Banca ampia quietanza con la sottoscrizione del contratto di mutuo, come attestato dal Notaio rogante e peraltro desumibile dall’art. 1 del contratto; che, sempre in data __, veniva disposto dalla mutuataria il pagamento dell’importo di Euro __ (cfr. doc. 2 fascicolo di parte opposta) di cui Euro __ per imposta sostitutiva ex D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 , Euro __ per spese istruttoria pratica ed Euro 420,24 per spese di perizia tecnica, importi tutti meglio indicati nell’art. 1 del contratto. La stessa creditrice, peraltro, deduce che a fronte di tale erogazione dell’importo oggetto del mutuo, la parte mutuataria costituiva, in deposito cauzionale presso la Banca, il netto dell’importo pari ad Euro __ che sarebbe, poi, stato svincolato all’atto dell’avveramento delle condizioni sub lett. a) e b) di cui all’art. 1 del contratto e che solo al verificatosi di queste ultime, previa disposizione del __ sottoscritta da (…) (doc. 3 fascicolo di parte opposta), l’importo di Euro __ veniva accreditato in data __, valuta __, sul conto corrente n. (…) acceso presso la Banca (doc. 4 fascicolo di parte opposta). Secondo quanto rappresentato dalla stessa banca, sempre in data __, inoltre, (…) disponeva l’addebito delle rate di rimborso del mutuo sul predetto conto corrente n. (…).

Al fine di comprendere, dunque, se il contratto di mutuo per cui è esecuzione possa essere utilizzato quale titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., per quanto sopra richiamato, occorre verificare, attraverso l’interpretazione di esso integrata con quanto previsto nell’atto di erogazione e quietanza o di quietanza a saldo ove esistente, se esso contenga pattuizioni volte a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata, e che entrambi gli atti, di mutuo e di erogazione, rispettino i requisiti di forma imposti dalla legge.

La realità del mutuo non si configura esclusivamente mediante la materiale e fisica traditio del denaro nelle mani del mutuatario, essendo sufficiente la creazione di un autonomo titolo di disponibilità in favore di quest’ultimo e la contestuale perdita della disponibilità delle somme mutuate in capo al soggetto finanziatore. Sono questi i principi che la Corte di Cassazione ha espresso rifacendosi a propria consolidata giurisprudenza con sentenza del 27 agosto 2015 n.17194.

Come noto, l’art.474 c.p.c. dispone che l’esecuzione forzata non possa aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo, per un diritto certo, liquido ed esigibile.

La tradizionale “realità” del contratto di mutuo, considerati i tempi della “dematerializzazione” dei valori mobiliari e della loro sostituzione con annotazioni contabili, non sembra però messa in discussione dalla Cassazione, la quale ha tradizionalmente affermato la “consegna” resta elemento costitutivo del contratto, ma questa non si configura più solo come materiale e fisica traditio del denaro nelle mani del mutuatario, essendo sufficiente che questi ne acquisisca la diponibilità giuridica.

In altri termini, la consegna si atteggia quale creazione di un autonomo titolo di disponibilità giuridica in capo al mutuatario.

Né inficia tale ragionamento la circostanza che il contratto di mutuo non contenga in sé la prova della consegna delle somme, ma sia integrato da successivo atto di erogazione e quietanza.

Proprio su questo punto gli Ermellini si sono pronunciati nel senso che “l’esistenza di un separato atto di quietanza non è di per sé indice inequivoco di una semplice promessa di dare a mutuo o comunque di un contratto di mutuo di natura consensuale e non reale in quanto, per poter verificare se il contratto in esame abbia o meno natura reale, esso non può essere esaminato atomisticamente ma deve essere esaminato e interpretato congiuntamente agli altri atti accessori, che realizzano concretamente ed operativamente il conferimento ad altri della disponibilità giuridica attuale di una somma di denaro da parte del mutuante, ovvero, come nel caso esaminato da Cass. n. 18325 del 2014 e nel presente, congiuntamente con l’atto di quietanza”.

