Composizione della crisi da sovraindebitamento: il giudice non può imporre al debitore il deposito preventivo di una somma per le spese
Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, Ordinanza n. 34105 del 19/12/2019
Con ordinanza del 19 dicembre 2019, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla legge n. 3 del 2012 ha stabilito che, il giudice non può, in assenza di una specifica norma che lo consenta, imporre al debitore, a pena di inammissibilità, il deposito preventivo di una somma per le spese che si presumono necessarie ai fini della procedura, potendo semmai disporre acconti sul compenso finale spettante all’organismo di composizione della crisi, ai sensi dell’art. 15 del D.M. 24 settembre 2014, n. 202, tenendo conto delle circostanze concrete e, in particolare, della consistenza dei beni e dei redditi del debitore in vista della fattibilità della proposta di accordo o del piano del consumatore, anche ai sensi dell’art. 8, comma 2, della legge n. 3 del 2012.
Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, Ordinanza n. 34105 del 19/12/2019
Composizione della crisi da sovraindebitamento: il giudice non può imporre al debitore il deposito preventivo di una somma per le spese
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. ____ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso __ proposto da:
F., in proprio ed in qualità di liquidatore della S. & C. S.n.c. e R. – ricorrenti –
contro
M.; S. – intimati –
avverso il decreto del TRIBUNALE di URBINO, depositato il __;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal cons. Dott. __.
Svolgimento del processo
- Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Urbino ha rigettato il reclamo proposto dalla società S. & C. S.n.c. in liquidazione, e dai soci F. e R., avverso i decreti presidenziali di rigetto delle istanze di rateizzazione e contestuale revoca dei decreti di nomina degli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento (in persona dello studio associato dei dottori M. e S.), motivati sul fatto che il mancato deposito delle somme richieste a titolo di fondo-spese – pari ad Euro __ per ciascuna delle tre procedure attivate – e la richiesta di riduzione e contestuale rateizzazione delle stesse, inducevano al ragionevole timore che difficilmente la proposta di accordo avrebbe trovato esecuzione.
- Avverso detto decreto i ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
- Gli intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
- Con il primo motivo si deduce testualmente la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in riferimento all’art. 24 Cost., dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, e della L. n. 3 del 2012 – artt. 6 e ss.”, in quanto il tribunale, rifiutando la richiesta di riduzione e rateizzazione delle esorbitanti somme di complessivi Euro __ richieste, a titolo di fondo-spese, per l’avvio delle tre procedure di composizione della crisi di sovraindebitamento avviate dalla società e dai due soci, avrebbe di fatto impedito loro l’accesso ai benefici previsti dalla L. n. 3 del 2012, finalizzata anche ad evitare il ricorso all’usura da parte dei soggetti sovraindebitati.
- Con il secondo mezzo si lamenta la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in riferimento alla L. n. 3 del 2012, artt. 7 e seguenti”, per essere stata ingiustamente disattesa l’ulteriore istanza di includere gli onorari previsti per l’Organismo di composizione della crisi tra le passività del piano, di cui lo stesso Organismo avrebbe dovuto verificare la fattibilità, anche al fine di verificare “possibili alternative di pagamento delle spese di procedura”.
- In via preliminare il ricorso va dichiarato inammissibile ex art. 111 Cost. per difetto dei caratteri di decisorietà e definitività del provvedimento impugnato.
- Invero, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, tale mezzo di impugnazione straordinaria è proponibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto solo quando essi siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, essendo in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale; di qui l’inammissibilità dell’impugnazione di provvedimenti adottati dal tribunale in sede di reclamo, pur quando se ne deduca la inesistenza, nullità o abnormità, tutte le volte in cui essi siano inidonei a conseguire efficacia di giudicato, sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale, senza che ciò si ponga in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. – proprio per la loro inidoneità a incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale – e con l’art. 6 CEDU, essendo comunque garantita una duplice fase di tutela davanti a un’istanza nazionale (v. ex multis, Cass. 20954/2017, Cass. 12229/2018, Cass. 16161/2018, in tema di provvedimenti di natura cautelare, anche adottati ai fini degli accordi di ristrutturazione dei debiti L.F., ex art. 182 bis, comma 6).
- Tale principio è stato affermato anche nell’ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla L. n. 3 del 2012, con specifico riguardo al “decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato che ha dichiarato inammissibile la proposta” (Cass. 6516/2017) e del “decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento, successivo alla nomina del professionista L. n. 3 del 2012, ex art. 15, comma 9 di archiviazione della procedura” (Cass. 4497/2018).
- Ciò premesso, il Collegio ritiene che, ferma restando l’inammissibilità del ricorso, la questione posta meriti una pronuncia ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3.
