In caso di domanda tardiva di ammissione al passivo, la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito
In caso di domanda tardiva di ammissione al passivo, la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito
Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 31186 del 03/12/2018
Con Sentenza del 3 dicembre 2018 la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di procedure concorsuali ha stabilito che in caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 101 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito. L’accertamento di fatto notoriamente sfugge al sindacato di legittimità, salvo che ne sia denunciata l’illogicità del profilo motivazionale, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. e nei limiti in cui tale vizio è ancora deducibile in cassazione.
Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 31186 del 03/12/2018
In caso di domanda tardiva di ammissione al passivo, la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso __ proposto da:
Curatela del Fallimento __ S.p.a., in persona dei curatori __, elettivamente domiciliata in __, presso lo studio dell’avv. __, rappresentata e difesa dall’avv. __, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di __, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in __, rappresentato e difeso dall’avv. __, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. __ del Tribunale di __, depositata il __;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Cons. Dott. __;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __ che ha concluso per l’accoglimento del motivo 1, in subordine 6 e 7;
udito, per la ricorrente, l’Avv. __ che ha chiesto l’accoglimento;
udito, per il controricorrente, l’Avv. __ che ha chiesto il rigetto.
Svolgimento del processo
Il comune di __, unico azionista di (OMISSIS) s.p.a., società di gestione del servizio di igiene ambientale in liquidazione e, poi, a far data dal __, in amministrazione straordinaria, deliberò di trasferire alla detta società il __ % del pacchetto azionario detenuto in A. s.p.a. e di conferirle due importanti immobili siti in __ e in __, oltre a un importo di oltre __ Euro destinato a ricapitalizzazione.
Nelle distinte delibere consiliari, l’operazione venne motivata con la sussistenza del preminente interesse pubblico al risanamento di __ e fu realizzata, per gli immobili, con atti notarili rispettivamente rogati il __ e il __ e, per le azioni, con girata del direttore generale del comune, previa delega sindacale, in data __.
Il tribunale di __, con decreto del __, dispose la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, donde il comune presentò domanda di insinuazione chiedendo la restituzione sia del titolo nominativo azionario sia degli immobili, sostenendo che il trasferimento e il conferimento fossero stati effettuati subordinatamente alla condizione risolutiva del mancato buon esito della prima procedura, e quindi all’effettivo risanamento della società a opera dei commissari straordinari. In via subordinata dedusse che in ogni caso le operazioni di trasferimento erano nulle per violazione del divieto di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 6, comma 19, conv. con modificazioni in L. n. 122 del 2010.
Il giudice delegato dichiarò inammissibile, perché ultratardiva, la domanda di restituzione delle azioni e rigettò quella di restituzione degli immobili.
Entrambe le domande sono state invece accolte dal tribunale di __ a seguito di opposizione allo stato passivo.
In particolare il tribunale ha ritenuto ammissibile anche la domanda avente a oggetto le azioni, poiché legittimata dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 71 e in ogni caso giustificata, nell’ottica della L. Fall. art. 101 u.c., dall’interesse alla proposizione, cronologicamente correlato alla chiusura dell’amministrazione straordinaria e alla conversione della stessa in fallimento, e rilevante ai fini della verifica della non imputabilità del ritardo. Da tanto ha dedotto che nessuna ragione poteva giustificare una diversa decisione in ordine all’ammissibilità della domanda in questione rispetto a quella relativa agli immobili, già ritenuta ammissibile dal giudice delegato.
Nel merito il tribunale ha ravvisato la fondatezza della pretesa sotto entrambi i profili:
(a) perché sia il trasferimento immobiliare che quello azionario, in base alle risultanze in atti (ivi comprese quelle desunte da annotazioni nelle scritture contabili di __, dovevano essere inquadrati come versamenti in conto futuro aumento di capitale, essendosi trattato di apporti funzionalmente collegati e risolutivamente condizionati al mancato aumento di capitale programmato nell’ottica del risanamento della società; aumento di capitale che avrebbe dovuto essere attuato entro un anno dalla chiusura dell’amministrazione straordinaria, e che, di contro, non vi era stato per il sopravvenuto fallimento;
(b) perché in ogni caso i trasferimenti predetti erano da intendersi affetti da nullità, per contrasto col divieto di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 6, comma 19, attesa l’insussistenza delle specifiche circostanze di deroga contemplate dalla norma.
