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Fallimento e in contratti di leasing

Fallimento e i contratti di leasing

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27545 del 28/10/2019

Con ordinanza del 28 ottobre 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che in seguito alla legge n. 124 del 2017 il leasing finanziario ha assunto una fisionomia unitaria, dovendo ritenersi definitivamente superata la distinzione tra leasing c.d. “di godimento” e “leasing traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., con la conseguenza che gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dall’art. 72 quater della L.F. che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti.


Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 27545 del 28/10/2019

Fallimento e i contratti di leasing

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. __ R.G. proposto da:

M. S.p.A. – ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.r.l.  – controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Cassino, depositato in data __;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

che:

  1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Cassino – decidendo sull’opposizione allo stato passivo avanzata da M. S.p.A. nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in relazione al diniego affermato dal G.D. alla domanda di rivendica e restituzione di beni immobili oggetto di un contratto di leasing intercorso tra le parti – ha rigettato l’opposizione, confermando, pertanto, il provvedimento emesso dal G.D. in sede di verifica dello stato passivo.

Il tribunale ha ricordato, in ordine alla ricostruzione fattuale della vicenda, che: 1) con contratto di lease-back, M. si era obbligata ad acquistare e a concedere, in locazione finanziaria, a P. S.p.A, dietro pagamento di un canone periodico, il compendio immobiliare sito nel Comune di (OMISSIS), meglio indicato in atti; 2) successivamente, con scrittura privata, la società utilizzatrice aveva concluso con la (OMISSIS) S.r.l. un contratto di cessione del ramo d’azienda, nell’ambito del quale era ricompreso anche il suddetto contratto di lease-back; 3) con successiva sentenza, il Tribunale di Cassino aveva dichiarato il fallimento della (OMISSIS) S.r.l.; 4) M. S.p.A. aveva presentato due istanze tardive, l’una volta ad ottenere la restituzione dell’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria e, l’altra, finalizzata all’ammissione al passivo, in via chirografaria, del complessivo credito pari ad Euro __; 5) il credito vantato da M. S.p.A. era stato ammesso al passivo del Fallimento (OMISSIS), come richiesto, in via chirografaria, mentre la domanda di rivendica del bene oggetto di locazione finanziaria era stata rigettata dal G.D., in quanto l’immobile rivendicato era stato sottoposto a sequestro penale.

Il tribunale ha dunque ritenuto che: a) la L.F., art. 72 quater, non possa trovare applicazione in relazione a contratti risolti prima della dichiarazione di fallimento, non potendosi aderire alla tesi secondo cui la norma in esame possa ritenersi espressiva della volontà del legislatore di abbandonare la tradizionale distinzione, elaborata dalla giurisprudenza, tra leasing traslativo e di godimento e dovendosi pertanto negare che la previsione normativa in esame abbia una portata sostanziale; b) con riferimento ai contratti risolti prima del fallimento, occorre pertanto richiamarsi al consolidato orientamento che distingue tra leasing traslativo e di godimento e che dalla differente funzione del contratto discendono conseguenze diverse in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore; c) la figura del leasing di godimento ricorre allorquando il contratto ha ad oggetto un bene a rapida obsolescenza, dovendosi, dunque, assimilare tale contratto ad una locazione cosicché, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, si ritiene applicabile in via analogica l’art. 1458 c.c., comma 1; d) viceversa nel leasing traslativo il bene oggetto del contratto conserva, alla data della cessazione del contratto, una sua rilevante utilità e un valore economico superiore all’importo convenuto per l’opzione, cosicché i canoni svolgono la funzione di scontare anche una quota del prezzo in previsione del successivo esercizio del diritto di opzione ovvero di riscatto del bene, dovendosi ritenere applicabile in tal caso il disposto normativo di cui all’art. 1526 c.c.; e) nel caso di specie, non risultava invocabile la L.F., art. 72 quater, stante la risoluzione del contratto in esame, a causa dell’inadempimento dell’utilizzatore, in data anteriore rispetto all’intervenuto fallimento della società (OMISSIS) Ss.r.l.; f) il contratto era riconducibile allo schema del leasing traslativo, applicandosi, pertanto, in via analogica l’art. 1526 c.c., con la conseguenza che al concedente spettava, oltre alla restituzione del bene, solo il diritto all’equo indennizzo, ma non il diritto di credito ai canoni maturati fino alla dichiarazione di fallimento; g) il reclamato diritto di M. S.p.A. alla restituzione del bene oggetto del contratto di leasing non poteva essere riconosciuto, anche perché la detta società aveva trattenuto la somma anticipata all’atto della conclusione del contratto, i canoni in precedenza incassati ed, inoltre, era stata ammessa al passivo del fallimento per l’importo pari agli ulteriori canoni scaduti e maturati fino alla dichiarazione di fallimento; h) il bene immobile oggetto di rivendica era stato comunque sottoposto a sequestro penale, risultando tale circostanza insuperabile ed ostativa all’accoglimento della domanda di restituzione, e ciò in ragione del vincolo di indisponibilità gravante sul bene e della preminenza delle esigenze processuali sottese al provvedimento di sequestro rispetto a quelle della procedura concorsuale.