Nelle righe della decisione, tuttavia, traspare la necessità di distinguere due piani differenti: da un lato, quello relativo alla realità del mutuo ed all’idoneità della separata quietanza a costituire elemento perfezionativo del contratto e, dall’altro, quello relativo all’idoneità del contratto di mutuo così perfezionato a costituire titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c..

Sul punto non può farsi a meno di notare come la Cassazione richiami precisi criteri affinché possa dirsi integrata la c.d. traditio, quando afferma che “il conseguimento della giuridica disponibilità della somma mutuata da parte del mutuatario, può ritenersi sussistente, come equipollente della traditio, nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in guisa tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio di quest’ultimo, ovvero quando, nello stesso contratto di mutuo, le parti abbiano inserito specifiche pattuizioni, consistenti nell’incarico che il mutuatario dà al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse del primo (cfr. già Cass. 12 ottobre 1992, n. 11116 e 15 luglio 1994, n. 6686; nonché Cass. n. 2483 del 2001, Cass. 5 luglio 2001, n. 9074 e 28 agosto 2004, a 17211; e, da ultimo, Cass. 3 gennaio 2011, n. 14)”.

In altri termini, non qualunque traditio “virtuale” consente di configurare la realità propria del mutuo, ma solo quella che rispetti requisiti tali da ritenere che sia certa la creazione di un autonomo titolo di disponibilità giuridica in favore del mutuatario.

Nell’aderire all’orientamento già espresso in Cass. Civ. n. 18325 del 2014, la Suprema Corte indica altresì gli elementi essenziali perché possa ritenersi rispettata la realità propria del contratto di mutuo (interpretato unitariamente con gli eventuali atti integrativi), ritenendo corretta l’opzione ermeneutica del giudice di merito che abbia fatto riferimento “alla somma erogata, alle modalità e ai tempi di restituzione, alla misura degli interessi”.

Dunque, in assenza della precisa indicazione di tali ultimi elementi, deve ritenersi il contratto inidoneo a sorreggere autonomamente l’esecuzione forzata.

In definitiva, il principio di diritto al quale deve ispirarsi il giudice di merito, al fine di poter valutare se un contratto di mutuo possa essere utilizzato quale titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., è la verifica, attraverso l’interpretazione del contratto di mutuo, integrata con quanto previsto nell’atto di erogazione e quietanza o di quietanza a saldo ove esistente, se esso contenga pattuizioni volte a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata, e che entrambi gli atti, di mutuo e di erogazione, rispettino i requisiti di forma imposti dalla legge.

Tanto al fine di rispettare la stessa normativa cardine in materia di esecuzione forzata, ovverosia il già richiamato art. 474 c.p.c. e verificare se effettivamente il contratto azionato dal creditore possa o meno incorporare o fornire la prova di un credito “certo, liquido ed esigibile”.

Nel caso di specie, dall’esame delle clausole contrattuali emerge come benché la somma sia stata dichiarata come erogata e quietanzata (cfr. art. 1 co.5 del contratto di mutuo) essa, per la verità, expressis verbis è stata costituita, presso la stessa banca, in deposito cauzionale a garanzia dell’adempimento di tutte le condizioni poste a carico della medesima parte finanziata, emergendo così che la somma in questione, mentre in una parte del predetto documento viene dichiarata come erogata, in atra, invece, è stata indicata come ancora vincolata e giacente presso la banca e dunque, non disponibile, per il mutuatario. Difetta, in questo caso, la traditio anche sotto il profilo della disponibilità giuridica poiché il mutuante non ha creato un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario sì da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio di quest’ultimo né ha inserito nel medesimi contratto di mutuo, specifiche pattuizioni consistenti nell’incarico che il mutuatario conferisce al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse del primo. E’ evidente, dunque, nel caso che occupa, che il deposito cauzionale non soltanto non dà immediata disponibilità giuridica della somma al mutuatario, ma svolge utilità unicamente per la banca, al quale si assicura il diritto di incassare le rate di mutuo già dal momento della stipula (5.5.2011) come da piano di ammortamento (allegato C del contratto) poste a carico del mutuatario.

