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In caso di opposizione all’ingiunzione di pagamento europea si applica l’art. 650 c.p.c.

In caso di opposizione all’ingiunzione di pagamento europea si applica l’art. 650 c.p.c.

Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 7075 del 20/03/2017

Con Ordinanza del 20 marzo 2017 la Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, in tema di ingiunzione di pagamento europea, ha stabilito che, il termine per la proposizione del riesame, nei casi di cui all’art. 20, comma 1, del Reg. CE n. 1896 del 2006, si identifica in quelli desumibili dall’art. 650 c.p.c., quale disposizione che disciplina il relativo procedimento in Italia, sicché esso va individuato nel termine previsto dall’ordinamento italiano per l’opposizione tempestiva a decreto ingiuntivo, qualora non sia iniziata l’esecuzione, ovvero, quale termine finale, in quello di cui al terzo comma del cit. art. 650, quando l’esecuzione sia iniziata.


Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 7075 del 20/03/2017

In caso di opposizione all’ingiunzione di pagamento europea si applica l’art. 650 c.p.c.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Primo Presidente f.f. –

Dott. __ – Presidente di Sez. –

Dott. __ – Presidente di Sez. –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __- rel. Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __proposto da:

F. GMBH, rappresentata e difesa dall’avv. __ per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M., rappresentato e difeso dall’avv. __, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il  __;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  __ dal Consigliere Dott. __;

uditi gli avvocati  __ ed  __;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott __, che ha concluso per il rigetto del ricorso, in subordine rilievo delle questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia.

Svolgimento del processo

  1. F. GmbH ha proposto ricorso per cassazione contro M. avverso la sentenza del __, con la quale la Corte d’Appello di Trieste ha rigettato il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Udine del __.

Con quella sentenza era stata dichiarata inammissibile la richiesta di riesame, proposta da essa ricorrente ai sensi dell’art. 20 del Regolamento CE n. 1896 del 2006, con riferimento all’ingiunzione di pagamento Europea (in prosieguo: IPE), richiesta al Tribunale di Udine dal M. ed ottenuta il  __  per l’importo complessivo di Euro  __. Somma asseritamente dovuta dalla ricorrente, quale corrispettivo per una prestazione d’opera professionale, consistita nella progettazione relativa alla costruzione di un edificio realizzato nella Repubblica Federale Austriaca e precisamente in (OMISSIS).

  1. Come ragioni giustificative della richiesta di riesame la F. GmbH aveva dedotto la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo per la mancata individuazione della sede legale della convenuta e per non essere stata rispettata la disciplina relativa alla notificazione all’estero dell’IPE, la nullità e/o inesistenza della notificazione sotto altri profili, ed inoltre il difetto di giurisdizione del giudice italiano sotto vari profili.
  2. Il Tribunale di Udine, nella costituzione del M., dichiarava inammissibile la richiesta di riesame, reputandola tardiva. Tanto perché alla sua proposizione trovava applicazione l’art. 650 c.p.c. ed essa risultava introdotta oltre il termine previsto da tale norma.
  3. La Corte territoriale, nella sentenza impugnata, ha ribadito la valutazione di inammissibilità del riesame per tardività, condividendo la tesi dell’applicabilità di quel termine.
  4. Al ricorso per cassazione, che è affidato a sei motivi, il quinto dei quali inerisce a difetto di giurisdizione del giudice italiano, ha resistito con controricorso l’intimato.
  5. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame dell’eccezione relativa alla nullità della notifica per mancata individuazione della sede legale di F. GmbH”.

Vi si lamenta che la sentenza impugnata avrebbe omesso qualsiasi decisione sulla questione, relativa all’essere stata la notificazione dell’IPE effettuata presso un indirizzo non corrispondente alla sede legale della società ricorrente, e vi si assume espressamente di voler riproporre la questione.

1.2. Il secondo motivo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame dell’eccezione relativa alla nullità della notifica per mancato rispetto della disciplina sulla notifica all’estero – mancata traduzione dell’atto”, dolendosi – pur con espressa affermazione che la questione sarebbe stata ritenuta assorbita – che la sentenza impugnata nulla abbia detto sulla nullità della notificazione dell’IPE, in quanto avvenuta in lingua italiana.

