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Nel caso di domanda cd. “supertardiva” o “ultratardiva” di cui all’art. 101, ultimo comma,L. Fall., il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì una causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto

Nel caso di domanda cd. “supertardiva” o “ultratardiva” di cui all’art. 101, ultimo comma,L. Fall., il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì una causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto.

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 16103 del 19/06/2018

Con Ordinanza del 28 giugno 2018 la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di ammissione al passivo nelle procedure di fallimento, ha stabilito che, nel caso di domanda cd. “supertardiva” o “ultratardiva” di cui all’art. 101, ultimo comma, L. Fall., il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì una causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto, ed il relativo giudizio implica un accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ha rigettato il ricorso avverso il decreto del tribunale che aveva ritenuto il ritardo nella proposizione della domanda di ammissione imputabile al creditore fondiario, perché quest’ultimo, nell’ambito di un processo di espropriazione immobiliare celebrato nei confronti dello stesso debitore poi fallito, nel quale era intervenuto anche il curatore, aveva avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento tramite il suo difensore, in tempo utile per far valere il suo credito, pur in mancanza della comunicazione ex art. 92 L. Fall.


Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 16103 del 19/06/2018

Nel caso di domanda cd. “supertardiva” o “ultratardiva” di cui all’art. 101, ultimo comma, L. Fall., il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì una causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n.r.g. __ proposto da:

I. s.p.a., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato __ – ricorrente –

contro

FALLIMENTO __ s.r.l., in liquidazione, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato __ – controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BERGAMO depositato in data __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. La I. s.p.a., quale procuratrice di C. s.p.a., ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, resistiti dalla curatela del fallimento __ s.r.l., avverso il decreto del Tribunale di Bergamo, depositato in data __, reiettivo dell’opposizione L. Fall., ex art. 98 dalla prima proposta, nella medesima qualità, contro la mancata ammissione al passivo della suddetta procedura del complessivo credito di Euro __, di cui Euro __ in via ipotecaria ed Euro __ in privilegio ex art. 2770 c.c. per spese sostenute nella procedura esecutiva immobiliare.

1.2 Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale ritenne che: i) la richiesta di insinuazione di I.s.p.a., nella indicata qualità, datata __, era stata depositata oltre il termine previsto dalla L. Fall., art. 101, comma 1.; ii) la curatela aveva dimostrato che detta società, benché non destinataria della comunicazione L. Fall., ex art. 92, fosse venuta comunque a conoscenza del fallimento __ s.r.l., risalente al __, fin dal __, allorquando il curatore era subentrato in una procedura esecutiva immobiliare, intrapresa contro la debitrice poi fallita da G. e proseguita proprio da I. s.p.a. D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 41 con udienze protrattesi fino al __.

  1. Con i formulati motivi, la ricorrente deduce:
  2. I) “Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 92 e 101 84 e art. 116 c.p.c., e art. 2697 c.c.”. Si assume che titolare del credito azionato esecutivamente nella descritta espropriazione immobiliare era la C. s.p.a., e solo in qualità di sua procuratrice/mandataria I. s.p.a. era ivi intervenuta avvalendosi del patrocinio dell’Avv. __: quest’ultimo, dunque, era l’unico soggetto da ritenersi a conoscenza dell’intervenuto fallimento della debitrice, essendo pacifico che il curatore non aveva inoltrato a C. alcun avviso ai sensi della L. Fall., art. 92, e rilevando lo stato soggettivo di quel difensore nell’ambito dello specifico rapporto procuratorio processuale intercorrente tra lui e I. s.p.a., e giammai nei diretti confronti di C. s.p.a.;
  3. II) “Omesso esame di fatti decisivi della controversia che sono stati oggetto di discussione tra le parti”. Si ribadiscono, sostanzialmente, le medesime circostanze di fatto del primo motivo, ascrivendo al tribunale di non aver adeguatamente valutato le corrispondenti risultanze istruttorie;

III) “Violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su motivo di opposizione”. Si sostiene che il tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sul formulato motivo di opposizione L. Fall., ex art. 98 con cui si era denunciato che, derivando il credito azionato da mutuo fondiario assistito da privilegio processuale ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41 il termine di dodici mesi per la presentazione della domanda di ammissione al passivo sarebbe iniziato a decorrere solo dal momento in cui si era effettivamente concretizzata la ragione di credito nel suo definitivo ammontare, circostanza verificatasi, nella specie, in epoca successiva al termine suddetto;

  1. IV) “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 101, e artt. 2855 e 2770 c.c., nonché, con riferimento alla condotta processuale e stragiudiziale della curatela, nuovamente dell’art. 2730 c.c., art. 116 c.p.c. e L. Fall., art. 101: omesso esame di fatti decisivi della controversia che sono stati oggetto di discussione tra le parti”. Si deduce che il credito ipotecario azionato esecutivamente acquisisce carattere di liquidità solo al momento della vendita del cespite cauzionale, e che esso, nel caso di specie, sarebbe divenuto liquido, in tutte le sue componenti, al momento del completamento del trasferimento effettivo del bene all’aggiudicatario. Si ribadisce, infine, che il termine annuale L. Fall., ex art. 101, comma 1, inizierebbe a decorrere dalla data in cui è sorto il diritto alla pretesa creditoria.
  2. I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, non possono essere accolti per le ragioni di seguito esposte.

3.1. E’ assolutamente pacifico tra le parti che la curatela fallimentare non inviò a C. s.p.a. la comunicazione L. Fall., ex art. 92, sicché deve trovare applicazione il principio, già affermato da questa Corte, per cui il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì la causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento, indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto (cfr. Cass. n. 23302 del 2015; Cass. n. 4310 del 2012).

3.2. E’ noto, poi, che il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41, comma 2, nel prevedere che il creditore fondiario può iniziare o proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati anche successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore, deroga al divieto di azioni esecutive individuali previsto dalla L. Fall., art. 51, ma non anche alla norma imperativa di cui alla L. Fall., art. 52, secondo la quale ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o esentato dal divieto di azioni esecutive, deve essere accertato nelle forme previste dalla legge fallimentare. L’insinuazione al passivo costituisce, pertanto, un onere per la banca mutuante (sancito espressamente, a seguito della riforma della legge fallimentare, anche per i creditori esentati dal divieto di cui alla L. Fall., art. 51) al fine dell’esercizio del diritto di trattenere definitivamente, nei limiti del quantum spettante a ciascun creditore concorrente all’esito del piano di riparto in sede fallimentare, le somme provvisoriamente percepite a titolo di anticipazione in sede esecutiva (cfr. Cass. n. 6377 del 2015).

3.2.1. Nella specie è incontroverso che la odierna ricorrente, quale procuratrice di C. s.p.a., aveva proseguito, avvalendosi del privilegio processuale spettantele D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. art. 41 una espropriazione immobiliare (n. __ r.g.e., innanzi al Tribunale di Bergamo), originariamente intrapresa contro la debitrice poi fallita da G., e che in tale procedura, le cui udienze si erano protratte fino al __, era intervenuta anche, il __, la curatela del fallimento __ s.r.l., risalente al __, con il patrocinio dell’Avv. __. Da tali circostanze fattuali, il decreto impugnato ha tratto la conclusione che “il Curatore ha provato, ai fini della inammissibilità della domanda, che il creditore aveva avuto notizia del fallimento, indipendentemente dalla ricezione dell’avviso l. fall., ex art. 92, e che, pertanto, il creditore medesimo avrebbe potuto procedere tempestivamente all’insinuazione del credito in oggetto” (cfr. pag. 5).

3.2.1. “Posto, dunque, che nell’ipotesi di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi della L. Fall., art. 101, u.c. (c.d. supertardiva o ultratardiva, cioè proposta – come nel caso – oltre il termine, di legge o fissato dal tribunale, di cui al comma 1 della medesima norma, computato rispetto al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e pacificamente superato anche nella fattispecie de qua), la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità” (cfr. Cass. n. 19017 del 2017; Cass. n. 23302 del 2015; Cass. n. 20686 del 2013), ritiene il Collegio che la riportata conclusione del tribunale bergamasco sia immune dalle censure ad essa ascritte.

3.2.2. Invero, non è ragionevolmente dubitabile che il citato difensore (Avv. __) di I. s.p.a. abbia avuto conoscenza del fallimento __ s.r.l. quanto meno dal __, cioè da quando nella menzionata procedura esecutiva immobiliare n. __ r.g.e., innanzi al Tribunale di Bergamo, era intervenuta anche la curatela di quel fallimento. Inoltre, la circostanza che alle udienze successive di tale procedura prese parte, come peraltro accade normalmente, il legale suddetto, e non il soggetto da lui rappresentato, è priva di significato, atteso che costituisce principio di carattere generale quello per cui quanto avviene in udienza deve considerarsi noto alle parti (attraverso la mediazione del difensore), che, per quanto qui interessa, sono, nel processo di esecuzione, il creditore (nella specie, giova ricordarlo, C. s.p.a. aveva nominato propria procuratrice/mandataria, in quella procedura esecutiva, I. s.p.a.) ed il debitore, ricordandosi, altresì, che, ai sensi dell’art. 40 del Codice Deontologico Forense approvato il 17 aprile 1997 e vigente fino al 15 dicembre 2014 (qui utilizzabile, dunque, ratione temporis), l’avvocato è tenuto ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli quando lo reputi opportuno (ed ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta); deve comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione; deve riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi (disposizioni affatto analoghe sono contenute nell’art. 27, commi 7 ed 8, del medesimo Codice approvato il 31 gennaio 2014 ed entrato in vigore il 16 dicembre 2014).

3.2.3. I. s.p.a., dunque, nella indicata qualità, certamente doveva considerarsi a conoscenza, quanto meno dal __, della sopravvenuta dichiarazione di fallimento __ s.r.l. (risalente al __), né ad essa giova sostenere che la conoscenza di detta circostanza dovesse essere in capo (anche) all’effettiva creditrice (C. s.p.a.): l’odierna ricorrente, invero, ha agito spendendo la medesima qualità anche nel formulare la domanda L. Fall., ex art. 101, comma 4, sicché non può certo invocare giustificazioni di cui avrebbe, al più, potuto avvalersi solo la menzionata C. s.p.a. formulando in proprio (e non tramite quella procuratrice) la richiesta di insinuazione di cui oggi si discute. Da ciò consegue la inammissibilità della domanda L. Fall., ex art. 101, comma 4, proposta dalla prima, nella suddetta qualità, solo il __, pacificamente oltre il termine, di legge o fissato dal tribunale, di cui al comma 1 della medesima norma, computato rispetto al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento predetto.

  1. Il terzo ed il quarto motivo possono parimenti esaminarsi congiuntamente, benché denuncianti (il terzo) anche un preteso error in procedendo del Tribunale di Bergamo per non essersi asseritamente pronunciato su uno dei proposti motivi di opposizione L. Fall., ex art. 98. Il loro denominatore comune, infatti, va sostanzialmente individuato nell’assunto secondo cui, derivando il credito azionato da mutuo fondiario assistito da privilegio processuale ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41 il termine di dodici mesi per la presentazione della domanda di ammissione al passivo sarebbe iniziato a decorrere solo dal momento in cui si era effettivamente concretizzata la ragione di credito nel suo definitivo ammontare, circostanza verificatasi (nella specie, in epoca successiva al termine di cui alla L. Fall., art. 101, comma 1) solo con la vendita del cespite ipotecato, con la conseguenza che quel credito sarebbe divenuto liquido, in tutte le sue componenti, al momento del completamento del trasferimento effettivo del bene all’aggiudicatario.

4.1. Un siffatto assunto è, però, privo di fondamento, con conseguente irrilevanza dell’esistenza, o meno, in concreto, dell’invocato error in procedendo.

4.1.1. E’ sufficiente, invero, considerare che, come condivisibilmente osservato dalla curatela controricorrente, il credito derivante (come nella vicenda in esame) da mutuo fondiario diviene liquido, quanto alla sorta capitale che ne costituisce componente primaria, ben prima della vendita del bene ipotecato, concretizzandosi fin dal verificarsi dell’inadempimento del debitore, sicché esso diviene esigibile già da tale momento, se del caso tramite la domanda di ammissione al passivo del sopravvenuto fallimento del debitore/mutuatario. Altro è, invece, il fatto che, una volta effettuata l’insinuazione al passivo fallimentare, il limite del soddisfacimento di quel credito è sostanzialmente rappresentato dal ricavato della vendita del bene ipotecato in sede di procedura esecutiva.

4.1.2. Inoltre, le altre componenti di tale credito, ossia le spese e gli interessi, non sono affatto “infrazionabili” parti del primo. Invero, circa gli interessi, opera il disposto dell’art. 2855 c.c. (che costituisce, notoriamente, un’eccezione alla regola per la quale la dichiarazione di fallimento ne sospende il corso), ma ciò non richiede certo che debbano essere presentate nuove domande ogni volta che un rateo di interessi sia maturato, atteso che l’ammissione al passivo del capitale comporta il riconoscimento degli interessi nei limiti fissati dalla suddetta disposizione. Quanto, invece, alle spese liquidate dal Giudice dell’esecuzione immobiliare, quand’anche si voglia ritenere che tale indicazione abbia effetto definitivo nei confronti del fallimento, il creditore, presentando tempestivamente la domanda per l’ammissione dei propri crediti, si potrà riferire anche alle spese della procedura esecutiva come liquidate dal Giudice dell’esecuzione.

  1. Va, infine, ritenuta l’inammissibilità, postulando, a tacer d’altro, accertamenti in fatto impossibili nel giudizio di legittimità, delle ulteriori censure esposte da I. s.p.a. nel quarto motivo (cfr. pag. 21 e ss. del ricorso) relativamente ad una lamentata condotta emulativa del curatore nei suoi confronti.
  2. In definitiva, il ricorso va respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2018

Cass_civ_Sez_I_Ord_19_06_2018_n_16103




I beni trasferiti a conclusione di un’espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell’art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante

I beni trasferiti a conclusione di un’espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell’art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante.

Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 17041 del 28/06/2018

sentenza del 25 luglio 2018 d’Appello di Napoli, Sezione III Civile, il fideiussore, in caso di fallimento del debitore principale, non può sottrarsi al pagamento dell’obbligazione garantita opponendo la necessità della preventiva escussione del debitore stesso.

Con Ordinanza del 28 giugno 2018 la Corte di Cassazione Civile, Sezione III, in materia di esecuzione forzata, ha stabilito che i beni trasferiti a conclusione di un’espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell’art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante, come le accessioni propriamente dette; sicché, il trasferimento di un terreno all’esito di procedura esecutiva comporta, in difetto di espressa previsione contraria, il trasferimento del fabbricato insistente su di esso, ancorché abusivo.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda di convalida di sfratto, risoluzione del contratto di locazione, rilascio dell’immobile e pagamento dei canoni, proposta dall’esecutato nei confronti dell’avente causa dell’aggiudicatario del terreno in forza di procedura esecutiva, in quanto l’acquisto del terreno aveva comportato, per accessione, anche il trasferimento del capannone abusivo non sanabile su di esso costruito, non rilevando l’omessa menzione dell’immobile tanto nel bando di vendita quanto nel decreto di trasferimento del terreno.


Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza n. 17041 del 28/06/2018

I beni trasferiti a conclusione di un’espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell’art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

C., rappresentato e difeso dall’avv. __ giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D., rappresentato e difeso dall’avv. __ giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

che:

  1. Il Tribunale di Imperia respinse la domanda proposta da C. nei confronti di D. per la convalida di sfratto, la risoluzione del contratto di locazione ed il rilascio dell’immobile ad uso non abitativo che assumeva essere di sua proprietà: accertato che il bene era costituito da un capannone abusivo, non sanabile ed edificato su un terreno che era stato coattivamente trasferito a terzi nell’ambito di una procedura esecutiva promossa nei confronti dell’attore (legale rappresentante di una società dichiarata poi fallita), venne ritenuto, per ciò che interessa in questa sede, che l’acquisto del terreno da parte dell’aggiudicatario (dante causa del convenuto) avesse comportato anche il trasferimento del capannone per accessione e che, pertanto, nessuna pretesa poteva essere vantata nei suoi confronti in ordine al rilascio del bene ed ai canoni da pagare.
  2. La Corte d’Appello di Genova rigettò l’impugnazione proposta da C. che ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria.

L’intimato ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

che:

  1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2912 e 934 c.c., in tema di pignoramento ed accessione; nonché, ex artt. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, consistente nell’avvenuto trasferimento, in capo all’aggiudicatario, della vendita del solo terreno e non anche dell’immobile abusivo soprastante, nonché della successiva invalidità, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 17, del successivo atto di trasferimento del bene.

Lamenta, sotto il primo profilo, che la Corte aveva erroneamente applicato le norme richiamate, non avendo considerato che il capannone aveva una propria identificazione catastale ed era già stato oggetto di specifico pignoramento: ragione per cui la vendita non si poteva estendere dal terreno all’immobile e, conseguentemente, al momento dell’esecuzione egli era pieno proprietario del capannone che, non potendo costituire oggetto di alienazione forzata, lo legittimava a richiedere il pagamento dei canoni all’avente causa dell’aggiudicatario dell’esecuzione.

1.1. La censura è infondata.

Questa Corte, infatti, ha avuto modo di chiarire che:

  1. “l’identificazione dei beni trasferiti a conclusione di un’espropriazione immobiliare deve essere compiuta in base alle indicazioni del decreto di trasferimento di cui all’art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell’art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti ed anche i miglioramenti o le addizioni, ancorché non espressamente menzionati nel predetto decreto. Ne consegue che il prezzo di un fondo oggetto di vendita forzata include il valore di quanto è esistente sul bene medesimo e, dunque, anche quello delle opere su di esso realizzate, con l’ulteriore conseguenza che l’aggiudicatario non è tenuto al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 936 c.c.” (cfr. Cass. 26841/2011).
  2. “qualora nell’ordinanza di vendita di un terreno non si faccia menzione di una costruzione abusiva insistente su di esso, è ammissibile la proposizione, nei termini di legge, di un’opposizione agli atti esecutivi, ma non, in prosieguo, la contestazione del diritto dell’aggiudicatario a procedere ad esecuzione forzata, atteso che il pignoramento di un terreno successivamente contemplato nel decreto di trasferimento si estende, in difetto di espressa previsione contraria, al fabbricato che insiste sul terreno medesimo” (cfr. Cass. 7922/2004).

1.2. Al riguardo, il ricorrente lamenta che i giudici d’appello non avevano valutato che l’immobile abusivo era da sempre iscritto nei registri immobiliari con un proprio identificativo catastale ed era stato oggetto di uno specifico pignoramento: ma, a prescindere dalla novità del rilievo e la totale assenza di autosufficienza di esso (la circostanza è stata soltanto enunciata nel ricorso ma affatto corredata di adeguata descrizione e di riferimenti probatori), si osserva che la giurisprudenza indicata dal ricorrente (Cass. 7522/1987) a sostegno delle favorevoli conseguenze che sarebbero dovute derivare da tale affermazione, non contraddice affatto i principi contenuti negli arresti sopra riportati di cui la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione, rettificando anche l’erroneo richiamo dell’appellante a Cass. 23140/2013 (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) con la quale è stato, in realtà, affermato che “anche l’immobile abusivo non sanabile può costituire oggetto di vendita forzata, purché ciò sia dichiarato nel bando di vendita”.

1.3. Il ricorrente lamenta, altresì, l’impropria applicazione dell’art. 934 c.p.c. e nega la configurabilità dell’accessione, in ragione dell’omessa menzione dell’immobile nel bando di vendita e nel decreto di trasferimento dei terreni.

Si osserva che, oltre agli arresti sopra riportati, è stato ancor più specificamente affermato che “l’estensione del pignoramento agli accessori, alle pertinenze ed ai frutti (art. 2912 c.c.) è riferibile anche a tutti quei beni che, sebbene non espressamente menzionati nel relativo atto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante, come le accessioni propriamente dette. Con la conseguenza che, nel caso di costruzioni, queste vengono considerate come un’unica cosa con il terreno e rientrano nell’ambito del generico pignoramento dello stesso, tranne il caso della possibilità di separare la costruzione dal suolo o dell’insorgere sulla cosa incorporata di una proprietà separata a favore di un terzo” (cfr. Cass. 3453/1982; Cass. 7522/1987; Cass. 5002/1993).

La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi e la censura sollevata deve pertanto essere rigettata.

1.4. L’altro vizio dedotto nel medesimo motivo, con il quale il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo consistente nel trasferimento del solo terreno, con esclusione del capannone soprastante, deve dichiararsi inammissibile: la censura, infatti, è preclusa dall’art. 348 ter c.p.c., u.c. (inserito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del DL 83/2012, applicabile ai giudizi di appello introdotti successivamente al trentesimo giorno dalla sua entrata in vigore), in ragione del fatto che è mossa avverso la sentenza depositata il 16.2.2016 (e pronunciata a seguito di ricorso del 9.2.2015) che, sulla base delle stesse argomentazioni, ha confermato la decisione di primo grado.

  1. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 5.

Assume che il valore della causa individuato dalla Corte per la statuizione sulle spese era erroneo, in quanto esso era stato riferito allo scaglione corrispondente al valore indeterminabile, mentre doveva essere conteggiato con riferimento a quello indicato nella causa di intimazione di sfratto per morosità originariamente intentata.

2.1. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, infatti, ha correttamente ricondotto la determinazione delle spese del grado al decisum, secondo quanto previsto dal D.M. n. 55 del 2014, art. 5: al riguardo, si osserva che il riferimento alla morosità rispetto alla quale era stata intentata l’originaria controversia risulta improprio in ragione dell’entità della complessiva domanda proposta che riguardava, oltre ai canoni non pagati, anche il rilascio del capannone, ragione per cui il valore indeterminabile è stato adeguatamente individuato.

  1. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro __ per compensi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 1 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2018

 

Cass_civ_Sez_III_Ord_28_06_2018_n_17041




Il fideiussore, in caso di fallimento del debitore principale, non può sottrarsi al pagamento dell’obbligazione garantita opponendo la necessità della preventiva escussione del debitore stesso

Il fideiussore, in caso di fallimento del debitore principale, non può sottrarsi al pagamento dell’obbligazione garantita opponendo la necessità della preventiva escussione del debitore stesso

Corte d’Appello di Napoli, Sezione III Civile, Sentenza del 25/07/2018

Con sentenza del 25 luglio 2018 la Corte d’Appello di Napoli, Sezione III Civile, ha stabilito che il fideiussore, in caso di fallimento del debitore principale, non può sottrarsi al pagamento dell’obbligazione garantita opponendo la necessità della preventiva escussione del debitore stesso.


Corte d’Appello di Napoli, Sezione III Civile, Sentenza del 25/07/2018

Il fideiussore, in caso di fallimento del debitore principale, non può sottrarsi al pagamento dell’obbligazione garantita opponendo la necessità della preventiva escussione del debitore stesso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli, Terza Sezione Civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:

Dott.ssa __ – Presidente

Dott.ssa __ – Consigliere

Dott.ssa __ – Consigliere Rel

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. __ R.G., riservata in decisione all’udienza del __ con termini alle parti di cui all’art. 190 c.p.c. e vertente

TRA

D. e D., rappresentati e difesi, in virtù di procura in atti, dall’avv. __

appellanti

E

O., rappresentata e difesa, in virtù di procura in atti, dall’avv. __

appellante

Nei confronti di

B. s.c.r.l. in persona del Presidente e legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta mandato in atti, dall’avv. __

appellata

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Su istanza della B. S.c.a.r.l. il Tribunale di Torre Annunziata emetteva il decreto ingiuntivo n. __, nei confronti O., D. e D., quali fideiussori della società “M. S.r.l.”, con il quale li condannava, in solido, al pagamento della somma di Euro __ in parte per saldo debitore per anticipo fattura n. __ dell’importo di Euro __ emessa dalla M. S.r.l. alla C. S.r.l. ed in parte per n. __ cambiali per complessivi Euro __ rilasciati in forza di dichiarazione sottoscritta in data __, dai fideiussori, in relazione al c/c n. __, oltre interessi convenzionali decorrenti dal __, in virtù di un estratto autenticato ex art.50 del D.L. n. 385 del 1993 e del provvedimento di accoglimento della domanda di insinuazione al passivo del Fallimento della M. S.r.l.

1.2 Ha proposto opposizione O., la quale ha evidenziato l’inattendibilità dell’estratto conto della banca e l’inesistenza del credito; ha dedotto che, nella fattispecie in esame, si era verificata sia la causa di estinzione delle obbligazioni fideiussorie prevista dall’art. 1955 c.c. sia la liberazione dalle obbligazioni fideiussorie prevista dall’art. 1956 c.c.

1.3 Hanno proposto opposizione i fideiussori D. e D., i quali, in via preliminare, hanno eccepito l’incompetenza per territorio del Tribunale di Torre Annunziata, in favore del Tribunale di Nocera Inferiore, e, nel merito, hanno contestato l’illegittimità della pretesa di pagamento per l’intervenuta estinzione delle loro obbligazioni, stante l’intervenuto pagamento da parte della società M. S.r.l. della pretesa azionata; hanno dedotto la violazione del canone di buona fede nell’esecuzione del contratto di garanzia, con conseguente intervenuta estinzione dell’obbligazione di garanzia e liberazione dei fideiussori. Hanno contestato, infine, la illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale sugli interessi passivi.

1.4 Si è costituita la banca opposta che ha chiesto il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto; ha evidenziato l’infondatezza dell’opposizione ed ha insistito sul carattere di contratto autonomo di garanzia della polizza, che esclude la opponibilità di eccezioni relative al rapporto principale.

1.5 Il Tribunale ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio finalizzata a ricostruire la dinamica del rapporto bancario intercorso tra la banca e la società M. S.r.l., debitrice garantita, e a verificare se fosse stata applicata, dalla banca, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, per procedere, in caso positivo, al ricalcolo del saldo del conto, con eliminazione di qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi dall’inizio del rapporto fino al saldo. Il CTU ha accertato l’applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; ha, quindi, provveduto a depurare il conto corrente di tutti i valori riconducibili alla voce in oggetto.

1.6 Il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza n. __, ha rigettato le eccezioni preliminari di incompetenza territoriale; ha ritenuto non sussistente il dedotto avvenuto pagamento della esposizione debitoria da parte del debitore in bonis; ha ritenuto, quindi, che la fattura ceduta alla banca in data __ non era stata pagata dal debitore ceduto, la C. S.r.l., in quanto la Banca aveva consegnato alla Curatela del fallimento della M. s.r.l. n. _ effetti cambiari che le erano stati girati dalla M. S.r.l. Il Giudice di prime cure ha, preliminarmente, qualificato il contratto sottoscritto tra le parti come contratto autonomo di garanzia e, pertanto, ha ritenuto che le eccezioni ex artt. 1955 e 1956 c.c. erano inammissibili. Sulla base della risultanze della CTU che ha accertato la capitalizzazione degli interessi passivi, ha, quindi accolto, parzialmente, l’opposizione e ha revocato il decreto n. __; ha rideterminato la somma dovuta e ha condannato i fideiussori al pagamento della minor somma di Euro __.

  1. O., D. e D., con separati atti, hanno proposto appello avverso la sentenza n. __. Hanno tutti censurato la qualificazione giuridica del contratto di fideiussione come contratto autonomo di garanzia ed hanno insistito nelle eccezioni ex artt. 1955 e 1956 c.c. Hanno dedotto la inattendibilità degli estratti conto della Banca; hanno evidenziato la lacunosità della documentazione prodotta, rilevata anche dal CTU, il quale ha evidenziato che la Banca aveva omesso di produrre la documentazione proprio dei cd. “conti accessori” (quelli cd. “SBF” e “Anticipi su fatture”) oggetto di causa.

2.1 Gli appellanti D. e D. hanno censurato, altresì, con ulteriore motivo di gravame, la sentenza impugnata nella parte in cui non è stata ritenuta estinta la obbligazione cambiaria

2.2 La Corte ha disposto la riunione dei due distinti atti di appello.

2.3 Respinta la richiesta di sospensione dell’esecutività della pronuncia di primo grado, la causa, sulle conclusioni riportate in epigrafe, è stata posta in decisione all’udienza del __, con la concessione di giorni quaranta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di giorni venti giorni per il deposito di memorie di repliche.

