In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente del leasing finanziario avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare
Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 18543 del 10/07/2019
Con sentenza del 10 luglio 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della L. 124/2017, sono regolati dall’art. 72-quater della L.F., applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore. In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. La vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Sulla base del valore di mercato del bene sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore dei beni ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati fante-fallimento e ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione.
Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 18543 del 10/07/2019
In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente del leasing finanziario avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. __ r.g. proposto da:
U. S.p.A., (cod. fisc. (OMISSIS)) quale mandataria di L. S.p.A. – ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione – controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA depositato in data __;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso chiedendo accogliersi il terzo motivo con assorbimento degli altri.
Svolgimento del processo
- U. S.p.A., quale mandataria di L. S.p.A., ricorre per cassazione, affidandosi a cinque motivi, avverso il decreto del Tribunale di Torre Annunziata del __, reiettivo dell’opposizione L.F., ex art. 98 da essa spiegata avverso la mancata ammissione al passivo del fallimento della (OMISSIS). s.r.l. in liquidazione della somma di Euro __ (di cui Euro __ per canoni scaduti e non pagati; Euro __ per interessi di mora contrattualmente dovuti; Euro __, oltre I.V.A., per capitale residuo), invocata in virtù del contratto di leasing finanziario intercorso con la menzionata società in bonis, in qualità di utilizzatrice, e risolto, per inadempimento di quest’ultima, anteriormente al suo fallimento. Resiste con controricorso la curatela fallimentare.
1.1. Per quanto qui ancora di interesse, il giudice a quo, muovendo dal duplice pacifico presupposto dell’avvenuta risoluzione, anteriormente al dichiarato fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, del suddetto contratto di leasing e della già avvenuta restituzione del bene che ne costituiva l’oggetto, ha: i) ritenuto inutilizzabile, nella specie, la L.F., art. 72-quater; ii) qualificato quel contratto come leasing cd. traslativo; iii) considerato applicabile l’art. 1526 c.c., alla stregua della cui disciplina ha opinato per la non ammissibilità al passivo del credito così come domandato dalla opponente, non riferito ad un equo indennizzo né ad una indennità di risoluzione.
Motivi della decisione
1 I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L.F., artt. 98 e 99, art. 112 c.p.c.”. Si ascrive al tribunale campano di aver posto a fondamento della propria decisione questioni mai dedotte dalla curatela innanzi al giudice delegato, ma dalla stessa sollevate, per la prima volta, solo costituendosi nel giudizio di opposizione;
II) “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 101 c.p.c., comma 2”. Si censura il decreto impugnato perché, anche a volersi ammettere la possibilità di decidere in base a questioni nuove, sarebbe stato preciso dovere del tribunale, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, sottoporre le stesse al contraddittorio delle parti, al fine di consentire all’opponente un’adeguata esplicazione del proprio diritto di difesa;
III) “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1526 c.c. e L.F., art. 72-quater”, per essere stata illegittimamente esclusa, nella specie, l’applicabilità dalla L.F., art. 72-quater;
IV) “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1526 e 1458 c.c.”. Si lamenta, ove anche l’adita Corte ritenesse inutilizzabile, nell’odierna fattispecie, la L.F., art. 72-quater, l’avvenuta applicazione, da parte del menzionato tribunale, della disciplina di cui all’art. 1526 c.c. in luogo di quella ex art. 1458 c.c.;
V) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1526 c.c.”. Si assume che, pure volendosi ritenere applicabile, in via analogica, il disposto dell’art. 1526 c.c., il decreto impugnato si rivelerebbe contrario a quanto ivi sancito nella misura in cui aveva omesso di considerare la disciplina pattizia stabilita dalle parti, con l’art. 21 delle relative condizioni generali di contratto, al fine di individuare la regolamentazione concretamente applicabile al rapporto tra esse intercorso per l’ipotesi di sua risoluzione.