1.3. Il terzo motivo, anch’esso parametrato all’art. 360 c.p.c., n. 5, fa valere “omesso esame dell’eccezione relativa alla inesistenza/nullità della notifica per carenza e/o deficienza della relazione di notifica” e nuovamente dichiara di voler riproporre tale questione, che viene prospettata adducendo che la relazione di notificazione non sarebbe stata tradotta in lingua tedesca ed avrebbe presentato deficienze, avendo identificato l’atto solo come “ricorso per emissione di decreto ingiuntivo Europeo”.

1.4. Nel quarto motivo, dedotto in via subordinata rispetto ai precedenti, pur dichiarandosi espressamente che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul punto per avere ritenuto decisiva la questione della tardività della richiesta di riesame, si prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle norme sulla notificazione dell’IPE, di cui agli artt. 13 e 14 e ss. del Regolamento CE n. 1896 del 2006, in quanto discendente dai fatti di cui nei motivi precedenti si è lamentato l’omesso esame.

1.5. Il quinto motivo deduce testualmente, ai sensi del n. 1 dell’art. 360 c.p.c., “difetto di giurisdizione – legge austriaca applicabile – prescrizione”, ma non vi si sostiene alcunché in punto di prescrizione, bensì vi si argomentano ragioni che, a dire della ricorrente, escludevano che l’IPE potesse essere emessa dal giudice italiano alla stregua del Regolamento CE del Consiglio n. 44 del 2001 e in base alla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, in quanto richiamata dalla L. n. 218 del 1995, art. 57.

1.6. Con il sesto motivo, in fine, si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del Regolamento CE n. 1896/2006 in relazione all’art. 650 c.p.c.” e questa volta si impugna l’effettiva ratio decidendi della sentenza della corte triestina, svolgendo la tesi che non doveva applicarsi il termine di cui all’art. 650 c.p.c..

  1. I primi cinque motivi sono inammissibili, in quanto pongono questioni sulle quali la Corte territoriale non ha deciso, avendo ritenuto di condividere la decisione di primo grado riguardo al punto preliminare dell’inammissibilità della richiesta di riesame per la tardività della sua proposizione.

Ciò, ha comportato, come del resto afferma la stessa sentenza impugnata (e come, peraltro, la stessa ricorrente dice nell’illustrare il secondo ed il quarto motivo), il loro assorbimento.

La decisione su dette questioni sarebbe stata possibile solo se il giudice d’appello avesse accolto l’appello ed avesse ritenuto ammissibile la richiesta di riesame.

Tanto vale anche riguardo al quinto motivo, che pone la questione di giurisdizione e che ha giustificato la rimessione del ricorso all’esame delle Sezioni Unite, giacché quella questione era stata dedotta come ragione di ingiustizia dell’IPE e come tale sarebbe stata scrutinabile solo se la richiesta di riesame fosse stata ammissibile.

2.1. Peraltro, con specifico riferimento al quinto motivo, si deve rilevare che, quando pure in questa sede si dovesse reputare erronea la valutazione di inammissibilità della richiesta di riesame, assumerebbe rilievo il fatto che l’ipotetica circostanza che l’IPE sia stata emessa da un giudice carente di giurisdizione non rappresenterebbe – come ha ritenuto, di recente, questa Corte (Cass., Sez. Un. n. 10799 del 2015) una ragione deducibile con la richiesta di riesame ed in particolare (non essendo nemmeno astrattamente riconducibile al paradigma del comma 1 dell’art. 20 del Regolamento) ai sensi del comma 2 di tale norma.

  1. L’unico motivo di ricorso esaminabile è, dunque, il sesto ed è infondato, in quanto è da ritenere corretta la tesi, che entrambi i giudici di merito hanno fatto propria, cioè quella che la richiesta di riesame ai sensi dell’art. 20 del Regolamento n. 1896 del 2006, nel caso di specie, dovesse ritenersi soggetta al termine di cui all’art. 650 c.p.c., nella specie non rispettato.

Questa tesi è stata sostenuta dalla corte territoriale muovendo dalla premessa che il regolamento comunitario, con il suo art. 20, ammette il riesame “in casi eccezionali” e purché la parte “agisca tempestivamente”, ma non prevede un termine, a differenza di quello di trenta giorni, indicato dall’art. 16, comma 2, per l’opposizione, per così dire, “ordinaria” all’ingiunzione, il quale, del resto, secondo la corte giuliana non potrebbe ritenersi applicabile al riesame, perché una simile conclusione sarebbe impedita dal principio per cui ubi lex voluit dixit.

