Contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento
Contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento
Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 25470 del 10/10/2019
Con sentenza del 10 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che in caso di contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento dell’affittante, quando il curatore abbia esercitato il suo diritto di recesso ex art. 79 L.F., il credito restitutorio vantato dall’affittuario per i canoni pagati anticipatamente, prima dell’apertura del concorso, non è prededucibile, essendo insufficiente che il credito sia sorto durante la procedura, poiché anche la genesi della relativa obbligazione deve intervenire in un periodo successivo alla sua apertura.
Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 25470 del 10/10/2019
Contratto d’affitto d’azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. __ R.G. proposto da:
S. S.p.A. – ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) S.r.l., in liquidazione – controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE DI UDINE depositato il __;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la ricorrente, l’Avv. __, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avv. __, che ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso.
Svolgimento del processo
- S. S.p.A. stipulò, il __, in qualità di affittuaria, un contratto di affitto di ramo di azienda, avente durata di diciotto anni, con la (OMISSIS) S.r.l., alla quale corrispose, conformemente a quanto sancito dalle previsioni contrattuali, la complessiva somma di Euro __ (di cui Euro __ per sorte capitale ed Euro __ per IVA) per il pagamento del primo canone di affitto ed il pagamento, in conto anticipo, di successivi canoni di affitto (così sostanzialmente versando, in via anticipata, a titolo di canoni, un corrispettivo pari a __ anni e __ mesi di affitto).
1.1. Successivamente, la (OMISSIS) S.r.l. fu dichiarata fallita dal Tribunale di Udine, il __, ed il curatore fallimentare, in data __, optò per il recesso da quel contratto L.F., ex art. 79.
1.2. La S. S.p.A. chiese, allora, L.F., ex art. 101, l’ammissione al passivo di detto fallimento, in prededuzione, del credito afferente i canoni versati anticipatamente alla concedente (OMISSIS) S.r.l. in bonis e relativi al periodo successivo alla riconsegna del ramo di azienda, il cui pagamento era divenuto privo di titolo, altresì invocando la prelazione ipotecaria volontaria derivante dal medesimo contratto a garanzia della restituzione della somma anticipata in caso di risoluzione per fatto o colpa della concedente.
1.3. Il giudice delegato ammise il credito dell’istante per la richiesta somma di Euro __, denegando, però, la sua domandata collocazione in prededuzione ed il riconoscimento allo stesso della prelazione ipotecaria, ed il Tribunale di Udine, adito L.F., ex art. 98, dalla creditrice, con decreto del __, n. __, ne respinse l’opposizione assumendo che: i) il pagamento anticipato dei canoni annuali successivi al primo era privo di titolo al momento della sua effettuazione, in quanto il regolamento contrattuale non prevedeva un tale obbligo a carico di S. S.p.A., ma stabiliva la maturazione annuale del canone medesimo, quale corrispettivo del godimento del compendio aziendale ad opera dell’affittuaria, da pagarsi da quest’ultima in dodici rate mensili anticipate di Euro __ ciascuna; ii) il paragrafo 6.2 dell’art. 6 del contratto suddetto dava atto solo di un mero fatto giuridico, ovvero la consegna, da parte dell’affittuaria alla concedente, di assegni per complessivi Euro __ a titolo di canoni anticipati, senza spiegarne il motivo, sicché tale pagamento era privo di giustificazione ed indebito; iii) l’obbligazione restitutoria era sorta per un fatto – appunto il pagamento indebito anteriore alla dichiarazione di fallimento, da ciò derivando la natura concorsuale del credito e l’esclusione dell’invocata prededuzione; iv) il concetto di risoluzione usato dalle parti induceva a ritenere che esse volessero individuare le ipotesi di inadempimento imputabile alla concedente, non risultando, dunque, applicabile la previsione contrattuale sulla garanzia ipotecaria.
- Avverso il descritto decreto ricorre per cassazione la S. S.p.A., affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., cui resiste, con controricorso, la curatela fallimentare.