2. Va, pregiudizialmente, osservato, quanto all’eccezione sollevata dalla curatela in ordine alla pretesa inammissibilità dell’avverso ricorso, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per omessa specifica indicazione degli atti processuali o dei documenti su cui questo si fonda, che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, la verifica dell’osservanza di quanto prescritto dalla citata norma deve compiersi con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione e la mancata specifica indicazione (ed allegazione) dei documenti sui quali ciascuno di essi, eventualmente, si fondi può comportarne la declaratoria di inammissibilità solo quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da relativo fondamento, e cioè quando, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonché la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili. Di conseguenza, deve escludersi che il ricorso possa essere dichiarato in toto inammissibile ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass., SU, n. 16887 del 2013).
2.1. Ad avviso del Collegio, almeno limitatamente ai primi tre formulati motivi, che pongono, i primi due, questioni squisitamente attinenti al modus procedendi del tribunale a quo, e, il terzo, il tema dell’applicabilità, o meno, al contratto intercorso tra le parti, pacificamente qualificato come leasing cd. traslativo, dell’art. 72-quater L.F., non sussiste l’inammissibilità suddetta, essendo la Corte in condizioni di decidere affatto agevolmente alla stregua di quanto chiaramente desumibile dal solo contenuto del provvedimento impugnato e delle argomentazioni esposte in ricorso.
3 Venendo, dunque, all’esame dei motivi di quest’ultimo, il primo di essi è infondato, avendo la giurisprudenza di legittimità da tempo chiarito che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, non opera, malgrado la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (cfr., ex multis, Cass. n. 19003 del 2017; Cass. n. 8929 del 2012).
4 Il secondo motivo è infondato, posto che, come emerge dalla semplice lettura del decreto impugnato (cfr. pag. 1-2), la curatela, costituendosi nel giudizio L.F., ex art. 98, contestò l’avversa richiesta di ammissione, chiedendone il rigetto, ”…sul presupposto che il contratto di leasing posto a fondamento dell’asserito credito era stato risolto anteriormente alla dichiarazione di fallimento della società…((OMISSIS). s.r.l. in liquidazione. Ndr)”. Pertanto, le corrispondenti questioni e quella, ad essa evidentemente collegata, della disciplina nella specie applicabile, lungi dall’essere state rilevate di ufficio dal giudice a quo, costituivano oggetto del contraddittorio insorto tra le parti.
5 Il terzo motivo è, invece, fondato.
5.1. Il tribunale, muovendo dal duplice pacifico presupposto dell’avvenuta risoluzione, anteriormente al dichiarato fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, del contratto di leasing finanziario intercorso tra le parti e della già avvenuta restituzione del bene che ne costituiva l’oggetto, ha, come si è già anticipato: i) ritenuto inutilizzabile, nella specie, la L.F., art. 72-quater; ii) qualificato quel contratto come leasing cd. traslativo; iii) considerato applicabile l’art. 1526 c.c. alla stregua della cui disciplina ha opinato per la non ammissibilità al passivo del credito di Euro __ (di cui Euro __ per canoni scaduti e non pagati; Euro __ per interessi di mora contrattualmente dovuti; Euro __, oltre I.V.A., per capitale residuo) così come domandato dalla opponente, non riferito ad un equo indennizzo né ad una indennità di risoluzione.
5.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che occorre innanzitutto interrogarsi circa l’applicabilità, al caso di specie, dello ius superveniens costituito dalla disciplina del contratto di leasing contenuta dalla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, e ciò sotto due profili: a) l’applicabilità diretta della nuova disciplina, che regola in modo specifico la risoluzione negoziale per inadempimento dell’utilizzatore, al contratto per cui è causa, seppure concluso e risolto in data anteriore all’entrata in vigore della novella, in quanto non sarebbero del tutto esauriti gli effetti derivanti dal fatto generatore (risoluzione del contratto); b) l’applicabilità in via analogica della novella e dei suoi principi ispiratori alla fattispecie in esame, in assenza di una disciplina legislativa che regoli i contratti di leasing pregressi.