  1. L’appello proposto non è fondato e non merita, pertanto, accoglimento.

Con il primo motivo d’impugnazione, gli appellanti hanno censurato la qualificazione del rapporto come contratto autonomo di garanzia, anziché come fideiussione. Hanno dedotto che tale interpretazione si poneva in contrasto con il tenore letterale della polizza in quanto postulava l’esclusione della facoltà di opporre le eccezioni spettanti al debitore principale, non contemplata, invece, dalla polizza.

3.1 – Il motivo è infondato.

Nel ricondurre il rapporto intercorrente tra le parti al contratto autonomo di garanzia, anziché alla fideiussione, la sentenza impugnata ha fatto applicazione dei principi espressi da Cass. Sez. Un., del 18 febbraio 2010 n. 3947.

Gli appellanti hanno censurato l’interpretazione operata con il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite ed hanno affermato che la pronuncia della Suprema Corte è riferibile alle ipotesi concernenti la fideiussione nei contratti di appalto ma non ai contratti bancari.

La giurisprudenza citata, invero, non distingue tra le categorie di contratti, ma afferma principi generali in materia di garanzia con conseguente infondatezza della censura.

Hanno dedotto invero, ai fini dell’exceptio doli, la condotta abusiva del creditore, il quale, nel chiedere la tutela giudiziale del proprio diritto, aveva fraudolentemente taciuto, nella prospettazione della fattispecie, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto azionato ed aventi efficacia modificativa o estintiva dello stesso.

Invero hanno lamentato che l’istituto di credito era a conoscenza della situazione patrimoniale della società M. S.r.l. ed, a riprova di ciò, hanno evidenziano la circostanza del tempo trascorso tra l’anticipazione della fattura garantita n. __ e l’attività di recupero (avvenuta nell’anno __) da parte dell’istituto di credito, ovvero pochi mesi prima che la società fallisse. Tali elementi denotavano un comportamento dell’istituto di credito contrario a buona fede poiché aveva, di fatto, pregiudicato l’azione di surroga e regresso dei fideiussori.

Gli appellanti, pertanto, hanno dedotto che con la qualificazione del contratto di fideiussione come contratto autonomo di garanzia il Tribunale aveva impedito loro di esercitare la facoltà di opporre le eccezioni spettanti al debitore principale.

La doglianza, già formulata in primo grado, oltre che infondata si appalesa del tutto irrilevante poiché, nel caso in esame, non si impone il preliminare esame concernente la corretta qualificazione del contratto di garanzia intercorso tra le parti, alla luce delle clausole in esso inserite.

Invero, dall’inequivoco tenore letterale della clausola inserita nell’art. 5 del contratto di fideiussione, allegato alla produzione della parte appellata, si evince che le parti avevano previsto che “il fideiussore avrà cura di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore ed in particolare di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con la banca”.

A fronte delle su riferite emergenze documentali, non si vede, quindi, quale rilevanza possa assumere la qualifica del contratto come semplice fideiussione a prima richiesta o contratto di garanzia autonoma dal momento in cui è pacifico che, in ogni caso, l’obbligo di informativa, sulle condizioni patrimoniali del soggetto garantito, in nessun punto del contratto, era previsto a carico dell’istituto di credito e, pertanto, il suo comportamento non può qualificarsi illecito, in quanto contrario ai canoni della buona fede contrattuale.

Ne consegue che, indipendentemente dalla qualificazione giuridica del contratto operata dal Tribunale, in tale prospettiva il comportamento dell’istituto di credito trova piena giustificazione nell’ambito dell’operazione economica di recupero del credito come effettuata, in quanto corrispondente in pieno alla comune volontà delle parti, quale risulta dalle clausole contrattuali.

Per converso, nella fattispecie in esame, ha assunto un’importanza del tutto rilevante il comportamento omissivo dei fideiussori in quanto la clausola contrattuale richiamata impone, testualmente, ai medesimi un obbligo informativo sulle condizioni economiche del debitore garantito, ragion per cui, in ogni caso, non avrebbero potuto invocare la estinzione e liberazione dalle obbligazioni fideiussorie.

Va, poi, aggiunto che, essendosi verificato il fallimento del debitore principale, il fideiussore, comunque, non potrebbe sottrarsi al pagamento dell’obbligazione garantita, opponendo la necessità della preventiva escussione del debitore stesso (cfr. Cassazione civile, sez. III, 16/10/2017, n. 24296; Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 15731 del 18/07/2011; Sez. 3, Sentenza n. 13661 del 30/05/2013).

3.2 Inammissibili si appalesano, invece, le censure come formulate alla sentenza nella parte in cui recepisce integralmente gli esiti peritali poiché esse si limitano ad illustrare, pedissequamente, interi passaggi motivazionali della sentenza senza formulare, tuttavia, censure conferenti con i passaggi della decisione impugnata riportati e capaci di porsi a confutazione degli argomenti sviluppati dal primo giudice.

Gli appellanti non sono stati in grado d’indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si sono limitati ad insistere su elementi già presi in considerazione ai fini della verifica dell’applicazione della capitalizzazione degli interessi passivi.

La difesa dell’appellante O., in sostanza, si duole dell’omessa valutazione, dal parte del Tribunale, delle contestazioni formulate in merito alla inattendibilità della documentazione prodotta dall’istituto di credito, in quanto lacunosa, come rilevata anche dal perito con riferimento ai cd. “conti accessori”.

Rileva la Corte, in via preliminare, che, quanto alla questione relativa alla omessa considerazione, dei cd. “conti accessori” da parte del Tribunale, essa riveste il carattere della novità, posto che deve costituire oggetto di specifica e inequivoca domanda di accertamento di parte, che non si rinviene nelle richieste degli appellanti nell’atto di opposizione, in primo grado,

Per mera completezza, la Corte rileva che, tuttavia, il CTU, pur riconoscendo che in relazione a detti conti la documentazione prodotta dalla banca era insufficiente, ha, in ogni caso provveduto – in conformità a quanto disposto nel mandato ad esso conferito – ad accertare la capitalizzazione trimestrale degli interessi applicata e ha, quindi, rideterminato la somma dovuta dai fideiussori senza applicare alcuna capitalizzazione degli interessi debitori per l’intera durata del rapporto.

In relazione alle censure formulate alla decisione di primo grado, pertanto, non può prescindersi dalle risultanze della CTU rispetto alla quale, invero, le critiche avanzate dagli appellanti non risultano specifiche, né offrono idonei elementi di diverso riscontro rispetto agli accertamenti peritali espletati dal consulente di ufficio.

Del resto la difesa dell’appellante non ha sollevato, in primo grado, alcun rilievo, né ha offerto argomentazioni in ordine alla possibilità di estendere l’indagine oltre il limite del materiale probatorio già acquisito agli atti, di cui pur il Tribunale ha dato esplicitamente atto in sentenza, per cui la censura rimane priva di qualsiasi possibilità di valutazione.

3.3 Destituita di ogni fondamento giuridico si appalesa, invece, la censura con la quale si lamenta che il giudice sia incorso nel vizio di ultra petitum poiché ha revocato il decreto ingiuntivo e ridotto la pretesa, originariamente azionata, pur in assenza di una specifica domanda riconvenzionale proposta dalla banca.

Per lo scrutinio delle censure è necessario premettere alcune considerazioni in diritto.

Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, potendo derogarsi a tale principio solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione di una “reconventio reconventionis”. Ne deriva quindi che -a differenza di un normale giudizio di cognizione – il convenuto opposto essendo attore sostanziale non può proporre alcuna domanda riconvenzionale

Nella specie, alcuna “reconventio reconventionis” risulta proposta da parte della banca opposta, non giustificata, tra l’altro, dalla posizione processuale della controparte la quale si era limitata a formulare mere difese volte a contrastare la pretesa azionata con il ricorso per decreto, eccependo la applicazione sulla somma richiesta della capitalizzazione trimestrale e degli interessi oltre il tasso consentito.

3.4 Gli appellanti D. e D., inoltre, lamentato che il Tribunale non avrebbe considerato l’intervenuta estinzione della pretesa poiché risultano consegnate alla Banca cambiali per un ammontare di Euro __, somma superiore, all’importo ingiunto.

La doglianza si appalesa infondata poiché l’assunto risulta, sfornito di ogni elemento probatorio, né la doglianza come formulata è idonea a confutare l’accertamento effettuato dal Tribunale secondo cui le cambiali de quo siano state consegnate, dalla banca, alla curatela fallimentare. Del resto poiché l’ingiunzione richiesta si fonda, in parte, sulle cambiali rilasciate in garanzia dai fideiussori, il possesso dei titoli da parte della banca creditrice anche al di là della specifica rilevanza che la restituzione assume nell’ambito della disciplina dell’istituto dalla remissione, quale modo di estinzione non satisfattivo dell’obbligazione (art. 1237 c.c.) – costituisce fonte di una presunzione juris tantum di omesso pagamento da parte dei debitori superabile con la prova contraria di cui deve onerarsi il debitore in ipotesi interessato a dimostrare che il pagamento, in realtà, è avvenuto.

Rispetto a tali incontrovertibili dati documentali, pure adeguatamente illustrati dal Tribunale, gli appellanti, sui quali il relativo onere incombeva- quale parte che ha preteso di scardinare la presunzione di legittimità che assiste la pronuncia di primo grado – nulla hanno provato.

Per converso la banca ha provato di essere stata ammessa la passivo del fallimento della M. s.r.l. con decreto del __.

3.5 Con ultimo motivo di censura l’appellante si duole, infine, della condanna alle spese di lite.

Si ritiene che tale censura, come formulata, sia inammissibile oltre che infondata.

L’appellante si duole, in particolare, della parziale compensazione delle spese di lite.

Sebbene, sul punto, il Tribunale abbia motivato succintamente, si rileva che la decisione non può ritenersi illogica o contraddittoria, essendo, al contrario, coerente con l’esito del giudizio, caratterizzato da un parziale accoglimento dell’opposizione con conseguente riduzione della pretesa azionata in sede monitoria e, quindi, parziale compensazione delle spese di lite.

Il motivo va, pertanto, disatteso.

Al rigetto dell’appello, consegue la integrale conferma della sentenza impugnata e la condanna degli appellanti al pagamento delle spese di lite di questo grado che si liquidano come in dispositivo, con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa (da Euro __ a Euro __) e della mancanza di una fase istruttoria.

Ricorrono i presupposti per il versamento, a carico degli appellanti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1 quater T.U. n. 115/02, come modificato dall’art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli – III sezione civile – definitivamente pronunciando sull’appello proposto da O.A., D.R. e D.A.G. avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. __, pubblicata il __, così provvede:

– Rigetta l’appello proposto e, per l’effetto, conferma, integralmente, la sentenza impugnata;

– condanna gli appellanti al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi Euro __ oltre IVA, CPA e rimborso forfettario nella misura del 15%;

– dà atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, a carico dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato

Così deciso in Napoli in camera di consiglio il 26 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2018.

Corte_Appello_Napoli_Sez_III Sen_25_07_2018

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La domanda di rideterminazione del saldo è esperibile anche con conto corrente aperto

La domanda di rideterminazione del saldo è esperibile anche con conto corrente aperto

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 21646 del 05/09/2018

Con ordinanza del 05 settembre 2018 la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, ha stabilito che la domanda di accertamento negativo è autonomamente esperibile anche in costanza di rapporto, poiché quando il conto corrente è aperto l’interesse del cliente trova normale soddisfazione nel ricalcolo dell’effettivo saldo, depurato degli addebiti nulli. Il correntista, infatti, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli.


Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 21646 del 05/09/2018

La domanda di rideterminazione del saldo è esperibile anche con conto corrente aperto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

G., elettivamente domiciliato in __, rappresentato e difeso dall’avv. __;

– ricorrente –

contro

B. N. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in __, rappresentata e difesa dall’avv. __;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Dott. __;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Svolgimento del processo

  1. Con citazione notificata il __ G. evocava in giudizio B. N. S.p.A. domandando l’accertamento della nullità di clausole anatocistiche dei contratti di conto corrente intercorsi tra le parti e regolanti un rapporto che risaliva al __; l’attore domandava, altresì, l’accertamento del dare e avere relativo al conto in essere, con scomputo degli interessi anatocistici, l’accertamento della somma che la stessa istante aveva indebitamente versato alla banca a quel titolo, oltre che a titolo di commissione di massimo scoperto, fino al __, nonché la condanna di B. N. S.p.A. alla ripetizione dell’indebito consistente nelle somme illecitamente riscosse dall’istituto di credito; in subordine, chiedeva la corresponsione del medesimo importo quale indennizzo per l’ingiustificato arricchimento; il tutto con la maggiorazione della rivalutazione, degli interessi e del risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c..

Nella resistenza di B. N. S.p.A., il Tribunale di Matera accoglieva in parte la domanda e condannava la convenuta stessa alla restituzione dell’importo complessivo di Euro __, oltre interessi.

  1. – Interposto gravame, la Corte di appello di Potenza, con sentenza del __, riformava la pronuncia impugnata e rigettava la domanda attrice. Osservava che la domanda di ripetizione dell’indebito presupponeva un precedente pagamento e che alla data dell’introduzione del giudizio il rapporto di conto corrente era ancora in corso, presentando esso una esposizione debitoria di L. __ a fronte di un fido di __. Rilevava, inoltre, che, con riferimento a quel momento, non vi era alcuna evidenza di versamenti aventi funzione solutoria, e non ripristinatoria della provvista; né poteva rilevare, ad avviso della Corte potentina, la circostanza per cui il conto corrente fosse stato chiuso il __, dal momento che la domanda era delimitata all’arco temporale ricompreso tra il __ e il __. Infine, il giudice del gravame affermava che il rigetto della domanda relativa all’indebito travolgeva anche le domande “presupposte” aventi ad oggetto la richiesta di accertamento della nullità di clausole contrattuali e la rideterminazione del saldo, posto che esse dovevano intendersi strumentali all’accoglimento della domanda di condanna, non potendo “l’esame di queste ultime e l’interesse ad esse sotteso (…) essere isolato e (…) prescindere dalla richiesta restitutoria”.
  2. – La sentenza è impugnata per cassazione da G., che fa valere tre motivi. Con controricorso resiste B. N. S.p.A. Sono state depositate memorie.

Motivi della decisione

  1. – Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 99, 100 e 112 c.p.c., nonché degli artt. 1283, 1418, 1419, 1421 e 2907 c.c. Si lamenta, in sintesi, che la Corte di merito abbia mancato di pronunciare sulla domanda di nullità della clausola contrattuale che regolava gli interessi anatocistici, reputando assorbente la circostanza per cui al momento dell’introduzione del giudizio il rapporto era ancora in corso e la domanda di ripetizione non poteva essere accolta.

Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost., art. 100 c.p.c. e art. 2033 c.c. Rileva il ricorrente che la domanda di mero accertamento sulla validità della clausola contrattuale che regolava la capitalizzazione trimestrale aveva autonoma funzione in quanto consentiva di appurare il saldo del conto corrente e conseguentemente di individuare chi, tra la banca e il correntista, fosse debitore nei confronti dell’altro; osserva, altresì, che tale accertamento prescindeva dalla condictio indebiti e che l’azione correlativa era volta a un risultato utile e giuridicamente apprezzabile. Assume dunque l’istante che il correntista, così come vanta il diritto al ricalcolo del saldo in pendenza del rapporto, così è titolare di una azione giudiziale diretta al corrispondente accertamento.

Col terzo mezzo viene lamentata la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 100 e 112 c.p.c., artt. 2907 e 2042 c.c. L’istante si duole del mancato esame, da parte del giudice del gravame, della domanda di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento: domanda che era stata proposta in via subordinata rispetto a quella di ripetizione dell’indebito.

  1. – Nei termini che si vengono ad esporre i primi due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in ragione della connessione che evidenziano, sono fondati. Il terzo motivo è invece assorbito.

2.1. È anzitutto da disattendere l’eccezione della banca controricorrente vertente sulla incompletezza dei richiami operati dall’istante alle deduzioni e alle domande da questa svolte nella comparsa di risposta in appello: incompletezza che rileverebbe nei termini di carente autosufficienza del ricorso per cassazione quanto ai denunciati vizi di cui sarebbe affetta la pronuncia di appello con riguardo alle domande di accertamento della nullità contrattuale. In realtà, è la stessa Corte di Potenza ad occuparsi delle predette domande, così implicitamente, ma univocamente, affermando, con statuizione non impugnata, che esse facevano parte del tema devoluto al suo esame e che su di esse doveva quindi rendersi una pronuncia.

Parimenti da respingere è l’assunto per cui l’omessa pronuncia non sarebbe stata denunciata a mezzo di un puntuale riferimento alla fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4. E’ incontestabile che la ricorrente, col primo motivo, abbia inteso dedurre anche il vizio di cui all’art. 112 c.p.c.: lo si desume dalla rubrica e dal compiuto svolgimento delle censura; né può conferirsi rilievo dirimente al mancato richiamo, nella intestazione del motivo, alla tipologia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, giacché, come è noto, una erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. 7 novembre 2017, n. 26310; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25557; Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036).

2.2. – Ciò posto, la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito che ha disatteso la domanda di accertamento delle nullità contrattuali e di rideterminazione del saldo sul presupposto della loro strumentalità rispetto alla domanda di ripetizione (a sua volta non accoglibile in ragione della mancata evidenza di versamenti solutori) – non merita condivisione. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, infatti, il correntista, in una situazione quale quella in esame contrassegnata dall’assenza di rimesse solutorie da lui eseguite ha comunque un interesse di sicura consistenza a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullità o validità delle clausole anatocistiche, l’esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l’entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo. Tale interesse rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni: quella della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito). Sotto questi tre profili la domanda di accertamento di cui si dibatte prospetta, dunque, per il soggetto che la propone, un sicuro interesse, in quanto è volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, che non può attingersi senza la pronuncia del giudice.

Come lucidamente osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli (Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, in motivazione; nel medesimo senso, sempre in motivazione, Cass. 15 gennaio 2013, n. 798).

La Corte di appello avrebbe dovuto quindi comunque statuire sul merito delle domande di accertamento proposte, giacché l’acclarata insussistenza di rimesse solutorie non escludeva un interesse della correntista rispetto alle pronunce invocate.

2.3. – Resta assorbito il terzo motivo.

  1. – In conclusione, vanno accolti i primi due motivi, mentre rimane assorbito il terzo. La sentenza è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2018

Cass_civ_Sez_VI _1_Ord_ n_2164605_ del_05_09_2018




Le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’I.N.P.S. ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, anche dopo la riforma del settore disposta con il d. lgs. n. 252 del 2005, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c.

Le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’I.N.P.S. ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, anche dopo la riforma del settore disposta con il d. lgs. n. 252 del 2005, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c.

Cassazione Civile, Sezione VI Civile, Sottosezione 3, Ordinanza n. 19708 del 25/07/2018


Con ordinanza del 25 lugio 2018, la Corte di Cassazione Civile, Sezione VI Civile, Sottosezione 3, in tema di pignoramento presso terzi, ha stabilito che anche dopo la riforma del settore disposta con il d. lgs. n. 252 del 2005, le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’I.N.P.S. ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c. ; tale principio, valevole per i lavoratori subordinati del settore privato, si estende anche ai dipendenti pubblici, stante la totale equiparazione del regime di pignorabilità e sequestrabilità del trattamento di fine rapporto o di fine servizio susseguente alle sentenze della Corte costituzionale n. 99 del 1993 e n. 225 del 1997.


Cassazione Civile, Sezione VI Civile, Sottosezione 3, Ordinanza n. 19708 del 25/07/2018

Le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’I.N.P.S. ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, anche dopo la riforma del settore disposta con il d. lgs. n. 252 del 2005, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. __ proposto da:

C., elettivamente domiciliata in __;

– ricorrente –

contro

I., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in __,;

– controricorrente –

contro

A., domiciliata in __;

– resistente –

avverso la sentenza n. __ della Corte d’appello di Bari, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

C. ha sottoposto a pignoramento l’indennità di fine servizio dovuta dall’I. ad A., dipendente del __ ancora in servizio. Stante l’omessa comparizione del terzo pignorato, ha chiesto procedersi, ai sensi dell’art. 348 c.p.c., (nella versione applicabile ratione temporis), all’accertamento del relativo obbligo.

Il giudizio si concludeva con esito favorevole in primo grado, ma la Corte d’appello di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava l’inefficacia del pignoramento, affermando la non assoggettabilità a pignoramento di somme non ancora esigibili.

Contro tale decisione la C. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. L’I. ha resistito con controricorso. A. ha depositato una memoria di costituzione.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380 bis c.p.c., (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Motivi della decisione

In applicazione del principio della ragione più liquida (Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490), vanno esaminati congiuntamente anzitutto il terzo e il quarto motivo, relativi alla pignorabilità del trattamento di fine servizio spettante ai dipendenti pubblici.

Questa Corte ha già chiarito che le quote accantonate del trattamento di fine rapporto sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c. (Sez. L, Sentenza n. 1049 del 03/02/1998, Rv. 512156).

Tale principio va tenuto fermo pur dopo la modifica della disciplina del trattamento di fine rapporto, che prevede, per le aziende con almeno 50 dipendenti, il versamento degli accantonamenti per il trattamento di fine rapporto sul Fondo Tesoreria dello Stato costituito presso l’I. Infatti, pur nel nuovo e più composito panorama normativo (che prevede altresì la possibilità per il lavoratore di optare per un sistema di previdenza complementare), resta fermo il fatto che il trattamento di fine rapporto costituisce, a tutti gli effetti, un credito che il lavoratore matura già in costanza di rapporto di lavoro, sebbene la sua esigibilità sia subordinata al momento della cessazione del rapporto stesso. Poiché, come attestato anche dall’art. 553 c.p.c., commi 1 e 2, i presupposti per l’assoggettabilità di un credito a pignoramento sono solamente la certezza del credito e la sua liquidità (o liquidabilità in base a parametri oggettivi), ma non la sua esigibilità, nulla osta alla pignorabilità del trattamento di fine rapporto, fermo restando che l’ordinanza di assegnazione non potrà essere eseguita prima che maturino le condizioni per il pagamento. Infatti, poiché il terzo pignorato viene giudizialmente ceduto al creditore procedente, egli potrà opporre a quest’ultimo tutte le eccezioni che poteva opporre al proprio creditore originario (ossia al debitore esecutato), ivi inclusa la non esigibilità delle somme.

Il problema della pignorabilità del t.f.r., dunque, si colloca semmai sul piano soggettivo, poiché il soggetto che erogherà il trattamento potrebbe essere diverso dal datore di lavoro.

Tanto chiarito, in relazione ai lavoratori dipendenti del settore privato, la questione non si pone in termini diversi per i dipendenti pubblici. Infatti, l’originario regime di impignorabilità del trattamento di fine servizio è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con le sentenze della Corte costituzionale n. 99 del 1993 e n. 225 del 1997.

In particolare, risulta inappropriato il richiamo contenuto nella sentenza impugnata al D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 21, (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti dello Stato).

La Corte d’appello afferma che le somme dovute A. a titolo di trattamento di fine rapporto non sarebbero pignorabili, in forza del disposto del citato art. 21, che ne limita la sequestrabilità e pignorabilità al solo caso di risarcimento del danno eventualmente causato dal dipendente all’amministrazione. In realtà, il dettato normativo deve ritenersi superato per effetto della già menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 99 del 1993, che, intervenendo sul D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180,art. 2, (Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), ha esteso, anche con riferimento al trattamento di fine rapporto, ai dipendenti pubblici il regime di pignorabilità – meno favorevole previsto per i lavoratori privati dall’art. 545 c.p.c..

Successivamente, il Giudice delle leggi è tornato sul tema con la sentenza n. 225 del 1997, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 21, nella parte in cui prevedeva, per i dipendenti dello Stato, la sequestrabilità o la pignorabilità delle indennità di fine rapporto di lavoro, anche per i crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti dall’art. 545 c.p.c., comma 4. Con tale pronuncia, la Corte costituzionale ha inteso dichiaratamente completare, anche in relazione ai crediti da danno erariale, il percorso di totale equiparazione del regime di pignorabilità (e sequestrabilità) degli emolumenti (compreso il t.f.r.) dei dipendenti pubblici e privati. Nella sentenza si legge: “Occupandosi del regime giuridico dell’indennità di fine rapporto erogata ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni (D.P.R. n. 180 del 1950), questa Corte è intervenuta, con la sentenza n. 99 del 1993, sul trattamento loro riservato, e ha esteso la sequestrabilità o pignorabilità per ogni credito, negli stessi limiti stabiliti dall’art. 545 c.p.c., comma 4. Ciò per l’ingiustificata disparità fra i dipendenti pubblici, fino ad allora privilegiati, e quelli del comparto privato che erano sottoposti alla soggezione, sebbene limitata, del potere legalmente esercitato dai creditori ordinari. Disparità non più tollerabile, secondo tale pronuncia, per la progressiva eliminazione delle differenze in materia, quale sviluppo della tendenza a omogeneizzare i due settori”. Dunque, alla luce dell’interpretazione fornita dalla stessa Corte costituzionale, non residua alcun dubbio sul fatto che la sentenza n. 99 del 1993, pur intervenendo sul D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2, ha implicitamente dichiarato costituzionalmente illegittimo anche il D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 21, il cui dettato era perfettamente compreso nell’ambito applicativo dell’altra disposizione, la cui fattispecie si distingue per una maggiore ampiezza oggettiva (in quanto comprensiva non solo del t.f.r., ma anche degli stipendi e delle pensioni) e soggettiva (giacchè si riferisce ai dipendenti non solo dallo Stato, bensì da tutte le pubbliche amministrazioni).

Va conclusivamente affermato il seguente principio di diritto:

“Anche dopo la riforma del settore disposta con il D.Lgs. n. 252 del 2005, le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’I.N.P.S. ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c. Tale principio, valevole per i lavoratori subordinati del settore privato, si estende anche ai dipendenti pubblici, stante la totale equiparazione del regime di pignorabilità e sequestrabilità del trattamento di fine rapporto o di fine servizio susseguente alle sentenze della Corte costituzionale n. 99 del 1993 e n. 225 del 1997”.

In applicazione di tale principio, vanno accolti il terzo e il quarto motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il terzo e il quarto motivo ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2018

Cass_civ_Sez_VI_3_Ord_25_07_2018_n_19708




Il vittorioso esito del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita è incompatibile con la coltivazione del giudizio di opposizione allo stato passivo

Il vittorioso esito del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita è incompatibile con la coltivazione del giudizio di opposizione allo stato passivo

Cassazione Civile Sezione I Civile, Ordinanza n. 26641 del 22/10/2018

Con ordinanza del 22 agosto 2018, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di esecuzione forzata, ha stabilito che il vittorioso esito del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita è incompatibile con la coltivazione del giudizio di opposizione allo stato passivo, basato sulla insinuazione al passivo ai sensi dell’art. 72, co. 7, L. Fall. (R.D. n. 267 del 1942) per la mancata stipula del definitivo e lo scioglimento del contratto preliminare. Il curatore fallimentare del promittente venditore di un immobile, invero, non può sciogliersi dal contratto preliminare ex art. 72 L. Fall., con effetto verso il promissario acquirente, ove questi abbia trascritto la domanda ex art. 2932 c.c. prima del fallimento e la domanda stessa sia stata accolta con sentenza trascritta, in quanto, a norma dell’art. 2652, co. 1, n. 2, c.c., la trascrizione della sentenza di accoglimento prevale sull’iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese.


Cassazione Civile Sezione I Civile, Ordinanza n. 26641 del 22/10/2018

Il vittorioso esito del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita è incompatibile con la coltivazione del giudizio di opposizione allo stato passivo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso n. __ proposto da:

R. e A., elettivamente domiciliati in __, presso lo studio dell’avv. __, rappresentati e difesi dall’avv. __;

– ricorrenti –

contro

Fallimento __ S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore dott. __, elettivamente domiciliato in __, presso lo studio dell’avv. __, rappresentato e difeso dall’avv. __;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VARESE, depositato il __;

lette le memorie ex art. 380-bis 1 c.p.c. depositate da entrambe le parti;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal Cons. Dr. __.