Per la cassazione del decreto del tribunale di Palermo la curatela fallimentare ha proposto ricorso articolato in dieci motivi, illustrati da memoria.
Il comune ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
- – Coi primi due motivi la curatela censura la statuizione con la quale il tribunale ha ritenuto ammissibili le domande restitutorie nonostante fossero ultratardive. Al riguardo denunzia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 101, sotto due profili, tra loro subordinati.
1.1. – Il primo è legato alla circostanza che, ove anche condivisa sulla linea dell’interesse, da ricondurre alla conversione della procedura in fallimento, la tesi del tribunale sarebbe fallace per il fatto di non aver considerato che la conversione era stata disposta il 22-4-2013 e il termine L. Fall., ex art. 101, comma 1, era scaduto il 30-6-2013, decorsi diciotto mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (309-2011), mentre il ricorso del comune L. Fall., ex art. 93, era stato presentato dopo quasi un anno dalla scadenza di tale ultimo termine (il 133-2014).
1.2. – Il secondo è da associare al fatto che il comune, tenendo conto del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 53, circa la prosecuzione dell’accertamento del passivo, nell’amministrazione straordinaria, secondo il procedimento previsto dalla L. Fall., artt. 93 e segg., avrebbe potuto e dovuto semmai presentare una domanda di restituzione condizionata, ai sensi della L. Fall., art. 96; sicché non avendolo fatto nei termini di cui alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, esso si sarebbe dovuto considerare decaduto dalla possibilità di proporla.
- – Il primo motivo è inammissibile, poiché non coerente con la specifica ratio decidendi del decreto impugnato.
Il tribunale ha tenuto ferma la possibilità di proposizione di una domanda ultratardiva alle condizioni indicati giustappunto nella L. Fall., art. 101, u.c. e da questo punto di vista non è esatto affermare che non abbia considerato gli elementi specificati in ricorso.
Semplicemente va detto che insistere su quegli elementi non è produttivo in questa sede, poiché quel che rileva è che il tribunale ha dedotto dall’interesse del comune, ricostruito come coincidente con la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, la non imputabilità del ritardo nella proposizione della domanda restitutoria. Donde la ratto decidendi si rinviene in ciò: che la domanda era in effetti ultratardiva, ma che, non essendosi esaurite le ripartizioni dell’attivo fallimentare, essa era comunque ammissibile, essendo il ritardo dipeso da causa (la sopravvenuta conversione) non imputabile al comune.
Ora è del tutto pacifico che, in caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi della L. Fall., art. 101, u.c., la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito (v. per tutte Cass. n. 19017-17, Cass. n. 20696-13). E l’accertamento di fatto notoriamente sfugge al sindacato di legittimità, salvo che ne sia denunziata l’illogicità del profilo motivazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e nei limiti in cui tale vizio è ancora deducibile in cassazione.
Giusta o sbagliata che sia, la valutazione in fatto del giudice a quo in ordine alla non imputabilità del ritardo del comune non è stata censurata sul versante della congruità della motivazione. E dunque resta in questa sede intangibile.
- – Il secondo motivo è infondato.
La tesi sostenuta dalla ricorrente muove dalla premessa che, eliminata in tema di accertamento del passivo ogni distinzione tra le domande di insinuazione dei crediti e le domande di rivendica o di restituzione di beni, il comune avrebbe dovuto presentare una domanda di restituzione condizionata nei termini di cui alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, e non avendolo fatto si sarebbe dovuto considerare decaduto dalla possibilità di proporla in via tardiva.
L’assunto non può essere condiviso.
