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Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione

Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6377 del 05/03/2019

Con ordinanza del 05 marzo 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione e può estendersi all’accertamento della sua personale responsabilità nel compimento di atti pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest’ultimo caso le contestazioni rivolte al conto debbono essere dotate di concretezza e specificità, non potendo consistere in un’enunciazione astratta delle attività cui il curatore si sarebbe dovuto attenere, ma piuttosto indicare puntualmente gli atti di “mala gestio” posti in essere, nonché le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate, così da consentire la corretta individuazione della materia del contendere e l’efficace esplicazione del suo diritto di difesa.

 

Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6377 del 05/03/2019

Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l’effettivo controllo di gestione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

D. – ricorrente –

contro

Curatela Fallimento (OMISSIS) S.n.c. – intimata –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal Cons. Dott. __;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha chiesto che Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.

Svolgimento del processo

  1. La Corte di Appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza con cui il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato non approvato il rendiconto della gestione presentato da D., quale curatore del Fallimento (OMISSIS) S.n.c., e lo aveva altresì condannato al risarcimento dei danni cagionati alla massa dei creditori, quantificati in Euro __ oltre rivalutazione e interessi dal __ al soddisfo, somma ridotta ad Euro __ in accoglimento di alcuni dei motivi dell’appello principale proposto dal curatore, con rigetto dell’appello incidentale proposto dalla curatela.
  2. Avverso detta decisione D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

III. La curatela intimata non ha svolto difese.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la “violazione e falsa applicazione della L. Fall. artt. 38 e 116, artt. 50 bis e 163c.p.c. e segg., art. 48 ord. giud. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, per non avere il Giudice delegato provveduto a rimettere la causa sull’approvazione del rendiconto davanti al collegio, ex art. 189 c.p.c., come previsto dalla L. Fall. art. 116, nel testo vigente ratione temporis.

1.1. Il motivo, articolato in due profili, risulta per certi versi inammissibile e per altri infondato.

1.2. In primo luogo, la censura motivazionale è radicalmente inammissibile perché formulata secondo il paradigma precedente alle modifiche apportate all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che consente ora la denunzia per cassazione dei soli vizi motivazionali relativi “all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, con conseguente onere del ricorrente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di “indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U, 07/04/2014 n. 8053; conf. Sez. 1, 23/02/2017 n. 7472; Sez. 6-3, 10/08/2017 n. 19887). In altri termini, per le sentenze d’appello pubblicate – come quella in esame – dopo l’11 settembre 2012, non è più denunziabile il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, avendo la nuova disposizione attribuito rilievo “solo all’omesso esame di un determinato e ben individuato fatto storico decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti” (Sez. U, 23/01/2015 n. 1241; conf. ex plurimis, Cass. n. 13928 del 2015 e n. 19761 del 2016).

1.3. Anche il prospettato error in procedendo presenta profili di inammissibilità, poiché difetta di specificità con riguardo al contestato svolgimento dell’iter processuale (come in ordine all’asserito difetto di autorizzazione del nuovo curatore al promovimento dell’azione di responsabilità nei confronti di quello revocato, la cui esistenza si assume addirittura “falsamente rappresentata” nella sentenza impugnata).

1.4. In ogni caso, per quanto è dato ricostruire dagli atti – e tenuto conto che si tratta di fattispecie soggetta alla L. Fall. art. 116, vigente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006 (il cui u.c. recitava: “Se all’udienza stabilita non sorgono contestazioni o su queste viene raggiunto un accordo, il giudice approva il conto; altrimenti provvede a norma dell’art. 189 c.p.c., fissando l’udienza innanzi al collegio non oltre i venti giorni successivi”) – non si ravvisano le prospettate violazioni di legge.

1.5. In primo luogo, con riguardo alle funzioni istruttorie svolte dal giudice delegato, questa Corte non solo ha ritenuto illo tempore “manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 25 Cost. – L. Fall. art. 116, u.c., che consente al giudice delegato, in deroga alle Disposizioni generali sulla designazione del giudice istruttore, di assumere ipso iure la veste di giudice istruttore nel giudizio contenzioso, che si instaura a seguito della mancata approvazione del conto presentato dal curatore” (Sez. 1, 07/02/1970 n. 289), ma ha anche precisato che, “insorte contestazioni sul conto della gestione presentato dal curatore del fallimento, il giudice delegato, rimettendo le parti davanti al collegio, apre nella procedura fallimentare una fase contenziosa, nella quale assume la veste di giudice istruttore” (Sez. 1, 15/03/1975 n. 1009).