Svolgimento del processo

  1. R. e A. hanno proposto opposizione allo stato passivo del Fallimento __ S.r.l. in Liquidazione – dichiarato con sentenza del __ – per il mancato riconoscimento del privilegio ex art. 2775 bis c.c. sul credito di Euro __ (ammesso al chirografo) e l’errato riconoscimento del credito di Euro __ in luogo di quello insinuato per Euro __, a titolo, rispettivamente, di restituzione del corrispettivo già versato e di spese per materiali forniti in relazione al contratto preliminare di compravendita immobiliare concluso con la società in bonis in data __ e trascritto in data __, cui non era seguita la stipula del definitivo entro il termine previsto del __, per colpa del promittente venditore; di qui la promozione anche di apposito giudizio ex art. 2932 c.c. in data __, con domanda trascritta ai sensi dell’art. 2652, comma 1, n. 2) in data __.
  2. Il Tribunale di Varese ha respinto l’opposizione, osservando che gli effetti della trascrizione del preliminare ai sensi dell’art. 2645 bis c.c. erano operanti sino al __, non potendo applicarsi l’ulteriore previsione della norma che fa salvi tali effetti per i tre anni successivi alla trascrizione, in quanto operante solo nel caso in cui non sia previsto alcun termine per la stipula; né risultavano provati i presupposti per ritenere come non apposto il suddetto termine, in ragione di una supposta consapevolezza della venditrice della impossibilità di adempiere; parimenti, la prova dell’ulteriore credito insinuato risultava limitata alla minor somma ammessa.
  3. Avverso detta decisione i signori R. e A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la curatela intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2645-bis c.c., nr.3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – osservandosi che il contratto preliminare del __ era stato trascritto il __ e che la data prevista per la stipula del definitivo era il __, per cui i relativi effetti erano operativi sino al __ e non al __, come sostenuto dal Tribunale; inoltre, alla data del __ il legale rappresentante della società venditrice era consapevole della impossibilità di completare i lavori entro il termine del __; infine, trattandosi di “prima casa” doveva ritenersi illegittimo lo scioglimento dal contratto da parte del curatore.
  2. Con il secondo mezzo si lamenta la “omessa motivazione su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in particolare per omessa motivazione circa la non ammissione dei mezzi istruttori richiesti”.
  3. Deve preliminarmente darsi atto che con la memoria conclusiva i ricorrenti hanno prodotto copia della sentenza n. __ del __, passata in giudicato, con cui la Corte d’Appello di Milano ha accolto la domanda proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento in loro favore dell’immobile acquisito all’attivo fallimentare. La circostanza non è contestata nella memoria conclusiva della curatela controricorrente, la quale invoca di conseguenza la declaratoria di inammissibilità del ricorso per “subentrata carenza di interesse”.
  4. Il vittorioso esito del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita risulta in effetti incompatibile con la coltivazione, in questa sede, del giudizio di opposizione allo stato passivo, basato sull’insinuazione al passivo ai sensi dell’art. 72, comma 7, L. Fall., per la mancata stipula del definitivo e lo scioglimento del contratto preliminare.

4.1. Al riguardo, questa Corte ha recentemente chiarito che il curatore fallimentare del promittente venditore di un immobile non può sciogliersi dal contratto preliminare, ai sensi dell’art. 72 L. Fall., con effetto verso il promissario acquirente, ove questi abbia trascritto prima del fallimento la domanda ex art. 2932 c.c. e la domanda stessa sia stata accolta con sentenza trascritta, in quanto, a norma dell’art. 2652 c.c., comma 1, n. 2), la trascrizione della sentenza di accoglimento prevale sull’iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese (Sez. U. 16/09/2015, n. 18131).

4.2. In altri termini, il curatore conserva il potere di sciogliersi dal contratto previsto dall’art. 72 L. Fall., ma l’esercizio di detto potere resta inopponibile nei confronti del promissario acquirente che abbia trascritto la domanda ex art. 2932 c.c. prima del fallimento, grazie all’effetto prenotativo contemplato dall’art. 2652 c.c., comma 1, n. 2), il cui meccanismo pubblicitario si articola in una duplice fase, quella iniziale (trascrizione della domanda) e quella finale (trascrizione della sentenza di accoglimento della domanda). Di conseguenza, “il giudice può accogliere la domanda ex art. 2932 c.c. pure a fronte della scelta del curatore di recedere dal contratto, con una sentenza che, se trascritta, retroagisce alla trascrizione della domanda stessa e sottrae, in modo opponibile al curatore, il bene della massa attiva del fallimento” (Sez. 1, 31/07/2017, n. 19010).

  1. Deve quindi ritenersi che nel caso di specie si sia verificata una ipotesi di cessazione della materia del contendere, con conseguente inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse dei ricorrenti. Ed invero “l’interesse ad agire, e quindi anche l’interesse ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione (o l’impugnazione), ma anche al momento della decisione, perché è in relazione quest’ultimo – e alla domanda originariamente formulata – che l’interesse va valutato” (Sez. U., Sentenza n. 10553 del 28/04/2017, Rv. 643788 – 01; cfr. Cass. Sez. I, Ordinanza 11/04/2018, n. 9005).
  2. Le rappresentate peculiarità della vicenda giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.
  3. Non sussistono i presupposti per disporre il pagamento del doppio contributo, essendo la ratio del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato) quella di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose, sicchè tale meccanismo sanzionatorio si applica per l’inammissibilità originaria del gravame nella specie, ricorso per cassazione – ma non per quella sopravvenuta (ex multis, Cass. n. 13636/2015, n. 3542/2017, n. 15996/2018).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Compensa le spese processuali tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

Cass_civ_Sez_I_Ord_22_10_2018_n_26641




Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un vero e proprio giudizio a cognizione ordinaria. L’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio a meno che per effetto di riconvenzionale spiegata dall’opponente egli si venga a trovare nella posizione di convenuto rispetto a tale ultima domanda

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un vero e proprio giudizio a cognizione ordinaria. L’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio a meno che per effetto di riconvenzionale spiegata dall’opponente egli si venga a trovare nella posizione di convenuto rispetto a tale ultima domanda

Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, Sezione Civile, Sentenza del 31/08/2018

Con sentenza del 31 agosto 2018, la Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, Sezione Civile, in tema di ingiunzione civile, ha stabilito che con il giudizio di opposizione si instaura un vero e proprio giudizio a cognizione ordinaria. Con riguardo alle parti ed all’onere della prova, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio a meno che per effetto di riconvenzionale spiegata dall’opponente egli si venga a trovare nella posizione di convenuto rispetto a tale ultima domanda.


Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, Sezione Civile, Sentenza del 31/08/2018

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un vero e proprio giudizio a cognizione ordinaria. L’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio a meno che per effetto di riconvenzionale spiegata dall’opponente egli si venga a trovare nella posizione di convenuto rispetto a tale ultima domanda

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Trento

Sezione Distaccata di Bolzano

Sezione civile

riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

dott. __ – Presidente

dott. __ – Consigliere estensore

dott. __ – Consigliere

ha pronunciato seguente

SENTENZA

nella causa civile di II grado iscritta sub n. __ R.G. promossa

da

L., rappresentato e difeso dall’avv. __

– appellante –

contro

I.G. s.n.c., e O., entrambi rappresentati e difesi dall’avv. __

– appellati –

Oggetto: appello avverso la sentenza n. __ del Tribunale di Bolzano di data __ – opposizione a decreto ingiuntivo n. __ del Tribunale di Bolzano –

Svolgimento del processo

Con l’impugnata sentenza n. __ del __ , il Tribunale di Bolzano, in accoglimento dell’opposizione degli ingiunti I. s.n.c. e O., revocava il decreto ingiuntivo n. __ emesso in data __ su ricorso di L. Riteneva il Tribunale estinto il debito Euro __, ancora preteso dal ricorrente in esecuzione del verbale di conciliazione giudiziale del __ intervenuto ad esito di una controversia arbitrale, risultando già in data __ effettuato, da parte degli ingiunti, nelle modalità concordate il pagamento delle competenze dovute all’avv. __, già legale di L. nella pregressa fase. Avrebbero gli ingiunti già anni prima del deposito del ricorso dato piena attuazione al verbale di conciliazione, mentre destituita di fondamento si sarebbe dimostrata la contestazione del ricorrente per cui il pagamento fosse stato preceduto da indebito prelievo dell’importo di Euro __ dal proprio conto corrente attuato in data __ da parte degli stessi ingiunti con la connivenza dei funzionari di C.R.. Riteneva quindi il Tribunale irrilevanti/inammissibili le ulteriori allegazioni dell’opposto L. quanto ad altri indebiti prelievi asseritamente effettuati da O. dal suo conto corrente negli anni __al __, risultando la domanda limitata all’accertamento dell’avvenuta estinzione del credito di Euro __, azionato appunto con il ricorso per l’emissione del decreto ingiuntivo. Il Tribunale giudicava altrettanto inammissibile la domanda di accertamento di un ulteriore indebito prelievo per importo di Euro __, pretesamente effettuato in data __ dal conto dell’opposto, in quanto presentata appena nella comparsa conclusionale di primo grado e comunque ininfluente sul giudizio di opposizione, non essendo consentito al ricorrente opposto agire in questa sede per la ripetizione di indebito. Condannava quindi l’opposto alla rifusione, in favore degli opponenti delle spese di lite, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale da essi subiti per responsabilità processuale aggravata ex art. 91 c.p.c., quantificato in Euro __ per cadauna delle parti opponenti.

  1. proponeva appello avverso detta decisione, dolendosi dell’omessa decisione sulla domanda degli opponenti tesa all’accertamento che nulla era più dovuto da essi al ricorrente; affidava il suo appello a tre motivi concernenti

– la ammissibilità della domanda riconvenzionale da lui svolta, con oggetto l’accertamento dell’indebito prelievo, dal proprio conto, dell’importo poi in parte utilizzato per il saldo della parcella dell’avv. __ da parte degli opponenti;

– la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 277 c.p.c. per omesso esame della specifica domanda di parte opponente, nonché sulla “delega di pagamento ed incasso”, e sul mancato versamento degli importi promessi di Euro __, di cui quindi risultava tuttora creditore;

– l’ingiusta condanna di esso appellante opposto alla rifusione delle spese di primo grado e l’ingiusta sua condanna al risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., per non avere egli avuto conoscenza alcuna dell’avvenuto pagamento, a mezzo bonifico bancario, all’avv. __, dell’importo di Euro __, eseguito dagli opponenti, e neppure della fattura dell’avv. __, asseritamente intestata non a lui, suo cliente, ma alla controparte.

Nel costituirsi in giudizio, gli appellati sollevavano in via preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello, ai sensi degli artt. 342 e 348 c.p.c., non rispondendo l’atto ai requisiti normativi fissati e non ravvisandosi ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione. Prendevano quindi posizione sui singoli motivi d’appello, segnalando che la loro domanda di accertamento che “nulla è più dovuto dagli attori opponenti al ricorrente” era riferita all’unico credito azionato dal ricorrente, ovverosia all’importo di Euro __, da loro già pagato all’avv. __ in esecuzione della esplicita previsione contenuta nell’accordo, e che la critica di omessa pronuncia, laddove non dovesse essere intesa assorbita dalla revoca del decreto ingiuntivo, sarebbe semmai stata da sollevare da essi appellati, in sede di gravame. Per quanto concerneva la valutazione della “delega di pagamento ed incasso”, segnalavano – come già in primo grado – la tardiva produzione del documento, avvenuta appena nel corso dell’udienza del __ e non accompagnata da ordinanza di accoglimento della istanza di rimessione nei termini, formulata dall’opposto e da loro contestata. Ritenevano, infine, corretta la decisione sulle spese del giudizio e sulla condanna del ricorrente opposto al risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.

Udite, in data 11.04.2018, le conclusioni delle parti, la Corte tratteneva la causa in decisione, previa assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

Motivi della decisione

  1. L’eccezione di inammissibilità, tout court, dell’appello, sollevata dalle parti appellate ai sensi degli artt. 342 e 349 bis c.p.c., va disattesa.

Nonostante l’esposizione poco chiara, l’atto d’appello risponde ai requisiti formali e di metodo minimi di cui all’art. 342 c.p.c., contenendo la indicazione delle parti del provvedimento oggetto dell’impugnazione, la nuova e diversa valutazione chiesta al giudice d’appello ed i ritenuti errori di fatto e diritto attribuiti al giudice di primo grado che hanno comportato il contestato esito della lite.

L’atto d’appello soddisfa così i criteri enunciati dalle recenti sentenze della Corte suprema di Cassazione (Cass. civ., 08.01.2016, n. 546 e 21.06.2016, n. 25711), oltre da numerose altre, sulla non incidenza del mancato rispetto di rigide formule quanto ad ammissibilità dell’appello. In ultimo, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione hanno, in tema (sentenza n. 27199/2017), coniato il seguente principio di diritto: “Gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal D.L. 22 giungo 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quello di primo grado.”

  1. Con il primo motivo l’appellante si duole del mancato accoglimento “della domanda riconvenzionale dell’opposto” asseritamente formulata in primo grado ed avente ad oggetto la richiesta di sentir esplicitamente respinta la domanda degli opponenti circa l’accertamento che “nulla è più dovuto dagli attori opponenti al ricorrente”, da questi formulata in aggiunta al chiesto accertamento ed alla chiesta dichiarazione dell’insussistenza del credito di Euro __, azionato da L. con il proprio ricorso per l’emissione di decreto ingiuntivo per il detto importo.

2.1 Senonché di simile pretesa degli opponenti, estesa a ogni possibile rapporto di debito/credito con l’opposto, non è dato leggere alcunché né nell’atto di citazione in opposizione, né nella sentenza impugnata, laddove il Tribunale, di fronte alla prova documentale del già avvenuto pagamento dell’importo preteso nelle forme e nei modi di cui al verbale di conciliazione di data __, firmato dalle parti ad esito del giudizio arbitrale, si è limitato a revocare il decreto ingiuntivo.

La domanda degli opponenti presentata al punto “b) accertare e dichiarare che il credito di Euro __ richiesto da L. nel ricorso per decreto ingiuntivo di data __ è insussistente ed infondato e che nulla è più dovuto dagli attori opponenti al ricorrente”, è all’evidenza, come già chiarito dagli stessi opponenti, riferito all’esistenza del credito azionato da L., attinente all’asserito inadempimento di I. s.n.c. e O. dell’obbligo a provvedere a saldare l’onorario chiesto dallo studio legale __ per l’attività professionale prestata in favore di L. nelle pregresse fasi giudiziali e stragiudiziali, impiegandone parte dell’importo concordato quale controprestazione dovuta dalla società al socio L. in occasione della sua uscita dalla compagine sociale.

Con la conseguenza, che una volta pronunciata la revoca del decreto ingiuntivo sulla base della prova documentale attestante il puntuale pagamento dell’importo quantificato dall’avv. __ in appunto Euro __, eseguito in data __ dalla I.G. s.n.c. a mezzo di bonifico bancario sul conto dello studio legale __ ed emissione, in pari data, della nota d’onorario n. __ intestata a nome di L. (e non, come continua tuttora a sostenere parte appellante a I.G. s.n.c.), recante quietanza dell’importo ricevuto __ (vedi allegati 3, 4 5 e 6 all’atto di citazione in opposizione, e l’allegato al doc. n . 5 nel fascicolo di parte opposta/appellante), e nel contesto appurata dal Tribunale l’infondatezza della pretesa dell’opposto di veder accertato che il pagamento fosse stato finanziato con denaro (Euro __) indebitamente prelevato in data __ da O. dal conto di L., è il solo asserito credito, oggetto del decreto ingiuntivo opposto, che il Tribunale ha implicitamente dichiarato da lungo tempo estinto e quindi non più esistente. Nulla ha il Tribunale viceversa deciso sull’esistenza/inesistenza di altre eventuali posizioni di debito/credito ancora aperte tra le parti, ritenendo in parte inammissibili, in parte non proponibili nel giudizio di opposizione, le domande di accertamento di altri crediti, avanzate dall’opposto nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso.

Laddove, contrariamente alla lettera dell’atto di opposizione, la domanda sub b) degli opponenti, nell’ultima parte, fosse invece da interpretare quale richiesta di declaratoria “tombale” di insussistenza di alcuna ragione di credito di L. nei confronti di I.G. s.n.c. e O., unici ad avere titolo per dolersi del mancato accoglimento della domanda sarebbero gli odierni appellati.

Se è pur vero, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo all’opposto spettano tutti i poteri inerenti alla posizione del convenuto, fra cui quello di introdurre, su domanda riconvenzionale degli opponenti una eventuale ulteriore sua domanda riconvenzionale idonea a contrastare la prima, è altrettanto vero, che tale possibilità concessa al convenuto opposto sarà da lui sfruttabile nei termini e modi concessi dal codice di rito.

La comparsa di costituzione, depositata nel giudizio di primo grado dall’opposto L., avrebbe quindi – se l’accertamento chiesto al punto b dell’atto di opposizione fosse da intendersi non limitato alla declaratoria sull’esistenza/inesistenza del debito/credito di Euro __ e quindi da intendersi domanda riconvenzionale – dovuto contenere la pretesa domanda riconvenzionale dell’accertamento della esistenza di altri crediti con indicazione di titolo ed ammontare nei confronti della I.G. s.n.c. e di O.

Nel chiedere il rigetto dell’opposizione L. invece si è limitato a segnalare, in modo del tutto generico, che l’importo di Euro __, utilizzato – giusto il verbale di accordo – per il pagamento dell’onorario dell’avv. __, già suo difensore, sarebbe parte di imprecisato importo “in precedenza da parte opponente abusivamente prelevato e/o clandestinamente sottratto dal conto bancario dell’opposto I.L. … unitamente ad altre somme relative all’arbitrato, definito con verbale di transazione di data __ tra le stesse parti ….”, senza neppure formulare la relativa domanda di accertamento. A dette generiche indicazioni non può essere riconosciuto carattere di reconventio reconventionis, sempre ammesso e non concesso che da parte degli opponenti fosse stata introdotta nel giudizio una domanda riconvenzionale, presupposto indefettibile per l’ammissibilità dell’estensione, da parte dell’opposto, del tema di lite come da lui individuato nel ricorso per l’emissione del decreto ingiuntivo. Si veda, in proposito, la recente decisione della Corte di Cassazione, sent. 22.06.2018, n. 16564:

Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una “reconventio reconventionis”.

2.2 Sul conto di L. venne in data __ accreditata esattamente la somma di Euro __, dovutagli – giusto il verbale di conciliazione del __ (doc. n. 1 allegato al ricorso per l’emissione di decreto ingiuntivo) – quale corrispettivo concordato per il suo recesso dalla società in Euro __, ridotto, per compensazione del controcredito della società (Euro __) per lavori di costruzione della di lui casa di abitazione, “come risultante da fattura n. __ emessa dalla I.G. s.n.c. nei confronti di L.” ad Euro __, importo dal quale sono detratti gli Euro __ direttamente corrisposti da I.G. s.n.c. all’avv. __, ad estinzione del debito di L. nei confronti del legale.

Si veda il tenore letterale dell’accordo, “… il restante importo di Euro __ verrà versato entro giorni 7 dalla data odierna, detratti gli onorari e le spese che verranno comunicati da parte dell’avv. __, sul conto corrente n. __ presso la C.R., Filiale di __, intestato a L.”

Il tema di lite, come esteso dall’opposto, era quindi circoscritto in tali limiti, sicché rettamente il Tribunale, una volta accertato che l’asserito indebito “prelievo” di Euro __, che sarebbe servito per saldare l’onorario dell’avv. __, non era altro che il saldo progressivo negativo del conto di L., in data __ in seguito ad un prelievo, effettuato appunto quel giorno di Euro __. Detto saldo negativo pari ad Euro __ (si veda l’estratto conto particolareggiato, dimesso da L. quale suo doc. 4, allegato alla comparsa di costituzione in primo grado) è stato quindi riportato in positivo, dopo il versamento in data __ degli Euro __, con nuovo saldo progressivo del conto, in tale data, di Euro __.

La sigla __ apparente sull’estratto conto doc. 4 nel fascicolo di L. si riferisce evidentemente al prelievo dei predetti Euro __ in data __, che hanno portato il saldo progressivo del conto dai precedenti Euro __ del __ a quello degli Euro __ del __.

2.3 Va condivisa la decisione del Tribunale di ritenere irrilevanti, riguardo all’unico tema di lite introdotto da L. con il ricorso per l’emissione di decreto ingiuntivo, prelievi indebiti effettuati, a dire dell’opposto, da O.: a prescindere dalla circostanza che ad oggi non v’è prova né della dedotta falsificazione di firme in calce ad ordini di bonifico attribuite a L. e in realtà apposte da O., cert’è che il pagamento delle spettanze all’avv. __ è tempestivamente avvenuto, nei modi concordati in sede di accordo, è ciò era ed è sufficiente per giungere alla pronuncia di revoca del decreto ingiuntivo opposto.

  1. Con il secondo motivo l’appellante deduce violazione dell’art. 112 e dell’art. 277 c.p.c. per omesso esame della “Delega di pagamento ed incasso” di cui al suo doc. n. 41. Effettivamente e correttamente il Tribunale non ha ritenuto di prendere in considerazione il detto documento, depositato appena nel corso dell’udienza del __, ampiamente dopo lo scadere dei termini perentori ex art. 183, 6 comma, c.p.c., senza che fosse accolta la richiesta di remissione in termini formulata nell’occasione dall’opposto.

3.1 Comunque sia, con tale delega (senza data, nella copia dimessa in atti), indirizzata alla I.G. s.n.c. ed alla C.R., filiale di __, dopo le premesse attinenti al pendente giudizio arbitrale per la liquidazione della quota del socio L. ed ai crediti e controcrediti ivi fatti valere, il predetto L. “dispone” l’utilizzo, da parte dell’Istituto bancario, dell’importo “che verrà liquidato dal Collegio arbitrale a carico della società e a favore di L. ad esito del giudizio arbitrale dopo il pagamento (da effettuarsi direttamente dalla I.G. snc)

1) agli arbitri degli onorari e delle spese ad essi dovuti come determinati nel loro arbitrale per la quota di spettanza di L.;

2) l’avv. __ degli onorari e delle spese ad essi dovuti in base alla parcella che verrà emessa,venga versato dalla I.G. Snc sul c/c n. __ presso la C.R., Filiale di __, la quale viene sin d’ora autorizzata a trattenere le seguenti somme, nell’ordine indicato e fino ad esaurimento dell’importo restante al netto dei succitati pagamenti:

1) fino ad Euro __ per il fido in c/c n. __

2) Euro __ per saldare la rata arretrata, scaduta il __, del mutuo n. __

3) l’importo necessario per saldare le eventuali rate future del suddetto mutuo scadute ed esigibili alla data di emissione del lodo arbitrale.” (enfasi dell’estensore)

Se ne deduce in primo luogo che la delega di pagamento in questione è stata stilata e firmata ancora prima del verbale di accordo nel procedimento arbitrale, e non ne rappresenta modifica.

La delega poi, lungi dal prevedere/imporre/riconoscere ulteriori pagamenti da eseguire alla I.G. snc in favore di L., oltre “all’importo che verrà liquidato ad esito del giudizio arbitrale”, semplicemente dispone che l’importo risultante, una volta accreditato sul conto di L. in esito alla procedura arbitrale sarà da utilizzare appunto per coprire il fido in conto corrente (Euro __) e per pagare la rata di mutuo arretrata di Euro __, scaduta il __, nonché per “saldare le eventuali rate future del suddetto mutuo scadute ed esigibili alla data di emissione del lodo arbitrale”. Solo una lettura superficiale del documento in esame può aver indotto parte opposta appellante a ritenere esso fonte dell’obbligo, assunto da I.G. s.n.c., a pagare alcunché, in aggiunta a quanto concordato nel verbale di conciliazione, rimanendo l’obbligo riguardante il fido concesso (Euro __) e quello di pagare la rata del mutuo Euro __, poi effettivamente estinta il __, in ammontare di Euro __, v. doc. n. 4 nel fascicolo dell’opposto appellante) a pacifico carico di L. stesso.

Si veda, a conferma di quanto sopra ricostruito, la lettera dell’allora legale di L., avv. __, di data __ citata nell’atto di appello. In essa è, conformemente al testo dell’Acc. __, dato atto del pagamento, nel giro della settimana successiva, dell’importo di Euro, da accreditare sul conto di L. presso la C.R., e da utilizzare, come dalla delega già ricordata, per il fido e per il pagamento della rata scaduta il __, con l’avviso ulteriore che l’importo rimanente di Euro __ debba essere versato sul conto di L. presso la B.P., pure in sofferenza, per evitare un pignoramento (cfr. doc. 42 nel fascicolo di parte opposta appellante).

La problematica attinente, indi, alla corretta attuazione o no della predetta delega, è questione inerente il rapporto tra l’istituto di credito e L., che non forma oggetto della presente lite, come ne rimane estraneo anche l’asserito indebito prelievo/utilizzo, in data __, dell’importo di Euro __.

  1. Con il terzo motivo l’appellante denuncia quali ingiuste le riportate condanne alla rifusione delle spese di lite agli opponenti e al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. quantificati in favore delle parti opponenti in ammontare di Euro __ cadauna.

Rileva la Corte, che il pieno accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo legittimava senz’altro, ex art. 91 c.p.c., la condanna dell’opposto alla rifusione delle spese di lite alle controparti.

Condivisibile e corretta appare, di fronte alla comprovata estinzione, ancora in data __, del credito di L. posto a base del ricorso per l’emissione del decreto ingiuntivo opposto, il riconoscimento di responsabilità aggravata ex art. 96, 1 comma c.p.c. e la condanna al risarcimento dei danni. Sostiene, a contrario, l’appellante di non avere avuto “conoscenza diretta” dell’avvenuto pagamento dell’onorario all’avv. __, negando – senza fornire prova concreta – di avere mai avuto consegnata la lettera dell’avv. __ di data __.

Tuttavia, di fronte alla nota d’onorario del legale n. __ del __, intestata a L. e recante la quietanza, di cui non ha mai negato di aver avuto consegna, non poteva ignorare che I.G. s.n.c. aveva tempestivamente adempiuto all’obbligo assunto in sede di Acc. del __ e quindi pagato la notula, legittimamente versando quindi sul conto di L. la sola differenza tra l’importo complessivo dovuto di Euro __ e l’onorario direttamente pagato al legale.

Ad ogni buon conto, L. avrebbe potuto, a mezzo di semplice telefonata allo studio __, fugare ogni suo dubbio sul corretto adempimento dell’obbligo di I.G. s.n.c. di pagare direttamente il professionista, accorgimento questo pretendibile e dovuto dal sedicente creditore prima di instaurare la presente, inutile lite.

  1. Al rigetto dell’appello consegue la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado in favore degli appellati. Non ritiene la Corte sussistenti i presupposti per una nuova condanna dell’appellante al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., non ravvisandosi infatti patimento d’animo e ansie ulteriori, rispetto a quelli già risarciti in esito al giudizio di primo grado e riconducibili alla pendenza del giudizio di appello.

Nella liquidazione delle spese del secondo grado del giudizio vengono in applicazione i parametri introdotti dal D.M. Giustizia n. 55/2014, in vigore dal 03.04.2014 ed indi aggiornati con D.M. n. 37 dell’08 marzo 2018, in vigore dal 27.04.2018.

Ciò in ossequio alla disposizione temporale di cui agli artt. 28 rispettivamente 7 dei decreti ministeriali citati, per cui “le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore.”

In considerazione del valore della causa, ricompreso nello scaglione da Euro __ a Euro __, in applicazione dei valori medi di cui alla tabella “12. Giudizi innanzi alla Corte di Appello”, con aumento del 30% per la difesa di due soggetti aventi stessa posizione processuale, si avranno, per le singole attività effettivamente compiute, i seguenti importi:

– fase di studio della controversia Euro __

– fase introduttiva del giudizio Euro __

– fase decisionale Euro __

per un totale di compenso unico pari ad Euro 6.615,00 che, per il detto aumento di Euro __ raggiunge il totale Euro __, cui ancora s’aggiungono, ai sensi dell’art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, Euro __ a titolo di spese forfettarie (da calcolare nel 15% sul compenso totale).

P.Q.M.

La Corte di Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, definitivamente decidendo nella causa di appello promossa da L. nei confronti di I.G. s.n.c. e O. ad impugnazione della sentenza numero __ pronunciata dal Tribunale di Bolzano in data __ e pubblicata in data __,

ogni altra istanza, eccezione e difesa disattesa,

  1. rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
  2. condanna l’appellante L. a rifondere alle parti appellate I.G. s.n.c. e O. le ulteriori spese affrontate dai predetti per la presente fase del giudizio, che liquida in complessivi Euro __ oltre a C.A.P. ed I.V.A. sulle voci gravate ed oltre alle successive spese occorrende;
  3. dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte dell’appellante L.I. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto ai sensi del comma 1-bis del predetto art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002 per la stessa presentazione dell’impugnazione.