E’ risolutivo che, in sede di verificazione dello stato passivo, la domanda di rivendica non può essere oggetto di ammissione con riserva, tanto che quest’ultima, in quanto atipica ed estranea alle ipotesi tassativamente indicate dalla L. Fall., art. 95, anche qualora sia disposta dal giudice, andrebbe considerata come non apposta (v. per gli immobili, ma con principio estensibile a ogni categoria di bene, Cass. n. 20191-17).
- – Coi motivi dal terzo all’ottavo la curatela, in progressiva subordinazione, censura la decisione nella parte afferente il merito della pretesa, specificamente correlato alla qualificazione degli apporti del comune come versamenti in conto futuro aumento di capitale, sottoposti alla condizione risolutiva loro connaturata.
- – In particolare col terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il tribunale oltrepassato i limiti della domanda, che era stata associata all’ipotizzato mero insuccesso della procedura di amministrazione straordinaria e non anche alla qualificazione degli apporti nel senso suddetto.
Il motivo è manifestamente infondato.
5.1. – Quella concernente la qualificazione dell’apporto era (ed è) una questione giuridica, per quanto correlata ai fatti enunciati dal comune a fondamento della pretesa restitutoria. Era dunque suscettibile di essere esaminata d’ufficio dal giudice del merito, non implicando alcuno stravolgimento di quei fatti.
5.2. – La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati nella causa petendi, una qualificazione giuridica finanche diversa da quella prospettata dalle parti.
Il principio cioè non osta a che il giudice renda la pronuncia in base a una ricostruzione autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti stesse, purché limitata alla qualificazione giuridica dei fatti o, in genere, all’applicazione di norme di diritto, anche non specificamente invocate (cfr. Cass. n. 11289-18, Cass. n. 6757-11, Cass. n. 8479-02).
- – Col quarto mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1353 c.c., per avere il tribunale desunto dall’inquadramento giuridico sopra detto una condizione risolutiva implicita di fatto inesistente.
Posto il rilievo che l’ordinamento societario riconosce la legittimità di versamenti societatis causa non imputati a capitale che confluiscono nel patrimonio come componenti del netto, e che partecipano al rischio d’impresa, la curatela sostiene che il tribunale, affermando il diritto del comune alla restituzione degli apporti effettuati in favore di __ s.p.a., abbia frainteso la disciplina dei versamenti in conto futuro aumento di capitale, ritenendo a essi connaturata una condizione risolutiva. Tale condizione, invece, non si accompagnava (né in generale si accompagna) alla tipologia richiamata, tenuto conto dell’essere stata la finalizzazione degli apporti indicata (in modo tra l’altro impreciso, senza menzione di condizioni risolutive) in due soli atti pubblici aventi a oggetto il trasferimento immobiliare, e non anche nell’atto di trasferimento del titolo azionario, né nelle delibere del consiglio comunale relative all’approvazione del piano di risanamento di __. Nel contempo l’avveramento della condizione risolutiva sarebbe stato legato in concreto alla mancata realizzazione di una altrettanto inesistente condizione sospensiva di efficacia del preteso aumento di capitale, incentrata sulla compiuta realizzazione del risanamento della società. In verità, denunzia la ricorrente, gli apporti del comune erano di fatto stabilmente destinati al servizio dell’attività d’impresa e non soggetti al minimo rischio di restituzione, atteso che finanche dai bilanci di __ i corrispondenti valori erano stati iscritti in un apposito fondo di patrimonio netto, e non fra i debiti o in un fondo rischi.
6.1. – Il quarto motivo è inammissibile.
Il tribunale di __, previo riferimento alle fonti documentali di prova all’uopo ritenute essenziali, ha affermato che entrambi i trasferimenti, immobiliare e del titolo azionario, erano stati eseguiti in conto del (e destinati al) futuro aumento di capitale di __; aumento di capitale da attuarsi entro un anno dalla data di formale chiusura, per risanamento aziendale, della procedura di amministrazione straordinaria della società.