  1. Il decreto, pubblicato il 21.4.2015, è stato impugnato da M. S.p.A. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Fallimento (OMISSIS) S.r.l. ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto anche ricorso incidentale.
  2. S.p.A. ha resistito, con controricorso, al ricorso incidentale.

La curatela fallimentare ha depositato, da ultimo, memoria.

Motivi della decisione

che:

  1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione art. 1526 c.c. – si duole della mancata restituzione del bene immobile già oggetto del contratto di leasing e comunque della mancata applicazione della L.F., art. 72 quater. Osserva la parte ricorrente che la motivazione impugnata era incorsa in un primo errore laddove, pur riconoscendo in linea di principio che, a seguito della risoluzione del contratto di leasing, competeva senz’altro alla concedente il diritto alla restituzione dell’immobile, aveva, poi, inopinatamente contraddetto tale conclusione, affermando l’insussistenza di tale diritto in capo alla società istante M., e ciò in palese violazione non solo dei principi generali dell’ordinamento che regolano gli effetti restitutori discendenti dalla risoluzione del contratto, ma anche della stessa norma codicistica che si vorrebbe applicata al caso di specie. Si denuncia, come secondo errore, l’affermazione secondo cui, per effetto dell’applicazione dell’art. 1526 c.c., competeva al concedente solo il diritto all’equo indennizzo, ma non il diritto di credito ai canoni maturati fino alla dichiarazione di fallimento, trascurando la decisiva circostanza che, in caso di risoluzione anticipata del contratto, la suddetta norma riconosce espressamente al venditore con riservato dominio il diritto di ottenere non solo un equo compenso per l’uso della cosa, ma anche il risarcimento del danno. Si osserva, ancora, come risulti documentalmente provato (e la circostanza era stata anche accertata dal Tribunale nell’impugnato decreto), che il contratto di leasing si era risolto di diritto, ai sensi della clausola risolutiva espressa e in conformità al disposto dell’art. 1456 c.c., per effetto della raccomandata inviata da M. in data __, e dunque prima che venisse dichiarato il fallimento della (OMISSIS), intervenuto, in realtà, con la successiva sentenza resa in data __. Si denuncia, inoltre, come ulteriore errore in diritto, l’affermata applicazione del disposto normativo di cui dell’art. 1526 c.c., comma 1, anziché, anche a tutto voler concedere, il comma 2, dovendosi anche precisare che, comunque, la questione controversa non avrebbe potuto risolversi nella mera restituzione dei canoni, quanto piuttosto attraverso la riduzione della penale pattuita nel contratto. Si invoca, infine, l’applicazione della L.F., art. 72 quater.
  2. Con il secondo mezzo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 253 c.p.p., in tema di sequestro probatorio, in punto di mancata restituzione del bene immobile già oggetto del contratto di leasing. 3. Con ricorso incidentale si denuncia, invece, la violazione dell’art. 1526 c.c., comma 1, in relazione alla circostanza secondo cui il decreto impugnato aveva di fatto legittimato M. S.p.A. a trattenere la somma anticipata all’atto della conclusione del contratto, nonché i canoni in precedenza incassati fino alla data della risoluzione, precludendo alla procedura concorsuale, subentrata nella posizione dell’utilizzatore in bonis per effetto del fallimento, di reclamare alla massa la restituzione di quanto pagato dall’utilizzatore poi fallito.
  3. Il ricorso principale è fondato nei termini qui di seguito precisati e ciò determina anche il rigetto del ricorso incidentale, il cui esame può essere congiunto al primo motivo proposto della società ricorrente.

4.1.1 In ordine alle questioni dedotte con il primo motivo e con il ricorso incidentale, occorre ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia recentemente affermato (cfr. Cass. n. 8980/2019) che – a seguito della L. n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) – il leasing finanziario ha assunto una fisionomia unitaria, dovendo ritenersi definitivamente superata la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing c.d. “di godimento” e “leasing traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., con la conseguenza che gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L.F., art. 72 quater, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti.