Sulla base di tale premessa, la corte giuliana: a) ha rilevato che “nel dubbio, per fornire una soluzione che dia certezza del diritto, non può che ricorrersi all’art. 26 del regolamento, secondo il quale “tutte le questioni procedurali non trattate specificamente dal presente regolamento sono disciplinate dal diritto nazionale”, nonché all’art. 29, che affida agli Stati membri la regolazione del procedimento di riesame.”; b) ha, conseguentemente, ritenuto applicabile il termine di cui all’art. 650 c.p.c. e, pur concedendo che “si tratta di un termine assai ristretto, dati gli ostacoli logistici e linguistici nel caso di ingiunzione Europea”, ha concluso che si tratterebbe di un termine applicabile ad un mezzo di tutela, il riesame, ammesso in casi eccezionali ed ha soggiunto che esso sarebbe l’unico che garantirebbe “coerenza e certezza al sistema”.

3.1. Mette conto di rilevare che la motivazione espressa dalla corte territoriale, peraltro, non chiarisce expressis verbis se essa abbia inteso riferire l’applicabilità del termine di cui all’art. 650 c.p.c. alla richiesta di riesame, tanto nelle ipotesi di cui al comma 1 quanto nelle ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 20.

3.2. Inoltre, dalla lettura della motivazione non emerge alcuna individuazione dell’atto che avrebbe segnato il dies a quo del termine di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3, ma è chiaro che la corte territoriale ha ritenuto che un atto di quel genere, cioè un primo atto di esecuzione, vi fosse stato e, naturalmente, che vi fosse stato nell’ordinamento austriaco.

  1. La critica alla tesi della sentenza impugnata è stata svolta dalla ricorrente con i seguenti argomenti:

a) l’applicazione del termine di cui all’art. 650 c.p.c. sulla base dell’art. 26 del Regolamento e, quindi, il dare rilevanza al termine di dieci giorni dall’inizio dell’esecuzione forzata, che nella specie aveva avuto corso presso il Tribunale di Innsbruck con deposito di una Executionsantrag, si sarebbe concretata in una soluzione, che non avrebbe considerato le marcate differenze fra la legislazione austriaca e quella italiana, in punto di attività prodromica dell’inizio dell’esecuzione forzata;

b) tali differenze sarebbero date dal fatto che, mentre il nostro ordinamento prevede che, per iniziare l’esecuzione forzata, è necessario notificare al debitore, oltre al titolo esecutivo, anche l’atto di precetto, il che consentirebbe al medesimo di avere “un’ulteriore possibilità di conoscenza della volontà esecutiva del creditore”, viceversa la legge austriaca sull’esecuzione (ExeKutionsordnung) non contemplerebbe “atti similari al nostro atto di precetto ed il procedimento esecutivo austriaco” sarebbe “profondamente diverso da quello italiano”, giacché in Austria, a seguito della richiesta del creditore di autorizzazione all’esecuzione (Executionsantrag), di cui non si deve dare avviso al debitore, il Giudice autorizza l’esecuzione con un’ordinanza, che viene successivamente comunicata al debitore, di modo che è solo con tale notifica che costui viene a conoscenza dell’esecuzione;

c) che, anche avuto riguardo al principio affermato da Cass. n. 12155 del 1995 (erroneamente attribuita alle Sezioni Unite), circa l’identificazione, agli effetti del decorso del termine di cui all’art. 650 c.p.c., dal “primo atto esecutivo”, inteso come atto “normalmente percepito e conosciuto dal debitore, (che) lo immette nell’effettiva condizione di valersi dell’indicato rimedio”, l’Executionsantrag non potrebbe essere identificato come tale, atteso che esso non viene notificato al debitore, onde soltanto la notifica dell’ordinanza giudiciale potrebbe meritare quella identificazione;

d) la controparte avrebbe “confessato” (sic), come emergerebbe da una dichiarazione del legale del suo legale, indicata come doc. 10, che l’ordinanza del Tribunale di Innsbruck, autorizzativa dell’esecuzione era stata notificata il 17 maggio 2011, ma, a prescindere dal rilievo che con detta dichiarazione non avrebbe assolto all’onere di provare tale circostanza, in ogni caso bene si evidenzierebbe che la ricorrente avrebbe comunque avuto, anche a partire da quella data, un brevissimo lasso di tempo per reagire rispetto al momento del deposito del ricorso per riesame, avvenuto il 31 maggio 2011, e ciò tanto più perché all’ordinanza austriaca il titolo non era allegato e la conoscenza di esso si era potuta acquisire “solo a seguito di specifiche ricerche all’interno dei competenti uffici giudiziari”, tenuto che l’ordinamento austriaco non prevede né la previa notifica del titolo esecutivo né quella del precetto.