In tal senso il tribunale ha ricostruito la volontà delle parti anche tenendo conto delle risultanze delle scritture contabili di __, nella quali era stata attestata dagli stessi commissari una conforme finalizzazione dei trasferimenti al percorso di risanamento aziendale perseguito mediante l’amministrazione straordinaria.
Ora è questione di interpretazione della volontà delle parti stabilire a quale titolo e con quali condizioni un trasferimento o un versamento sia stato effettuato, se cioè, o meno, a titolo di definitivo apporto del socio al patrimonio di rischio dell’impresa collettiva; ed egualmente è questione di interpretazione della volontà stabilire se il trasferimento (o anche in genere il versamento) sia stato in qualche modo condizionato a un evento futuro e incerto, come può essere quello della mancata successiva deliberazione di aumento del capitale nominale della società entro un termine stabilito – nella prospettata situazione di risanamento aziendale e della conservazione del patrimonio produttivo attraverso la prosecuzione, riattivazione o riconversione dell’attività imprenditoriale (D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 1).
Ove l’accertamento della volontà porti ad affermare che il trasferimento o il conferimento sia stato destinato e condizionato nel senso suddetto è innegabile l’esistenza del diritto alla restituzione, anche durante la vita della società (cfr. in particolare Cass. n. 9209-01, Cass. n. 2314-96). Si tratta in questi casi di apporti destinati alla copertura anticipata di un determinato aumento di capitale non ancora deliberato, così da sostanziarsi in un’anticipazione della sottoscrizione del capitale destinata a perfezionarsi solo con la deliberazione societaria successiva. Il che giustappunto vuoi significare che il socio ha diritto alla restituzione dell’apporto, qualunque ne sia la forma, ove l’aumento programmato non sia poi deliberato.
L’apprezzamento in ordine alla volontà di eseguire un simile tipologia di apporto non è censurabile in cassazione, se non per violazione delle norme giuridiche che disciplinano l’interpretazione della volontà negoziale o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell’accertamento sorregge.
- – Col quinto motivo la curatela da questo punto di vista deduce, in subordine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., sostenendo che i suddetti apprezzamenti del giudice del merito sarebbero frutto di “una singolare interpretazione degli accordi sottoscritti inter partes”. Imputa invero al tribunale di aver valorizzato il solo (e peraltro a dire della ricorrente equivoco) tenore letterale degli atti pubblici relativi al trasferimento dei beni immobili e omesso, invece, di considerare il comportamento complessivo delle parti medesime, precedente e successivo alla stipula degli atti.
Segnatamente la curatela richiama, quale condotta precedente, la circostanza che le anteriori Delib. Consiglio Comunale n. 769 del 2009 e Delib. Consiglio Comunale n. 345 del 2010, relative all’approvazione del piano di risanamento di __ , non avevano fatto cenno a futuri aumenti di capitale, nè a possibili cause di restituzione degli apporti programmati. Richiama invece, quale condotta posteriore, la circostanza che i bilanci di __ successivi al perfezionamento dei trasferimenti, sebbene qualificando gli apporti come versamenti in conto futuro aumento di capitale, avevano recato l’iscrizione dei trasferimenti medesimi in un’apposita voce del patrimonio netto, e non fra i debiti o in un fondo rischi, come invece sarebbe stato doveroso se le medesime attribuzioni fossero state realmente soggette a un obbligo (o a un rischio) di restituzione.
7.1. – Anche il quinto motivo è inammissibile, poiché in generale tende al riesame del merito della valutazione operata dal tribunale.
In ogni caso il motivo è infondato.
La finalizzazione dei trasferimenti alla realizzazione del programma di risanamento della società in amministrazione straordinaria, e la qualificazione degli stessi come eseguiti in conto di un futuro aumento di capitale, è stata desunta dal tenore degli atti afferenti, appositamente evocati. Non è vero, invece, che il tribunale non abbia altrettanto considerato, in guisa della ricerca dell’intenzione delle parti, anche le Delib. consiliari allegate dalla ricorrente. Esattamente al contrario emerge, dalle pag. 3 e 4 della motivazione, che le dianzi citate delibere sono state esaminate previa sottolineatura che anche in queste era stato precisato che l’operazione sarebbe stata attuata per la sussistenza del preminente interesse pubblico di procedere al risanamento di (OMISSIS) nella prospettiva alternativa al fallimento (“nella prospettiva della revoca della procedura prefallimentare allora pendente”, quanto alla Delib. n. 769 del 2009; in quella “dell’ammissione di (OMISSIS) s.p.a. all’amministrazione straordinaria”, quanto alla Delib. n. 345 del 2010).