Motivi della decisione
- I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
- I) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza di primo grado (violazione dell’art. 112 c.p.c.). Premettendosi che il tribunale aveva ritenuto che, in base al contratto, non vi fosse obbligo per l’affittuaria di pagare in anticipo i canoni di cui costei aveva chiesto la restituzione, e che, conseguentemente, quel pagamento anticipato era stato, all’epoca, privo di titolo e, come tale, indebito, si sostiene che quel giudice “ha ricostruito la fattispecie in modo diverso da quello pacificamente offerto dalle parti e, nell’ambito della fattispecie così ricostruita, ha affrontato, decidendola, una questione estranea agli assunti difensivi delle parti e al contraddittorio tra le stesse” (cfr. pag. 15 del ricorso). Posto, allora, che la curatela mai aveva eccepito la natura indebita del pagamento predetto, una tale eccezione – estranea alla materia del contendere – non poteva essere sollevata d’ufficio, come invece aveva fatto il tribunale così incorrendo nel vizio di extrapetizione e/o ultrapetizione, ex art. 112 c.p.c., comportante la nullità dell’impugnato decreto;
- II) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1362, 2033 c.c. Si assume che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, S. S.p.A. e (OMISSIS) s.r.l. in bonis, con il menzionato contratto, avevano inteso disciplinare un rapporto giuridico patrimoniale articolato, nell’ambito del quale era ricompreso anche il pagamento anticipato dei canoni, come sancito dai suoi artt. 5 e 6. Quest’ultimo, in particolare, lungi dal doversi intendere quale registrazione di un mero accadimento storico, regolava, invece, prestazioni contrattuali volute dalle parti al pari di tutte le altre, ivi compresa quella relativa alla garanzia ipotecaria (art. 7). Pertanto, l’esecuzione e la ricezione del pagamento anticipato dei canoni erano stati comportamenti non gratuiti delle parti, ma posti in essere in forza ed in funzione del contratto, nel quale trovavano giustificazione causale. Peraltro, anche ove il contratto fosse stato privo di qualsiasi disposizione al riguardo, detto pagamento anticipato non si sarebbe potuto considerare indebito oggettivo alla luce della pacifica interpretazione di giurisprudenza e dottrina dell’art. 1185 c.c., comma 2. Il tribunale, in definitiva, aveva negato il valore vincolante del contratto (art. 1321 c.c.); aveva disatteso la comune intenzione delle parti quale risultante dal testo contrattuale e dal loro comportamento (art. 1362 c.c.); aveva escluso l’esistenza di un titolo obbligatorio invece esistente (art. 2033 c.c.);
III) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1: violazione e/o falsa applicazione della L.F., art. 79. Muovendosi dall’assunto secondo cui, in linea generale, il curatore, prima di recedere dal contratto d’affitto avvalendosi della facoltà concessa dalla L.F., art. 79, subentra automaticamente nel contratto medesimo, si afferma che, nella specie, sia se si ritiene che egli debba soddisfare in prededuzione tutte le obbligazioni della parte fallita (vale a dire anche quelle assunte ante fallimento), sia se si reputa che debba adempiere unicamente le obbligazioni sorte dopo quello spartiacque, gli effetti non mutano: infatti, l’obbligazione restitutoria era sorta dopo la dichiarazione di fallimento e per effetto della scelta del curatore di recedere dal contratto, circostanza, quest’ultima, che aveva reso indebito il pagamento anticipato dei canoni che fino ad allora non lo era. Il tribunale friulano, dunque, opinando – per contro – che il pagamento anticipato fosse indebito fin dall’origine, e che, perciò, l’obbligazione restitutoria trovasse causa in un fatto (l’indebito) anteriore alla dichiarazione di fallimento, aveva violato la L.F., art. 79;
- IV) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1362 c.c. Si deduce che, giusta la previsione dell’art. 7 del contratto, la garanzia ipotecaria concessa da (OMISSIS) s.r.l. in bonis era stata chiaramente costituita per tutte le ipotesi in cui la risoluzione del contratto fosse riconducibile ad un comportamento della concedente, sia lecito che colpevole, per cui erroneamente il decreto impugnato aveva escluso la prelazione ipotecaria del credito di restituzione sull’assunto che la facoltà di recesso del curatore trovava la sua fonte nella legge e non nel contratto: infatti, atteso il tenore della clausola contrattuale, sarebbe “irrilevante che si tratti di un atto/fatto contrattualmente previsto o non contrattualmente previsto, endocontrattuale o extracontrattuale, e via dicendo”, essendo evidente che le parti avevano inteso garantire il credito in tutti i casi in cui la risoluzione non fosse dipesa da essa S. S.p.A. (cfr. pag. 27 del ricorso).
- Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. È noto, invero, che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti, ma deve aver riguardo al contenuto della pretesa fatta valere in giudizio (cfr. Cass. n. 7322 del 2019), ed è altrettanto pacifico che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) – o a quello del tantum devolutum quantum appellatum -, trattandosi, in tal caso, della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (cfr. Cass. n. 17109 del 2009; Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 29200 del 2018, in motivazione).
2.2. Inoltre, come questa Corte ha già più volte chiarito, non sussiste violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c. (che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda), quando il giudice, senza alterare alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), proceda alla qualificazione giuridica dei fatti posti a base della domanda o delle eccezioni ed individui le norme di diritto applicabili, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti. Egli, infatti, sempre che non sostituisca la domanda proposta con una diversa (ossia fondata su una differente causa petendi, con mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, ovvero su una realtà fattuale non dedotta in giudizio dalle parti), ha il potere dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto dedotto in giudizio. Non sussiste, pertanto, violazione dell’art. 112 c.p.c., allorquando il giudice, anche a prescindere dalle indicazioni delle parti e dalle censure contenute nell’atto d’impugnazione, proceda, come è sostanzialmente accaduto nella fattispecie de qua, alla qualificazione giuridica dei fatti posti a base della domanda o delle eccezioni ed individui le norme di diritto conseguentemente applicabili (cfr. Cass. Cass. n. 15925 del 2007; Cass. n. 23215 del 2010; Cass. n. 13945 del 2012; Cass. n. 513 del 2019; Cass. n. 5153 del 2019).
2.2.1. L’odierna censura della ricorrente è, dunque, infondata, perché oggetto del giudizio L.F., ex art. 98, erano l’accertamento della prededucibilità, o meno, del credito di cui la prima, già in sede di verifica, aveva ottenuto l’ammissione, benché solo in chirografo, per l’importo invocato, nonché la spettanza, ad esso, della prelazione ipotecaria invocata.
2.2.2. Il tribunale friulano si è pronunciato su tali punti, procedendo, sostanzialmente, alla qualificazione giuridica dei fatti posti a base della domanda dell’opponente e delle eccezioni della curatela, ed individuando le norme di diritto, a suo giudizio, applicabili, rivelatesi differenti rispetto a quelle richiamate dalle parti, ma senza assolutamente sostituire la domanda di S. S.p.A. con una diversa, né alterando alcuno degli elementi obiettivi di identificazione della prima (petitum e causa petendi) o valorizzando realtà fattuali non dedotte in giudizio dalle parti. Si deve, così, escludere qualsivoglia sua illegittima interferenza nel potere dispositivo delle parti.
- Il secondo motivo deve considerarsi in parte inammissibile e, per il resto, infondato.
3.1. È inammissibile, laddove si sostanzia in un sindacato sull’esito dell’interpretazione delle clausole contrattuali effettuato dal giudice a quo.
3.1.1. Invero, come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 14938 del 2018 (cfr. in motivazione), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione).
3.1.2. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati.
3.1.3. La censura neppure può, poi, essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).
3.2. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che il motivo, così come esposto in ricorso, si risolve, essenzialmente, nel sostenere una diversa lettura del combinato disposto delle clausole contenute nell’art. 5.1. (“L’affitto avrà la durata di __ anni a decorrere dalla consegna del ramo di azienda, che avverrà il giorno __, e quindi dalla data del giorno __ alla data del giorno __”), art. 6.1. (“Quale corrispettivo per l’affitto del ramo di azienda le parti convengono un canone annuo di Euro __, oltre ad IVA, da corrispondersi in __rate mensili anticipate da Euro __ ciascuna”), art. 6.2. (“Alla stipula del presente contratto S. S.p.A. consegna a (OMISSIS) S.r.l. l’assegno circolare n. (OMISSIS) per Euro __, e assegni circolari n. (OMISSIS) (per Euro __) e (OMISSIS) (per Euro __), e quindi per complessivi Euro __ emessi in data odierna dalla Banca__, agenzia di (OMISSIS), a titolo di anticipo canoni di affitto futuri”) e art. 6.3 (“In considerazione dei pagamenti effettuati da S. S.p.A. mediante consegna a (OMISSIS) S.r.l. dell’assegno bancario per l’importo di Euro __ di cui alla lett. F delle premesse, nonché mediante la consegna dei tre assegni circolari per complessivi Euro __ di cui all’art. 6.2. che precede, contestualmente alla sottoscrizione del presente contratto (OMISSIS) S.r.l. consegna a S. S.p.A. la fattura quietanzata di Euro __ oltre I.V.A., pari a complessivi Euro __, avente ad oggetto il pagamento del primo canone di affitto ed il pagamento in conto anticipo di successivi canoni di affitto. I legali rappresentanti della (OMISSIS) S.r.l. rilasciano, pertanto, alla S. S.p.A. ampia e definitiva quietanza di saldo con dichiarazione di nulla più avere a pretendere al riguardo”) del contratto di affitto di azienda stipulato, il __, tra la S. S.p.A. e la (OMISSIS) S.r.l. in bonis.