1.6. Da tempo questa Corte ha altresì chiarito che, “al di là della sua strutturazione formale e della fase in cui si trova” (Sez. 1, 28/03/2000 n. 3696), “il giudizio che si instaura, ai sensi della L. Fall. art. 116, in caso di mancata approvazione del rendiconto di gestione del curatore, può avere legittimamente ad oggetto non soltanto gli errori materiali, le omissioni ed i criteri di conteggio adottati, ma anche l’accertamento delle responsabilità del curatore medesimo, ai sensi dell’art. 38, comma 2, stessa Legge; ma l’esercizio di tale azione non costituisce un effetto normale ed automatico della mancata approvazione del conto, né implica deroghe alle regole sul procedimento stabilite per il giudizio di cognizione ordinario. Ne consegue che, all’esito della revoca del precedente curatore, e per effetto della mancata approvazione del conto da questi presentato al giudice delegato, ben può il nuovo curatore instare, in seno al procedimento ex art. 116 Legge citata, per l’azione di responsabilità ex art. 38, ma ha l’onere di notificare tale domanda al precedente curatore ove questi non abbia provveduto a costituirsi ritualmente, una volta apertasi la fase contenziosa” (Sez. 1, 05/10/2000 n. 13274; conf. Sez. 1, 20/12/2002 n. 18144). E ciò “per l’intima correlazione che corre tra i due procedimenti, potendo la approvazione del conto implicare una positiva valutazione della condotta del curatore, suscettibile di incidere nel giudizio di responsabilità. Se infatti è vero che l’approvazione non esclude quest’ultima azione, allo stesso modo in cui l’esercizio di essa non impedisce tale approvazione, è altrettanto vero che, laddove essa manchi, il giudizio che ne consegue può avere ad oggetto oltre agli errori materiali, alle omissioni ed ai criteri di conteggio, anche il controllo della gestione e l’accertamento delle personali responsabilità, per il compimento o per la omissione di atti che abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti dei singoli creditori” (Sez. 1, 29/11/2004 n. 22472; cfr. Cass. n. 547 del 2000; n. 10028 del 1997; n. 277 del 1985; n. 1339 del 1974; n. 1132 del 1968; n. 4430 del 1957; n. 1229 del 1954).

1.7. Tale orientamento si è progressivamente consolidato, sul rilievo che “il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto, oltre alla verifica contabile, anche l’effettivo controllo di gestione e può estendersi all’accertamento della personale responsabilità nel compimento di atti pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest’ultimo caso il diniego di approvazione deve essere preceduto dal concreto riscontro di tutti i requisiti di riconoscimento della responsabilità, incluso il pregiudizio eventualmente cagionato alla massa o ad uno dei creditori” (Sez. 1, 10/09/2007 n. 18940), anche se “non occorre che già in tale giudizio sia fornita la prova del danno effettivamente concretizzatosi a seguito della mala gestio del curatore” (Sez. 1, 13/06/2008 n. 16019), fermo restando che le contestazioni rivolte al rendimento del conto di gestione “debbono a loro volta essere dotate di concretezza e specificità, non potendo consistere in un’enunciazione astratta delle attività cui il curatore si sarebbe dovuto attenere, ma piuttosto indicare puntualmente le vicende ed i comportamenti in relazione ai quali il soggetto legittimato imputa al curatore di essere venuto meno ai propri doveri, nonché le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate, così da consentire la corretta individuazione della materia del contendere e l’efficace esplicazione del diritto di difesa del curatore cui gli addebiti siano rivolti” (Sez. 1, 21/10/2010, n. 21653) ed altresì che all’esito è “necessario rimettere le parti ex art. 189 c.p.c., avanti al collegio, cui solo compete pronunciare in sede contenziosa” (Sez. 1, 06/08/2010 n. 18436); come appunto risulta essere avvenuto nel caso di specie, con conseguente attrazione alla competenza collegiale anche della decisione sulla domanda risarcitoria da mala gestio, per ragioni di connessione, come puntualmente rilevato dal Pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte.

1.8. Infine, quanto ai rapporti tra i due giudizi in questione, è stato precisato che essi ben possono procedere in via autonoma e distinta, mancando una relazione di pregiudizialità logico-giuridica ex art. 295 c.p.c., sicché “l’eventuale sentenza di approvazione del rendiconto non preclude uno specifico ed autonomo accertamento da parte del giudice investito dell’azione di responsabilità” (Sez. 6-1 14/01/2016 n. 529); in altri termini, “l’approvazione del rendiconto non ha effetto preclusivo di detta azione, che ha la sua sede naturale, ma non esclusiva, nel giudizio di rendiconto” (Sez. 1, 08/09/2011 n. 18438).

1.9. Va da ultimo osservato che nella fattispecie concreta non si pongono i dubbi sollevati a seguito della riforma di cui al citato D.Lgs. n. 5 del 2006, che ha trasformato il giudizio di rendiconto dinanzi al tribunale da contenzioso a camerale, creando così una divaricazione di forme processuali rispetto al giudizio di cognizione ordinaria cui continua ad essere soggetto il giudizio di responsabilità a carico del curatore L. Fall. ex art. 38 (per quanto in ipotesi esso stesso trattabile nelle forme del procedimento sommario di cognizione introdotto con l’art. 702-bis c.p.c.), dubbi da risolvere anche tenendo conto del principio di celerità delle procedure concorsuali e di economia dei giudizi.

  1. Il secondo motivo di ricorso, anch’esso duplice, prospetta invece la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2697 c.c., artt. 113, 115 c.p.c. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

2.1. La censura è palesemente inammissibile, sia per le ragioni già esposte sub 1.2. quanto al vizio motivazionale, sia perché le prospettate violazioni di legge veicolano in realtà censure di merito che, in quanto volte ad ottenere una rivisitazione (e differente ricostruzione) delle risultanze istruttorie, non sono ammesse in sede di legittimità, spettando al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 19547 del 2017, n. 962 del 2015, n. 26860 del 2014). Anche l’error in iudicando per violazione dell’art. 115 c.p.c., non risulta correttamente prospettato poiché dagli atti non emerge alcuna violazione del principio dispositivo, mentre il principio del libero convincimento del giudice opera sul piano dell’apprezzamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 3, 12/10/2017 n. 23940).

  1. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile senza necessità di statuizione sulle spese, in mancanza di difese della parte intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2019

Cass_civ_Sez_I_Ord_ 05_03_2019_n_6377