Consegue che quanto sostenuto prioritariamente dalla ricorrente non è esatto, e l’assunto alla base del motivo postula una critica al risultato dell’interpretazione in sé, più che una censura sul versante del criterio ermeneutico utilizzato.
7.2. – E’ poi da osservare che nell’ottica dell’art. 1362 c.c., non è decisiva l’appostazione nel bilancio di __ successiva al trasferimento.
I trasferimenti o in ogni caso i versamenti e gli apporti in conto capitale o in conto aumento di capitale, effettuati dai soci in favore della società, palesano una natura che dipende dalla ricostruzione della “comune intenzione” delle parti, e la relativa prova va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui si mostra diretto e dagli interessi a esso sottesi. Solo in subordine rileva la modalità di appostazione ricevuta in bilancio (v. di recente, per i versamenti in conto capitale ma con principio estensibile anche al caso di specie, Cass. n. 15035-18), poiché, in tema d’interpretazione del contratto, il comportamento tenuto dalle parti dopo la sua conclusione, cui attribuisce rilievo l’art. 1362 c.c., comma 2, è solo quello di cui siano stati partecipi entrambi i contraenti. Non può la comune intenzione degli stessi emergere dall’iniziativa unilaterale di uno di essi, eventualmente corrispondente a distinti personali disegni (cfr. Cass. n. 13535-12, Cass. n. 2901-07).
- – Col sesto mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 72, comma 6, essendo inefficaci tutte le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione di un contratto dal fallimento.
Il motivo è infondato.
Come chiaramente risulta dal provvedimento impugnato, e come d’altronde ha premesso la stessa curatela ricorrente, sia il trasferimento immobiliare che il trasferimento azionario erano stati nel concreto posti in essere dopo che __ s.p.a. era stata (il __) dichiarata insolvente, e dopo che era stata avviata la procedura di amministrazione straordinaria.
Proprio in ciò è da rinvenire la ragione escludente l’applicazione del principio dettato dalla L. Fall., art. 72, comma 6.
Ove anche tale norma si reputi astrattamente estensibile all’amministrazione straordinaria (per la quale ben vero la disciplina dei contratti ancora ineseguiti o non interamente eseguiti da entrambe le parti alla data di apertura è contenuta nella specifica previsione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50), vi è che essa non può applicarsi che ai rapporti sorti prima della dichiarazione dello stato di insolvenza.
Ove si tratti di rapporti sorti, come nella specie, dopo la suddetta declaratoria e dopo l’apertura della procedura concorsuale non viene (più) in questione la disciplina dei rapporti pendenti tra le parti (in bonis), ai quali l’art. 72, comma 6, necessariamente allude, sebbene il profilo della funzionalizzazione del contratto (o in generale dell’operazione) al buon esito della procedura stessa, in relazione alla possibile consecuzione tra le procedure concorsuali (D.Lgs. n. 279 del 1999, artt. 69 e 70).
- – Per analoga ragione è infondato anche il settimo motivo, col quale la curatela censura la decisione per violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 45.
La norma esprime il noto principio di indisponibilità dei beni acquisiti al fallimento, che deriva alla destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori (cd. cristallizzazione). E tuttavia richiamare tale norma a niente serve nel caso di specie, poiché qui non si discute di atti le cui formalità – necessarie a renderli opponibili – siano state compiute dopo il fallimento, sebbene – come sinteticamente (ma giustamente) osservato dal tribunale – di operazioni nel complesso realizzate in vista del buon esito della già avviata procedura concorsuale, con la prevista finalità conservative del patrimonio produttivo mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività d’impresa.