Alla luce di tali considerazioni, è evidente che il titolo in questa sede opposto, e mediante il quale l’istituto di credito opposto minaccia di agire in executivis per il recupero delle somme indicate in precetto, non può essere annoverato nella categoria dei titoli esecutivi di cui all’art. 474 co. 1 n. 2 c.p.c. sicché, ritenuto che dunque il contratto di mutuo posto a base del precetto che oggi si è ad opporre non possa ritenersi di per sé idoneo a sorreggere l’esecuzione forzata, accoglie l’istanza proposta dall’opponente in via preliminare e

P.Q.M.

sospende

l’efficacia esecutiva del titolo.

L’accoglimento del primo motivo s’appalesa assorbente ed esime dalla trattazione dell’ulteriore motivo posto a sostegno della richiesta di sospensione.

Spese alla definitiva fase di merito.

Così deciso in Pescara, il 12 giugno 2017.

Depositata in Cancelleria il 12 giugno 2017.

Trib_Pescara_Sent_12_06_2017

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Omessa indicazione del titolo esecutivo azionato validità del precetto

Omessa indicazione del titolo esecutivo azionato validità del precetto

Con sentenza del 27 luglio 2017 il Tribunale Ordinario di Cassino, Sezione Civile, ha stabilito che l’omessa indicazione del titolo esecutivo azionato non determina la nullità del precetto ai sensi dell’art. 480, secondo comma, c.p.c., quando l’esigenza di individuazione del titolo risulti comunque soddisfatta attraverso altri elementi contenuti nel precetto stesso.

Trib. Cassino, Sent., 27/07/2017

ESECUZIONE FORZATA
Opposizione all’esecuzione

INGIUNZIONE (PROCEDIMENTO PER) Opposizione

PROCEDIMENTO CIVILE
Legittimazione attiva e passiva

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI CASSINO

Sezione Civile

in persona del Giudice dell’Esecuzione, Dott.ssa Maria Rosaria Ciuffi, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in primo grado, iscritta al n. 1535/14 del ruolo generale per gli affari civili contenziosi dell’anno 2014, posta in decisione all’udienza del 06.03.2017 e vertente

TRA

V.T. SAS, in persona del rappresentante legale pro tempore V.V., con sede in P. (F.), Via S. A. snc, CF/PI (…); elettivamente domiciliata in Pico, Via A. Carnevale snc, presso lo studio dell’avvocato Sandro D’Anella (C.F….), che la rappresenta e difende come da mandato a margine dell’atto di citazione;

– Attore-

E

SOCIETA’ T.R., con sede in F., (F. (…)-licenza n. (…)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Viale Dante n. 97, Cassino (FR), presso lo studio dell’avv. Raffaele Iannotta C.F. (…), che lo rappresenta e difende giusta procura stesa a margine della comparsa di costituzione e risposta.

-Convenuto-

OGGETTO: Opposizione a precetto ex artt. 615 comma 1 c.p.c. e 617 c.p.c.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’atto di opposizione in esame, notificato in data 03.04.2014 alla società convenuta previa richiesta di sospensione, conseguiva ad atto di precetto notificato ai ricorrenti il 14.03.14, intimante il pagamento della somma di Euro 6.800,00 (oltre spese e compensi di Euro 507.52,00) in forza del Decreto ingiuntivo n. 745/08 – Cont. N. 2363/08-Cron.N. 1471.