Così deciso in Bolzano, il 22 agosto 2018.

Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2018.

Corte_Appello_Trento Bolzano_Sent_31_08_2018

Recupero crediti  a TRENTO con ROSSI & MARTIN studio legale

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La notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale è stato emesso non è idonea a fare assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e, quindi, di legittimato a proporre l’opposizione

La notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale è stato emesso non è idonea a fare assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e, quindi, di legittimato a proporre l’opposizione

Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 04/09/2018

Con ordinanza del 4 settembre 2018, il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, ha stabilito che la notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale è stato emesso non è idonea a fare assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e, quindi, di legittimato a proporre l’opposizione, quando sulla base del decreto ingiuntivo non sia ravvisabile un pregiudizio del terzo tale da far sorgere un suo interesse giuridico all’opposizione.


Tribunale Ordinario di Roma, Sezione XVII Civile, Sentenza del 04/09/2018

La notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale è stato emesso non è idonea a fare assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e, quindi, di legittimato a proporre l’opposizione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

XVII (già IX) SEZIONE CIVILE

in persona del giudice unico dott. __ ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta nel registro generale per gli affari contenziosi al n. 80031 dell’anno 2013 vertente

tra

M., elettivamente domiciliato __, presso lo studio dell’Avv. __, che lo rappresenta e difende in forza di procura in atti

opponente

e

A. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in __, presso lo studio dell’Avv. __, che la rappresenta e difende in forza di procura in atti

opposta

nonché

Condominio C., in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in __, presso lo studio dell’Avv. __ che lo rappresenta e difende in forza di procura in atti

terzo chiamato

oggetto: opposizione a precetto e a decreto ingiuntivo

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La società A. S.r.l. ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Roma l’ingiunzione di pagamento a carico del Condominio C. per la somma di Euro __, oltre interessi e spese processuali, quale debito residuo portato dalla fattura n. __ del __ e dalla fattura n. __ del __ relative ad un servizio di disinfestazione svolto dalla società ricorrente in favore del predetto Condominio.

Il decreto ingiuntivo emesso in data __ con il n. __, munito di clausola di provvisoria esecuzione, è stato notificato in data __ unitamente all’atto di precetto al Condominio C. presso la residenza del sig. M.

Quest’ultimo ha proposto opposizione avverso l’atto di precetto e il contestuale decreto ingiuntivo. L’opponente ha dedotto: il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo che il precetto e il decreto ingiuntivo erano stati a lui notificati come se fosse l’amministratore del Condominio C., incarico che, invece, era ricoperto da otto anni dal sig. S.; l’omessa, irregolare o inefficace notifica effettuata presso un soggetto ed un luogo estranei all’amministrazione condominiale; l’intervenuto decorso della prescrizione quinquennale del credito portato dalle due fatture azionate da controparte; l’illegittimità della notifica anche come singolo condomino; la misura eccessiva dei compensi professionali richiesti con l’atto di precetto.

Costituitasi in giudizio A. S.r.l. ha contestato tutti i motivi di opposizione chiedendone il rigetto e, previa autorizzazione, ha chiamato in causa il Condominio C.

Quest’ultimo si è costituito in giudizio articolando sostanzialmente le medesime difese svolte dall’opponente.

La causa è stata istruita documentalmente e assunta in decisione all’udienza del __ previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.

Le opposizioni a precetto e a decreto ingiuntivo proposte da M. sono inammissibili.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, condiviso da questo Tribunale, nel giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo le parti possono essere soltanto colui il quale ha proposto la domanda di ingiunzione e colui contro il quale la domanda è diretta (Cass. Ordinanza n. 15567 del 13/06/2018; Cass. 18.4.2004 n. 16069), in considerazione del fatto che l’opposizione non introduce un giudizio autonomo e neppure un grado autonomo, ma costituisce solo una fase, del tutto eventuale, del giudizio già pendente a seguito del ricorso del creditore. La Suprema Corte ha poi chiarito che “la notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale è stato emesso non è idonea a fare assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e, quindi, di legittimato a proporre l’opposizione, quando sulla base del decreto ingiuntivo non sia ravvisabile un pregiudizio del terzo tale da far sorgere un suo interesse giuridico all’opposizione” (così Cass 16/04/1983 n. 2637). In particolare è stato affermato che il soggetto indicato come rappresentante di una società nel decreto ingiuntivo emesso contro di questa, e che contesta di rivestire tale qualità, non può proporre opposizione “iure proprio” (Cass. 08/09/1997 n. 8731).

Nel caso in esame, il decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio è stato emesso a carico del Condominio C. ed è stato poi notificato, unitamente al precetto, al sig. M., indicato, a ben vedere, non già quale amministratore (come infondatamente sostenuto dall’opponente), ma soltanto quale domiciliatario del citato Condominio, come si evince dalla locuzione “c/o” e dall’annotazione contenuta nella richiesta di notifica rivolta all’ufficiale giudiziario.

Pertanto, solo il Condominio ingiunto poteva opporsi e non anche il sig. M. – come è avvenuto nel caso in esame – che non può vantare, nel giudizio in questione, alcuna legittimazione attiva “iure proprio”, neanche per contestare la qualità di legale rappresentante dell’ente ingiunto.

Non è, infatti, ravvisabile un pregiudizio dell’odierno opponente tale da far sorgere un suo interesse giuridico all’opposizione. Né può trovare applicazione il principio in base al quale, essendo il Condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta rispetto a quella dei suoi partecipanti, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario non priverebbe i singoli condomini di agire per tutelare i diritti connessi alla loro partecipazione, perché tale principio trova amplia applicazione solo in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, che possono incidere sul diritto pro-quota che compete a ciascun condomino sulle parti comuni o su quello esclusivo sulla singola unità immobiliare, ma, al contrario, non può trovare applicazione nelle controversie, aventi ad oggetto la gestione di un servizio comune (cfr. ancora Cass. Ordinanza n. 15567 del 13/06/2018).

Analoghe considerazioni valgono anche per l’atto di precetto che è stato espressamente rivolto al Condominio C. in persona del suo Amministratore p.t.” ed è stato poi notificato (contestualmente al decreto ingiuntivo) al sig. M. quale semplice domiciliatario del citato ente.

La mancanza di legittimazione attiva del sig. M., rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, comporta l’inammissibilità delle opposizioni oggetto del presente giudizio.

Ne consegue che, a rettifica dell’iniziale autorizzazione, va dichiarata inammissibile anche la chiamata in causa del Condominio C., le cui difese non possono essere esaminate, non essendo state introdotte con gli strumenti all’uopo previsti dal codice di rito (opposizione a precetto e a decreto ingiuntivo).

Le ragioni della decisione strettamente processuali e rilevate d’ufficio inducono a compensare interamente le spese di lite tra tutte e tre le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull’opposizione al precetto e al decreto ingiuntivo n. __ depositato in data __ proposte da M. nei confronti di A. S.r.l. e sulla chiamata in causa del Condominio C., ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:

– dichiara inammissibili le opposizioni e la chiamata in causa del Condominio C.;

– compensa interamente le spese processuali tra le tre parti in causa.

Così deciso in Roma, il 6 agosto 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 settembre 2018.

Tribunale_Roma_Sez_XVII_Civile_Sent_04_09_2018

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La presenza di irregolarità formali nel precetto può ritenersi sanata per il raggiungimento dello scopo a seguito della proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi in tutti i casi in cui l’opposizione stessa si limiti a lamentare l’esistenza della irregolarità formale in sé, senza lamentare alcun pregiudizio ai suoi diritti conseguente alla irregolarità stessa

La presenza di irregolarità formali nel precetto può ritenersi sanata per il raggiungimento dello scopo a seguito della proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi in tutti i casi in cui l’opposizione stessa si limiti a lamentare l’esistenza della irregolarità formale in sé, senza lamentare alcun pregiudizio ai suoi diritti conseguente alla irregolarità stessa

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, Ordinanza del 18/07/2018, n. 19105

Con ordinanza del 18 luglio 2018 la Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, ha stabilito che la presenza di irregolarità formali nel precetto può ritenersi sanata per il raggiungimento dello scopo a seguito della proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi in tutti i casi in cui l’opposizione stessa si limiti a lamentare l’esistenza della irregolarità formale in sé, senza lamentare alcun pregiudizio ai suoi diritti, tutelati dal regolare svolgimento della procedura esecutiva, conseguente alla irregolarità stessa. (Nel caso di specie, l’opponente lamentava esclusivamente la mancata indicazione sul precetto della data di precedente notifica dei titoli esecutivi, senza contestare che la precedente notifica fosse stata effettuata e neppure di averla ricevuta e, quindi, di essere stato messo in condizione di adempiere spontaneamente prima ancora della notifica del precetto, né di essere stato efficacemente richiamato alla sua posizione di parte inadempiente, con la notifica del precetto, e messo in condizione di adempiere nel termine indicato nel precetto stesso, evitando l’esecuzione forzata).


Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 3, Ordinanza del 18/07/2018, n. 19105

La presenza di irregolarità formali nel precetto può ritenersi sanata per il raggiungimento dello scopo a seguito della proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi in tutti i casi in cui l’opposizione stessa si limiti a lamentare l’esistenza della irregolarità formale in sé, senza lamentare alcun pregiudizio ai suoi diritti conseguente alla irregolarità stessa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in __, rappresentato e difeso dall’avvocato DIEGO BUSACCA;

– ricorrente –

contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1614/2017 del TRIBUNALE di MESSINA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. propone due motivi di ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Messina in unico grado n. __ del __, depositata in data __, non notificata, nei confronti di M.

L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., su proposta del relatore, in quanto ritenuto manifestamente fondato. Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, ritiene di condividere la soluzione proposta dal relatore.

Questa la vicenda, per quanto qui interessa:

– la sig.ra O. provvedeva a notificare al sig. M. il verbale di separazione consensuale omologato, e poi il decreto di revisione dell’assegno di mantenimento e il successivo decreto presidenziale di parziale modifica delle condizioni economiche della separazione emesso nel corso del procedimento di divorzio;

– a fronte del mancato adempimento del marito, gli notificava il precetto, nel quale menzionava i titoli e la loro avvenuta notifica;

– il sig. M. proponeva opposizione a precetto, deducendo che il precetto non conteneva l’indicazione della data in cui era avvenuta la notificazione dei titoli;

– il Tribunale di Messina accoglieva l’opposizione agli atti esecutivi, rilevando che la copia notificata dell’atto di precetto era priva della indicazione della data di notifica dei titoli esecutivi e quindi nulla per violazione dell’art. 480 c.p.c., nullità non sanata con il raggiungimento dello scopo, in quanto lo scopo sarebbe stato il pagamento della somma precettata, e non la proposizione della opposizione, proposta proprio per far rilevare la nullità stessa.

Con il primo motivo di ricorso, la sig.ra O. denuncia la violazione dell’art. 156 c.p.c., u.c., in quanto i titoli esecutivi erano stati regolarmente notificati, prima della notifica del precetto, e la proposizione dell’opposizione ex art. 617, era idonea a produrre l’effetto di sanatoria per il raggiungimento dello scopo. Richiama Cass. n. 25900 del 2016 e sostiene che, in questo caso, la stessa proposizione dell’opposizione a precetto consente di ricostruire che, benché esistesse il vizio formale della mancata indicazione nella copia notificata del precetto della data di notifica dei titoli, la notifica precedente fosse avvenuta, e non era stata minimamente messa in discussione, e pertanto che lo scopo di dare al debitore la possibilità di pagare spontaneamente dopo la notifica del titolo era stato comunque raggiunto, come pure era stata data conoscenza al debitore della volontà del creditore di procedere ad esecuzione forzata.

Il motivo è fondato.

Come già affermato da Cass. n. 25900 del 2016, “La disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli, sicché con l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., non possono farsi valere vizi, quali la nullità della notificazione del titolo esecutivo e del precetto, quando sanati per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., u.c., in virtù della proposizione dell’opposizione da parte del debitore, quella al precetto in particolare costituendo prova evidente del conseguimento della finalità di invitare il medesimo ad adempiere, rendendolo edotto del proposito del creditore di procedere ad esecuzione forzata in suo danno. Nè, in contrario, vale invocare il disposto dell’art. 617 c.p.c., comma 2, attinente alla diversa ipotesi in cui il vizio della notificazione, per la sua gravità, si traduce nella inesistenza della medesima, così come la circostanza che, per effetto della nullità della notificazione, possa al debitore attribuirsi un termine inferiore a quello minimo di dieci giorni previsto dall’art. 480 c.p.c.”.

L’applicabilità del principio della sanatoria per il raggiungimento dello scopo grazie alla proposizione della opposizione a precetto è stato ammesso, da questa Corte fin da Cass. n. 700 del 1971, secondo la quale l’opposizione al precetto, ex art. 617 c.p.c., sana la nullità del precetto stesso, derivante dalla mancata indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo in virtù del principio di ordine generale, sancito dall’art. 156 c.p.c., secondo il quale la nullità non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato (nella fattispecie, la sussistenza della nullità del precetto era stata anche esclusa, giacche nel contesto del precetto risultava individuato il titolo, sentenza esecutiva regolarmente notificata, in base al quale si era proceduto alla esecuzione).

Si aggiunga che l’opponente non lamenta neppure di aver subito un particolare pregiudizio, a seguito della irregolarità formale dell’atto, ed in particolare di aver riportato un pregiudizio non sanabile a mezzo della proposizione dell’opposizione, quale avrebbe potuto, in ipotesi, essere quello di non poter disporre di un congruo termine per adempiere, tra la notifica del precetto e l’inizio dell’opposizione. Nel caso in esame, infatti, il debitore ha ricevuto la notifica dei titoli (perché non lo contesta) precedentemente al precetto.

Si è già in passato più volte affermato che l’omessa o inesatta indicazione nell’atto di precetto della data di notifica del titolo esecutivo giudiziale non importa la nullità dello stesso precetto, se da questo risultino altri elementi idonei a far individuare senza incertezze la sentenza in forza della quale si intende procedere esecutivamente (Cass. n. 8506 del 1991 e Cass. n. 3321 del 1992).

Può di conseguenza affermarsi che la presenza di irregolarità formali nel precetto può ritenersi sanata per il raggiungimento dello scopo a seguito della proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi in tutti i casi in cui l’opposizione stessa si limiti a lamentare l’esistenza della irregolarità formale in sé, senza lamentare alcun pregiudizio ai suoi diritti, tutelati dal regolare svolgimento della procedura esecutiva, conseguente alla irregolarità stessa (nel caso di specie, l’opponente lamentava esclusivamente la mancata indicazione sul precetto della data di precedente notifica dei titoli esecutivi, senza contestare che la precedente notifica -fosse stata effettuata, e neppure di averla ricevuta, e quindi di essere stato messo in condizione di adempiere spontaneamente prima ancora della notifica del precetto, né di essere stato efficacemente richiamato alla sua posizione di parte inadempiente, con la notifica del precetto, e messo in condizione di adempiere nel termine indicato nel precetto stesso, evitando l’esecuzione forzata).

Il secondo motivo formalmente denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., ma in realtà non lamenta la violazione del principio della soccombenza ma l’esito a sé negativo della causa, in conseguenza del quale – ed in corretta applicazione del principio della soccombenza – è stata condannata a pagare. Esso è comunque assorbito dall’accoglimento del primo.

Il primo motivo di ricorso va dunque accolto, assorbito il successivo, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Messina in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese al Tribunale di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 11 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2018

Cass_civ_Sez_VI_3_Ord_18_07_2018_ n_19105




Le domande aventi a oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi a un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi solo ove l’attore risulti assistito da un oggettivo interesse al frazionamento del credito

Le domande aventi a oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi a un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi solo ove l’attore risulti assistito da un oggettivo interesse al frazionamento del credito

Cassazione Civile, Sezione II Civile, Sentenza n. 20714 del 13/08/2018

Con sentenza del 13 agosto 2018 la Cassazione Civile, Sezione II Civile, ha stabilito che le domande aventi a oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi a un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi solo ove l’attore risulti assistito da un oggettivo interesse al frazionamento del credito. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto insussistente l’oggettivo interesse al frazionamento in relazione all’instaurazione di cinquantotto procedimenti per ingiunzione per ottenere il pagamento di una pluralità di crediti relativi alle spese di custodia di veicoli affidati ad una carrozzeria dalle autorità di pubblica sicurezza).


Cassazione Civile, Sezione II Civile, Sentenza n. 20714 del 13/08/2018

Le domande aventi a oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi a un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi solo ove l’attore risulti assistito da un oggettivo interesse al frazionamento del credito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __ proposto da:

C. S. S.p.A., elettivamente domiciliato in __ presso lo studio dell’avv. che la rappresenta e la difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato __, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

e contro

UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO PREFETTURA VICENZA;

– intimato –

avverso la sentenza n. __ del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. __, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. Il Ministero dell’Interno proponeva opposizione contro cinquantotto decreti con i quali, su ricorso della C. S. S.p.A., era stato ingiunto il pagamento della somma complessiva di __ Euro a titolo di corrispettivo per le spese di custodia di veicoli affidati alla C. S. dalle autorità di pubblica sicurezza della provincia di Vicenza (in articolare, la polizia stradale); il Ministero sosteneva che, trattandosi di un rapporto contrattuale unitario, il frazionamento del credito operato dalla C. S. è contrario alla regola generale di correttezza e buona fede e si risolve in un abuso del diritto tale da precludere l’esame della domanda.

Il Giudice di pace di Thiene rigettava le opposizioni affermando che si tratta di plurimi rapporti contrattuali scaturiti da distinti contratti di deposito e che la parcellizzazione del credito è in ogni caso legittima alla luce della pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 108/2000.

  1. Il Ministero dell’Interno instaurava giudizio di appello; la C. S. si costituiva lamentando – in comparsa conclusionale – l’inammissibilità del gravame perché l’appellante aveva dedotto unicamente vizi di rito avverso una pronuncia che aveva deciso anche il merito in senso ad esso sfavorevole.

Con sentenza __, il Tribunale di Venezia, davanti al quale erano stati riuniti tutti i processi, ha affermato anzitutto l’ammissibilità e poi la fondatezza dell’appello: il rapporto tra la pubblica amministrazione e la C. S. va inquadrato nell’ambito della convenzione di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 214-bis (articolo introdotto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 38, comma 1 convertito nella L. n. 326 del 2003), secondo cui la prestazione di custodia non è prestazione isolata, dedotta di volta in volta in singoli contratti di deposito, ma attuazione di un’unica convenzione-quadro; lo stesso corrispettivo è un importo unitario forfettario e onnicomprensivo; quindi il titolo è unico e il credito non può essere frazionato; al frazionamento operato dalla C. S. non consegue però l’improcedibilità della domanda, ma l’eliminazione degli effetti dell’abuso e quindi la valutazione dell’onere delle spese di lite come se unico fosse stato il procedimento fin dall’origine, come affermato da Cass. 9962/2011. Il Tribunale ha quindi revocato tutti i decreti ingiuntivi opposti e riformate tutte le sentenze di primo grado limitatamente alla parte in cui confermano i relativi decreti ingiuntivi in ordine alle spese liquidate nell’ingiunzione e ha così condannato il Ministero a corrispondere complessivamente per l’intera fase monitoria alla C. S. Euro __ per compenso professionale, oltre a Euro __ per spese e ad accessori come per legge.

  1. La C. S. ricorre per cassazione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito “ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa”.

L’intimato Ufficio territoriale del Governo (Prefettura) di Vicenza non ha svolto difese.

Motivi della decisione

  1. Il primo dei due motivi in cui il ricorso è articolato denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla corretta individuazione dei motivi d’appello”: il Tribunale avrebbe errato nel non considerare inammissibile l’appello del Ministero, in quanto l’atto si sarebbe limitato a denunciare lo strumento processuale adottato, senza proporre alcuna censura nel merito, avendo l’appellante “non contestato la soccombenza, ma semplicemente rilevato come lo strumento processuale adottato può avere tra le sue conseguenze anche il maggior aggravio in termini di condanna nella liquidazione delle spese giudiziali”.

Il motivo, inammissibile per quanto concerne il richiamo al parametro dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (parametro non applicabile ratione temporis alla fattispecie) è infondato. Il vizio denunciato – abuso dello strumento processuale – avrebbe dovuto portare, nella prospettazione dell’appellante, alla dichiarazione di improcedibilità delle domande di ingiunzione e quindi alla definizione in rito del processo ed è vizio che comunque implica, come ha sottolineato il Tribunale e come riconosce la stessa ricorrente, una censura all’ingiustizia delle decisioni impugnate in punto regolamento delle spese processuali, senza che nella lettura del Tribunale sia ravvisabile – come afferma la ricorrente – una violazione del disposto dell’art. 342 c.p.c. in relazione alla specificità dei motivi d’appello.

  1. Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 214-bis, art. 91 c.p.c., artt. 2 e 111 Cost., art. 1337 c.c., D.L. n. 269 del 2003, art. 38 a seguito della sentenza della Corte costituzionale 92/2013, nonché contraddittoria motivazione (parametro quest’ultimo, come già visto supra, non invocabile): ha errato il Tribunale ad accogliere l’appello del Ministero perché quello fatto valere con i decreti ingiuntivi non è il credito relativo a un’unica prestazione, ma sono invece distinti crediti attinenti a separati rapporti obbligatori; d’altro canto la procedura di alienazione straordinaria mediante cessione al soggetto titolare del deposito prevista dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 214-bis del per i veicoli giacenti presso le depositerie – e in relazione alla quale, con decreto prefettizio, è stata determinata la somma di complessivi __ Euro spettante alla C. S. – è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dal giudice delle leggi con sentenza n. 92/2013.

Il motivo non può essere accolto.

La Corte costituzionale ha invero accolto la questione di legittimità, sollevata dalla Corte d’appello di Torino, e ha dichiarato incostituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., il D.L. n. 269 del 2003, art. 38, commi 2, 4, 6 e 10 convertito dalla L. n. 326 del 2003. Il giudice delle leggi, dopo aver osservato che la ratio ispiratrice della disciplina introdotta dal D.L. n. 269 del 2003 è volta al contenimento delle spese di custodia per i veicoli assoggettati a misure di fermo, sequestro o confisca, obiettivo che è stato perseguito mediante da un lato l’introduzione a carico dei trasgressori o dei proprietari dei veicoli di uno specifico obbligo di diretta custodia del veicolo, dall’altro lato per i casi di rifiuto di assunzione della custodia del veicolo attraverso la previsione di un meccanismo di alienazione del mezzo, in favore del soggetto terzo al quale lo stesso è affidato in custodia, ha esaminato la disposizione intertemporale oggetto di censura. Dalla normativa denunciata – ha osservato il giudice delle leggi – si evince che i veicoli giacenti presso le depositerie o quelli non alienati per mancanza di acquirenti (purché immatricolati per la prima volta da oltre cinque anni e privi di interesse storico e collezionistico e custoditi da oltre due anni alla data del 30 settembre 2003) sono alienati mediante cessione al soggetto titolare del deposito; il corrispettivo dell’alienazione è determinato dall’amministrazione, in deroga alle tariffe di cui al D.P.R. n. 571 del 1982, art. 12 sulla base dei criteri stabiliti dal citato art. 38, comma 6. Se – ha precisato la Corte costituzionale – non può ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole anche se l’oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi perfetti, ciò può avvenire alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole, rendendo accettabilmente penalizzata la posizione del titolare del diritto compromesso, attraverso contropartite intrinseche allo stesso disegno normativo e che valgano a bilanciare le posizioni delle parti. Il che non è avvenuto nel caso di specie dal momento che gli interessi dei custodi risultano essere stati compromessi in favore della controparte pubblica senza alcun meccanismo di riequilibrio.

Occorre chiedersi quali siano le conseguenze – per la fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte – dell’eliminazione della disposizione retroattiva intertemporale. Al riguardo va anzitutto precisato che se, nel giudizio che ha dato luogo alla rimessione della questione di legittimità al giudice delle leggi, veniva contestata la liquidazione effettuata ai sensi della norma dichiarata illegittima e chiesta la liquidazione dei compensi del custode secondo le precedenti, diverse tariffe concordate con la Prefettura, nel caso in esame parte ricorrente ha invece chiesto al giudice di ingiungere il pagamento del compenso complessivo forfettario liquidato, frazionando tale compenso per il numero delle autovetture custodite (il Tribunale sottolinea come parte ricorrente, che pure afferma nel ricorso di aver impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale il decreto di liquidazione, impugnazione che lo stesso ricorrente afferma essere stata dichiarata inammissibile, non ha in questa sede sollevato contestazione alcuna circa la cifra liquidata).

L’effetto della dichiarazione di incostituzionalità, in questo giudizio, non è quindi quello della rimessa in discussione del credito fatto valere con i procedimenti per ingiunzione, ma piuttosto quella parte di supporto argomentativo della decisione che il Tribunale trae dalla procedura di alienazione delle vetture giacenti prevista dall’art. 38, comma 2 – dichiarata illegittima -, ossia che, essendo il corrispettivo azionato con i singoli procedimenti per ingiunzione un corrispettivo onnicomprensivo e cumulativo per il totale dei veicoli che ne sono oggetto, si tratta di un unico credito.

Il venir meno della qualificazione quale unico credito della pretesa fatta valere dalla C. S. però non comporta la legittimità della scelta processuale di parte ricorrente. Se, alla luce della disciplina precedente il D.L. n. 269 del 2003, ci troviamo di fronte a una pluralità di crediti, relativi ai contratti di deposito delle singole vetture, si tratta di crediti facenti capo a un unico rapporto di durata (per la qualificazione del rapporto tra depositario e amministrazione quale rapporto di durata cfr. la motivazione della sentenza della Corte costituzionale). Nel caso di una pluralità di crediti facenti parte di un rapporto di durata – come hanno di recente affermato le sezioni unite di questa Corte (Cass. 4090/2017) – se è vero che i distinti crediti non devono essere necessariamente azionati tutti nello stesso processo, è però anche vero che vi è la necessità di favorire una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio, con la conseguenza che l’instaurazione di distinti processi è possibile solo ove l’attore risulti “assistito da un oggettivo interesse al frazionamento”. Nel caso di specie, l’oggettivo interesse al frazionamento non è ravvisabile, avendo la ricorrente parallelamente instaurato cinquantotto procedimenti per ingiunzione, dividendo per il numero dei procedimenti la somma liquidata dal decreto prefettizio.

  1. Il ricorso va quindi rigettato.

Nulla si dispone in punto spese, non avendo il Ministero dell’Interno, costituitosi per eventualmente partecipare all’udienza di discussione, preso parte all’udienza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, il 21 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2018

Cass_civ_Sez_II_Sent_13_08_2018_n_20714




Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a fronte dell’eccezione ex art. 1460 c.c., sollevata dall’opponente, in ordine al dedotto incompleto adempimento della prestazione da parte dell’opposta, questa è tenuta a provare l’avvenuto adempimento della prestazione dovuta

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a fronte dell’eccezione ex art. 1460 c.c., sollevata dall’opponente, in ordine al dedotto incompleto adempimento della prestazione da parte dell’opposta, questa è tenuta a provare l’avvenuto adempimento della prestazione dovuta

Tribunale Ordinario di Trieste, Sezione Civile, Sentenza del 02/07/2018

Con sentenza del 2 luglio 2018 il Tribunale Ordinario di Trieste, Sezione Civile, ha stabilito che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a fronte dell’eccezione ex art. 1460 c.c., sollevata dall’opponente, in ordine al dedotto incompleto adempimento della prestazione da parte dell’opposta, questa è tenuta a provare l’avvenuto adempimento della prestazione dovuta. In mancanza la relativa pretesa di pagamento non può trovare accoglimento.