- – Con l’ottavo motivo la curatela denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2467 c.c., ponendo, per la prima volta in questa sede, la questione della ipotetica natura postergata del diritto vantato dal comune, ove anche ritenuto esistente.
Il comune di Palermo ha eccepito l’inammissibilità di questa censura perché nuova. Ma l’eccezione non possiede fondamento, in quanto si tratta, come la stessa difesa del comune peraltro riconosce, di una “nuova questione di diritto”, la quale, giustappunto perché di diritto, può essere per la prima volta prospettata dinanzi a questa Corte (e finanche rilevata d’ufficio nell’ottica del principio iura novit curia).
Il motivo è tuttavia infondato.
10.1. – La ricorrente compendia la sua tesi nella seguente alternativa: o si sostiene che il comune, con gli atti di trasferimento in esame, abbia definitivamente incrementato il patrimonio netto di __ s.p.a., e allora avrebbe errato il tribunale a disporre la restituzione dei beni, poiché questi erano entrati nella piena ed esclusiva disponibilità della società (poi fallita) al pari di tutti gli altri “mezzi propri”; oppure si sostiene che coi detti trasferimenti il comune abbia solo provvisoriamente aumentato le disponibilità patrimoniali della società, in vista del futuro aumento di capitale, e allora si dovrebbe affermare il necessario assoggettamento del socio alla disciplina della postergazione di cui all’art. 2467 c.c., mentre il tribunale ha disposto la restituzione immediata dei beni anzidetti al comune di Palermo.
Il ragionamento della ricorrente non può essere condiviso.
Il tribunale ha stabilito, con enunciazione presupponente un accertamento di fatto intangibile per le ragioni già esposte, che i trasferimenti di cui si tratta erano stati effettuati in conto di un programmato futuro aumento di capitale, da eseguirsi nell’ottica del risanamento di __ (già in amministrazione straordinaria), entro un anno dalla chiusura dell’amministrazione stessa. Ha specificamente ricostruito in tal senso la volontà delle parti, affermando che “si trattava di un conferimento risolutivamente condizionato al futuro aumento di capitale (..)” soggetto a quel termine.
Ne consegue che nessuna delle prefigurate alternative è rispondente ai fatti accertati, poiché il giudice del merito ha messo in luce che l’incremento non era stato effettuato in termini di finanziamento alla società ma come sottoscrizione anticipata dell’aumento di capitale.
10.2. – E’ opportuno considerare che qualunque trasferimento di beni o di denaro (ovvero qualunque versamento o dazione) è in sé indice soltanto dell’esistenza di un rapporto finanziario, ma non della ragione pratica (la causa) che ne è alla base. Se è vero che in astratto tali versamenti o dazioni possono a seconda dei casi assumere la natura di conferimenti a titolo di dotazione patrimoniale oppure di finanziamenti (a titolo di credito), la concreta natura dei medesimi postula – come in qualche modo s’è anticipato – un’indagine di fatto, ed è rimessa al giudice del merito.
Quel che in questa sede è possibile sottolineare è questo: che le erogazioni dei soci in conto futuro aumento di capitale (come anche quelle semplicemente in conto aumento di capitale), pur se normalmente tradotte in sostegno finanziario alla società, si caratterizzano per il fatto di non presupporre necessariamente un definitivo incremento del patrimonio sociale (come invece accade nel caso dei versamenti o dei contributi in conto capitale).
La pratica commerciale certamente conosce situazioni in cui tali erogazioni delineano la funzione di conferimenti anticipati – per esempio i versamenti eseguiti in occasione di un aumento di capitale “scindibile” (cioè destinato a essere mantenuto fermo qualunque risulti esserne l’ammontare definitivamente sottoscritto, anche se inferiore al limite massimo fino al quale era stato deliberato). Ma quella stessa pratica conosce pure situazioni opposte, in cui le erogazioni affluiscono al patrimonio netto della società solo dopo aver ricevuto una irreversibile imputazione al capitale sociale: per esempio, i versamenti eseguiti in funzione di un aumento non ancora deliberato, e quindi giustappunto futuro, oppure eseguiti in funzione di aumento “inscindibile”.