5.3. Ritiene il Collegio, in piena adesione a quanto già recentemente sancito da Cass. n. 8980 del 2019, che vada senz’altro preferita tale seconda opzione, fondata sulla generale portata della novella ai fini dell’interpretazione sistematica, pure in assenza di una diretta applicabilità della stessa.
5.3.1. Già questa Sezione, con la recente pronuncia n. 8503 del 2018, aveva segnalato una possibile interferenza, nel dibattito sulla portata della L.F., art. 72-quater e sulla natura del leasing finanziario, della L. 124/2017. In tale occasione, tuttavia, la questione non era stata approfondita perché estranea alla materia del contendere.
5.3.2. La legge predetta, come è noto, ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione unitaria del contratto di leasing finanziario, senza recepire la tradizionale distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing di godimento e leasing traslativo, disciplinando, altresì, presupposti ed effetti della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore. Prima di tale tipizzazione, invero, non esistevano una definizione ed una disciplina di portata generale del contratto di leasing finanziario: non si pone, dunque, in relazione a tale fattispecie negoziale, un problema di successione, in senso stretto, di leggi nel tempo. Si tratta, piuttosto, di stabilire se, ed in che misura, il paradigma normativo ed i principi recati dalla novella legislativa possano trovare ingresso, pur in assenza di una loro diretta applicabilità, nel presente giudizio.
5.3.3. Conviene premettere che, come questa Corte ha ripetutamente affermato, i principi della rilevabilità, anche d’ufficio, dello ius superveniens e della sua applicabilità nei giudizi in corso non operano indiscriminatamente ma devono essere coordinati con quelli che regolano l’onere dell’impugnazione e le relative preclusioni, con la conseguenza che la loro utilizzabilità trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazione alle questioni su cui avrebbe dovuto incidere (a vario titolo) la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punti (cfr. Cass. n. 6101 2014, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 8980 del 2019).
5.3.3.1. In particolare, nel giudizio di legittimità, la rilevanza dello ius superveniens presuppone che la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per Cassazione – e, segnatamente, quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c., regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni afferenti ad un profilo che non sia stato investito, pure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano, quindi, una questione non sottoposta al giudice di legittimità (cfr. Cass. n. 19617 del 2018).
5.3.3.2. Nel caso di specie, la novella incide direttamente sugli effetti della risoluzione del contrato di leasing e sulla disciplina applicabile, questione proposta dalla ricorrente proprio con il motivo che si sta scrutinando.
5.3.3.3. La censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in particolare, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove applicabili al rapporto dedotto, atteso che il giudizio di legittimità non ha ad oggetto l’operato del giudice, ma la (perdurante) conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (cfr. Cass., SU., n. 21691 del 2016).
5.3.3.4. Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, occorre verificare, in assenza di giudicato interno sul punto, se la statuizione del provvedimento impugnato che ha affermato l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. sia conforme all’ordinamento giuridico anche alla luce delle disposizioni emanate successivamente alla pubblicazione del provvedimento impugnato e dei principi da esse introdotti.
5.4. Conviene premettere che il contratto in esame deve senz’altro qualificarsi come leasing finanziario (o locazione finanziaria), – non essendo stata fatta oggetto di specifica censura la corrispondente affermazione del tribunale oplontino – che va tenuto distinto dal c.d. leasing operativo, fattispecie che ricorre quando è lo stesso produttore a concedere verso corrispettivo in godimento il bene per un periodo tendenzialmente inferiore alla vita economica del bene, estranea al presente giudizio.
5.4.1. Occorre partire dalla considerazione che, come già evidenziato, fino all’emanazione della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non esisteva nel nostro ordinamento una disciplina organica del contratto di leasing o locazione finanziaria, benché esso fosse oggetto di numerose disposizioni legislative settoriali, a partire dalla L. 183/1976, art. 17 (relativa all’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980). Da ciò la conclusione che, fino alla recente novella, il leasing dovesse qualificarsi come contratto atipico o innominato.