Tribunale Ordinario di Trieste, Sezione Civile, Sentenza del 02/07/2018

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a fronte dell’eccezione ex art. 1460 c.c., sollevata dall’opponente, in ordine al dedotto incompleto adempimento della prestazione da parte dell’opposta, questa è tenuta a provare l’avvenuto adempimento della prestazione dovuta

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE

SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, in persona del giudice designato dott. __, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, iscritta al n. __ del ruolo generale dell’anno__, vertente

TRA

Società S.L., in persona del legale rappresentante p. t., elettivamente domiciliato in __, presso lo studio dell’avv. __, che la rappresenta e difende per delega in calce all’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo;

attrice – opponente

E

S. S.R.L., in persona del legale rappresentante p. t., elettivamente domiciliata in __, presso lo studio dell’avv. __, che la rappresenta e difende per delega in calce al ricorso per decreto ingiuntivo;

convenuta – opposta

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con atto di citazione ritualmente notificato la società S.L. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal tribunale di Trieste il __ e notificato il __ con il quale le era stato ingiunto di pagare in favore di S. s.r.l. la somma complessiva di Euro __, oltre interessi legali dal dì del dovuto al saldo e spese relative al procedimento monitorio (liquidate in misura pari a complessivi Euro __), a titolo di corrispettivo per il trasporto da __ a __, di un’ingente quantità di fusti di __, merce per un valore complessivo di circa Euro __.

L’opponente ha dedotto che, contrariamente a quanto allegato dall’opposta in sede monitoria, secondo le intese intercorse tra le parti il saldo del predetto corrispettivo avrebbe dovuto essere pagato dall’opponente solo una volta completato il trasporto di tutti e cinque i camion ed a fronte della consegna dell’originale delle relative __, conformemente alla prassi commerciale vigente, e che invece l’opposta aveva preteso il pagamento del saldo nonostante avesse ammesso che solo quattro camion erano giunti a destinazione ed, in ogni caso, rifiutando la consegna delle relative __. Parte opponente ha dunque articolato i seguenti motivi di opposizione: nullità del decreto ingiuntivo opposto per indeterminatezza del debitore ingiunto, questo essendo stato richiesto ed ottenuto nei confronti di M.L. nonostante l’opponente sia denominata “S.L.”; inesistenza della prova scritta del credito azionato, per essere stato il decreto concesso sulla base della sola fattura emessa dall’opposta; inesistenza del credito in difetto della prova dell’avvenuta esecuzione della prestazione cui l’opposta era tenuta, ovverosia del trasporto della merce sino a destinazione; illegittimità dell’ingiunzione al pagamento dell’I.V.A. sulle spese relative alla fase monitoria, considerata la qualità di impresa della società ricorrente; illegittimità dell’ingiunzione al pagamento degli interessi di mora, non essendo chiarito il criterio di calcolo.

Si costituiva con comparsa di risposta la S. s.r.l. deducendo che, secondo le intese intercorse tra le parti, il saldo avrebbe dovuto essere pagato entro il __ e che, nonostante quattro dei camion fossero già giunti a destinazione nel __ l’opponente si rifiutava di versare il dovuto costringendo la medesima S. s.r.l. a far sostare il quinto camion a S. avvalendosi dell’eccezione inadimpleti non est adimplendum. Ha, dunque, resistito agli avversari motivi di opposizione osservando, quanto al primo, che il provvedimento opposto avrebbe in effetti raggiunto il suo scopo, quanto agli altri motivi, che l’opposta avrebbe completato l’esecuzione della prestazione dovuta e, quanto infine al motivo relativo agli interessi moratori, che all’uopo soccorrerebbe la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 231 del 2002.

Respinta l’istanza avanzata dall’opposta per la concessione della provvisoria esecuzione e concessi i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., con la prima memoria parte opponente rilevava che le __ depositate da controparte sarebbero prive del timbro del destinatario e dell’indicazione della data di ricezione sicché detti documenti sarebbero inidonei a dimostrare l’avvenuta esecuzione della prestazione cui l’opposta era tenuta.

Negato ingresso alle prove orali richieste dalle parti, la causa veniva una prima volta trattenuta in decisione da parte del precedente giudice assegnatario del procedimento che, infine, si risolveva a rimettere in istruttoria il procedimento rilevata la necessità di far tradurre alcuni documenti in lingua __. Acquisita dunque la traduzione asseverata di tali documenti, sulle precisate conclusioni delle parti all’udienza del __ la causa veniva infine trattenuta in decisione da questo giudice previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

  1. L’opposizione appare fondata e va accolta per le seguenti ragioni.

Come si evince dalla documentazione prodotta in causa, le parti si erano accordate nel senso che il saldo sul compenso pattuito sarebbe divenuto esigibile solo all’arrivo della merce a destinazione a fronte della consegna degli originali delle __. Valga all’uopo richiamare i messaggi di posta elettronica inviati dalla stessa società opposta all’odierna opponente allegati sub __ al ricorso monitorio, in cui la S. s.r.l. confermava il prezzo per il trasporto pattuito in Euro __ a camion precisando altresì: “di cui 50% in anticipo e il rimanente 50% alla firma del __ da parte del cliente a destino”. Ed ancora i messaggi di posta elettronica sub __ all’atto di citazione in opposizione, in cui la S. s.r.l. ribadiva: “ricordiamo che gli accordi da voi accettati erano; 50% a vista fattura (___) 50% alla consegna della merce” (messaggio di posta elettronica del __).

Ora, appurato (come del resto riconosciuto negli atti conclusivi anche dall’opposta) che le CMR in atti non recano il timbro della ditta __ destinataria della merce, non convince affatto la tesi, propugnata dall’opposta in comparsa conclusionale, per cui per destinatario della merce dovrebbe intendersi la Dogana ___ posto che dal messaggio di posta elettronica sopra riportato ed inviato dalla stessa società opposta appariva chiara l’intenzione delle parti di subordinare l’esigibilità del saldo sul compenso convenuto alla ricezione della merce da parte della ditta ___ (“cliente a destino”) ed alla consegna delle ___ debitamente sottoscritte da quest’ultima. Del resto, tale intesa rispondeva all’esigenza (meritevole di tutela) dell’opponente di procurarsi il documento attestante l’avvenuto trasporto della merce per poter ottenere il pagamento dalla propria cliente valevole come provvista per eseguire a propria volta il pagamento del corrispettivo del trasporto.

Quanto poi alla ricostruzione, compiuta dall’opposta in comparsa conclusionale, per cui gli originali delle __ rimarrebbero presso la Dogana __, essa appare priva di riscontro visto il disposto di cui all’art. _ della Convenzione sul contratto di trasporto internazionale per cui “dopo l’arrivo della merce nel luogo previsto per la consegna, il destinatario ha diritto di chiedere che gli sia rilasciato il secondo esemplare della lettera di vettura e che gli sia consegnata la merce, il tutto contro ricevuta”, da cui appare evincibile l’esistenza di più esemplari della lettera di vettura e dell’obbligo a carico del destinatario di rilasciare ricevuta della merce consegnata.

A fronte dunque dell’eccezione ex art. 1460 c.c., sollevata dall’opponente, in ordine al dedotto incompleto adempimento della prestazione da parte dell’opposta, valorizzata l’incidenza della consegna degli originali delle CMR sulla funzione economico-individuale del contratto per le ragioni sopra esposte, in difetto di prova dell’adempimento della prestazione dovuta (che era onere dell’opposta offrire) la pretesa di S. s.r.l. di ottenere il pagamento della residua somma di Euro __ (Euro __ come residua quota dell’acconto convenuto ed Euro __ quale saldo sul compenso pattuito) non può trovare accoglimento (cfr. Cass. civ. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, secondo cui “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione).”).

Ritenuta per tali ragioni la fondatezza del motivo di opposizione relativo all’eccezione di inadempimento, gli altri motivi vanno considerati assorbiti, sicché il decreto ingiuntivo opposto va revocato.

  1. Atteso l’esito della lite, l’opposta va condannata alla refusione in favore dell’opponente delle spese di lite della presente fase di opposizione, che si liquidano come in dispositivo in applicazione dei valori medi di cui al D.M. n. 55 del 2015 tenuto conto dell’attività disimpegnata e dell’ordinario pregio delle questioni trattate. Le spese relative alla svolta c.t.u., liquidate con separato decreto, vanno definitivamente poste a carico di parte opposta.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, il Tribunale di Trieste in composizione monocratica così provvede:

  1. a) in accoglimento dell’opposizione proposta da S.L., revoca il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal tribunale di Trieste il __ e notificato il __;
  2. b) condanna l’opposta alla refusione in favore dell’opposto delle spese di lite, che liquida per la presente fase di opposizione in Euro __, oltre rimborso forfetario per spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge;
  3. c) pone definitivamente a carico di parte opposta le spese di c.t.u.

Così deciso in Trieste, il 27 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 2 luglio 2018.

Tribunale_Trieste_Sez_Civile_Sent_ 02_07_2018

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Il termine previsto dall’art. 644 c.p.c. per la notifica del decreto ingiuntivo ha natura perentoria e, come tale, non può essere prorogato

Il termine previsto dall’art. 644 c.p.c. per la notifica del decreto ingiuntivo ha natura perentoria e, come tale, non può essere prorogato

Tribunale Ordinario di Cassino, Sezione Civile, Sentenza del 26/07/2018

Con sentenza del 26 luglio 2018 il Tribunale Ordinario di Cassino, Sezione Civile, ha stabilito che il termine previsto dall’art. 644 c.p.c. per la notifica del decreto ingiuntivo ha natura perentoria e, come tale, non può essere prorogato. Tuttavia, qualora il creditore provveda alla notificazione del provvedimento dopo il decorso di tale termine, le ragioni del debitore, ivi comprese quelle relative alla inefficacia del titolo prevista dalla citata norma, possono essere fatte valere solo con l’ordinaria opposizione da esperirsi nel termine prefissato dal provvedimento notificato; in tale giudizio, inoltre, in caso di costituzione e di riproposizione della domanda da parte dell’opposto creditore, all’eventuale dichiarazione di inefficacia del decreto deve accompagnarsi la decisione da parte del giudice dell’opposizione in merito all’esistenza del diritto già fatto valere con il ricorso per ingiunzione.


Tribunale Ordinario di Cassino, Sezione Civile, Sentenza del 26/07/2018

Il termine previsto dall’art. 644 c.p.c. per la notifica del decreto ingiuntivo ha natura perentoria e, come tale, non può essere prorogato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI CASSINO

Sezione civile

In persona del giudice unico dott. ______ ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al numero __ del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno __, vertente tra

I. S.R.L., G.C., G.A., D.C., rappresentati e difesi, in virtù di procura a margine dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, dall’avv. __, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. __

-opponenti –

e

U.B.R. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura in atti, dall’avv. __ ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. __

– opposta –

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. I. S.r.l., G.A., G.C. e D.C. hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. __ emesso il __da codesto Tribunale con il quale è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro __, oltre interessi e spese, in virtù dei rapporti bancari intercorsi tra la U.B.R. S.p.A. e la I. s.r.l. (contratti di conto corrente nn. __, __ e di finanziamento n. __, garantiti in virtù dei contratti di fideiussione del __ e del __ sottoscritti da G.A., G.C. e D.C.. A fondamento della opposizione gli opponenti hanno dedotto, preliminarmente, l’inefficacia del decreto ingiuntivo opposto per tardiva notifica e, nel merito, hanno contestato la pretesa creditoria avanzata dalla banca opposta.

Sulla base di tali deduzioni, gli opponenti hanno chiesto la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo opposto e, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni cagionati dal comportamento scorretto assunto dalla banca opposta.

Si costituiva in giudizio la U.B.R. S.p.A., contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo l’accertamento delle somme dovute dagli opponenti.

La causa, istruita con prova documentale, veniva trattenuta in decisione all’udienza del __.

  1. Deve trovare accoglimento l’eccezione di inefficacia del decreto ingiuntivo svolta da parte opponente sul presupposto della tardività della notificazione del decreto ingiuntivo.

Parte opposta ha, infatti, provveduto alla notifica del decreto ingiuntivo, depositato il __ solo in data __, come risulta dalla documentazione in atti, di talché deve ritenersi superato il termine di 60 giorni previsto dall’art. 644 c.p.c..

La declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo non è, tuttavia, ostativa ad un esame del merito della pretesa creditoria, posto che, da un lato, l’opposta, nel costituirsi in giudizio, ha insistito per il riconoscimento della propria pretesa creditoria, dall’altro gli attori, con l’opposizione hanno svolto anche contestazioni e difese nel merito.

Va, sul punto, richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale sebbene il termine previsto dall’art. 644 c.p.c. per la notifica del decreto ingiuntivo sia perentorio e, come tale, non possa essere prorogato, qualora il creditore provveda alla notificazione del medesimo dopo il decorso di tale termine, le ragioni del debitore, ivi comprese quelle relative all’inefficacia del titolo prevista dalla citata norma, possono essere fatte valere solo con l’ordinaria opposizione da esperirsi nel termine prefissato dal provvedimento notificato ed inoltre, in tale giudizio, in caso di costituzione e di riproposizione della domanda da parte dell’opposto creditore, all’eventuale dichiarazione di inefficacia del decreto deve accompagnarsi la decisione da parte del giudice dell’opposizione in merito all’esistenza del diritto già fatto valere con il ricorso per ingiunzione.

In tale ultimo caso l’inosservanza da parte del creditore del termine di cui all’art. 644 c.p.c. può acquisire rilevanza solo ai fini della condanna alle spese del giudizio, consentendo l’esclusione di quelle relative all’ottenimento dell’ingiunzione dichiarata inefficace (Cass. n. 3908/2016; Cass., n. 67/2002).

  1. Passando ad esaminare la pretesa creditoria avanzata dalla U.B.R. S.p.A., va detto che costituisce principio generale quello per cui il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’ onere del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (ex multis Cass. n. 13533/2001; Cass. 9351/2007; Cass. 20073/2004; Cass. 1473/2007).

In particolare, per quanto concerne i rapporti bancari, si è evidenziato che la Banca è tenuta a documentare l’andamento del rapporto producendo gli estratti conto relativi all’intero svolgimento dello stesso (cfr. Tribunale di Arezzo 1445/2017; Tribunale di Ragusa n. 1246/2017).

Tanto precisato, si evidenzia che l’opposta ha dimostrato con tranquillizzante certezza di vantare nei confronti della I. s.r.l. e di G.A., G.C. e D.C. il credito di Euro __.

In particolare, con riferimento ai contratti di conto corrente nn. __ e __, si rileva che la banca opposta ha prodotto in giudizio i suddetti contratti e gli estratti conto relativi all’intero rapporto contrattuale, dai quali emerge una esposizione debitoria degli opponenti pari ad Euro __ (Euro __ in relazione al conto corrente n. __ + __ in relazione al conto corrente n. __).

In relazione, invece, al finanziamento n. __, la U.B.R. ha provveduto al deposito del contratto, del relativo piano di ammortamento, della documentazione contabile dimostrante l’erogazione della somma finanziata pari ad Euro __ nonché dell’estratto conto attestante una esposizione debitoria pari ad Euro __, di cui Euro __ a titolo di rate arretrate ed Euro __ a titolo di capitale residuo.

Infine, la banca opposta ha dimostrato la sussistenza in capo a G.A., G.C. e D.C. dell’obbligazione di garanzia assunta in relazione ai rapporti bancari esistenti tra la I. s.r.l. e la U.B.B. S.p.A. attraverso la produzione dei contratti di fideiussione del __ e del __.

Orbene, si ritiene che tale documentazione sia idonea a dimostrare la sussistenza in capo alla banca opposta di un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti degli opponenti.

A fronte di ciò, parte opponente non solo non ha dimostrato di aver adempiuto alla prestazione a cui era obbligata in virtù dei rapporti bancari in oggetto, ma si è limitata ad una contestazione generica.

Al riguardo, si osserva che se è vero che incombe al creditore provare l’an e il quantum della propria pretesa, è altrettanto vero, però, che l’opponente ha l’onere di contestare in modo specifico i fatti dedotti dal convenuto opposto in conformità dell’art. 167 c.p.c. (cfr. Tribunale di Roma n. 12449/2014).

In tale direzione, in relazione ai rapporti bancari, si è precisato che nel giudizio di opposizione avverso un decreto ingiuntivo emesso nei confronti di un “correntista” la banca opposta, quale attore in senso sostanziale, è onerata della prova del credito azionato, dovendo all’uopo depositare gli estratti conto dall’inizio del rapporto, nei quali vengono menzionati, fra le varie voci, i movimenti annotati, gli interessi applicati, le commissioni e spese addebitate.

Tuttavia, tale principio presenta notevoli ripercussioni anche dal lato del cliente opponente, il quale non può limitarsi ad una contestazione generica per onerare la banca di provare tutti i presupposti del diritto che intende vantare.

Segnatamente, il correntista opponente, convenuto in senso sostanziale, anche qualora eccepisca l’invalidità del rapporto con la banca – come nei casi di pattuizioni nulle o comunque fondate su situazioni illecite – non è esonerato da un’idonea contestazione (per quanto si tratti di questioni rilevabili di ufficio) (cfr. Tribunale di Roma n. 3928/2018).

Pertanto, si è chiarito che in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, è onere dell’opponente eccepire e provare l’eventuale erroneità di singole annotazioni contabili riportate negli estratti conto dal ricorrente, in quanto una generica contestazione del valore probatorio di tale documentazione è chiaramente inidonea a vincere le presunzioni di veridicità delle scritture della banca (Tribunale di Roma n. 20357/2011).

Orbene, dall’applicazione di tali principi al caso che qui ci occupa deriva che, a fronte della dimostrazione da parte della banca opposta della esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti degli opponenti, quest’ultimi si sono limitati ad una contestazione generica, nonostante l’onere di allegazione e di prova su di essi gravante in applicazione dell’art. 2697.

Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono il decreto ingiuntivo deve essere dichiarato inefficace, ma gli opponenti devono essere condannati in via solidale al pagamento in favore della opposta della somma complessiva di Euro 100.679,82, oltre interessi di mora convenzionali sulla sola sorte capitale dalla domanda fino al saldo, nei limiti dell’importo massimo garantito per i fideiussori.

  1. Deve, infine, rigettarsi la domanda di risarcimento proposta dagli opponenti in quanto basata su allegazioni generiche e prive di qualsivoglia riscontro probatorio.

Difatti, la Suprema Corte ha chiarito che chi agisce in giudizio non può proporre la sua domanda in modo generico, ma deve consentire che il suo contenuto sia compiutamente identificato e percepito, affinché possa essere oggetto di accertamento, sia in fatto, che in diritto (cfr. Cass. ord. n. 6618/2018).

  1. Le spese di lite per il presente procedimento, liquidate in conformità al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

1) dichiara l’inefficacia del decreto ingiuntivo n. __emesso da questo Tribunale il __;

2) in accoglimento della domanda proposta dall’opposta, condanna la società I. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., G.A., G.C. e D.C. al pagamento, in solido fra loro, in favore della U.B.R. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., della somma di Euro __ oltre interessi di mora convenzionali sulla sola sorte capitale decorrenti dalla domanda sino al saldo, nei limiti dell’importo massimo garantito per i fideiussori;

3) rigetta la domanda riconvenzionale proposta dagli opponenti;

4) condanna la società I. S.r.l., G.A., G.C. e D.C. alla rifusione delle spese di lite del presente procedimento in favore della U.B.R. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida in Euro __ per compensi, oltre spese generali, iva se dovuta per legge e cpa.

Così deciso in Cassino, il 23 luglio 2018.

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2018.

Tribunale_Cassino_Sez_Civile_Sent_26_07_2018




Il decreto ingiuntivo non opposto nel termine perentorio di legge ha valore di giudicato sostanziale

Il decreto ingiuntivo non opposto nel termine perentorio di legge ha valore di giudicato sostanziale

Tribunale Ordinario di Bari, Sezione II Civile, Sentenza del 01/08/2018

Con sentenza del 14 giugno 2018 il Tribunale Ordinario di Bari, Sezione II Civile, ha stabilito che il decreto ingiuntivo non opposto nel termine perentorio di legge ha valore di giudicato sostanziale. Ove non sia proposta opposizione, il decreto acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda.


Tribunale Ordinario di Bari, Sezione II Civile, Sentenza del 01/08/2018

Il decreto ingiuntivo non opposto nel termine perentorio di legge ha valore di giudicato sostanziale

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI

Il Tribunale di Bari, seconda sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice ___, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. ___ r.g. proposta

da

CURATELA DEL FALLIMENTO A. S.p.A., in persona legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. ___ in virtù di mandato in calce all’atto di citazione

-attrice-

contro

E. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. __ in virtù di mandato a margine della comparsa di risposta

-convenuta-

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini della decisione (artt. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti possono sinteticamente riepilogarsi come segue.

1 – La A. S.p.A., premettendo di avere stipulato, in data ___, con la E. S.r.l., un contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione ed il completamento edilizio di un fabbricato sito in __, con la previsione della realizzazione di n. __ alloggi dietro il versamento del corrispettivo di Euro __, nonché allegando l’incompleta esecuzione delle opere e l’esistenza di vizi e difformità come da relazione tecnica a firma dell’ing. L. del __, ha convenuto in giudizio la società appaltatrice affinché, previo accertamento del relativo inadempimento contrattuale ai sensi dell’art. 1453 c.c., quest’ultima fosse condannata, a titolo di actio quanti minoris, al pagamento della somma complessiva di Euro __, oltre iva, pari al valore delle opere da completare e di quelle necessarie a porre rimedio ai denunciati vizi, nonché all’ulteriore misura del danno ex art. 1668 c.c.; il tutto con vittoria di spese di giudizio (atto di citazione notificato il __).

2 – Costituendosi in giudizio, la E. S.r.l. ha, in primo luogo, eccepito l’inammissibilità della domanda attorea perché tesa a far valere doglianze coperte dall’incontrovertibilità del decreto ingiuntivo n. __, emesso dal Tribunale di Bari e divenuto definitivamente esecutivo il __, in relazione alle fatture n. __ del __ di Euro __, n. __ del __ di Euro __, n. __ del __ di Euro __, in esecuzione del quale l’A. S.p.A. aveva, altresì, provveduto a versare un acconto di Euro __; in secondo luogo, ha eccepito la decadenza dalla denuncia dei vizi dell’immobile e la prescrizione dell’azione ex art. 1667 c.c.; evidenziando, oltremodo, di non avere eseguito ulteriori lavori nel mese di maggio del __ presso il medesimo cantiere sito in __ e concludendo per il rigetto della domanda attorea, nonché a titolo di responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., vinte le spese di lite da distrarsi in favore dell’Avv. Salvatore Falconieri, dichiaratosi distrattario (comparsa di risposta del ___).

3 – Con sentenza del Tribunale di Bari n. __ del __ è stato dichiarato il fallimento dell’A. S.p.A., sicché con ricorso per riassunzione del __ e, poi, all’udienza di comparizione e trattazione del __ si è costituita nel presente giudizio la Curatela del fallimento della A. S.p.A.

4 – Con il deposito della memoria ex art. 183 co. VI n. 1) c.p.c., l’A. S.p.A. ha contestato l’asserita tardività della denuncia dei vizi e dell’azione di garanzia, in ragione della mancata consegna dell’opera appaltata.

5 – Con la memoria ex art. 183, co. VI, n. 2) c.p.c., la società convenuta, E. S.r.l. ha eccepito il difetto di legittimazione attiva in capo alla Curatela del Fallimento A. S.p.A. in relazione alla titolarità del complesso immobiliare sito in __, di proprietà della T. S.r.l.

6 – Istruita sulla scorta della produzione documentale versata in atti dalle parti, la causa è pervenuta all’udienza del __, in cui, sulle conclusioni come in epigrafe rassegnate, è stata riservata per la decisione con assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

In via assolutamente preliminare, si deve procedere ad esaminare l’eccezione di inammissibilità della domanda per effetto dell’ambito oggettivo espansivo insito alla mancata opposizione nei termini di cui all’art. 641 c.p.c. del decreto ingiuntivo opposto n. __.

La prevalente giurisprudenza di legittimità, dopo un periodo iniziale nel quale sono coesistiti indirizzi contrastanti, che ripetevano le due principali tesi dottrinarie (si veda, per la tesi restrittiva: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 7400 del 08/08/1997; Sez. 3, Sentenza n. 18205 del 03/07/2008; id. Sez. L, Sentenza n. 23918 del 25/11/2010 che condiziona però la inefficacia del giudicato alla “mancanza nel provvedimento monitorio di esplicita motivazione sulle questioni di diritto”; id. Sez. L, Sentenza n. 6543 del 20/03/2014; B-per la tesi della piena equiparazione: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11549 del 16/11/1998; id. Sez. 1, Sentenza n. 15178 del 24/11/2000; id. Sez. U, Sentenza n. 4510 del 01/03/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 6628 del 24/03/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 18725 del 06/09/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18791 del 28/08/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 11360 del 11/05/2010), si è orientata – e così anche la maggior parte della dottrina- verso la tesi della piena efficacia di giudicato sostanziale del decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione proposta nel termine perentorio di legge. In tempi recenti, ha ribadito “il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio” (si veda, di recente, Cass. n. 28318 del 28/11/2017; cfr. anche cfr. Cass. Sez. U, n. 4510 del 01/03/2006); con l’ulteriore specificazione che il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, “(…)ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda” (cfr. ex plurimis: in tal senso, Cass. n. 18725 del 06/09/2007; id. n. 18791 del 28/08/2009).

Tra l’altro, la lettura della motivazione della sentenza della Suprema Corte n. 6337/2014 chiarisce che “l’opposizione è costruita dal legislatore anzitutto come mezzo che dev’essere esperito necessariamente dal debitore per contestare l’accertamento sommario consacrato nel decreto e, dunque, è il profilo impugnatorio che rende necessitata la forma dell’agire del debitore in contestazione della situazione creditoria.

Se tale profilo non ricorre l’opposizione diviene solo il mezzo – non necessario – per provocare la cognizione piena, come un normale giudizio di accertamento negativo dell’esistenza o del modo di essere del credito, sulla base dei fatti sopravvenuti dopo la pronuncia del decreto”.

Si deve, quindi, ritenere che il debitore:

  1. a) possa, ma non debba utilizzare l’opposizione per dedurre fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la pronuncia del decreto e nelle more della pendenza del termine per la sua proposizione, qualora essi siano contestati prima della sua scadenza;
  2. b) in alternativa, ove il termine sia scaduto, possa agire con azione di accertamento negativo dell’esistenza del credito deducendo i fatti sopravvenuti de quibus e ciò senza che il creditore possa opporgli il giudicato nascente dalla mancata proposizione dell’opposizione, perché esso impedisce di dedurre i fatti esistenti al momento della pronuncia del decreto, in quanto essi sono incompatibili con l’accertamento in esso contenuto, ormai divenuto irretrattabile (…)”.

Nella fattispecie, la Curatela del Fallimento A. S.p.A. ha eccepito l’inadempimento della E. S.r.l. in relazione alle prestazioni del contratto di appalto del __, contestando, dunque, implicitamente il credito di quest’ultima per complessivi Euro __, oltre agli interessi moratori ex art. 5 del D.Lgs. n. 231 del 2002, in forza delle fatture nn. __ del __, __ del __ e __del __, come riconosciuto dal decreto ingiuntivo opposto, proponendo altresì domanda di riduzione del prezzo per i vizi e i difetti dell’opera, in aggiunta a quella di risarcimento del danno derivante dai costi necessari al ripristino dell’opera appaltata in misura pari ad Euro __ oltre iva.

In tale ambito, la Suprema Corte, con la pronuncia n. 11602/2002, ha stabilito che: “per il decreto ingiuntivo che, non opposto tempestivamente, acquista autorità ed efficacia di cosa giudicata, trova applicazione il principio secondo cui il giudicato formatosi sul rapporto giuridico dedotto in giudizio produce l’effetto di rendere incontestabile il rapporto predetto nei termini accertati nel provvedimento giurisdizionale, ma non impedisce che esso continui a svolgersi, modificandosi o anche estinguendosi a causa di fatti giuridici che, successivamente al giudicato incidano su di esso. Pertanto, anche dopo il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo ottenuto dall’appaltatore per il pagamento del prezzo, ben può il committente agire contro l’appaltatore per i vizi e per i difetti dell’opera appaltata che siano stati accertati in epoca successiva ad esso” (così Cass. n. 11602 del 02/08/2002; n. 19503/2012; Corte appello Roma, 29 gennaio 2004); la decisione contiene un espresso riferimento ai vizi e ai difetti dell’opera appaltata che risultino accertati in epoca successiva alla pronuncia del titolo monitorio, ponendosi in linea di continuità con l’indirizzo interpretativo espresso dalla sopra citata decisione della Cassazione n. 6337/2014.