3.2.1. Nella specie, però, il giudice di merito ha offerto una ricostruzione del contenuto di dette clausole, fornendo una motivazione argomentata, non sindacabile, dunque, in ordine alle ragioni dell’esito dell’interpretazione, che si sottrae a verifiche in questa sede.
3.3. La doglianza è poi infondata laddove invoca l’applicazione dell’art. 1185 c.c. (Il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza, salvo che il termine sia stabilito esclusivamente a suo favore. Tuttavia il debitore non può ripetere ciò ha pagato anticipatamente, anche se ignorava l’esistenza del termine. In questo caso, però, egli può ripetere, nei limiti della perdita subita, ciò di cui il creditore si è arricchito per effetto del pagamento anticipato), rivelandosi il richiamo a detto articolo non pertinente nella concreta vicenda oggi all’esame di questa Corte.
3.3.1. Quella disposizione, invero, – oltre a descrivere l’operatività del termine nel caso in cui esso sia da intendersi come previsto in favore del debitore – regola l’ipotesi in cui il debitore, malgrado benefici di un termine di adempimento a proprio favore, adempia anticipatamente il proprio obbligo, ma intenda successivamente ripetere quanto pagato.
3.3.2. La norma esclude l’applicabilità alla fattispecie della disciplina di cui agli artt. 2033 c.c. e segg.: nel caso di adempimento ante tempus si deve, infatti, negare la sussistenza di un pagamento non dovuto, in quanto l’obbligazione adempiuta dal debitore è effettivamente esistente tra il solvens e l’accipiens. Tuttavia il pagamento anticipato può costituire un arricchimento ingiustificato per il creditore (arricchimento rappresentato dal cd. interusurium, cioè dalla differenza tra il valore della prestazione anticipata e quello che la prestazione avrebbe avuto se fosse stata eseguita alla scadenza prevista, differenza a sua volta riconducibile al valore dei frutti prodotti dalla somma nel periodo intermedio, cui si accompagna un correlativo depauperamento nella sfera giuridica del solvens che giustifica la restituzione di ciò di cui l’accipiens si è arricchito).
3.3.3. Il contratto di affitto di ramo di azienda (di cui oggi si discute) rientra, invece, evidentemente, tra quelli di durata (ad esecuzione continuata) ed a prestazioni corrispettive: si tratta, cioè, di contratto in cui, da un lato, il prolungarsi della sua efficacia, vale a dire la durata dell’effetto, rientra nel contenuto diretto dell’obbligazione assunta, facendo, così, parte della prestazione considerata; dall’altro, nell’ambito di uno stesso strumento negoziale, sorgono contemporaneamente, nell’una e nell’altra parte, obblighi e diritti a prestazioni reciproche collegate tra loro da un vincolo di interdipendenza.
3.3.4. Pertanto, ove il godimento del ramo di azienda affittato non si realizzi per l’intero periodo pattuito dai contraenti a causa del corretto esercizio della facoltà di recesso riconosciuta, convenzionalmente o per legge, a ciascuna delle parti (come pacificamente è avvenuto, nella specie, per la S. S.p.A., dopo il recesso legittimamente esercitato, L.F., ex art. 79, dalla curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l.), il corrispettivo versato anticipatamente dall’affittuario in favore del concedente, nella misura in cui riguardi un periodo temporale successivo a tale recesso, rimane prestazione evidentemente priva di giustificazione causale propria di quello specifico contratto, né è dato sapere, in difetto di puntuale trattazione nella decisione oggi impugnata e, comunque, di adeguata allegazione sul corrispondente punto, se un siffatto pagamento dovesse imputarsi, nella odierna vicenda, ad una diversa operazione conclusa dalle parti contestualmente alla stipulazione di quel contratto e/o ad esso collegata.