In particolare, dalla lettura delle censure di parte attrice, il suddetto atto di precetto non veniva mai notificato agli odierni opponenti, e lo stesso risultava nullo o inefficace in seguito a violazione dell’art. 480 c.p.c. per 1) errata indicazione del titolo esecutivo posto alla base dell’esecuzione, mancata indicazione della data di notifica del presupposto d.i. e mancata notifica del titolo esecutivo. Inoltre, il predetto decreto, del quale non veniva menzionata l’autorità giudiziaria emittente, non risultava notificato alla società opponente, la quale lo disconosceva integralmente. Rilevata così l’irregolarità formale dell’atto a seguito dell’omessa indicazione dell’autorità giudiziaria emittente il pedissequo decreto ingiuntivo, veniva lamentata altresì una lesione del diritto di difesa dell’opponente, consistente nell’impossibilità per lo stesso, di proporre eccezione ex art. 650 c.p.c. per mancanza di indicazione del giudice eventualmente da adire ai sensi dell’art. 645 c.p.c. Nel merito, veniva contestata qualsiasi sussistenza di debiti nei confronti della società intimante in quanto non solo alcun decreto ingiuntivo giungeva a conoscenza della V.T. sas, ma anche perché, in ipotesi di crediti attinenti contratti di trasporti, gli stessi dovrebbero considerarsi prescritti in ordine al termine annuale di prescrizione cui soggiacciono. Infine, veniva evidenziata la sovrastima nonché la mancata corrispondenza tra l’importo presente in decreto ingiuntivo (Euro 6.281,60) e la somma indicata in precetto (Euro 6.800,00), così come delle spese per onorari, eccessive. In via istruttoria, si chiedeva l’ammissione di interrogatorio formale del r.l.p.t. della T.R. nonché prova per testi.

Il Giudice, letta l’istanza di sospensione contestuale all’atto di citazione, rilevato che i motivi di opposizione ex art. 617 non legittimavano la richiesta di sospensione dell’esecutività del titolo, poiché non era possibile verificare la notifica del titolo esecutivo, e, in sede di opposizione, venendo in rilievo un titolo esecutivo giudiziale, non era possibile contestare l’esistenza del credito, se non per fatti successivi alla sua formazione, il che non era quanto accaduto nel caso di specie; rilevato altresì che un’erronea indicazione della somma precettata non importa la nullità dell’atto, rigettata l’istanza di sospensione, fissava l’udienza del 14.01.2015 già indicata, per conferma, revoca o modifica del proprio decreto depositato in data 16.04.2014.

All’udienza del primo gennaio 2015 era presente per la parte opposta l’avv. Maria D’agostino in sostituzione dell’avv. Iannotta, la quale si riportava alla comparsa di risposta e aggiungeva che il d.i. de quo, n.745/2008 – RG 2863/08 emesso dal dr. F.E., veniva notificato a mezzo dell’Unep di Cassino cron. 12911 in data 08.01.2009 alla società opponente. Tale atto non veniva mai opposto e dunque in data 28.04.2009 veniva munito di formula esecutiva. Successivamente, veniva ritualmente notificato atto di precetto a mezzo dell’Unep Cassino in data 12.05.2009 cron. 5091 e altri precetti in rinnovazione. A riprova di quanto asserito, la parte convenuta allegava documento indicato con il n.5 nel fascicolo di parte opposta, nel quale la società odierna ricorrente testualmente chiedeva: ” di non poter pagare in un’unica soluzione poiché non abbiamo la possibilità…” in data 25.04.2005, prima dell’inizio della procedura monitoria. Per la parte attrice era presente l’avv. D’Anella il quale si riportava a quanto argomentato in atto di citazione, chiedeva altresì l’esibizione dell’originale della relata di notifica del d.i. menzionato, e un termine per addivenire a bonario componimento. Il Giudice rinviava all’udienza del 16.02.2015. Alla predetta udienza la parte attrice chiedeva i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. e insisteva per l’esibizione dell’originale della relata di notifica anche ai fini della proposizione di querela di falso che si riservava di proporre. Il Giudice concedeva i termini e rinviava al 3.7.15 per la verifica delle istanze istruttorie. All’udienza del 3.7.15, parte opponente chiedeva l’integrale accoglimento delle richieste formulate nelle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c. e insisteva per l’ammissione dei mezzi istruttori indicati nell’atto introduttivo e nella memoria n. 2. Era presente altresì il sig. V. in qualità di r.l.p.t. della V.T., il quale si dichiarava pronto a proporre querela di falso avverso la relata di notifica del d.i su scritto. Per la società opposta era presente l’avv. Iannotta, il quale si riportava ai propri scritti e chiedeva l’ammissione dell’istruttoria richiesta in memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. Contestava, inoltre, l’avanzata querela di falso proposta in udienza per violazione dell’art. 221 c.p.c. e ss. per carenza di legittimazione attiva e irritualità nella formulazione. La contestazione della sottoscrizione che susseguirebbe alla querela di falso, secondo parte opponente, era da considerarsi tardiva e inconferente, trattandosi di notifica effettuata a mani dall’Unep del Tribunale di Cassino da parte di Fortunata Carnevale “ivi addetta”. Sottolineava, altresì, come l’opposizione oggetto del presente giudizio avesse esclusivamente fini dilatori, essendo trascorsi ben sette anni dall’emissione del decreto ingiuntivo (notificato il 24.4.2009). Il Giudice rimetteva le parti dinnanzi alla dott.ssa Ciuffi per l’udienza del 26.10.15, nella quale le parti chiedevano rinvio per bonario componimento, che veniva concesso all’udienza del 14.12.15.