Ne consegue che, in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito dai valori di stima, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante-fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra; si legga anche: Cass. 12552/2019).

4.1.2 Occorre ricordare che, fino all’emanazione della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non esisteva nel nostro ordinamento una disciplina organica del contratto di leasing o locazione finanziaria, benché esso fosse oggetto di numerose disposizioni legislative settoriali, a partire dalla L. n. 183 del 1976, art. 17 (relativa all’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980).

Da ciò la conclusione che, fino alla recente novella, il leasing dovesse qualificarsi come contratto atipico o innominato.

In assenza di una disciplina organica del leasing, com’ è noto, a partire dalle sentenze della Cassazione n. 5570, 5572 e 5573 del 13 dicembre 1989, confermate con la sentenza delle Sez. Un. 65/1993, si è affermato in giurisprudenza un orientamento fondato sulla distinzione tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo”, quest’ultimo relativo a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, ed i cui canoni scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale).

Si è inoltre consolidato l’indirizzo interpretativo secondo cui, nel leasing traslativo la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in materia di risoluzione del contratto ha carattere inderogabile, trattandosi di norma imperativa, con valore di principio generale di tutela di interessi omogenei e strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti (Cass. 19732/2011).

Va aggiunto che anche a seguito dell’introduzione nell’ordinamento (tramite il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 59) della L.F., art. 72 quater, che ha dettato un’unica disciplina per la locazione finanziaria, valevole sia per il leasing di godimento che per quello traslativo (Cass. 1.3.2010 n. 4862), questa Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi superata la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (Cass. n. 8687/2015; 2538/2016), affermando che la disposizione dell’art. 72 quater, si applicava ad una situazione particolare (scelta del curatore di sciogliersi dal contratto pendente alla data di fallimento) e la sua disciplina non aveva incidenza al di fuori della materia fallimentare e dei rapporti giuridici pendenti (per la ricostruzione dell’istituto, cfr. sempre: Cass. 8980/2019, cit. supra).

La disciplina della L.F., art. 72 quater, tuttavia, ha una particolare rilevanza sul piano sistematico, in quanto, nonostante sia stata emanata successivamente all’affermarsi dell’indirizzo giurisprudenziale fondato sulla bipartizione del leasing finanziario in due fattispecie negoziali distinte e riconducibili a due diversi tipi contrattuali, ricompone ad unità tale contratto. Il leasing viene specificamente distinto dalla vendita con riserva di proprietà (il cui scioglimento è disciplinato dal successivo art. 73, mediante rinvio alla disciplina dell’art. 1526 c.c.), valorizzandone la causa di finanziamento, peraltro già desumibile dalla previsione degli artt. 1 e 106 del TUB, i quali riservano alle banche ed agli altri intermediari finanziari la posizione di concedente nelle operazioni di locazione finanziaria (così, Cass. 8980/2019, cit. supra).

Successivamente, la L. n. 208 del 2015 (legge di stabilità del 2016) ha introdotto nell’ordinamento la figura del leasing immobiliare abitativo (che contempla una serie di agevolazioni fiscali e di garanzie dirette a favorire l’utilizzo del leasing per l’acquisizione dell’abitazione principale) prevedendo anche in tal caso un’unica figura negoziale, caratterizzata dalla finalità di finanziamento.

Anche in questo caso, peraltro, si tratta di una figura particolare, che ha specifici presupposti ed un particolare ambito applicativo.

Da ultimo, però, come sopra evidenziato, la Legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, all’art. 1, ha introdotto una definizione del leasing finanziario ed ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento, oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra).

4.1.3 La nuova normativa ha, dunque, tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia ed in particolare alla disciplina prevista dalla L.F., art. 72 quater.

Il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha dunque disatteso il tradizionale indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge.

In tale prospettiva, la nuova normativa si pone in linea di diretta continuità con la previsione della L.F., art. 72 quater e con la particolare disciplina dello scioglimento del contratto di leasing, che, come evidenziato, è ivi delineata secondo un paradigma unitario.

Da ciò consegue l’applicabilità alla fattispecie in esame, della disciplina dettata dalla L.F., art. 72 quater, in conformità ad un indirizzo interpretativo che, pur disatteso da questa Corte, era stato affermato da larga parte della giurisprudenza di merito.

4.1.4 La norma da ultimo citata, pur dettata in relazione all’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo ritenersi definitivamente superato il ricorso in via analogica alla disciplina recata dall’art. 1526 c.c. (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra).

Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla L. n. 124 del 2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità. E ciò, a maggior ragione quando, come nel caso di specie, l’ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo “tipo” negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nel nostro caso locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica che, pur riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è quello proprio del formante giurisprudenziale.