- Il terzo motivo è infondato oltre che per quanto si è appena detto (da cui evidentemente consegue che l’obbligazione restitutoria, per i canoni successivi alla prima annualità di contratto e rivelatisi privi di giustificazione causale per quanto concerne il periodo temporale post recesso, L.F., ex art. 79 – nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007 – della curatela fallimentare della società concedente, doveva considerarsi sorta al momento stesso del loro pagamento anticipato), alla stregua delle seguenti, ulteriori ragioni.
4.1. Il contratto di affitto di azienda (o di un ramo di essa) non rientra tra i rapporti negoziali che si considerano sospesi all’atto della dichiarazione di fallimento, ma tra quelli che proseguono in costanza di tale procedura concorsuale e dai quali il curatore può recedere, a differenza dei contratti che, giusta la L. Fall., art. 72 (nel testo novellato dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e D.Lgs. n. 169 del 2007), sono sospesi al momento della dichiarazione predetta.
4.1.1. Questa conclusione è resa palese dalla differente formulazione delle due norme (l’art. 72 ed il successivo art. 79). La L.F., art. 72, regola la possibilità di scioglimento, che è una facoltà attribuita al curatore per sterilizzare ex tunc gli effetti della sussistenza, all’atto della dichiarazione di fallimento, di un contratto a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguito del quale il curatore non intende avvalersi (cfr. Cass. n. 17405 del 2009), contratto che deve ritenersi medio tempore sospeso (“se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito (…) l’esecuzione del contratto (…) rimane sospesa”) e che diviene definitivamente inopponibile alla massa per effetto della dichiarazione di scioglimento (“fino a quando il curatore (…) dichiara di (…) sciogliersi dal medesimo”).
4.1.2. Il tenore della L.F., art. 79, è, invece, opposto. Il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d’azienda, da ciò derivandone, come corollario, che lo stesso prosegua. La prosecuzione è resa evidente dal fatto che lo strumento attribuito al curatore per non sottostare alla protrazione degli effetti della continuazione del contratto è il diritto di recesso, atto unilaterale recettizio che produce effetto dalla sua comunicazione e non dalla precedente dichiarazione di fallimento. Irretroattività confermata dal fatto che l’indennizzo dovuto alla controparte per effetto della comunicazione del diritto di recesso è credito prededucibile ex lege (l’indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall’art. 111, n. 1), a comprova che il credito, in quanto prededucibile, sorge in costanza di fallimento e, quindi, consegue al verificarsi degli effetti del recesso in pendenza di detta procedura concorsuale e non retroattivamente. Parimenti, è dal momento della comunicazione del recesso che il curatore ha diritto di rientrare in possesso dell’azienda (o di un suo ramo) affittata.
4.1.3. La ratio della nuova formulazione di tale norma, comportante l’insensibilità del rapporto d’affitto alla dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, ha la sua giustificazione nella esigenza di assicurare a ciascuno di loro la tutela del rispettivo interesse fino a quando essa non pregiudica in misura maggiore l’interesse dell’altro: la sospensione improvvisa del rapporto per effetto automatico della dichiarazione di fallimento, sia pure per il non lungo periodo di tempo concesso per l’esercizio della facoltà di recesso, condurrebbe, infatti, ad effetti potenzialmente dannosi per entrambe le parti, in quanto determinerebbe la cessazione immediata dell’esercizio dell’azienda ed il conseguente serio pericolo di perdita dell’avviamento e di disintegrazione dell’azienda medesima con pregiudizio dell’affittuario e grave impoverimento della massa attiva. Si è voluto, allora, salvaguardare il valore immateriale dell’azienda nel pur breve periodo di tempo occorrente a ciascuna delle parti per valutare la convenienza o meno della prosecuzione del contratto, mantenendo nel frattempo in essere il rapporto; ma se il curatore del fallimento della parte concedente recede dal contratto, egli risponderà verso l’affittuaria, come debito della massa, solo delle obbligazioni sorte a suo carico in quel limitato spazio temporale (si tratta – come affatto condivisibilmente osservato dalla curatela controricorrente – della obbligazione di far godere all’altra parte l’azienda, o il ramo di essa, che ne formava oggetto, ex art. 1571 c.c.) e non anche di obbligazioni restitutorie o di altro genere contrattualmente assunte dal contraente poi fallito, pena lo stravolgimento dei principi cardine del diritto fallimentare.