Orbene, con la comunicazione del ___, A. S.p.A., nel contestare il contenuto delle precedenti missive stragiudiziali trasmesse dalla E. S.r.l. in data ____, intimanti il pagamento delle fatture azionate monitoriamente, già evidenziava l’incompletezza dei lavori del contratto di appalto del __ e l’esistenza di errori progettuali (cfr. all. sub __ fasc. attrice). Tale circostanza marca la sussistenza, sin da epoca antecedente alla richiesta e, dunque, all’emissione del decreto ingiuntivo n. __, di fatti potenzialmente impeditivi ed ostativi al riconoscimento del credito ingiunto, oltretutto riscontrato anche dalla ricognizione di debito effettuata da A. S.p.A. nel corpo della mail trasmessa il ___, a distanza di pochi giorni dalla precedente contestazione (cfr. all. __ fasc. attrice). Né tantomeno risulta verosimile la ricostruzione attorea secondo la quale la suddetta nota sarebbe stata rilasciata su richiesta del legale rappresentante della E. S.r.l. al fine di evitare operazioni di rientro dagli affidamenti concessi dagli istituti di credito; specie considerando che sarebbe stato contraddittorio riconoscere il credito qualche giorno prima contestato.

Ed, inoltre, vi è documentazione in atti che comprova come i lavori fossero stati ultimati alla data del __ (cfr. sub doc. __ fasc. attrice; nonché all. sub __ fasc. attrice); sicché quantomeno il denunciato profilo di doglianza concernente la mancata esecuzione delle prestazioni appaltate (invero escluso dalle risultanze documentali di valore pubblicistico) ben avrebbe potuto senz’altro essere fatto valere mediante la tempestiva proposizione dell’opposizione ex art. 645 c.p.c.

Ed invero i denunciati vizi costruttivi, come ricostruiti nella relazione dell’ing. L. del __, concernenti l’alterazione degli intonaci esterni e le pitturazioni, l’incompiutezza degli impianti elettrici e termici, i fenomeni di infiltrazione in corrispondenza degli infissi a servizio dei locali interrati, la presenza di microfessurazioni e di piccole lesioni che, in occasione di precipitazioni meteoriche, risulterebbero tali da lasciar condurre l’acqua all’interno delle strutture costituenti l’immobile, le ulteriori incompletezze impiantistiche e nelle opere di finitura, invero non vengono collocati, quanto alla relativa insorgenza, ad un’epoca successiva rispetto alle suindicate contestazioni stragiudiziali.

Peraltro, dall’esame del certificato di agibilità del __, oltre all’ultimazione dei lavori in data __, si apprende che è stato effettuato il collaudo delle strutture in conglomerato cementizio, che risultano rilasciate le dichiarazioni di conformità dell’impianto elettrico, idrico-fognante e termico, che vi è conformità tra le opere eseguite e i progetti autorizzati.

Orbene, la parte attrice assume l’inosservanza da parte dell’appaltatore dell’obbligo di mettere il committente nelle condizioni di procedere alla verifica dell’opera, secondo quanto disposto dall’art. 1665, co. 2, c.c.; con la conseguenza di avere potuto solo tardivamente riscontrare le segnalate incompletezza dei lavori e la sussistenza dei vizi. In particolare, si sottolinea come la committente, sin dal ricevimento della missiva del __, era in grado di rendersi conto che la richiesta stragiudiziale di pagamento da parte della convenuta desse conto della trasmissione di un formale invito ad effettuare la verifica nel __ (circostanza, tuttavia, contestata); con l’effetto che, non essendovi stata alcuna verifica, né alcuna consegna dell’opera o accettazione, a mente dell’ultimo comma dell’art. 1665 c.c. l’appaltatore non avrebbe alcun diritto al pagamento dell’opera.

In altri termini, la mancata conoscenza o riconoscibilità delle difformità e dei vizi oggetto dell’azione di garanzia attorea viene agganciata alla mancata verifica dell’opera, con conseguente insussistenza del diritto dell’appaltatrice a pretendere il pagamento delle fatture azionate in sede monitoria, anche in forza della specifica previsione dell’art. _ del contratto d’appalto, il quale stabilisce che “il saldo del corrispettivo debba essere pagato al rilascio del certificato di abitabilità”.

Invero, a ben vedere, tali profili di doglianza configurano fatti impeditivi del diritto al pagamento dell’importo di cui alle fatture del __, del __ e del __, che già avrebbero potuto essere fatti valere mediante la tempestiva proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c. e che, quindi, allo stato risultano incontrovertibilmente coperti dall’efficacia di giudicato esterno propria del più volte citato decreto ingiuntivo opposto. Neppure nella relazione tecnica di parte è dato riscontrare una differenziazione tra vizi riconoscibili ab origine e vizi la cui manifestazione possa ritenersi sopravvenuta rispetto ai termini di proposizione dell’opposizione ex art. 645 c.p.c.; sicché detta insufficienza probatoria non può che ricadere in capo alla parte attrice.

Anche la circostanza dell’indebito conseguimento dell’importo del 10% (sul totale da liquidare) posto contrattualmente a garanzia della committente, nonostante non fosse stato previamente rilasciato il certificato di abitabilità, costituisce un fatto impeditivo del diritto di credito monitorio che occorreva dedurre mediante tempestiva impugnazione del tiolo monitorio.

Alla stregua dei rilievi che precedono, la domanda attorea, sotto le distinte declinazioni evidenziate in citazione, non può trovare alcun accoglimento, dovendosene dichiarare l’inammissibilità per violazione del divieto del bis in idem.

Le spese processuali seguono la soccombenza della parte attrice ai sensi dell’art. 91 c.p.c.

Alla liquidazione del compenso, deve provvedersi secondo i parametri fissati dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (artt. 4-5 e tab. A allegata), la cui disciplina transitoria (art. 28) ne prevede espressamente l’applicazione alle “liquidazioni successive alla sua entrata in vigore” (nella specie avvenuta il __); sicché il nuovo regolamento ministeriale prevale anche laddove si tratti di controversia iniziata e svolta, in tutto o in parte, sotto la vigenza delle abrogate tariffe professionali o del D.M. n. 140 del 2012, immediatamente antecedente quello da ultimo emanato (in senso analogo, cfr. Cass., sez. un., n. 17405/ 2012).

Nel prospetto seguente sono riportate le voci di compenso spettanti e i relativi importi, secondo i tassi medi, determinati avuto riguardo complessivamente all’importo domandato (dunque dello scaglione compreso tra Euro __ed Euro __), con riduzione in misura del 70% della voce relativa alla fase istruttoria (di natura prevalentemente documentale) e del 30% delle ulteriori fasi, atteso il carattere risolutivo della questione in rito ed in ragione della reiterazione, in sede conclusiva, di profili argomentativi conclusivi già ampiamente sviluppati dalla parte convenuta negli scritti difensivi introduttivi:

Omissis

Non vi è adeguata prova, sotto il profilo soggettivo, della circostanza che l’attrice abbia agito in giudizio con dolo o colpa grave, attesa peraltro la non semplice definizione dei contorni tra denuncia dei vizi ammissibile e vietata, in caso di giudizio autonomo connesso al diritto di credito riconosciuto in un decreto ingiuntivo non tempestivamente opposto ai sensi dell’art. 645 c.p.c.

P.Q.M.

il Tribunale di Bari, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con atto di citazione notificato in data __ da CURATELA DEL FALLIMENTO A. S.p.A. nei confronti di E. S.r.l. così provvede:

  1. a) DICHIARA inammissibile la domanda attorea;
  2. b) CONDANNA l’attrice alla rifusione delle spese processuali nei confronti della convenuta che si liquidano in complessivi Euro __, oltre a rimborso spese forf. in misura del 15%, cpa ed iva come per legge.

Si comunichi.

Così deciso in Bari, il 31 luglio 2018.

Depositata in Cancelleria il 1 agosto 2018.

Tribunale_Bari_Sez_Civile_II_Sent_01_08_2018

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La fattura non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato

La fattura non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato

Corte d’Appello Napoli, Sezione VI Civile, Sentenza del 14/06/2018

Con sentenza del 14 giugno 2018 la Corte d’Appello Napoli, Sezione VI Civile, in materia di recupero crediti ha stabilito che la fattura, in quanto atto formato unilateralmente da una delle parti, pur costituendo documento idoneo a garantire l’accoglimento del ricorso per ingiunzione di pagamento, non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato, laddove vi siano, contestazioni da parte del debitore.


Corte d’Appello Napoli, Sezione VI Civile, Sentenza del 14/06/2018

La fattura non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli – Sesta Sezione Civile – in persona dei Sigg. Magistrati:

1) Dott. __ – PRESIDENTE

2) Dott. __ – CONSIGLIERE

3) Dott. __ – CONSIGLIERE

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. __ del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell’anno __avverso la sentenza n. ___ pronunciata dal Tribunale di __, Sezione Civile, in data __e riservata in decisione all’udienza del ___, vertente

TRA

M. e A., quali ex soci di M. s.a.s. di M., con sede in __, via __, cancellata il __ dal Registro delle Imprese, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. ____, dal quale sono rappresentati e difesi, in virtù di procura a margine dell’atto di appello;

APPELLANTI

E

P., per la Ditta omonima, con sede in __, via __, elettivamente presso lo studio dell’avv. __, dal quale è rappresentato e difeso, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

APPELLATO – APPELLANTE INCIDENTALE

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto notificato in data __ la M. s.a.s. di M. proponeva opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo n. __ emesso dal Tribunale di __ in data __, in forza del quale era stata condannata al pagamento di __ euro a favore di P. per il saldo del corrispettivo di un contratto di appalto. L’opponente deduceva la non debenza della somma ingiunta per essere stati i lavori non eseguiti a regola d’arte e proponeva domanda riconvenzionale per sentir condannare l’opposto al risarcimento dei costi da sostenersi per l’adeguamento dell’impianto, al risarcimento dei danni provocati dalle perdite d’acqua del predetto impianto quantificati in ___ euro e per violazione della privacy, per essere stata la CTP dell’opponente redatta senza autorizzazione previo accesso all’impianto.

L’opposto si costituiva contestando la fondatezza dell’opposizione e chiedendo il rigetto della stessa e delle domande convenzionali proposte. In corso di causa l’opponente chiedeva procedersi ad un ATP; la richiesta era rigettata con ordinanza del ___ e tale decisione era confermata in sede di reclamo.

Espletata CTU, per la determinazione del giusto corrispettivo dei lavori, la causa era rimessa in decisione: il giudice rigettava sia l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo, sia le domande riconvenzionali, e condannava la M. s.a.s al rimborso dei due terzi delle spese processuali sostenute, oltre rimborso spese di CTU, diritti ed onorari, IVA e CPA.

Avverso tale decisione proponevano appello, previa richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, i signori M. e A., quali ex soci, rispettivamente accomandatario e accomandante, della M. s.a.s., cancellata in data ___ dal Registro dell’Imprese, per i seguenti motivi:

1) erroneità della sentenza per aver ritenuto non contestato il quantum del saldo di corrispettivo invocato dalla Ditta P.;

2) erroneità dei parametri individuati dal consulente per la quantificazione dei costi dei lavori;

3) erroneità della sentenza per aver dichiarato la M. s.a.s decaduta dalla garanzia per vizi e respinto la richiesta di riduzione del corrispettivo in ragione dei danni arrecati dalle opere incomplete e difettose;

4) erroneo rigetto della domanda riconvenzionale della società committente di risarcimento dei danni;

5) illegittimo ed ingiusto regolamento delle spese di causa.

L’appellante concludeva per l’accoglimento dell’appello e la revoca del decreto ingiuntivo e per l’accoglimento delle domande riconvenzionali con conseguente condanna dell’appellata al pagamento dei costi da sostenersi per l’adeguamento e per il corretto funzionamento degli impianti, e al risarcimento dei danni, con vittoria di spese, diritti ed onorari.

La ditta individuale del Signor P. si costituiva in giudizio, chiedeva il rigetto dell’appello proposto dalla controparte e proponeva appello incidentale, chiedendo, in riforma alla sentenza gravata, di determinare in via giudiziale l’esatto corrispettivo della prestazione nella misura accertata dal CTU pari ad un totale di __ euro e condannare i Signor M. e A., al pagamento in favore della ditta del Signor P. della somma di __ euro, pari all’importo determinato per l’intera prestazione eseguita (__), detratto l’acconto percepito di __. Chiedeva, inoltre, di riformare la parte della sentenza relativa al regolamento delle spese, il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.

La Corte assumeva la causa in decisione all’udienza del __ con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Ragioni di ordine logico e sistematico impongono di procedere innanzitutto all’esame dell’eccezione d’inammissibilità dell’appello. Parte appellata sollevava tale eccezione nelle note autorizzate, affermando che la sentenza pronunciata nei confronti di una società di persone non fa stato nei confronti dei soci, che non siano stati parte del relativo giudizio e che, pertanto, gli stessi non sono legittimati ad impugnare la sentenza stessa.

Va premesso che dalla visura camerale eseguita presso la Camera di Commercio di Napoli è emerso che la M. Di M. s.a.s. il __ è stata cancellata dal Registro delle Imprese a seguito di scioglimento anticipato di società, senza apertura della liquidazione, per volontà dei soci e che la Corte d’Appello ha pregiudizialmente rilevato tale irregolarità, invitando le parti ad interloquire circa l’ammissibilità dell’impugnazione proposta dai soci, che non hanno preso parte al giudizio di primo grado.

A seguito della modifica apportata all’articolo 2945 c.c., comma secondo, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 in tema di società di capitali, la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione della società anche in presenza di rapporti non definitivi e anche se intervenuta anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina.

La giurisprudenza di legittimità, all’esito della riforma della società di capitali, ha affermato che il nuovo testo dell’articolo 2945 c.c. si applica anche alle società di persone, nonostante la prescrizione normativa faccia riferimento esclusivamente a quelle di capitali e alle società cooperative ed in un primo momento ha sostenuto anche che detta norma, avendo funzione meramente ricognitiva, fosse retroattiva e dovesse trovare applicazione anche in ordine alla cancellazione intervenuta anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003 (Cass. n. 24037/2009, Cass. Sez. Un. 4061/2010).

In base all’art. 2945 c.c. deve escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l’estinzione dell’ente debitore, determini al tempo stesso la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi, ed è del tutto naturale immaginare che questi debiti si trasferiscano in capo a dei successori e che, pertanto, la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2495 c.c. implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio. Ciò vale anche, come nel caso di specie, per il socio accomandante che risponderà, però, solo intra vires dei debiti trasmessigli.

Sul piano processuale è del tutto ovvio che una società non più esistente, perché cancellata dal registro delle imprese, non possa validamente intraprendere una causa, ne’ esservi convenuta. Qualora la cancellazione intervenga a causa già iniziata l’impugnazione proposta dalla società estinta deve considerarsi inammissibile (Cass. 15 aprile 2010, n.9032; e Cass. 8 ottobre 2010, n.20878), così come di quella proposta nei suoi nei confronti (Cass. 10 novembre 2010, n.22830); si è ritenuto che, nei processi in corso, anche se non siano stati interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci, che divengono, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo (Cass. 6 giugno 2012, n.9910; e Cass. 30 luglio 2012, n.12796).

Nel caso concreto, essendosi il giudizio svolto senza interruzione, la necessità di confrontarsi con la sopravvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese si pone nel passaggio al grado successivo. Tale eventualità può presentarsi o perché l’estinzione è sopravvenuta dopo la pronuncia della sentenza che ha concluso il grado precedente di giudizio e durante la pendenza del termine d’impugnazione, oppure perché quell’evento si è verificato quando ormai, nel grado precedente, non sarebbe più stato possibile farlo constare, ovvero, come nel caso di specie, perché in precedenza è mancata la dichiarazione dell’evento estintivo.

In merito, le Sezioni Unite ritengono che l’esigenza di stabilità del processo, che eccezionalmente ne consente la prosecuzione pur quando sia venuta meno la parte, se l’evento interruttivo non sia stato fatto constare nel modi di legge, debba considerarsi limitata al grado di giudizio in cui quell’evento è occorso. Viceversa, è principio generale, condiviso dalla giurisprudenza di gran lunga maggioritaria, quello per cui il giudizio d’impugnazione deve sempre esser promosso da e contro i soggetti effettivamente legittimati, ovvero, come anche si usa dire, della “giusta parte” ( Cass. 3 agosto 2012, n.14106; Cass. 8 febbraio 2012, n.1760; Cass. 13 maggio 2011, n.10649; Cass. 7 gennaio 2011, n.259; Sez. un. 18 giugno 2010, n.14699; Cass. 8 giugno 2007, n.13395; Sez. un. 28 luglio 2005, n.15783).

Non appare quindi ammissibile che l’impugnazione provenga dalla – o sia indirizzata alla – società cancellata, e perciò non più esistente, giacché la pubblicità legale cui l’evento estintivo è soggetto impone di ritenere che i terzi, e quindi anche le controparti processuali, ne siano a conoscenza, cosicché è da ritenersi correttamente instaurato il presente giudizio da parte dei soci.

Parte appellata chiedeva, inoltre, alla Corte di dichiarare nulla l’attività difensiva svolta in primo grado a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese.

I principi giurisprudenziali sopra esposti, consentono di affermare che la società, per quanto estinta, non essendo stato ritualmente dichiarato l’evento estintivo, era stata idoneamente rappresentata sulla base del primo mandato fino all’udienza del __. All’udienza del __ si costituiva per l’opponente M. s.a.s un nuovo procuratore, __, in sostituzione dell’avv. __; tale costituzione, essendo avvenuta in forza di un mandato rilasciato da parte di un soggetto, che, essendo venuto meno per effetto dell’estinzione, non poteva rilasciare alcun valido mandato alle liti, risulta affetta da nullità, con conseguente nullità anche dell’attività processuale svolta in seguito a tale sostituzione, ed in particolare di tutte le censure sollevate avverso la CTU, delle memorie di replica e delle comparse conclusionali, senza che tuttavia ciò infici la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado.

Venendo all’esame del merito, il primo motivo d’impugnazione è diretto a contestare la ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado circa la non contestazione del quantum del saldo corrispettivo invocato con l’istanza monitoria e i rapporti di dare/avere intercorrenti fra le parti.

Osserva la Corte che il decreto ingiuntivo opposto nel presente giudizio è stato richiesto e ottenuto sulla base di una fattura: la fattura, atto formato unilateralmente da una delle parti, pur costituendo documento idoneo a garantire l’accoglimento del ricorso per ingiunzione di pagamento, non esonera il creditore nella fase successiva dell’opposizione dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del credito vantato, laddove vi siano, contestazioni da parte del debitore. In seguito alla notificazione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, difatti, il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito e le parti recuperano le posizioni che ad esse sarebbero spettate se non fosse stato momentaneamente pretermesso il contraddittorio: il ricorrente/opposto riveste la sostanziale posizione di attore e il resistente/opponente quella di convenuto, con la conseguenza che incombe al creditore ogni onere della prova dei fatti a sostegno della propria pretesa e al debitore di provare gli eventuali fatti estintivi dell’obbligazione (cfr. Cass. civ. sez. III 15 gennaio 1969 n. 77; Cass. civ. sez. I 27 giugno 2000 n. 8718; Cass. civ. sez. III 4 maggio 1994 n. 4286; Cass. civ. sez. lav. 17 novembre 1997 n. 11417).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, i fatti allegati da una parte, in tanto possono considerarsi pacifici, in quanto siano stati esplicitamente ammessi d’altra parte, ovvero quando quest’ultima abbia impostato le proprie difese su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti stessi, oppure si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando il tal modo il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri e ciò perché nel vigente ordinamento non sussiste un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte (c.f.r. Cass. civ. sez. III. 19 agosto 2009, n. 18399; Cass. civ. sez. III, 5 marzo 2009, n.5356; Cass. civ. sez. III, 14 marzo 2006, n.5488; Cass. civ. sez. III, 28 ottobre 2004, n. 20916).

Ciò premesso, il Tribunale ha erroneamente ritenuto non necessaria la determinazione giudiziale del corrispettivo della prestazione lavorativa dovuto alla ditta opposta ritenendo non contestati i fatti di causa e dichiarando che la M. S.a.s. si sarebbe limitata ad affermare la non debenza della somma ingiunta stante la presenza di vizi all’impianto. In realtà l’opponente ha specificamente contestato i fatti nell’atto di opposizione, dichiarando di aver pagato interamente il corrispettivo dovuto e qualificando come ingiustificato e non dovuto l’importo ingiunto di Euro __e come arbitraria l’emissione della fattura n. __ del __ e la registrazione della stessa nelle scritture contabili dell’opposta ditta.

Le uniche circostanze non contestate dall’opponente sono la realizzazione presso la propria sede aziendale dell’impianto e il pagamento della somma di Euro __ emergente dalle fatture n. __del __, n. __ del __ e n. __ del __; le parti non aveva redatto alcun contratto di appalto, né è provato avessero raggiunto un’intesa sul corrispettivo, i preventivi redatti dall’appaltatore e allegati agli atti non risultano essere sottoscritti dal committente e la quantificazione finale delle opere, di cui alla fattura a saldo n. __ del __ di __ euro, risulta anch’essa frutto di una unilaterale valutazione.

Coglie nel segno, dunque, la difesa dell’appellante quando censura la ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado quanto alla presunta non contestazione del quantum dovuto, sul quale peraltro era ammessa ed espletata consulenza tecnica di ufficio.

Con il secondo motivo d’appello, gli appellanti lamentavano l’erroneità dei quesiti posti dal giudice al consulente e chiedevano una rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio. Si evidenziava che, avendo la controparte unilateralmente quantificato quanto dovuto, il giudice non avrebbe dovuto discostarsi da tale richiesta, chiedendo al CTU, in violazione dell’art. 1657 c.c., di “quantificare il costo dei lavori eseguiti dall’opposto utilizzando il prezzario dei lavori edilizi della regione Campania attualmente vigente”.

Le censure formulate col secondo motivo di appello non meritano accoglimento.

Nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, la committente affermava: “tutti i documenti esibiti sono stati predisposti unilateralmente dalla controparte e non sono firmati dall’opponente, per cui non hanno alcun valore probatorio”. Tale affermazione con cui la committente eccepiva l’unilateralità dei preventivi predisposti e l’assenza di qualsivoglia adesione agli stessi, valutata unitamente alla totale contestazione, da parte della committente, della pretesa creditoria dell’appaltatore, rende pacifica l’inesistenza di una determinazione contrattuale vincolante per il giudice ex art. 1657 c.c. Correttamente, dunque, il Tribunale affidava al consulente tecnico l’incarico di accertare l’entità dei lavori eseguiti ed il relativo importo, utilizzando il prezzario dei lavori edilizi della regione Campania.

Generica è, infine, la contestazione del quesito con cui il giudice, nell’affidare l’incarico al CTU (udienza del __), aveva chiesto di effettuare la stima delle opere utilizzando il prezzario dei lavori edilizi della Regione Campania vigente in quella data. Secondo la ricostruzione dell’appellante, essendo il corrispettivo d’appalto un debito di valuta, il giudice avrebbe dovuto richiedere al CTU l’utilizzo del prezzario dell’anno a cui i lavori risalivano, ossia il prezzario dei lavori edilizi della Regione Campania __, e tale errore aveva comportato l’addossamento al committente di cinque aumenti tariffari.

Ed, invero, la quantificazione dell’importo totale dell’opera è stata effettuata in parte “a corpo” ed in parte “a misura” e, solo per quest’ultima, il corrispettivo veniva determinato applicando alle unità di misura delle singole parti del lavoro i prezzi unitari dedotti dal prezzario dei lavori edilizi della Campania del __ ed, inoltre, l’appellante non ha chiarito quali aumenti avrebbero aggravato la sua situazione, limitandosi ad una generica contestazione dell’intera consulenza, priva di qualsiasi riferimento concreto alle voci considerate dal tecnico e agli eventuali aumenti disposti in relazione a tali voci nel prezzario di riferimento.

Con il terzo motivo d’appello gli appellanti lamentavano l’erroneità della sentenza nella parte in cui dichiarava la M. s.a.s decaduta dalla garanzia per vizi ex art. 1667 c.c., per l’assenza di una tempestiva denuncia degli stessi, e respingeva la richiesta di riduzione del corrispettivo in ragione dei danni arrecati dalle opere incomplete e difettose.

Occorre rilevare che, secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, l’art. 1668 c.c., nell’enunciare il contenuto della garanzia prevista dall’art. 1667 c.c., prevede che il committente, convenuto per il pagamento, possa sempre far valere, in via d’eccezione, la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunciati entro il termine di sessanta giorni dalla loro scoperta. Qualora invece l’appaltatore eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia disposta dall’art. 1667 c.c., incombe su quest’ultimo l’onere di dimostrare di averli tempestivamente denunciati, costituendo la denuncia una condizione necessaria per invocare la garanzia (Cass. Civ., Sez. II, n. 10579/2012; Cass. Civ., n. 509155/2001; Cass. Civ., Sez. II, n.10412/1997).

Ciò posto, e premesso che “la produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico (Cass. Sez. L., Sentenza n.24015 del 12/10/2017), coglie nel segno la difesa degli appellanti denuncia che il giudice di prime cure ha erroneamente limitato la sua valutazione alle sole missive in relazione alle quali vi era prova della ricezione da parte dell’opposto.

Pur considerando, tuttavia, nel suo complesso la corrispondenza intercorsa fra le parti, l’unica missiva in cui vi è un riferimento temporale al momento della scoperta dei vizi è quella del __, in cui però il committente si limita a lamentare un generico “mal funzionamento dell’impianto e la non rispondenza alle esigenze dell’attività”; le altre missive non contengono alcun riferimento all’epoca della scoperta dei vizi e neanche in realtà una vera e propria denuncia dei lamentati vizi, facendo piuttosto riferimento a generiche lamentele circa il funzionamento dell’impianto (anomalie di sistema, problemi di rumorosità), cosicché corretta appare la decisione del giudice di primo grado.

Osserva, infine, la Corte come solo nelle comparse depositate ai sensi dell’art. 190 c.p.c. veniva reiterata la domanda di risarcimento del danno, che non costituiva oggetto di appello.

Passando all’esame dell’appello incidentale, il sig. P. denunciava l’erroneità della sentenza nella parte in cui, non riconoscendo sussistente una contestazione in merito al corrispettivo dell’appalto, aveva confermato l’importo indicato nel decreto ingiuntivo senza considerare la diversa e maggiore quantificazione contenuta nella consulenza tecnica di ufficio.

Con la notificazione del ricorso monitorio si “cristallizza” l’edictio actionis a tutti gli effetti sostanziali e processuali e, dunque, anche ai fini del giudizio di opposizione (Cass., 28/4/1981, n.2588; Cass, 7/4/1987, n. 3341; Cass., 17/8/1973, n. 2356; Cass., 10/9/1990, n. 9311 e Cass., 13/6/1992, n. 7292); al “creditore convenuto” in opposizione può riconoscersi solo la facoltà di precisazione e di emendatio libelli rispetto al ricorso monitorio, mentre non gli è riconosciuta la facoltà di proporre domande riconvenzionali, attesa la sua posizione di sostanziale attore, se non nei limiti della cd. reconventio reconventionis (Cass. 30/3/2010, n. 7624; Cass., 7/3/2010, n. 4948; Cass., 5/6/2007, n. 13086; Cass., 30/3/2006, n, 7571; Cass., 7/2/2006, n. 2529; Cass., 14/12/2005, n. 27573; Cass., 22/3/1995, n.325, Cass., 24/3/1998, n.3115; Cass., 29/1/1999, n.813; Cass., 25/3/1999, n, 2820; Cass., 9/5/1987, n.4298). Il creditore opposto non può, dunque, pretendere, nella comparsa di costituzione, una somma maggiore di quella richiesta con l’ingiunzione, consistendo, tale richiesta, in una mutatio libelli preclusa alla parte. (Cass. del 27.02.2014 Sent. n. 4743.)

La sentenza di primo grado va, dunque, confermata, con rigetto del primo motivo di appello incidentale, seppure per ragioni diverse da quelle indicate dal Tribunale.

Ed, invero, anche laddove il giudice di prime cure avesse deciso di utilizzare la consulenza tecnica d’ufficio espletata, non avrebbe potuto condannare la società M. al pagamento di una somma superiore ad Euro __, avendo il creditore opposto rivendicato con decreto ingiuntivo l’attribuzione, sulla base della fattura allegata, esclusivamente di tale somma determinata, ponendo un preciso limite all’ammontare del quantum richiesto.