Tale indirizzo è dunque destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite.

4.1.5 Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L.F., art. 72 quater, che, peraltro, ha anche carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra).

La disciplina della L. n. 124 del 2017, ed il procedimento di realizzazione sul bene ivi regolato consente di superare i dubbi interpretativi sorti in ordine al trattamento, in ambito concorsuale, del credito del concedente all’esito della risoluzione negoziale per inadempimento dell’utilizzatore.

Come già rilevato nella pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, l’applicazione della disciplina della L.F., art. 72 quater, anche al caso di risoluzione del contratto verificatasi prima della dichiarazione di fallimento implica che, anche in questo caso, il concedente dovrà evidentemente insinuarsi al passivo fallimentare per poter allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. Alla stregua di quanto previsto per i crediti pignoratizi e per quelli garantiti da privilegio speciale L.F., ex art. 53, la vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene, disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Sulla base del valore di mercato del bene sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, pari alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, corrispondente all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data di fallimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale (in coerenza con la previsione della L.F., art. 55), oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione; eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto.

Alla luce della chiara indicazione della novella, del tutto coerente con l’indirizzo già sostenuto dalla citata pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, va dunque esclusa, in quanto del tutto superflua, l’insinuazione in via tardiva della differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e la minore somma ricavata, pure affermato da un precedente arresto di questa Corte (Cass. 21213 del 2017) o l’ammissione di detto credito con riserva.

4.1.6 Peraltro, anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato nella G.U. del 14 febbraio 2019) all’art. 177 detta una disciplina della locazione finanziaria pienamente coerente con la disciplina della L.F., art. 72 quater e della L. n. 124 del 2017, prevedendo che nella liquidazione giudiziale del patrimonio dell’utilizzatore, in caso di scioglimento del contatto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela fallimentare l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita a valori di mercato, dedotta una somma pari all’ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto. La medesima disposizione, al comma 2, prevede che il concedente ha diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal giudice delegato. Viene dunque espressamente prevista la stima del giudice delegato quale necessario presidio per determinare il valore di mercato del bene, già desumibile dall’attuale sistema della legge fallimentare, seppure non esplicitata nella disposizione della L.F., art. 72 quater.

Dunque, anche la nuova regolazione della crisi d’impresa, che nonostante la (ampia) vacatio legis, fa ormai parte dell’ordinamento vigente, conferma la scelta del legislatore, che ha trovato costante espressione in tutti i più recenti interventi in materia, univocamente ispirati alla configurazione unitaria del leasing finanziario e della previsione di una disciplina sostanzialmente omogenea della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e dello scioglimento (per scelta del curatore) di quello che è ormai, a tutti gli effetti, un contratto tipico (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra).

Deve, dunque, anche in questa ulteriore sede decisoria, riaffermarsi il principio secondo cui gli effetti della risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore sono regolati dalla disciplina della L.F., art. 72 quater, applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.

4.2 Il secondo motivo è fondato nei termini qui di seguito precisati.

Deve ritenersi ammissibile e fondata la domanda di restituzione del bene immobile oggetto di sequestro penale avanzata da parte del creditore M. S.p.A. (il cui titolo negoziale di proprietà non è stato, in realtà, neanche contestato da parte della curatela fallimentare), atteso che, pur essendo indiscutibile, da un lato, il vincolo di indisponibilità determinato dal provvedimento di sequestro probatorio disposto dall’autorità giudiziaria penale (che rende non materialmente eseguibile la restituzione del bene gravato dal predetto vincolo e del quale la curatela fallimentare è stata nominata custode sempre dalla medesima autorità sopra indicata) è altrettanto vero, dall’altro, che, una volta dimostrato da parte dell’istante il suo titolo di proprietà sul bene (come tale legittimante la richiesta di restituzione di quest’ultimo), il diritto alla restituzione, così giudizialmente accertato, può ben essere tutelato attraverso un riconoscimento “condizionato” del diritto stesso, ai sensi della L.F., art. 96, comma 2, n. 1, ove l’evento sotteso alla condizione è rappresentato dal venir meno del vincolo di indisponibilità giuridica sopra descritto e dalla materiale restituzione del bene, così prima vincolato, da parte dell’autorità giudiziaria penale alla curatela fallimentare che, in quel momento, ne potrà disporre in favore dell’istante.

  1. Il ricorso va dunque accolto nei limiti sopra precisati ed il decreto impugnato va cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Cassino, che si conformerà ai principi di diritto sopra enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Cassino, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

Cass_civ_Sez_I_Ord_28_10_2019_n_27545