- Occorre innanzitutto dare atto che nell’ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla L. n. 3 del 2012 (come modificata dal D.L. n. 179 del 2012, convertito dalla L. n. 221 del 2012) non figurano disposizioni analoghe a quelle dettate in materia di concordato preventivo, in base alle quali: i) con il decreto di ammissione alla procedura “il tribunale stabilisce il termine non superiore a quindici giorni entro il quale il ricorrente deve depositare nella la cancelleria del tribunale la somma pari al 50% delle spese che si presumono necessarie per l’intera procedura, ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal giudice” (L.F., art. 163, comma 2, n. 4); ii) qualora non sia eseguito il suddetto deposito, il commissario giudiziale provvede a riferirne al tribunale che apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato (L.F., art. 163, comma 3 e art. 173, comma 1). Va altresì evidenziato come tali disposizioni non siano esplicitamente richiamate nemmeno nell’ipotesi di nomina facoltativa del commissario giudiziale in caso di deposito del ricorso contenente domanda di ammissione al concordato cd. con riserva, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 6.
- Anche nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – destinato in gran parte ad entrare in vigore dal 15 agosto 2020, con le modifiche che verranno apportate ai sensi della L. 8 marzo 2019, n. 20 (recante “Delega al Governo per l’adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui alla L. 19 ottobre 2017, n. 155”) – non si rinvengono disposizioni del genere nelle “Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento” disciplinate nel Capo II, del Tit. IV, della Parte I del codice, fatto salvo il rinvio di cui all’art. 65, comma 2, in base al quale “si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della presente sezione, le disposizioni del titolo III in quanto compatibili”, che potrebbe semmai legittimare l’applicazione degli artt. 44, comma 1, lett. d) e 47, comma 1, lett. d) in tema di deposito del fondo spese nelle procedure di concordato preventivo e omologazione degli accordi di ristrutturazione, previa apposita verifica di compatibilità, tenuto conto delle specifiche circostanze del caso concreto.
- Attualmente, in tema di compensi e spese di procedura, la L. n. 3 del 2012 si limita a prevedere (per quanto rileva in questa sede) che il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi (art. 7, comma 1) i quali assumono ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e all’esecuzione dello stesso (art. 15, comma 5), con la precisazione che i compiti e le funzioni dell’organismo possono essere svolti anche da un professionista o una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui alla L.F., art. 28 ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale (o dal giudice da lui delegato) e che, sino all’entrata in vigore del regolamento previsto dal precedente comma 3, i compensi sono determinati secondo i parametri previsti per i commissari giudiziali nelle procedure di concordato preventivo, ridotti del quaranta per cento (art. 15, comma 9).
- Orbene, il D.M. 24 settembre 2014, n. 202 (Regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento) ha disciplinato, tra l’altro, la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura.
13.1. In particolare, l’art. 10 dispone (tra l’altro) che: al momento del conferimento dell’incarico l’organismo deve comunicare al debitore il grado di complessità dell’opera, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili fino alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa di cui all’art. 4, comma 3, lett. c) (polizza necessaria ai fini dell’iscrizione nel registro nazionale, con massimale non inferiore a un milione di Euro, per le conseguenze patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di gestione della crisi); la misura del compenso è previamente resa nota al debitore con un preventivo, indicando per le singole attività tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi (comma 3); l’organismo è obbligato a portare a conoscenza dei creditori l’accordo concluso con il debitore per la determinazione del compenso (comma 4). Il successivo art. 11, comma 2, aggiunge che al gestore della crisi e ai suoi ausiliari è fatto divieto, tra l’altro, di percepire, in qualunque forma, compensi o utilità direttamente dal debitore.
13.2. A livello operativo, l’art. 14 prevede che, in difetto di accordo con il debitore che lo ha incaricato, la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti all’organismo ha luogo secondo le disposizioni del presente capo, le quali si applicano in particolare per la determinazione dei compensi dei soggetti nominati dal giudice ai sensi della L. n. 3 del 2012, art. 15, comma 9, anche se i valori minimi e massimi indicati non sono vincolanti per la relativa liquidazione.
13.3. Infine, l’art. 15 stabilisce che per la determinazione del compenso si tiene conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, del ricorso all’opera di ausiliari, della sollecitudine con cui sono stati svolti i compiti e le funzioni, della complessità delle questioni affrontate, del numero dei creditori e della misura di soddisfazione agli stessi assicurata con l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore omologato ovvero con la liquidazione e che, sebbene la liquidazione così strutturata sia concretizzabile all’esito della prestazione resa, sono ammessi acconti sul compenso finale.