5.4.2. In assenza di una disciplina organica del leasing, come è noto, a partire dalle sentenze della Cassazione n. 5570, 5572 e 5573 del 13 dicembre 1989, confermate con quella delle Sezioni Unite n. 65 del 1993, si è affermato in giurisprudenza un orientamento fondato sulla distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, quest’ultimo relativo a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, ed i cui canoni scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale).
5.4.2.1. Si è, inoltre, consolidato l’indirizzo interpretativo secondo cui, nel leasing traslativo, la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in materia di risoluzione del contratto, ha carattere inderogabile, trattandosi di norma imperativa con valore di principio generale di tutela di interessi omogenei e strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti (cfr. Cass. 19732 del 2011).
5.5. Pure a seguito dell’introduzione nell’ordinamento (tramite il D.Lgs. 5/2006, art. 59) della L.F., art. 72-quater, che ha dettato un’unica disciplina per la locazione finanziaria, valevole sia per il leasing di godimento che per quello traslativo (cfr. Cass. n. 4862 del 2010), questa Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi superata la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (cfr. Cass. n. 8687 del 2015; Cass. n. 2538 del 2016), affermando che la disposizione dell’art. 72-quater si applicava ad una situazione particolare (scelta del curatore di sciogliersi dal contratto pendente alla data di fallimento) e la sua disciplina non aveva incidenza al di fuori della materia fallimentare e dei rapporti giuridici pendenti.
5.5.1. La disciplina della L.F., art. 72-quater, tuttavia, ha una particolare rilevanza sul piano sistematico, in quanto, nonostante sia stata emanata successivamente all’affermarsi dell’indirizzo giurisprudenziale fondato sulla bipartizione del leasing finanziario in due fattispecie negoziali distinte e riferibili a due diversi tipi contrattuali, riconduce ad unità tale contratto. Il leasing viene specificamente distinto dalla vendita con riserva di proprietà (il cui scioglimento è disciplinato dal successivo art. 73, mediante rinvio alla disciplina dell’art. 1526 c.c.), valorizzandone la causa di finanziamento, peraltro già desumibile dalla previsione degli artt. 1 e 106 del TUB, i quali riservano alle banche ed agli altri intermediari finanziari la posizione di concedente nelle operazioni di locazione finanziaria.
5.6. Successivamente, la L. 208/2015 (legge di stabilità del 2016) ha introdotto nell’ordinamento la figura del leasing immobiliare abitativo (che contempla una serie di agevolazioni fiscali e di garanzie dirette a favorire l’utilizzo del leasing per l’acquisizione dell’abitazione principale) prevedendo, anche in tal caso, un’unica figura negoziale, caratterizzata dalla finalità di finanziamento. Pure in questa ipotesi, peraltro, si tratta di una figura particolare, che ha specifici presupposti ed un particolare ambito applicativo.
5.7. Da ultimo, però, come sopra evidenziato, la L. 124/2017, all’art. 1, ha introdotto una definizione del leasing finanziario ed ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale.
5.8. La nuova normativa ha, dunque, tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia ed in particolare alla disciplina prevista dalla L.F., art. 72-quater. Il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha, pertanto, disatteso il tradizionale indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge.
5.9. In tale prospettiva, la nuova normativa si pone in linea di diretta continuità con la previsione della L.F., art. 72-quater e con la particolare disciplina dello scioglimento del contratto di leasing, che, come già riferito, è ivi delineata secondo un paradigma unitario.
5.9.1. Da ciò consegue l’applicabilità alla fattispecie in esame, in via analogica, della disciplina dettata dalla L.F., art. 72-quater, in conformità ad un indirizzo interpretativo solo recentemente fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 8980 del 2019), benché da tempo affermato da larga parte della giurisprudenza di merito.
5.9.2. Tale norma, pur dettata in relazione all’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo ritenersi definitivamente superato il ricorso in via analogica alla disciplina recata dall’art. 1526 c.c. (cfr. Cass. n. 12552 del 2019).