All’udienza del 14.12.15, entrambi i procuratori di parte chiedevano rinvio per trattative. All’udienza del 02.2.2016 l’avv. Iannotta, in difetto di accordo transattivo per causa imputabile a controparte, chiedeva l’ammissione dei mezzi istruttori articolati in memoria ex 183 comma 6 c.p.c. L’avv. D’Anella, di contro, data l’assenza per motivi di salute del sig. V., e in ordine alla volontà di proposizione della querela di falso come già manifestato nelle precedenti udienze, si riservava la presentazione di certificato medico e insisteva per l’ammissione dei mezzi istruttori presenti nell’atto introduttivo e nella memoria n. 2 ex art. 183 comma 6 c.p.c. L’avv. Iannotta si opponeva a quanto richiesto da controparte trattandosi di un credito mai contestato di cui addirittura si dava prova in scrittura privata della richiesta di pagamento dilatorio (mai rispettato) da parte della società procedente. Il Giudice, a scioglimento della riserva sui mezzi istruttori, considerato che l’esecuzione era fondata su un titolo giudiziale non opposto, anche nelle forme previste per le ipotesi di notifica nulla o inesistente, ritenendo la causa matura per la decisione, rinviava all’udienza del 17.1.17 per la precisazione delle conclusioni. All’udienza del 17.1.17 era presente l’avv. Rosino Di Brango in sostituzione dell’avv. D’Anella per la parte ricorrente e, data l’assenza del difensore di parte opposta, chiedeva rinvio per i medesimi incombenti. All’udienza del 6.3.17 l’Avv. Iannotta si riportava ai propri scritti difensivi e chiedeva il rigetto delle deduzioni di controparte. Il Sig. V., chiedeva al Giudice l’accoglimento della querela di falso avverso la relata di notifica apposta in calce al d.i. 745/2008. Il Giudice, dato atto che la relata di notifica contestata si riferiva al titolo e non al precetto, considerato che una volta che il decreto ingiuntivo era entrato nella disponibilità dell’intimato, questi aveva l’onore di presentare opposizione tardiva e al più opposizione per notifica inesistente, riteneva inammissibile la querela di falso avanzata in udienza e tratteneva la causa in decisione concedendo i termini di legge.