La domanda di determinare in via giudiziale l’esatto corrispettivo della prestazione, che avrebbe permesso di condannare all’importo maggiore determinato dal consulente, è stata effettuata solo con la comparsa di costituzione e risposta, peraltro in via subordinata, ed integra, sulla base di quanto in precedente indicato una mutatio libelli preclusa al creditore opposto e, di conseguenza, inammissibile.

Con il secondo motivo di appello incidentale il Signor P. censurava la decisione nella parte in cui aveva disposto la compensazione delle spese di lite nonostante la totale soccombenza dell’opponente. Egli chiedeva di condannare gli appellanti al pagamento integrale delle spese del giudizio di primo grado, maggiorate delle spese di cui al combinato disposto degli artt. 88 e 92 c.p.c. per violazione del dovere di lealtà e probità.

Il giudice di primo grado motivava la decisione di compensare le spese di lite come segue: “Il comportamento processuale e preprocessuale delle parti, la natura delle questioni affrontate, nonché le ragioni della decisione costituiscono giustificati motivi di compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo, ponendosi i restanti due terzi a carico dell’opponente”.

Il testo dell’art. 92 c.p.c. è stato oggetto di vari interventi legislativi: il testo originario consentiva al giudice di compensare le spese processuali in presenza di giusti motivi, e la genericità dell’espressione utilizzata consentiva una valutazione discrezionale di massima ampiezza, l’art. 2 della L. n. 263 del 2005 ha previsto esplicitamente l’obbligo del giudice di indicare specificatamente nella motivazione i giusti motivi, la legge di riforma del processo civile del 2009 ha ulteriormente circoscritto la discrezionalità del giudice con la previsione della ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni ed, infine, nel 2014 il legislatore ha previsto che il giudice possa compensare le spese solo se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza.

Il procedimento di primo grado veniva incardinato in data __, cosicché la norma applicabile è quella anteriore alla riforma di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263 in vigore dal 01/03/2006: il giudice di primo grado poteva, dunque, compensare le spese in presenza di “giusti motivi”; la genericità dell’espressione adottata dal legislatore legittimava l’esercizio del potere di compensazione sia in relazione al merito del giudizio, sia in considerazione della condotta processuale.

La decisione assunta dal primo giudice è condivisa dalla Corte.

Milita per tale conclusione la considerazione che all’udienza del __ parte appellata chiedeva determinarsi il corrispettivo della prestazione dovuta nella misura accertata dal CTU (misura diversa e superiore da quella richiesta con decreto ingiuntivo) e che, essendo stata tale richiesta disattesa dal giudice di prime cure, anche parte appellata può qualificarsi come parzialmente soccombente.

In merito alla richiesta della condanna della società opponente al pagamento delle spese per violazione del dovere di lealtà e probità, osserva la Corte come tale violazione si configura generalmente qualora il comportamento delle parti abbia la sola finalità di ostacolare una sollecita definizione del processo, di turbare la piena e regolare applicazione del principio contraddittorio o di arrecare danno all’avversario attraverso una strumentalizzazione o un abuso del proprio diritto.

Tanto premesso, il comportamento pre-processuale e processuale che l’appellato assumeva essere stato contrario a tale dovere di lealtà e probità consisteva esclusivamente nella sostituzione del difensore e nella produzione in giudizio di una denuncia mai formalmente presentata all’Autorità Giudiziaria.

La possibilità di sostituire il difensore è esercizio del potere di difesa e la sola allegazione di una denuncia non presentata all’Autorità non integra un dispendio di attività processuale tale da poter qualificare come scorretto e riprovevole il comportamento processuale dell’appellante, ai sensi dell’art. 88 c.p.c.

Le spese del presente grado di giudizio sono integralmente compensate fra le parti in considerazione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli – Sesta Sezione Civile – definitivamente pronunciando in ordine all’appello avverso la sentenza n. __ pronunciata dal Tribunale di __, Sezione Civile, in data __ proposto con atto del __ dai sigg. M. e A. nei confronti del sig. P., nonché sull’appello incidentale, così provvede:

1) rigetta l’appello principale e quello incidentale e per l’effetto conferma la sentenza n. __ pronunciata dal Tribunale di __, Sezione Civile, in data __;

2) compensa integralmente fra le parti le spese del presente grado di giudizi

Così deciso in Napoli, il 8 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2018.

Corte_App_NA_Sez_VI_Sent_14_06_2018

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Recupero crediti: l’atto stragiudiziale di messa in mora non richiede, all’infuori della scrittura, alcun rigore di forme

Recupero crediti: l’atto stragiudiziale di messa in mora non richiede, all’infuori della scrittura, alcun rigore di forme

Tribunale Ordinario di Padova, Sezione II Civile, Sentenza del 13/07/2018

Con sentenza del 13 luglio 2018 il Tribunale Ordinario di Padova, Sezione II Civile, in materia di recupero crediti ha stabilito che l’atto stragiudiziale di messa in mora non richiede, all’infuori della scrittura, alcun rigore di forme, di talché, in particolare, ai fini della interruzione della prescrizione, non sono previste modalità particolari di trasmissione, essendo solo sufficiente che l’atto, contenente l’intimazione di pagamento, pervenga nella sfera di conoscenza del debitore.


Tribunale Ordinario di Padova, Sezione II Civile, Sentenza del 13/07/2018

Recupero crediti: l’atto stragiudiziale di messa in mora non richiede, all’infuori della scrittura, alcun rigore di forme

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Padova ed in persona della dott.ssa __ ha pronunziato all’esito della discussione orale della causa ed ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. la seguente:

SENTENZA

nella causa civile iscritta a ruolo al numero __ del Ruolo Generale __, promossa con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo vertente tra:

G. – Parte attrice opponente

contro

C. – Parte convenuta opposta

Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo n. __

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato, G. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. __, con il quale il Giudice del Tribunale di Padova la condannava al pagamento, in favore di C., dell’importo di Euro __, oltre gli interessi come determinati in domanda, le spese di procedura di ingiunzione liquidate in Euro __ per compensi ed Euro __ per esborsi, oltre iva e cpa.

A sostegno della opposizione, parte opponente deduceva: l’improcedibilità della domanda in quanto la mediazione preliminarmente espletata dalla ricorrente non sarebbe stata espletata nel rispetto delle norme di legge; il difetto di legittimazione processuale della ricorrente; la prescrizione del credito azionato per non aver mai ricevuto alcuna richiesta di pagamento da parte della creditrice.

Si costituiva la parte convenuta che contestava la ricostruzione fattuale e di diritto della parte attrice e chiedeva che rigettata l’opposizione, il decreto ingiuntivo venisse con fermato.

Concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, la causa è stata istruita attraverso la produzione documentale.

La causa fissata per la precisazione delle conclusioni e discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c., passa ora alla decisione.

La presente controversia verte sulla validità della eccezione prescrizionale come sollevata dalla parte attrice, non essendo stato contestato il rapporto contrattuale e il mancato pagamento da parte dell’attrice di quanto dovuto sulla base del contratto di finanziamento sottoscritto tra le parti.

In particolare parte attrice sostiene che la lettera raccomandata del __ inviata dalla parte convenuta non sia idonea ad essere considerata atto interruttivo della prescrizione.

Con riferimento a questo primo atto di messa in mora, la opponente nega di averlo mai ricevuto; tuttavia, deve rilevarsi che vi è in atti la prova della spedizione, da parte della società opposta, della raccomandata contenente la richiesta di pagamento: risulta, infatti, dal doc. 4 di parte opposta che l’invio della raccomandata è avvenuto in data __.

Risulta, inoltre, che in data __ il plico è stato rinviato ai mittente perché non ne è stato curato il ritiro.

Con riferimento alla natura e alle caratteristiche dell’atto di messa, in mora, la giurisprudenza è costante nel sostenere che si tratta di un atto stragiudiziale per il quale non è richiesto, all’infuori della scrittura, alcun rigore di forme e, in particolare, ai fini della interruzione della prescrizione, non sono previste modalità particolari di trasmissione, essendo solo sufficiente che l’atto, contenente l’intimazione di pagamento, pervenga nella sfera di conoscenza del debitore (Cass. Sez. L, 18.8.2003, n. 12078). Più precisamente, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che tale atto non sia soggetto alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziali e che possa validamente essere inoltrato con raccomandata a mezzo del servizio postale (Cass. Sez. 3, 28.11.2003, n. 18243); a questo proposito, con riguardo agli atti interruttivi della prescrizione, l’uso della lettera raccomandata costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso il rilascio della ricevuta, da cui, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, può desumersi la presunzione del suo arrivo a destinazione in considerazione dei particolari doveri che la raccomandata impone al servizio postale, in ordine al suo inoltro e alla sua consegna. (Cass. Sez. L., 22.2.2006, n. 3873).

Infine, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui detta, intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la sua ricezione da parte del destinatario può essere provata anche sulla base della presunzione di recepimento fondata sull’arrivo della raccomandata all’indirizzo del destinatario, che dovrà, dal suo canto, provare di non averne avuta conoscenza senza sua colpa (Cass. Sez.3, 13.6.2006, n. 13651; Cass. Sez. 3^, 27.4.2010, n. 10058).

Ora, nel caso di specie, non vi è dubbio che la raccomandata sia stata spedita presso la sede legale della opponente, circostanza non contestata dalla stessa G.; non vi è dubbio, quindi, che l’atto sia pervenuto nella sfera di conoscenza del debitore, come preteso dalla giurisprudenza sopra richiamata. Dunque, sebbene sia evidente che, trattandosi di un atto di cui non è stato curato il ritiro, esso non sia stato effettivamente letto e ricevuto dalla destinataria, ciò non toglie che esso possa ugualmente spiegare la sua efficacia interruttiva della prescrizione, visto che, come si è detto, a questo fine è sufficiente che la destinataria sia stata messa nella condizione di riceverlo (e non lo abbia poi ricevuto per sua colpa).

A quest’ultimo proposito, a fronte del dato pacifico per cui l’indirizzo di spedizione e di arrivo della raccomandata rispondeva alla sede legale di G., sarebbe stato onere di quest’ultima svolgere tutte le deduzioni necessarie ad evidenziare che la mancata ricezione non era avvenuta per sua colpa.

Invece, su questo punto, G. si è limitata a contestare la presenza di una valida documentazione attestante l’invio e la eventuale consegna della raccomandata, ma non ha articolato una difesa su quello che fosse il suo domicilio effettivo nel corso dell’ano __.

Ritenuto, conclusivamente, che il credito della convenuta non sia prescritto, si rileva che la conclusione del contratto, l’ammontare originario del finanziamento e il quantum dell’insoluto sono tutte circostanze pacifiche in causa.

Le spese del presente giudizio, vengono post a carico della parte soccombente e alla liquidazione deve procedersi sulla base dello scaglione di riferimento, tenuto conio dell’attività difensiva concretamente espletata e della limitata attività istruttoria (meramente documentale), con la conseguenza che la somma da liquidare a titolo di compensi deve essere quantificata, complessivamente, in Euro __ per compensi, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Il Tribunale di Padova, definitivamente pronunciando sulla causa promossa dalle parti di cui in epigrafe, ogni contraria eccezione istanza domanda disattesa definitivamente pronunciando, così provvede:

respinge l’opposizione e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo n. ____ emesso dal Tribunale di Padova;

condanna l’attrice opponente alla rifusione in favore della convenuta opposta, delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in Euro __ per compenso, oltre 15% per rimborso forfettario, cpa e iva come per legge.

Così deciso in Padova, il 12 luglio 2018.

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2018.

Tribunale_Padova_Sez_II Sent_13_07_2018

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Annullamento e risoluzione del Concordato preventivo, Risoluzione ex art. 186 L. Fall., Condizioni, Valutazione dell’imputabilità dell’inadempimento 

Annullamento e risoluzione del Concordato preventivo, Risoluzione ex art. 186 L. Fall., Condizioni, Valutazione dell’imputabilità dell’inadempimento 

Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 18738 del 13/07/2018

Con sentenza del 13/07/2018 la Cassazione Civile, Sezione I, in tema di annullamento e risoluzione del concordato preventivo , ha stabilito che il concordato preventivo deve essere risolto, a norma dell’art. 186 L. Fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza, a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all’esito dell’omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisoggettiva.

 


Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 18738 del 13/07/2018

Annullamento e risoluzione del Concordato preventivo, Risoluzione ex art. 186 L. Fall., Condizioni, Valutazione dell’imputabilità dell’inadempimento 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. __ proposto da:

O. Società a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, __, presso lo studio dell’Avv. __, rappresentata e difesa dall’Avv. __ giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. __ della Corte d’Appello di __, pubblicata il __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

udito il P., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per: preliminarmente dichiararsi improcedibile, in subordine accoglimento del primo e terzo motivo.

Svolgimento del processo

  1. Il Tribunale di __, con sentenza in data __, dichiarava la risoluzione del concordato preventivo proposto da O. e omologato con provvedimento del __, ravvisando un grave inadempimento della proposta concordataria imputabile alla condotta volontaria e colpevole dell’impresa, la quale da un lato non si era affatto attivata per perfezionare il trasferimento del terreno previsto in funzione della soddisfazione del creditore ipotecario P., dall’altro non aveva messo a disposizione dei creditori gli utili conseguiti nel corso della procedura.
  2. La Corte d’Appello di __, con sentenza pubblicata in data __, constatava che la reclamante non aveva in alcun modo contestato le circostanze di fatto poste dal Tribunale a base della propria decisione, riteneva che O., a prescindere dalla nomina di un Commissario liquidatore, avrebbe dovuto comunque attivarsi prendendo contatti con il Commissario giudiziale o avvertendo il G.D. in caso di inerzia dell’organo della procedura deputato alla dismissione del cespite, osservava che le considerazioni svolte dalla reclamante sulle proprie capacità produttive e sul suo patrimonio, sulla scorta della documentazione prodotta, non avevano rilievo, dato che facevano riferimento a situazioni posteriori alla presentazione della domanda di risoluzione, e rigettava pertanto il reclamo, condividendo la valutazione del primo giudice in merito all’esistenza di un grave inadempimento del debitore.
  3. Ricorre per cassazione contro questa pronuncia O. affidandosi a quattro motivi di impugnazione.

Il Commissario giudiziale di O. e P., benché intimati, non hanno svolto alcuna difesa.

Motivi della decisione

4.1 Il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione del disposto dell’art. 1455 c.c., L. Fall., artt. 186, 182, 37 e 38: la corte territoriale avrebbe trascurato di considerare che la vendita del terreno era stata affidata al Commissario liquidatore, il cui operato, regolato dal combinato disposto della L. Fall., artt. 182, 37 e 38, era del tutto svincolato da alcuna iniziativa del debitore, a cui pertanto non poteva essere ascritto alcun obbligo di sollecitazione dell’organo della procedura deputato a procedere alla dismissione del cespite rientrante nell’attivo concordatario.

4.2 Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa corte ha ritenuto (si vedano ex multis Cass. 13626/1991, 709/1993, 13357/2007, 7942/2010, 13446/2011 e 4398/2015), rispetto al disposto della L. Fall., art. 186, nella sua formulazione non più in vigore, che il concordato preventivo con cessione dei beni – salva previsione espressa di totale, immediata liberazione del debitore – debba essere risolto ove emerga che esso sia venuto meno alla sua naturale funzione.

Questo orientamento mantiene la sua attualità anche rispetto alla vigente formulazione della L. Fall., art. 186, che, pur utilizzando una terminologia propria delle generale disciplina della risoluzione dei contratti, non può far dimenticare che il concordato preventivo non è un contratto a prestazioni corrispettive, ma un istituto caratterizzato da una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all’esito dell’omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisoggettiva.

Dunque, benché l’intervento legislativo operato con il D.Lgs. n. 169 del 2007, abbia inteso uniformare la disciplina in materia con quella prevista in tema di concordato fallimentare e rendere applicabili, in coerenza con l’accentuata natura privatistica del concordato preventivo, i principi generali in materia di inadempimento contrattuale, la peculiare natura del concordato impedisce una traslazione tout court in questo ambito delle categorie proprie dell’inadempimento contrattuale.

In particolare la non imputabilità al debitore dell’inadempimento non rileva ai fini della risoluzione del concordato poiché la L. Fall., art. 186, intende valorizzare il mancato avveramento del piano, ove non di scarsa importanza, secondo una logica ben diversa da quella dell’art. 1218 c.c., a mente del quale l’inadempimento costituisce un fatto causativo di responsabilità a carico della parte inadempiente.

È necessario quindi verificare la prospettiva oggettiva della impossibilità di realizzare la promessa soddisfazione dei creditori valorizzando l’inadempimento nella sua dimensione e consistenza piuttosto che l’aspetto soggettivo dell’ascrivibilità di un simile infruttuoso risultato al debitore, a prescindere da eventuali profili di colpa imputabili al debitore.

In altri termini conta il mancato raggiungimento del risultato satisfattivo a cui il concordato era mirato, a prescindere dal perché un simile insuccesso si sia verificato.

Il concordato preventivo deve dunque essere risolto, a norma della L. Fall., art. 186, nella sua attuale formulazione, qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza, a prescindere da eventuali profili di colpa imputabili al debitore.

Ne discende l’infondatezza del motivo di ricorso in esame, giacché, come detto, la mancata esecuzione del piano concordatario in termini di non scarsa importanza rileva in sé, a prescindere dal fatto che l’inadempimento fosse addebitabile al liquidatore piuttosto che al debitore.

5.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione o la falsa applicazione del disposto dell’art. 1455 c.c., L. Fall., artt. 186, 137 e 18, art. 112 c.p.c. e art. 11 preleggi: la corte territoriale, nel ritenere che nel giudizio di risoluzione del concordato per inadempimento degli obblighi concordatari non vi fosse alcun margine di discrezionalità in ordine alla valutazione della gravità o dell’imputabilità del debitore, avrebbe fatto riferimento a un orientamento giurisprudenziale relativo alla previgente disciplina in materia, mentre l’attuale disposto della L. Fall., art. 186, essendo espressione della volontà del legislatore di contrattualizzare la procedura di concordato preventivo, impone un adeguato accertamento dell’importanza dell’inadempimento addebitato al proponente in una prospettiva di complessiva tenuta dell’accordo concordatario; ciò nonostante il collegio del reclamo avrebbe dedotto la sussistenza dell’inadempimento dalla semplice e supposta inerzia di O. a fronte dell’inattività dell’organo preposto alle attività di vendita.

5.2 Il motivo è inammissibile.

È ben vero che la corte territoriale (a pag. 6) ha evocato in esordio un orientamento giurisprudenziale – secondo cui il Tribunale non avrebbe altro compito che quello di accertare se il concordato sia stato o meno eseguito nei termini e nei modi previsti senza alcun margine di discrezionalità in ordine alla valutazione dell’imputabilità che oramai risulta superato dall’ attuale disposto della L. Fall., art. 186, che prevede l’impossibilità di risolvere il concordato se l’inadempimento è di scarsa importanza e dunque impone al Tribunale di apprezzare la natura e la consistenza dell’inadempimento.

La corte territoriale, pur partendo da premesse generali non più attuali, ha però fatto corretta applicazione della nuova disciplina ritenendo, dopo aver constatato che la reclamante non aveva contestato che alla data di presentazione del ricorso per la risoluzione la vendita del terreno volta alla soddisfazione del creditore ipotecario non era avvenuta così come nessun creditore era stato soddisfatto neppure in parte, che l’inadempimento denunciato fosse non solo sussistente, ma anche grave, essendo persistito pur a seguito di un precedente provvedimento che imponeva a O. di procedere all’adempimento del concordato.

Il motivo di ricorso quindi non coglie né critica specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata, appuntandosi invece su un passaggio della motivazione che, per quanto erroneo, non ha inficiato i termini di valutazione dell’inadempimento denunciato.

6.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 112 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti e nullità della decisione con riferimento all’art. 111 Cost., in conseguenza dell’omessa valutazione delle prove prodotte: la corte territoriale non avrebbe tenuto conto dei documenti prodotti in sede di reclamo ed attestanti i pagamenti intervenuti prima e dopo la sentenza del Tribunale di __, omettendo di esaminare le prove proposte dalla parte reclamante da cui risultava un fatto decisivo per il giudizio.

6.2 Il motivo è infondato.

La corte territoriale in realtà ha espressamente considerato larga parte dei documenti di cui l’odierna ricorrente lamenta la mancata valutazione (e più precisamente alle pagg. 6 e 7 i documenti nn. 11, 16, 17, 18, 19, 15 e 14 del fascicolo del reclamo, a pag. 8 il doc. n. 6, a pag. 16 il documento n. 10 e a pag. 17 il bilancio societario chiuso al __) e ha ritenuto di non attribuire agli stessi alcun rilievo ai fini del decidere nella convinzione – erronea, visto che in questo particolare caso in sede di reclamo la risoluzione non è ancora definitiva e se ne può apprezzare l’importanza nel suo complessivo atteggiarsi anche con documenti nuovi, ma non espressamente attaccata in questa sede sotto il profilo della sua legittimità – di essere chiamata a valutare soltanto fatti e circostanze già sussistenti al momento in cui il Tribunale si era riservato di decidere.

I tre documenti mancanti possono ritenersi implicitamente esclusi dal novero delle prove utili ai fini della decisione, per la loro tardività (quanto alla relazione del Commissario giudiziale del __, che evidentemente la corte territoriale ha ritenuto non depositata al momento dell’assunzione della riserva in pari data) o per la loro irrilevanza ai fini del decidere (quanto alla relazione del commissario del __ e alla perizia estimativa prodotta sub 9).

7.1 Il quarto motivo di ricorso adduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. Fall., artt. 186, 137 e 18 e art. 246 c.p.c.: la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibili le richieste istruttorie avanzate in sede di reclamo, vuoi perché la consulenza tecnica richiesta era funzionale al compiuto esame dei documenti prodotti al fine di accertare l’intervenuto pagamento della quasi totalità dei debiti da soddisfare, vuoi perché il Commissario giudiziale, quale organo della procedura che non rivestiva la qualità di parte del giudizio, ben avrebbe potuto prestare la propria deposizione sui fatti cui aveva direttamente partecipato.

7.2 Il motivo è inammissibile.

La corte territoriale ha rigettato le richieste istruttorie della reclamante rilevando da un lato che la consulenza contabile in merito alla capacità economica e finanziaria di O. non era risolutiva, trattandosi di verificare l’inadempimento degli obblighi concordatari, dall’altro che la natura del giudizio escludeva che potessero provarsi i fatti dedotti nel reclamo a mezzo di testimoni, oltre che per la qualità di parte rivestita dal Commissario giudiziale.

Sotto il primo profilo la società ricorrente adduce in questa sede di aver sollecitato l’espletamento di una consulenza contabile di ben diverso tenore (e cioè per appurare l’intervenuto pagamento della quasi totalità dei debiti), senza confrontarsi con le ragioni illustrate dalla corte territoriale e non contestando che la stessa abbia rettamente compreso l’oggetto su cui la consulenza doveva vertere. La doglianza, priva di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), con la conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ ufficio (Cass. 7/9/2017 n. 20910).

Analogo vizio affligge il secondo profilo di censura, tanto per l’impossibilità di chiamare a deporre chi, ai sensi del combinato disposto della L. Fall., artt. 186, 137 e 18, sia parte del giudizio di reclamo oltre che organo della procedura deputato alla sorveglianza del suo regolare adempimento, quanto perché il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione dev’essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass., Sez. U., 22/12/2011 n. 28336).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2018

Cass_civ_Sez_I_Sent_13_07_2018_n_18738




Cessione di credito, differenze tra l’attribuzione di un mero mandato all’incasso e la cessione di crediti

Cessione di credito, differenze tra l’attribuzione di un mero mandato all’incasso e la cessione di crediti

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 21694 del 06/09/2018

Con ordinanza del 03/09/2018 la Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, in tema di cessione del credito, ha stabilito che le differenze tra l’attribuzione di un mero mandato all’incasso e la cessione di crediti, possono così riassumersi: l’elemento caratteristico di quest’ultima fattispecie dev’essere individuato nel trasferimento immediato della titolarità del credito, in virtù del quale il cessionario diviene l’unico soggetto legittimato a pretendere il pagamento dal debitore ceduto, mentre nel mandato all’incasso viene conferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito, del quale resta titolare il mandante. Sebbene entrambe le figure possono essere utilizzate in funzione di garanzia, nel mandato irrevocabile all’incasso tale funzione si realizza in forma meramente empirica e di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo e della prevista possibilità che, al momento dell’incasso, il mandatario trattenga le somme riscosse, soddisfacendo cosi il suo credito, sicché gli atti solutori sono autonomamente revocabili, ai sensi dell’art. 67 della L. F., indipendentemente dalla revocabilità del mandato.