4.2. Fermo quanto precede, osserva il Collegio che la richiesta di restituzione dei canoni già versati ante fallimento con riguardo ad un periodo temporale rivelatosi successivo all’avvenuto legittimo esercizio della facoltà di recesso, L.F., ex art. 79, ad opera della curatela fallimentare della società concedente, deve considerarsi, alla stregua di quanto si è detto disattendendosi il secondo motivo dell’odierno ricorso, un indebito oggettivo: essa, infatti, concerne il pagamento di una somma effettuato, appunto, prima del fallimento, e per il quale, in conseguenza del descritto recesso di cui si è avvalsa la curatela fallimentare della società concedente, non è più configurabile il carattere di corrispettività rispetto all’utilizzo del ramo di azienda affittato, ormai impossibile dopo l’esercizio del menzionato recesso e la restituzione del ramo di azienda medesimo.
4.2.1. In altri termini, le peculiarità derivanti dall’essere l’affitto di azienda (o di un ramo di essa) un contratto, come si è visto, a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, impongono di concludere nel senso che, una volta reciso, per effetto dell’esercitato recesso L.F., ex art. 79, il vincolo di sinallagmaticità tra i canoni, già versati, afferenti un periodo temporale rivelatosi successivo all’efficacia di detto recesso, ed il godimento dell’azienda stessa, o di un suo ramo, perché – come pacificamente accaduto nella specie – già restituiti alla concedente fallita, il credito restitutorio per l’anticipato pagamento dei primi non può godere della prededuzione ex lege prevista dalla L.F., art. 79 e da quest’ultimo limitata al solo indennizzo a favore dell’affittuario e non a debiti diversi.
4.2.2. Del resto, questa Corte ha già affermato che la L.F., art. 111, comma 2, considerando prededucibili i crediti “sorti in occasione o in funzione” delle procedure concorsuali, li individua, alternativamente, sulla base di un duplice criterio, cronologico e teleologico, il primo dei quali va implicitamente integrato con la riferibilità del credito all’attività degli organi della procedura (cfr. Cass. n. 20113 del 2016, successivamente richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 18488 del 2018). Il carattere alternativo dei predetti criteri non consente, peraltro, l’estensione della prededucibilità a qualsiasi obbligazione caratterizzata da un sia pur labile collegamento con la procedura concorsuale, dovendosi in ogni caso accertare, con valutazione da compiersi ex ante, il vantaggio arrecato alla massa dei creditori. Non è sufficiente, dunque, affinché il credito sia ammesso al concorso in prededuzione, che lo stesso – in thesi – abbia a maturare durante la pendenza di una procedura concorsuale, essendo presupposto indefettibile, per il riconoscimento del detto rango, che la genesi dell’obbligazione sia temporalmente connessa alla pendenza della procedura medesima, perché, in caso contrario, tutti i crediti sorti nell’ambito dei rapporti di durata sarebbero prededucibili.
4.2.3. Nella vicenda all’esame, invece, tutto quanto si è già riferito circa la natura e le caratteristiche di contratto a prestazioni corrispettive e di durata dell’affitto di azienda (o di un suo ramo), il puntuale contenuto delle clausole contenute negli artt. 5.1., 6.2. e 6.3 dell’accordo stipulato, il __, tra la S. S.p.A. e la (OMISSIS) S.r.l. in bonis, e la specifica disciplina dettata dal vigente L.F., art. 79, induce a concludere nel senso che la genesi del credito da restituzione dei canoni anticipatamente versati dall’affittuaria per un periodo temporale rivelatosi successivo all’avvenuto recesso legittimamente esercitato dalla curatela della fallita società concedente debba rinvenirsi in un momento precedente al fallimento di quest’ultima, così da precludere a quel credito la collocazione in prededuzione oggi invocata dalla ricorrente.