4.1. Per tali ragioni la scelta esegetica della corte territoriale sarebbe stata, ad avviso della ricorrente, erronea, ed inoltre si sarebbe risolta nell’attribuire al cittadino straniero oneri maggiori e più gravosi di quelli a carico di un cittadino italiano, con conseguente violazione del diritto di difesa.

Se ne fa derivare che il rinvio alla legge nazionale, di cui all’art. 26 citato, evocato dalla corte giuliana, dovrebbe essere inteso solo come relativo al rito ed alla procedura di cui all’art. 650 c.p.c. e non anche al termine da quella norma previsto.

Si sottolinea che nel breve termine di cui all’art. 650 c.p.c. la ricorrente, senza avere avuto conoscenza del titolo per la nullità e irregolarità della sua notifica e senza avere avuto conoscenza della Executionsantrag, si sarebbe dovuta attivare, una volta ricevuta l’ordinanza di suo accoglimento da parte del giudice austriaco, per far tradurre il titolo esecutivo dall’italiano e rivolgersi ad un legale in Austria, il quale a sua volta si sarebbe dovuto rivolgere ad un collega italiano, per la redazione ed il deposito della richiesta di riesame.

Sulla base di tali argomenti si sostiene che sarebbe allora più corretto individuare il termine in trenta giorni, come per l’ordinaria opposizione all’ingiunzione.

4.2. E’ opportuno rilevare che nemmeno la ricorrente precisa se la sua prospettazione riguardi oppure no tutte le ipotesi di riesame, cioè sia quelle di cui al comma 1, sia quelle di cui al comma 2.

4.3. Inoltre, è necessario osservare che parte ricorrente ragiona del termine di cui all’art. 650 c.p.c. con esclusivo riferimento a quello di cui al terzo comma della norma, senza considerare che quella norma, in realtà, non lo prevede come unico termine per l’opposizione tardiva, ma lo considera solo come il termine ultimo, di chiusura, che opera qualora non debba invece operare il termine nella misura prevista per la proposizione dell’opposizione in via ordinaria.

Tale termine, invece, a norma della previsione dettata dal primo comma della norma in via implicita, opera, allorquando la conoscenza del decreto – per irregolarità della notificazione, per caso fortuito o per forza maggiore – non sia stata acquisita dall’ingiunto in un momento utile per proporre l’opposizione tempestivamente, cioè nel termine apparentemente decorso dalla notificazione, in modo da poterne beneficiare interamente in quanto decorrente da essa, ma, tuttavia, sia stata acquisita successivamente a quel momento e ciò indipendentemente dall’inizio dell’esecuzione.

In questo caso, cioè se un’esecuzione no sia iniziata, l’opposizione – fermo il presupposto legittimante – deve essere proposta nell’osservanza del termine ordinariamente previsto e non in quello ridotto di cui al terzo comma, con la sola particolarità che esso decorre dal momento della effettiva conoscenza del decreto.

Il termine di cui all’art. 650, comma 3, invece, opera allorquando l’ingiunto abbia acquisito conoscenza dell’ingiunzione esclusivamente a seguito del compimento del primo atto di esecuzione.

Per riferimenti al riguardo si vedano Cass., Sez. Un., n. 9938 del 2005, Cass., Sez. Un., n. 14572 del 2007, nonché, da ultimo Cass. n. 17759 del 2011, secondo cui: “Nel caso di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, l’art. 650 c.p.c. prevede, al primo comma, il termine ordinario di quaranta giorni per la sua proposizione decorrente dalla conoscenza del decreto irregolarmente notificato, e distintamente, al comma 3, il termine di chiusura di dieci giorni dal compimento del primo atto di esecuzione; ne consegue che il termine stabilito dal comma 3 non esclude l’operatività di quello previsto dal comma 1”.

4.3.1. Ora, la prospettazione della ricorrente, ragionando dell’art. 650 c.p.c. solo nella contemplazione del termine di cui al suo terzo comma, implica che Essa non abbia inteso porre in discussione che nella specie vi sia stato un atto di inizio dell’esecuzione.

Esecuzione che ha avuto natura immobiliare, come si dice a pagina 4 del ricorso.