5.10. Non si tratta, quindi, di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla L. 124/ 2017, ma di fare concreta applicazione della cd. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi ora per allora, ma all’attualità. Ciò, a maggior ragione, quando, come nel caso di specie, l’ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo tipo negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nel nostro caso locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica la quale, benché riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è quello proprio del formante giurisprudenziale. Tale indirizzo è, allora, destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite.
5.11. Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno, così, essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L.F., art. 72-quater, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti. La disciplina della L. 124/2017 ed il procedimento di realizzazione sul bene ivi regolato consentono di superare i dubbi interpretativi sorti in ordine al trattamento, in ambito concorsuale, del credito del concedente all’esito della risoluzione negoziale per inadempimento dell’utilizzatore.
5.11.1. Come già rilevato nella pronuncia n. 15701 del 2011 di questa Corte, l’applicazione della disciplina della L.F., art. 72-quater anche al caso di risoluzione del contratto verificatasi prima della dichiarazione di fallimento implica che, pure in questo caso, il concedente dovrà evidentemente insinuarsi al passivo fallimentare per poter allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato.
5.11.2. Alla stregua di quanto previsto per i crediti pignoratizi e per quelli garantiti da privilegio speciale L.F., ex art. 53, la vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Sulla base del valore di mercato del bene sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, corrispondente all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data di fallimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale (in coerenza con la previsione della L.F., art. 55), oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione; eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto.
5.11.3. Alla luce della chiara indicazione della novella, del tutto coerente con l’indirizzo già sostenuto dalla citata pronuncia n. 15701 del 2011 di questa Corte, va dunque esclusa, in quanto del tutto superflua, l’insinuazione in via tardiva della differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e la minore somma ricavata, pure affermato da un precedente arresto di questa Corte (cfr. Cass. 21213 del 2017) o l’ammissione di detto credito con riserva.
5.12. Anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato nella G.U. del 14 febbraio 2019), all’art. 177, detta una disciplina della locazione finanziaria pienamente coerente con la disciplina della L.F., art. 72-quater e della L. 124/2017, prevedendo che nella liquidazione giudiziale del patrimonio dell’utilizzatore, in caso di scioglimento del contatto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela fallimentare l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita a valori di mercato, dedotta una somma pari all’ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto.
5.12.1. La medesima disposizione, al comma 2, prevede che il concedente ha diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal giudice delegato. Viene dunque espressamente prevista la stima del giudice delegato quale necessario presidio per determinare il valore di mercato del bene, già desumibile dall’attuale sistema della L.F., seppure non esplicitata nella disposizione della L.F., art. 72-quater.
5.12.2. Anche la nuova regolazione della crisi d’impresa, che nonostante la (ampia) vacatio legis, fa ormai parte dell’ordinamento, conferma, dunque, la scelta del legislatore, che ha trovato costante espressione in tutti i più recenti interventi in materia, univocamente ispirati alla configurazione unitaria del leasing finanziario e della previsione di una disciplina sostanzialmente omogenea della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e dello scioglimento (per scelta del curatore) di quello che è ormai, a tutti gli effetti, un contratto tipico.
5.13. Deve, allora, ribadirsi, il medesimo principio di diritto recentemente affermato da Cass. n. 8980 del 2019: “Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della L. 124/2017 (art. 1, commi 136-140), sono regolati dalla disciplina della L.F., art. 72-quater, applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore. In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. La vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito mediante la stima su menzionata, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione. Eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto”.
6 Il quarto ed il quinto motivo, infine, devono considerarsi evidentemente assorbiti, attese le considerazioni che hanno condotto all’accoglimento della precedente censura.
7 Pertanto, respinti i primi due motivi ed assorbiti il quarto ed il quinto, il ricorso va accolto limitatamente al terzo motivo, con rinvio al Tribunale di Torre Annunziata, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame alla stregua dell’enunciato principio e la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, ne accoglie il terzo e ne dichiara assorbiti il quarto ed il quinto. Cassa il decreto impugnato, e rinvia al Tribunale di Torre Annunziata, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame alla stregua dell’enunciato principio e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019
Cass_civ_Sez_I_10_07_2019_n_18543
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