Orbene, dalla lettura delle difese di parte opposta articolate in comparsa di costituzione, nonché dalla documentazione prodotta si evince non solo che la notifica del precetto risulta ritualmente avvenuta, ma anche che il ricorso per decreto ingiuntivo non è mai stato opposto, determinandone così la sua definitiva esecutività. Pertanto il ricorso, in questi termini, diviene inammissibile. Inoltre, come statuito dalla Cassazione nella sentenza n. 25433/201, l’omessa indicazione del titolo esecutivo azionato non determina la nullità del precetto ai sensi dell’art. 480, secondo comma, c.p.c., quando l’esigenza di individuazione del titolo risulti comunque soddisfatta attraverso altri elementi contenuti nel precetto stesso, la cui positiva valutazione da parte del giudice di merito – insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata – può essere utilmente ancorata al successivo comportamento del debitore (consistente, nelle specie, nel pronto pagamento dell’importo precettato).

Passando a ciò che concerne più strettamente l’aspetto processual-civilistico della vicenda, sarebbe bene chiarire che l’art. 480 c.p.c., ultimo comma, richiama l’art. 125 c.p.c. disponendo, infatti, che: “Il precetto deve essere sottoscritto a norma dell’art. 125 e notificato alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti”. Dunque, l’art. 125 c.p.c. detta norme riguardo al contenuto e alla sottoscrizione degli atti di parte in generale, li elenca e vi comprende il precetto; da qui nasce, dunque, l’opinione di parte della dottrina che sostiene che l’atto di precetto debba contenere l’indicazione dell’ufficio giudiziario competente. Secondo la Corte di Cassazione (sent. 1229/1992), invece, l’omessa indicazione dell’ufficio giudiziario nell’atto di precetto non comporta la nullità dello stesso: “L’art. 480 c.p.c., che regola la forma del precetto, non prescrive che in esso siano indicati l’ufficio giudiziario davanti al quale si svolgerà la procedura esecutiva e la forma di esecuzione (mobiliare o immobiliare), della quale il creditore intimamente ritenga di avvalersi”. Né tanto meno l’omessa indicazione in un precetto della data di notifica del titolo esecutivo comporta nullità ove il precettato sia in condizioni di identificare senza incertezze il titolo in forza del quale s’intende procedere esecutivamente (come accade nel caso di specie).

Inoltre, nemmeno la censura di parte attrice relativa alla inesistenza di debiti con la società opposta merita accoglimento, in quanto la stessa nel fax prodotto in allegato, dichiarava di non poter provvedere al pagamento del debito intercorrente tra le due società. Cass. n. 2160/2013.

Infine, l’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero, ma dà luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente spettante, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito. (Cass. n. 2160/2013). Non emergono, però, nel caso di specie indici di eccessività delle somme indicate a titolo di spese e compensi dell’atto di precetto.

In ordine alla richiesta risarcitoria ex art. 96 c.p.c. avanzata dalla società opposta, si rinvengono gli estremi richiesti dalla norma, tenuto conto che nessuna delle numerose doglianze formulate ha trovato evidenza documentale e nemmeno, in diritto, risultano, in astratto, ipotizzabili le censure espresse avverso un atto giudiziale definitivo. Pertanto, la quantificazione del danno seguirà in libello, in via equitativa.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Cassino, in persona del Giudice dell’esecuzione Dott.ssa Maria Rosaria Ciuffi, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 1535/2014 R.G., promosso da V.T. sas nei confronti di T.R., così provvede:

– Rigetta l’opposizione all’esecuzione e agli atti dell’attore, e per l’effetto, dichiara efficace il precetto in rinnovazione opposto e notificato in data 14.03.2014;

– condanna la società V.T. sas al pagamento della somma di Euro 3.200,00, a titolo di compensi professionali oltre oneri di legge in favore della società T.R.;

– Condanna la società V.T. sas al pagamento in via equitativa della somma di Euro 3.200,00, in favore della società T.R. a titolo di risarcimento del danno per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

Così deciso in Cassino, il 26 luglio 2017.

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2017.

Trib_Cassino_Sent_27_07_2017