 


Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 21694 del 06/09/2018

Cessione di credito, differenze tra l’attribuzione di un mero mandato all’incasso e la cessione di crediti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – rel. Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

B. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, __, presso lo studio dell’avv. __, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO C. SAS, I., socio accomandatario, N., precedente socio accomandatario, tutti in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, __, presso lo studio dell’avv. __, rappresentati e difesi dall’avv. __;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di __, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del __ dal Presidente Relatore Dott. __.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte:

rilevato che B.  S.P.A. impugna la sentenza App. __, n. __, R.G. __, che – in accoglimento dell’appello incidentale del fallimento e a rigetto di quello principale della banca avverso la sentenza Trib. __ – ha dichiarato l’inefficacia L. Fall., ex art. 67, comma 1 delle rimesse – fino alla complessiva somma rettificata in Euro __ – effettuate dal C. s.a.s., il cui fallimento è stato dichiarato con sentenza del __, nel biennio precedente a tale data, sul c/c ordinario, non assistito da affidamento, acceso presso una filiale dell’istituto bancario ricorrente attraverso operazioni variamente indicate (“anticipazioni export”, “finanziamento anticipo fatture”, “accredito da c./sbf” etc.); ed ha inoltre ribadito l’inefficacia L. Fall., ex art. 67, comma 2 di altri versamenti effettuati sullo stesso c/c ordinario, per il totale più esattamente indicato;

che la corte d’appello, in particolare, ha riconosciuto che: a) sebbene la Banca appellante abbia riproposto la questione della ricorrenza tra le parti di un rapporto di c/c affidato, la sussistenza dello stesso era rimasta sfornita di prova e, pertanto, da escludersi; b) i debiti liquidi ed esigibili devono essere considerati distinti dal rapporto che ne costituisce la causa, ciò che rende i rispettivi pagamenti suscettibili di revoca indipendentemente dalla revocabilità dei negozi in adempimento dei quali essi sono stati effettuati; c) l’anormalità dei pagamenti va individuata ogni volta in cui i pagamenti siano effettuati a mezzo di negozi collegati nei quali il pagamento in denaro non è strumento di diretta soluzione, ma effetto finale; così, le operazioni di anticipazione su fatture debbono essere considerate anormali non in sé, ma per l’ulteriore scopo perseguito rappresentato dall’eliminazione della scopertura del c/c di corrispondenza; d) la Banca non ha provato la propria inscientia decoctionis e, anzi, dal materiale allegato e relativo alle evidenze della Centrale rischi, è possibile concludere che erano agevolmente riscontrabili sintomi positivi dell’insolvenza dell’impresa poi fallita; e) l’appello incidentale va accolto, così rimediando ad un errore di quantificazione sulla base delle risultanze della consulenza d’ufficio;

considerato che con il ricorso, in due motivi, la ricorrente contesta la decisione sostenendo che: a) le rimesse effettuate in pagamento delle anticipazioni “import”, “export” e “salvo buon fine” costituiscono mezzi normali di pagamento di contestuali cessioni di credito; b) la Corte barese ha violato o falsamente applicato la L. Fall., art. 67, nonché gli artt. 1260, 1264 e 1265 c.c., per aver revocato le rimesse per le anticipazioni contro cessioni di credito anziché pronunciarsi sulla revocabilità o meno dei negozi di cessione;

che la Curatela del Fallimento (OMISSIS) s.a.s. resiste con controricorso, illustrato anche da memoria;

ritenuto che il primo motivo di ricorso è inammissibile poiché la ricorrente ha, solo in questa sede, introdotto la tesi secondo cui le rimesse dovrebbero essere qualificate come adempimenti di cessioni di credito (senza, peraltro, precisare il contenuto concreto attribuito dalle parti al programma negoziale), omettendo di indicare specificamente se, quando e come la questione sarebbe stata tempestivamente introdotta avanti ai giudici del merito;

che del resto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “quanto alla qualificazione del negozio giustificativo dell’anticipazione, essa, presupponendo la ricerca della comune volontà delle parti, costituisce attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale; nonché per vizio di motivazione ove la stessa risulti…. tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. La denuncia di tale vizio avrebbe peraltro richiesto, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, la trascrizione della regolamentazione pattizia del rapporto o quanto meno della parte in contestazione, con la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero degli elementi di giudizio ai quali sarebbe stato attribuito un significato estraneo al senso comune, o ancora dei punti inficiati da assoluta incompatibilità razionale degli argomenti” (cfr. ex plurimis Cass. 19044/2010; Cass. 4178/2007) (Cass. 9387/2011);

che il giudice di merito, pur non avendo espressamente e direttamente operato una qualificazione della fattispecie, ha per un verso – e decisivamente – escluso la previa sussistenza di una formale apertura di credito in conto corrente, cioè con obbligo della banca di eseguire operazioni di credito passive tenendo ferma la disponibilità per un dato tempo, e piuttosto ricostruito il rapporto come improntato ad una regola di funzionamento che consentiva alla banca la richiesta di restituzione ad nutum; per altro verso, ha mostrato contrariamente a quanto reputato dall’istituto bancario odierno ricorrente – di aver ragionevolmente ritenuto che, nel caso in esame, l’anticipazione dell’importo delle fatture da parte della Banca non è stata accompagnata dalla cessione dei crediti a garanzia dei relativi finanziamenti ma solo dal conferimento di un mandato all’incasso: la carenza di ritrascrizione, almeno per punti essenziali, delle singole pattuizioni non permette in questa sede di dubitare che quegli incassi da terzi in realtà siano stati direttamente utilizzati dalla banca per ridurre l’esposizione generale ed unitaria raggiunta dal cliente e contabilizzata in altra sede, dunque a prescindere dalla vicenda della singola sovvenzione di provvista;

che le differenze tra l’attribuzione di un mero mandato all’incasso e la cessione di crediti, d’altronde, sono state tracciate dalla consolidata giurisprudenza di legittimità: “l’elemento caratteristico di quest’ultima fattispecie dev’essere individuato nel trasferimento immediato della titolarità del credito, in virtù del quale il cessionario diviene l’unico soggetto legittimato a pretendere il pagamento dal debitore ceduto, laddove nel mandato all’incasso viene conferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito, del quale resta titolare il mandante. Sebbene entrambe le figure possano essere utilizzate in funzione di garanzia, nel mandato irrevocabile all’incasso tale funzione si realizza in forma meramente empirica e di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo e della prevista possibilità che, al momento dell’incasso, il mandatario trattenga le somme riscosse, soddisfacendo cosi il suo credito, sicché gli atti solutori sono autonomamente revocabili, ai sensi dell’art. 67 della legge fall., indipendentemente dalla revocabilità del mandato” (cfr. Cass. 7074/2005; Cass. 1391/2003) (Cass. 9387/2011);

che dunque “le rimesse effettuate sul conto corrente scoperto del fallito, nel periodo in cui questi era in bonis, da parte di terzi debitori del medesimo sono revocabili anche qualora siano inerenti ad anticipazioni su fatture esibite dal fallito in quanto, in mancanza della cessione di detti crediti alla banca e dell’assunzione da parte del terzo di obbligazioni nei confronti della medesima, le rimesse hanno funzione satisfattoria, in quanto riducono l’esposizione debitoria del cliente nei confronti della banca” (Cass. 9387/2011, 23261/2014); così come l’avrebbero, anche provata la cessione, per la parte eccedente la copertura di garanzia (Cass. 17268/2013); più precisamente, “essendo mancati negozi di cessione di crediti, meno che mai conosciuti dai debitori, i versamenti di costoro, in quanto non obbligati verso la banca, sul conto corrente del loro creditore hanno costituito atti estintivi della loro esposizione direttamente compiuti verso di lui; e la acquisizione delle risorse alla disponibilità del correntista, realizzando una posta attiva in suo favore, ha prodotto la variazione quantitativa del conto, che, per il fatto di essere scoperto, a quella acquisizione e alla successiva utilizzazione da parte dell’istituto di credito ha conferito natura ed effetti della rimessa solutoria revocabile L. Fall., ex art. 67. La circostanza, appunto, che fossero preesistite a quei versamenti obbligazioni di chi li aveva effettuati nei confronti di chi aveva titolo ad esigerli e solo di lui, non consente di qualificarli né come adempimento da parte del terzo di obbligazioni del correntista verso la banca, né come adempimento di obblighi di garanzia (..) ed integra cosi la fattispecie dell’atto revocabile, di cui vanamente si è negata la funzione satisfattiva, posto che è servito proprio a ridurre la esposizione debitoria del cliente, non essendo la inefficacia impedita dall’effetto compensativo meramente contabile delle poste attive e passive del conto corrente, che nulla hanno in comune con la compensazione legale” (Cass. 7074/2005);

che l’utilizzo, dunque, da parte dell’istituto bancario, delle somme incassate dai terzi per l’estinzione, totale o parziale, del debito del mandante, quale effetto del conferimento del mandato all’incasso, implica una funzione satisfattiva e solutoria di quest’ultimo, quale strumento diverso dal danaro ed estraneo alle comuni relazioni commerciali; a nulla rilevando che tale pattuizione sia coeva al sorgere del rapporto obbligatorio (Cass. 18148/2002; Cass. 4754/2000);

che, in tal senso, l’anormalità dei pagamenti – come correttamente sostenuto nella decisione impugnata – va individuata nella ratto economico-causale complessiva del meccanismo satisfattorio posto in essere che, come nel caso di specie, implica – secondo la ricostruzione del giudice di merito e la valorizzazione funzionale di figure anche diverse impiegate tra le parti – il ricorso a negozi collegati, nei quali il pagamento non è effettuato direttamente attraverso strumenti caratterizzati da liquidità, esigibilità, immediatezza e circolabilità;

ritenuto che il secondo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, atteso che, come già ricordato, “gli atti solutori sono autonomamente revocabili, ai sensi della L. Fall., art. 67 indipendentemente dalla revocabilità del mandato” (Cass. 9387/2011, 7074/2005, 1391/2003), una volta individuata, con indagine di fatto rimessa al giudice di merito, la funzione effettiva del negozio impiegato (Cass. 23261/2014), proprio in forza della obiettiva natura dei pagamenti quali atti estintivi di obbligazioni contratte dall’impresa fallita nei confronti della Banca, pregiudizievoli per il ceto creditorio della prima “e, quindi, suscettibili di revoca indipendentemente dalla revocabilità dei negozi in adempimento dei quali essi sono stati effettuati” (Cass. 3583/2011; conf. 27669/2011; 8225/2015);

ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile, conseguendone la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso, in favore della parte costituita, delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro __ (di cui Euro __ per esborsi), oltre al 15% a forfait sul compenso e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2018

 

Cass_civ_Sez_VI_Ord_06_09_2018_n._21694




Il decreto ingiuntivo, in assenza di opposizione, acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.

Il decreto ingiuntivo, in assenza di opposizione, acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.

Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 21583 del 03/09/2018

Con ordinanza del 03/09/2018 la Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, in tema di ricorso per ingiunzione, ha stabilito che in assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia da quella affidata al cancelliere dagli artt. 124 e 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo di ingiunzione e a cui non può surrogarsi, in caso di fallimento, il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267.

 


Cassazione Civile, Sezione VI, Sottosezione 1, Ordinanza n. 21583 del 03/09/2018

Il decreto ingiuntivo, in assenza di opposizione, acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso _____ proposto da:

E. S.R.L., C.F./P.I. ___, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso ___, rappresentata e difesa dall’Avv. ___;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ___, n. __ R.G.;

– intimato –

avverso il decreto n. cronolo. ___ del TRIBUNALE di __, depositato il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del ___ dal Consigliere Dott. _;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Svolgimento del processo

E. s.r.l. domandava di insinuarsi al passivo del fallimento __, Il giudice delegato disponeva l’ammissione del credito allo stato passivo della procedura concorsuale: detto credito, in particolare, era ammesso in via chirografaria per ___: veniva esclusa l’ammissione in via privilegiata (in ragione della prelazione ipotecaria conseguita con la pronuncia del decreto ingiuntivo con cui era stato riconosciuto il credito oggetto di insinuazione); non erano inoltre riconosciute le spese del procedimento monitorio e l’imposta ipotecaria.

La società proponeva opposizione ex art. 98 L. Fall. Questa veniva respinta con decreto del __ del Tribunale di __. Secondo il Tribunale, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale solo a seguito della dichiarazione di esecutorietà, ai sensi dell’art. 647 c.p.c.: pertanto, ove quest’ultima non sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, il provvedimento monitorio non potrebbe ritenersi opponibile alla procedura.

Contro il detto decreto E. S.r.l. ha proposto un ricorso per cassazione basato su tre motivi. Il fallimento, intimato, non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 93 L. Fall., in relazione all’art. 647 c.p.c. L’istante contesta, in sintesi, che l’opponibilità del decreto ingiuntivo alla procedura concorsuale dipenda dal fatto che il decreto di esecutorietà del provvedimento monitorio sia emesso prima della dichiarazione di fallimento. Secondo la ricorrente quel che rileva, ai fini indicati, è l’inutile decorso del termine di quaranta giorni entro cui il debitore può proporre opposizione. E nella fattispecie – è esposto – lo spirare del detto termine era intervenuto prima della dichiarazione di fallimento.

Col secondo motivo è lamentato l’omesso esame della mancata proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo quale fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Secondo la ricorrente il Tribunale aveva completamente ignorato che il decreto ingiuntivo non era stato fatto oggetto di impugnazione: circostanza, questa, su cui essa E. S.r.l. aveva fondato l’opposizione allo stato passivo.

Il terzo mezzo oppone la violazione dell’art. 1, primo protocollo addizionale CEDU. Muovendo dal rilievo per cui la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo accorda tutela alla legittima aspettativa consistente nel diritto di credito, l’istante osserva come tale aspettativa sia stata indotta dall’opponibilità al debitore del decreto ingiuntivo e dal riconoscimento della prelazione ipotecaria.

Gli esposti motivi, che si prestano a una trattazione congiunta, non possono trovare accoglimento.

Secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, da cui il Collegio non intende discostarsi, il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia da quella affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo, non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di esecutorietà, non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c., venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 L. Fall. (Cass. 24 gennaio 2018, n. 1774; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25191; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2112; cfr. pure: Cass. 11 ottobre 2013, n. 23202; Cass. 23 dicembre 2011, n. 28553; Cass. 13 marzo 2009, n. 6198; Cass. 26 marzo 2004, n. 6085). Né rileva che il decreto ingiuntivo fosse stato dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice che lo ha emesso, a norma dell’art. 642 c.p.c., giacché, per quanto osservato, il passaggio in giudicato del provvedimento non si compie prima della spendita dell’attività giurisdizionale di cui all’art. 647 c.p.c., la quale – come è del tutto evidente – risulta necessaria anche nel caso in cui il provvedimento monitorio sia stato reso esecutivo in via provvisoria. È del resto incontestabile che il decreto provvisoriamente esecutivo non sia equiparabile alla sentenza non ancora passata in giudicato (di cui all’art. 96, comma 2, n. 3 L. Fall.), la quale viene pronunciata nel contraddittorio delle parti: come tale essa è totalmente priva di efficacia nei confronti del fallimento (Cass. 27 maggio 2014, n. 11811, per il caso di dichiarazione di fallimento sopravvenuta nel corso del giudizio di opposizione).

In tale quadro, la mancata proposizione, alla data della dichiarazione di fallimento, di tempestiva opposizione da parte del soggetto ingiunto appare priva di giuridica rilevanza: correttamente, pertanto, il Tribunale ha inteso prescinderne.

Quanto al terzo motivo, esso va disatteso, al pari dei primi due.

Anzitutto, e tale profilo è assorbente, parte ricorrente non precisa quale sia la norma italiana che si ponga in contrasto con la disposizione convenzionale da essa invocata.

In secondo luogo, il richiamo al cit. art. 1 del primo protocollo CEDU non si mostra, comunque, risolutivo. Tale norma ha ad oggetto la protezione della proprietà e si limita a stabilire: che ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni; che nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale; che tali disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende. Vero è che la sentenza della Corte EDU 4 febbraio 2014, Ceni c. Italia, richiamata nel corpo del motivo, chiarisce che la nozione di “beni” può riguardare sia “beni effettivamente esistenti” che valori patrimoniali, compresi i crediti, in virtù dei quali il ricorrente può aspirare ad avere almeno una aspettativa legittima; ma è altrettanto vero che, come ricorda detta pronuncia, l’aspettativa legittima di poter continuare a godere di un bene deve poggiare su una “base sufficiente nel diritto interno”: il che si verifica, ad esempio, quando l’aspettativa è confermata da una consolidata giurisprudenza, o quando essa è fondata su una disposizione legislativa o su un atto legale riguardante l’interesse patrimoniale in questione (sent. cit., 39). Ebbene, nel caso in esame la suddetta aspettativa della ricorrente di soddisfare il proprio credito non è anzitutto esclusa dalla ammissione dello stesso in chirografo; ma, soprattutto, il radicarsi di una legittima aspettativa della società istante quanto all’insinuazione del credito in via privilegiata è negata da una giurisprudenza ultradecennale della Corte di legittimità, che è pacificamente orientata nel senso di cui si è detto (evenienza, questa, sicuramente decisiva avendo proprio riguardo ai principi menzionati nella citata sentenza della Corte EDU).

In conclusione, il ricorso va respinto.

Non è da pronunciare condanna in punto di spese, stante la mancata resistenza al ricorso.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2018

Cass_civ_Sez_VI_Ord_ 03_09_2018_n_21583




Nel giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo l’attore non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione

Nel giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo l’attore non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione

Tribunale Ordinario di Cagliari, Sezione II Civile, Sentenza del 07/06/2018

Con sentenza del 7 giugno 2018 il Tribunale Ordinario di Cagliari, Sezione II Civile, ha stabilito che nel giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, avente natura ordinaria, parte opposta, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione. Di talché è inammissibile la domanda formulata dall’opposto per la risoluzione del contratto imputabile al grave inadempimento del debitore opponente, anche qualora proposta successivamente alla riconvenzionale di risarcimento dei danni formulata dall’opponente, non essendo necessaria ad assicurare all’opposto un’adeguata difesa a fronte di tale ultima domanda riconvenzionale.


Tribunale Ordinario di Cagliari, Sezione II Civile, Sentenza del 07/06/2018

Nel giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo l’attore non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI CAGLIARI

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. __ ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. __ promossa da:

M. S.R.L. con il patrocinio dell’avv. __ elettivamente domiciliata in __

OPPONENTE

e

S. S.A.S. con il patrocinio dell’avv. __ elettivamente domiciliato in __

OPPOSTO

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La società M. s.r.l. ha citato in giudizio la S. s.a.s., in opposizione al decreto ingiuntivo n. __ del __ con il quale il Tribunale di Cagliari le ha ingiunto il pagamento di Euro __, oltre accessori e spese legali, deducendo:

– di aver stipulato, in data __ e __, con l’A. S.p.A. due contratti d’appalto aventi ad oggetto i lavori di adeguamento ed ammodernamento della S.S. 131, riguardanti, rispettivamente, il tratto compreso tra il __ ed il __ ed il tratto compreso tra il __ ed il __;

– di aver stipulato, nell’ambito dell’esecuzione dei predetti lavori, rispettivamente in data __ e __, con la S.I s.a.s., due contratti di __;

– l’avvenuto annullamento della proroga dell’autorizzazione allo svolgimento della descritta attività da parte della Regione Autonoma della Sardegna che, con propria Det. n. _ del __, aveva accertato l’omissione, da parte della S. s.a.s., della necessaria attività di valutazione di impatto ambientale richiesta dal Servizio S.I.V.I.A. dal __;

– la conseguente chiusura della cava per _ giorni, a partire dal __ fino al _-, che aveva comportato la maturazione dell’importo delle penali pari a Euro __ a carico dell’odierna opponente.

L’opponente ha quindi domandato la revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, la condanna della S. s.a.s. al risarcimento dei danni.

L’opposta S. s.a.s., costituendosi in giudizio, ha eccepito:

– di aver stipulato con la M. s.r.l., rispettivamente in data __ e __, due contratti di __;

– di aver inviato alla M. s.r.l. le fatture emesse per i prelevamenti effettuati fino alla data del __, per un complessivo importo di Euro __;

– di aver diffidato con racc. a.r. del __ la M. s.r.l. ad adempiere al pagamento delle fatture emesse, specificando che __;

– di aver sospeso effettivamente l’ulteriore fornitura a seguito del pagamento avvenuto solo in minima parte da parte dell’opponente delle fatture azionate in monitorio;

– di non ritenersi responsabile dei ritardi della M. s.r.l. nell’esecuzione dei lavori d’appalto e delle conseguenti penali ad essa addebitate;

– di aver attivato (con missive del __, __, __ e __) presso gli uffici amministrativi della Regione Autonoma Sardegna – Assessorato della Difesa dell’Ambiente – l’istruttoria per __, al fine di proseguire l’attività.

L’opposta ha quindi domandato la conferma del decreto ingiuntivo e il rigetto delle domande formulate dall’opponente; in via riconvenzionale, la risoluzione dei contratti per grave inadempimento; la condanna della M. s.r.l. al risarcimento del danno.

La causa è stata, quindi, istruita con produzioni documentali e tenuta a decisione sulle conclusioni sopra indicate.

Nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti, adduca a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute, della loro incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, dell’equilibrio sinallagmatico del rapporto e degli interessi delle parti (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13627 del 30/05/2017; Cass. Sentenza n. 23908 del 09/11/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20678 del 26/10/2005).

Ciò premesso, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale deve solamente provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. Sezioni Unite n. 13533 del 30-10-2001).

Nella fattispecie in esame, si deve ritenere che l’odierna opposta S. s.a.s. abbia adeguatamente provato sia il titolo negoziale in relazione al quale svolge la pretesa creditoria, sia l’entità della prestazione rimasta inadempiuta.

Quanto alla prova del titolo negoziale, deve ritenersi pacifico che, a norma dell’art._ del contratto, la M. s.r.l. si sia impegnata ad acquistare dalla S. s.a.s. materiale __, fino ad un massimo di __ al prezzo di Euro _-, oltre IVA.; è, altresì, pacifico, in quanto non contestato dalla controparte, che la S. s.a.s. abbia effettuato regolarmente i prelevamenti del materiale di cava fino al __, per i quali sono state emesse delle fatture inviate all’opponente e per le quali l’odierna opposta ha ricevuto, solo in parte, il pagamento del corrispettivo.

Al fine di paralizzare la pretesa avversaria, la M. s.r.l. ha giustificato il mancato pagamento delle fatture azionate in monitorio con l’asserito inadempimento della S. s.a.s. che, nella persona del socio accomandante A., in capo alla quale era stata inizialmente concessa l’autorizzazione, non si sarebbe tempestivamente attivata al fine di avviare l’istruttoria per la valutazione d’impatto ambientale; attività, quest’ultima, necessaria al fine di ottenere la proroga dell’anzidetta concessione e continuare l’esercizio dell’attività estrattiva mediante la riapertura della cava; infatti, ha eccepito la M. s.r.l. di avere appreso la circostanza successivamente all’esame della Det. n. __ del _- della Regione autonoma della Sardegna, che ha annullato la precedente determinazione di proroga dell’attività.

Tali circostanze, tuttavia, sono, all’evidenza, successive alla prestazione oggetto delle fatture azionate in sede monitoria (non è contestato che i prelevamenti siano avvenuti sino al __) e, come tale, sono inidonee a paralizzare la pretesa creditoria; per altro verso, proprio il precedente mancato pagamento di un corrispettivo di rilevante importo (Euro __) che, a fronte dell’art. _del contratto, sarebbe dovuto avvenire entro i trenta giorni successivi alla presentazione delle fatture, giustifica la sospensione della fornitura operata dalla S. s.a.s., ai sensi dell’art. 1460 c.c.

Ne consegue l’infondatezza della domanda proposta in via riconvenzionale dall’opponente, peraltro non sorretta, in ogni caso, da adeguati elementi di prova, necessari ai fini della quantificazione del danno, tali da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 127 del 08/01/2016).

Con riguardo alla domanda riconvenzionale formulata dall’opposto per la risoluzione per grave inadempimento imputabile al debitore opponente, si deve osservare che, nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione; né si può ritenere che tale domanda di risoluzione sia ammissibile (in quanto reconventio reconventionis) per effetto della riconvenzionale di risarcimento dei danni formulata dall’opponente, non essendo necessaria ad assicurare all’opposta un’adeguata difesa di fronte a quest’ultima domanda riconvenzionale (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22754 del 04/10/2013).

Non essendo ravvisabile dolo o colpa grave nella condotta processuale dell’opponente, deve essere rigettata la domanda di responsabilità aggravata.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede

1) rigetta l’opposizione e, per l’effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto;

2) rigetta la domanda riconvenzionale di risarcimento danni della M. s.r.l.;

3) rigetta la domanda di risarcimento del danno per lite temeraria;

4) condanna la società M. s.r.l., in persona del legale rappresentante, al pagamento in favore della società S. s.a.s. delle spese processuali che liquida nella misura di Euro __ per compensi di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Cagliari, il 28 maggio 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2018.

Tribunale_Cagliari_Sez_II_Sent_07_06_2018

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Il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, in caso di mancata opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso

Il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, in caso di mancata opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso

Tribunale Ordinario di Milano, Sezione XIII Civile, Sentenza del 18/06/2018

Con sentenza del 18 giugno 2018 il Tribunale Ordinario di Milano, Sezione XIII Civile ha stabilito il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, che in caso di mancata opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda.


Tribunale Ordinario di Milano, Sezione XIII Civile, Sentenza del 18/06/2018

Il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, in caso di mancata opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Milano

SEZIONE XIII CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. __, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di II Grado iscritta al N. __ R.G. promossa da:

C., con il patrocinio dell’avv. __, elettivamente domiciliato __, presso il difensore

ATTORE APPELLANTE

contro

A. SRL, con il patrocinio dell’avv. __ elettivamente domiciliata in __, presso il difensore

CONVENUTA APPELLATA

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data __ la A. S.r.l., proprietaria di alcune unità immobiliari nello stabile __, conveniva in giudizio il C. chiedendo accertarsi l’invalidità della delibera assembleare del __ nella parte in cui poneva a carico dell’attrice l’addebito per spese condominiali pari ad Euro __, ritenendole non dovute in forza dell’atto di compravendita pilota e del regolamento condominiale, che prevedevano espressamente l’esonero della società costruttrice dal pagamento degli oneri condominiali sino a quando tutte le unità immobiliari fossero state vendute.

Si costituiva C. il quale chiedeva il rigetto dell’impugnazione.

La causa, di natura documentale, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del __, nel corso della quale la convenuta eccepiva l’esistenza di un giudicato preclusivo del merito della domanda formatosi a seguito della mancata opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. __ R.G. n__ con cui la A. S.r.l. veniva condannata al pagamento a favore di C. appellante degli oneri condominiali non corrisposti.

Con sentenza n. __ pubblicata in data __ il Giudice di Pace di Milano, accogliendo la domanda attorea, dichiarava la nullità della delibera assembleare del __ nella parte relativa all’imputazione delle spese anche ad A. S.r.l. e condannava C. convenuto alla rifusione delle spese a favore dell’attrice.

Avverso tale sentenza proponeva appello C., il quale lamentava la violazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 112 c.p.c., avendo omesso di pronunciarsi sull’eccezione di ne bis in idem sollevata in primo grado.

Si costituiva in giudizio A. s.r.l. chiedendo, in via preliminare, dichiararsi l’inammissibilità dell’appello e, nel merito, il rigetto del gravame e l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

Senza svolgimento di attività istruttoria, all’udienza del __ le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva riservata per la decisione, previa concessione dei termini di rito per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla difesa dell’appellata per violazione dell’art. 342 c.p.c. (omessa indicazione delle parti della sentenza di cui si intende chiedere la riforma e carenza di specificità dei motivi) poiché, contrariamente a quanto sostenuto, le censure svolte attraverso i motivi di doglianza così come illustrati nell’atto d’appello sono state sufficientemente specificate, consentendo l’individuazione delle ragioni in fatto e in diritto che giustificano la richiesta di modifica della pronuncia.

La norma richiamata, infatti, non detta formule sacramentali o predefinite per la proposizione dell’appello ma impone che la lettura dell’atto d’appello consenta di capire quali siano le parti della sentenza da modificare e, quindi, il risultato finale che deve essere espresso quanto meno nelle conclusioni: nella specie questa operazione è stata compiuta.

Venendo quindi al merito dell’impugnazione, il Tribunale ritiene che l’appello debba trovare accoglimento, avendo il giudice di Pace omesso di pronunciarsi sull’eccezione di giudicato che, ai sensi dell’art. 2909 c.c. e del principio del ne bis in idem, gli precludeva l’esame del merito dell’impugnazione della delibera.

E’ circostanza pacifica e non contestata che l’odierno appellante, prima ancora del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, avesse ottenuto nei confronti di A. S.r.l. il decreto ingiuntivo n. __ per il pagamento di spese condominiali e che tale avverso tale decreto ingiuntivo non venisse proposta opposizione da parte dell’odierna appellata.

Tale decreto non opposto ha acquistato efficacia di giudicato non solo sul credito azionato, ma anche sul titolo posto a fondamento dello stesso, il che preclude la possibilità di rimettere in discussione la validità della delibera con cui si consacra il dovere di A. S.r.l. di contribuire al pagamento degli oneri condominiali.

Coglie certamente nel segno il richiamo, da parte della difesa dell’appellante, alla sentenza n. __ del __ della terza sezione della Corte di Cassazione, secondo cui: “Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda”.

Dal tenore di detta sentenza trae conferma il principio di diritto, al quale la Corte ha aderito, secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, e che trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda (cfr. ex plurimis: Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18725; Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18791).

Non si può, infatti, sostenere che l’accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo abbia una valenza di grado inferiore rispetto all’accertamento demandato ad una pronuncia che rivesta la forma di sentenza, non sussistendo alcuna norma o alcun principio che lo sancisca.

Pertanto, così come, ai sensi dell’art. 2909 c.c., “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”, anche il decreto ingiuntivo non opposto acquista l’efficacia di giudicato formale e sostanziale, “coprendo” il dedotto ed il deducibile ed impedendo alle parti del rapporto processuale ormai definito di sollevare in altri giudizi le stesse questioni oggetto di giudicato e le questioni che costituiscano il necessario presupposto delle prime, tra cui l’esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e da cui deriva il credito.

Nel caso oggetto di delibazione, deve osservarsi che il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo con cui è stato ingiunto ad A. S.r.l. il pagamento degli oneri condominiali a favore di C. ha consacrato il diritto di quest’ultimo di percepirli e, per l’effetto, ha precluso al Giudice di Pace l’esame del merito della vicenda sottoposta al suo esame, vale a dire la validità della delibera di ripartizione delle spese a carico dell’appellata.

Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello proposto da C. deve essere accolto, con conseguente improcedibilità della domanda svolta da A. S.r.l. in primo grado, trattandosi di domanda ormai coperta dal giudicato.

Segue, inoltre, la condanna di A. S.r.l. alla restituzione, a favore di C., delle somme da quest’ultimo versate in esecuzione della sentenza impugnata pari ad Euro __, oltre interessi legali dalla data dell’effettivo esborso al saldo.

Quanto alle spese di lite, in attuazione del principio della soccombenza, la parte appellata A. S.r.l. va condannata a rifondere all’appellante C., nella misura indicata in dispositivo, le spese dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, sez. XIII civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da C. avverso la sentenza n. __ pubblicata in data _- dal Giudice di Pace di Milano, nel contraddittorio delle parti, ogni avversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così decide:

  1. accoglie l’appello proposto da C. e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara l’improcedibilità della domanda svolta da A. S.r.l. in primo grado, trattandosi di domanda ormai coperta dal giudicato;
  2. condanna A. S.r.l. alla restituzione, a favore di C., delle somme da quest’ultimo versate in esecuzione della sentenza impugnata pari ad Euro __, oltre interessi legali dalla data dell’effettivo esborso al saldo;
  3. condanna A. S.r.l. a rifondere al Condominio appellato le spese dei due gradi di giudizio, liquidate in Euro __ per compensi, oltre 15% spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Milano, il 14 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2018.

Tribunale_Milano_Sez_XIII_Sent_18_06_2018

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