- Così ricostruite le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari, un provvedimento che condizioni la stessa ammissibilità della domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento al deposito di un fondo spese, sostanzialmente destinato a coprire i compensi e le spese spettanti all’organismo di composizione della crisi – e, a maggior ragione, un provvedimento che neghi finanche la possibilità di una rateizzazione delle somme richieste – appare sfornito di fondamento normativo, poiché, come visto, il regime dettato dal D.M. 24 settembre 2014, n. 202 contempla solo la possibilità di acconti sul compenso finale (che include il rimborso delle spese vive e di quelle forfetarie), salvo diverso accordo con il debitore.
- Invero, l’imposizione di oneri che pongono una condizione di accesso non espressamente prevista dalla legge, incide sul diritto del debitore di avvalersi delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, senza che ciò sia adeguatamente giustificato dall’esigenza di tutelare il diritto al compenso dell’organismo, sia perché esso ha pacificamente natura prededucibile, sia perché la stessa L. n. 3 del 2012 contempla meccanismi di garanzia, come l’art. 8, comma 2, in base al quale nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità dell’accordo o del piano del consumatore, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per assicurarne l’attuabilità. Pertanto, solo una volta verificata, in concreto, l’assenza di qualsivoglia attivo sufficiente a sostenere compensi e spese dell’organismo di composizione della crisi, il tribunale potrebbe motivatamente assumere un provvedimento di inammissibilità della procedura.
- Al riguardo occorre anche considerare, tenuto conto dell’effetto esdebitatorio che consegue alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, che la Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Dir. (UE) 2017/1132 – entrata in vigore il 16 luglio 2019 e da attuare per lo più entro il 17 luglio 2021 – prescrive agli Stati membri di provvedere affinché l’imprenditore insolvente abbia accesso ad almeno una procedura che porti all’esdebitazione (art. 20, par. 1), sia pure con le deroghe consentite dall’art. 23, stabilendo in particolare che essi possono escludere o limitare l’accesso, tra l’altro, quando non è coperto il costo della procedura che porta all’esdebitazione (art. 23, par. 2, lett. e). Ciò conferma indirettamente che, laddove tale facoltà non sia esplicitamente esercitata – come è attualmente nella L. n. 3 del 2012 – il giudice non può per simili ragioni impedire arbitrariamente al debitore sovraindebitato l’accesso ad una procedura che gli consenta di beneficiare dell’esdebitazione, al di là delle condizioni espressamente richieste dalla legge.
- Tra l’altro, sebbene l’art. 1, par. 2, lett. h), escluda dal campo di applicazione della Direttiva le persone fisiche che non siano imprenditori (i.e. consumatori), il primo capoverso del successivo par. 4 precisa che gli Stati membri possono estendere loro la disciplina dell’esdebitazione, ed anzi il Cons. 21 ne sostiene la massima opportunità, non solo perché il sovraindebitamento del consumatore rappresenta un problema di grande rilevanza economica e sociale, ma anche perché gli stessi imprenditori non godrebbero efficacemente di una seconda opportunità per liberarsi dai debiti legati all’impresa e da altri debiti maturati al di fuori dell’impresa, se dovessero sottoporsi a procedure distinte quanto a condizioni di accesso e termini.
- In proposito è appena il caso di rammentare che il principio di leale cooperazione ex art. 4, par. 3 TUE e art. 288, par. 3 TFUE consente ai giudici un’interpretazione del diritto nazionale conforme alla lettera e allo scopo di una direttiva (cfr. Corte giust. 13 novembre 1990, Marleasing) anche nel periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore e quella della sua attuazione ad opera dello Stato membro (cfr. Corte giust. 17 gennaio 2008, Velasco Navarro) e con riguardo a tutto il diritto interno, per far sì “che esso possa essere applicato in modo da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva” (Cass., Sez. U, n. 23710/2008).
- In conclusione, il principio di diritto da affermare ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, è il seguente: “In tema di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla L. n. 3 del 2012, il giudice non può, in assenza di una specifica norma che lo consenta, imporre al debitore, a pena di inammissibilità, il deposito preventivo di una somma per le spese che si presumono necessarie ai fini della procedura, potendo semmai disporre acconti sul compenso finale spettante all’organismo di composizione della crisi, ai sensi del D.M. 24 settembre 2014, n. 202, art. 15 tenendo conto delle circostanze concrete e, in particolare, della consistenza dei beni e dei redditi del debitore in vista della fattibilità della proposta di accordo o del piano del consumatore, anche ai sensi della L. n. 3 del 2012, art. 8, comma 2”.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019.
Cass. civ. Sez. I Ord. 19_12_2019 n. 34105
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