In questi casi, se l’aumento di capitale non venisse più deliberato, quanto meno entro un termine ragionevolmente prossimo, oppure non potesse essere attuato a causa della sua mancata integrale sottoscrizione, il soggetto erogante ha il diritto di richiedere alla società stessa la restituzione di quanto erogato.
In sostanza, come correttamente in dottrina è stato osservato, siffatte tipologie di erogazioni possono affluire al patrimonio netto della società percipiente solo una volta che abbiano ricevuto, a ogni effetto, una irreversibile imputazione al capitale sociale, a meno che il soggetto erogante non abbia inteso devolverle, con manifestazione inequivoca di volontà, al patrimonio sociale convertendole in contributi in conto capitale (o a fondo perduto, o a copertura perdite).
10.3. – Ora il punto è che, se l’erogazione è fatta in conto di un futuro aumento di capitale, si è dinanzi a un copertura anticipata di un aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato, ovvero – come pure si è detto – a un conferimento potenziale, che non diventa effettivo se non nel momento in cui vada a incardinarsi nel capitale sociale.
Assumendo la sottesa destinazione di scopo, la devoluzione alla società osta unicamente alla facoltà di chiederne la restituzione ad nutum. Non osta invece al diritto di ottenere la restituzione ove non si verifichi la specifica condizione di perfezionamento individuata all’atto dell’erogazione.
Il diritto alla restituzione in questi casi è ben ravvisabile come conseguenza del meccanismo risolutivo, secondo uno schema condizionale non dissimile a quello – nel distinto caso ovviamente ispirato a condizione sospensiva – che si ha ove il socio si sia obbligato nei confronti della società a sottoscrivere un determinato aumento di capitale prima che lo stesso sia formalmente deliberato dall’assemblea. Questa Corte ha invero ritenuto validamente assunta una simile obbligazione, considerandola subordinata alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze (v. Cass. n. 8876-06).
L’elemento differenziale è dunque nella concreta fattispecie correlato alla circostanza che non di obbligazione si discorre ma di dazione, eseguita a titolo di copertura anticipata dell’aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato; cosa che spiega il riferimento del giudice a quo alla condizione risolutiva.
E allora, se – come il tribunale ha accertato in fatto – le erogazioni in conto futuro aumento di capitale erano state risolutivamente condizionate alla deliberazione di aumento da assumere entro un certo termine, e se invece, poi, quell’aumento di capitale non era stato deliberato dall’assemblea, è corretto inferire l’insorgenza dell’obbligazione restitutoria in capo alla società percipiente.
Né incorre in errori di diritto il giudice del merito che valorizzi in tal senso elementi dichiarativi resi in occasione dell’erogazione o del trasferimento, onde stabilire che il socio si sia riservato il diritto alla restituzione per l’eventualità in cui la delibera di aumento del capitale sociale non risulti assunta entro la data prestabilita.
10.4. – L’assunto della curatela non può esser condiviso neppure sul versante alternativo della postergazione.
La disciplina dell’art. 2467 c.c., è certamente estensibile (a certe condizioni) anche alla società per azioni (cfr. Cass. n. 16291-18, Cass. n. 14056-15), ma occorre pur sempre che si sia dinanzi a una dazione a titolo di credito, alla quale associare l’obbligo di rimborso, per quanto effettuata “in qualsiasi forma”.
L’espressione “in qualsiasi forma”, che compare nell’art. 2467, non esclude cioè che si debba essere sempre al cospetto di un finanziamento, seppure anomalo perché effettuato dal socio in situazione tale da imporre, invece, un conferimento. La ratio della norma pacificamente consiste nel contrastare giustappunto in tal modo i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale delle società (“chiuse”).