4.3. Da ultimo, merita di essere rimarcato che la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito (cfr. Cass. n. 22274 del 2017) che la L.F., art. 74, oggi invocato dalla S. S.p.A. a sostegno della pretesa prededucibilità del proprio credito (cfr. pag. 23 e ss. del ricorso), nello stabilire che il curatore che subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica deve pagare integralmente anche il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati, non costituisce attuazione concreta di un principio generale attinente alla natura del contratto, ma detta una disciplina di carattere eccezionale, che non può trovare applicazione in tutti gli altri casi di continuazione del rapporto, nel corso di procedure concorsuali, cui tale disciplina non sia espressamente estesa.
4.3.1. Infatti nei contratti di durata, quale quello di affitto di azienda o di un suo ramo – in cui all’unità sinallagmatica della fase genetica corrisponde la continuità della fase esecutiva – ogni atto di prestazione e controprestazione, pur non estinguendo il vincolo negoziale, non costituisce adempimento parziale, ma adempimento pieno delle obbligazioni che da esso sorgono: il subentro del curatore nel contratto, pertanto, non impedirebbe di per sé di operare una distinzione – che è preclusa unicamente dalla norma in esame – fra i crediti dell’affittuario aventi natura concorsuale perché sorti in data anteriore al fallimento e quelli aventi natura prededudicibile perché sorti in data posteriore.
- Insuscettibile di accoglimento è, infine, anche il quarto motivo di ricorso.
5.1. Da un lato, infatti, esso mira a contestare l’interpretazione fornita dal tribunale friulano quanto all’ambito operativo della clausola contenuta all’art. 7 (“A garanzia della restituzione della somma anticipata da S. S.p.A. in caso di risoluzione anticipata del presente contratto per fatto o colpa di (OMISSIS) s.r.l., la società (OMISSIS) S.r.l. stessa, (…), concede a favore di S. S.p.A., che accetta, l’ipoteca di terzo e quarto grado sui beni immobili di seguito descritti…”), sicché varrebbero anche qui i principi tutti già esposti – in relazione al secondo motivo – circa i limiti del sindacato di questa Corte sull’interpretazione, ad opera del giudice di merito, degli atti negoziali delle parti.
5.1.1. Dall’altro, questo Collegio reputa affatto condivisibile quanto osservato dal tribunale suddetto, secondo cui la facoltà di recesso esercitata dal curatore L.F., ex art. 79, non trova fonte nel contratto di affitto di azienda, bensì nella legge, sicché dall’esercizio di tale facoltà non possono derivare gli effetti che le originarie parti contrattuali hanno convenzionalmente stabilito in caso di risoluzione anticipata per fatto o colpa del concedente.
5.1.2. Giova rimarcare, invero, che recesso e risoluzione contrattuale sono istituti distinti, benché entrambi volti a comportare lo scioglimento da un vincolo contrattuale. In linea generale, il recesso è la facoltà concessa, direttamente dal contratto o dalla legge (come, per quanto qui di interesse, l’ipotesi di cui alla L.F., art. 79), ad uno o ad entrambi i firmatari del contratto di interrompere con effetto immediato ed istantaneo il rapporto giuridico, salvo eventuali preavvisi. Si tratta, dunque, del normale esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge o da una clausola contrattuale, a prescindere da situazioni di crisi o di illeciti posti in essere da una delle due parti. La risoluzione, invece, è una causa di scioglimento del contratto generalmente dovuta ad una patologia del rapporto contrattuale o al comportamento di una delle due parti.
5.1.3. È evidente, dunque, che avendo, nella concreta fattispecie, i contraenti fatto puntuale riferimento, quanto alla garanzia ipotecaria sancita per la restituzione delle somme anticipate da S. S.p.A., al caso della risoluzione anticipata del presente contratto per fatto o colpa di (OMISSIS) S.r.l., del tutto correttamente il giudice di merito ha ritenuto inoperante la medesima garanzia per la diversa ipotesi dell’esercizio legittimo della facoltà di recesso attribuita alle parti dalla L.F., art. 79.
- Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto l’11 aprile 2018), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la S. S.p.A. al pagamento, in favore della curatela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro __ per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro __, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019