Se ne desume che i versamenti o i trasferimenti eseguiti in conto di un futuro aumento di capitale non possono rimanere attratti dal principio in nome della mera circostanza della provvisorietà dell’apporto. La provvisorietà in questi casi consegue al mancato perfezionamento della fattispecie in funzione della quale l’erogazione è fatta, non alla causa del credito. E questa Corte ha già affermato che i versamenti fatti in conto di un futuro aumento di capitale hanno una causa che, di norma, è appunto diversa da quella del finanziamento (o del mutuo) ed è assimilabile invece a quella di capitale di rischio – anche se ciò non esclude, ovviamente, che tra la società ed i soci possa essere convenuta l’erogazione di un capitale di credito e che, quindi, i soci possano effettuare versamenti in favore della società pure a titolo di finanziamento.
Quel che rileva è che (ancora una volta) lo stabilire in concreto la natura di un versamento o di una dazione è questione di interpretazione, da svolgersi in base agli elementi di fatto (v. Cass. n. 21563-08). Come tale, essa è istituzionalmente riservata al giudice del merito ed è sindacabile in cassazione solo sul versante (qui non denunciato) del vizio di motivazione.
10.5. – Merita di essere puntualizzato che non si intende negare ovviamente che, nella pratica, possano verificarsi commistioni tra le fattispecie, e in queste eventualità certamente la provvisorietà della dazione potrebbe rilevare ai fini di cui all’art. 2467 c.c.
Questa (astratta) possibilità tuttavia non è declinabile come un fatto dirimente di per sé.
La provvisorietà potrebbe essere valorizzata, ai fini della postergazione, solo in nome del positivo riscontro di una funzione oggettiva della dazione diversa da quella apparente, alla quale funzione oggettiva correlare il diritto alla restituzione. E tanto supporrebbe allegata – e poi dimostrata – una sorta di simulazione, vale a dire che la ragion pratica della dazione sia stata in effetti e giustappunto quella del finanziamento: per esempio, per evidenze probatorie attestanti l’implausibilità originaria dell’ipotesi di prospettato aumento di capitale.
Salvo ciò, una funzione oggettiva di credito è da escludere dinanzi a versamenti (o a trasferimenti) in conto di un futuro aumento di capitale, visto che essi, ove l’aumento intervenga, vanno a confluire automaticamente in esso, mentre ove non intervenga vanno sì restituiti, ma non perché eseguiti a titolo di finanziamento, sebbene semplicemente perché la fattispecie in effetti programmata – l’aumento di capitale – non si è perfezionata.
Nel caso di specie è risolutivo osservare che dinanzi al giudice del merito una divaricazione del tipo di quella dianzi detta non risulta che sia stata neppure ipotizzata dalla curatela del fallimento, né risulta che sia mai stata in qualche modo allegata – come all’inizio si diceva – la conseguente soggezione a postergazione del diritto azionato dal comune di __.
- – Le considerazioni esposte comportano il rigetto del ricorso.
Restano invero assorbiti il nono e il decimo motivo, rispettivamente tesi a denunziare la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 6, comma 19, conv. con modificazioni in L. n. 122 del 2010 e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 c.c. e segg..
L’assorbimento deriva dal fatto che tali ulteriori mezzi servono a contrastare la seconda ratio decidendi in base alla quale il tribunale ha accolto l’opposizione del comunque di Palermo: ratio incentrata sul rilievo che i trasferimenti in questione, immobiliari e mobiliari, erano da considerare in ogni caso nulli poiché posti in essere in violazione del divieto dettato dalla norma speciale, attesa la non ravvisabilità (a dire del giudice a quo) di eccezioni all’afferente principio.
E’ evidente che allo scrutinio di tali motivi la ricorrente non ha interesse poiché le censure non potrebbero comunque condurre alla cassazione della decisione, stante il consolidamento della prima ratio rivelatasi esatta (cfr. ex multis Cass. n. 2108-12, Cass. Sez. U n. 7931-13).
- – L’intrinseca difficoltà della questione di diritto agitata in causa e l’inesistenza di specifici precedenti di questa Corte con riguardo al tema implicato dall’ottavo motivo inducono a compensare le spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018