Ciò, è tanto vero, che Essa, dopo avere escluso che a quei fini possa avere avuto valore il deposito della richiesta di autorizzazione all’esecuzione (cioè, in definitiva, che l’esecuzione immobiliare inizi in Austria con il deposito di tale richiesta), fa riferimento in proposito alla successiva notificazione del provvedimento autorizzativo dell’esecuzione, per sostenere che da quel momento dovrebbe decorrere non il termine di dieci giorni, ma quello di trenta per l’opposizione “ordinaria” all’IPE. Non può, dunque, revocarsi in dubbio che la prospettazione della ricorrente è stata svolta nel senso che un primo atto di esecuzione evocato dall’art. 650 c.p.c., ultimo comma, si dovrebbe ravvisare nella notificazione dell’autorizzazione all’esecuzione.

La prospettazione è confermata dalla memoria, tanto che a pagina _ si allude all’inizio dell’esecuzione quantomeno dalla data del notifica dell’autorizzazione.

Dunque, lo scrutinio cui la Corte è sollecitata deve avvenire nel presupposto che nell’ordinamento austriaco, secondo la ricorrente, l’esecuzione forzata immobiliare inizi con la notificazione della l’ordinanza del tribunale autorizzativa dell’esecuzione.

  1. Prima di esporre le ragioni di infondatezza del sesto motivo è necessaria, a questo punto, una premessa.

La lettura dell’art. 20 del Regolamento evidenzia che le due ipotesi di ammissibilità del “riesame in casi eccezionali”, rispettivamente previste dal comma 1 e dal comma 2, hanno presupposto diversi.

5.1. Nel comma 1, le situazioni legittimanti sono due ed entrambe suppongono che circostanze estranee alla formazione dell’IPE abbiano reso impossibile rispettare il termine per la proposizione dell’opposizione “ordinaria”, di cui all’art. 16.

La prima, individuata dalla lettera a), ha due presupposti, indicati nelle lettere i) e ii).

Essi sono che la notificazione dell’IPE sia stata effettuata a norma dell’art. 14 del Regolamento, cioè, come recita la sua rubrica, “senza prova di ricevimento da parte del convenuto”, e che in relazione al momento della notificazione, che non si suppone necessariamente viziata, non sia stato possibile proporre l’opposizione “ordinaria” nel termine “per ragioni non imputabili” al convenuto ingiunto: pertanto i presupposti legittimanti sono che la notificazione sia stata fatta ai sensi dell’art. 14 e che, tanto se essa sia stata rituale (secondo le sue previsioni) quanto se non lo sia stata, si sia comunque verificato un fatto non imputabile all’ingiunto, che abbia impedito l’opposizione tempestiva ed abbia assunto tale idoneità in dipendenza del momento della notificazione (corretta o viziata che sia stata). Il riferimento al “tempo utile” sottende evidentemente, e ciò rileva comunque, cioè, quando la notifica sia stata corretta, che all’ingiunto la conoscenza diretta dell’IPE, ricevuta da altro soggetto, non si pervenuta effettivamente in un momento tale da consentirgli l’opposizione ordinaria tempestiva.

La seconda fattispecie legittimante ai sensi del comma 1 è indicata dalla lettera b) e, in primo luogo, essa si riferisce, come risulta implicitamente, ad ogni forma di notificazione dell’IPE e, quindi, anche a quella dell’art. 14. In secondo luogo, ha come presupposto legittimante “situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali”, che abbiano impedito l’opposizione tempestiva “per ragioni non imputabili” all’ingiunto. Anche qui il presupposto non esige una notificazione non corretta, ma l’inserirsi di una causa ostativa non imputabile.

5.2. I presupposti legittimanti del riesame, di cui all’art. 20, comma 2, sono stati identificati dalle Sezioni Unite nella già citata sentenza n. 10799 del 2015, osservando che:

a1) l’ipotesi dell’ingiunzione Europea “emessa manifestamente per errore, tenuto conto dei requisiti previsti dal presente regolamento” “si riferisce ai soli casi di errore manifesto circa la sussistenza dei requisiti formali per l’emissione del provvedimento e, quindi, a vizi formali propri del procedimento idonei ad inficiare la possibilità per il debitore di contestare l’ingiunzione, quali (a titolo meramente esemplificativo): l’assoluta incertezza dell’autorità che ha emesso l’ingiunzione, l’omessa indicazione della somma ingiunta o, più in generale, la non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ovvero anche tra l’identità di una o entrambe le parti, l’insussistenza di informazioni da riportare nel modulo standard all. A (quale ad es. la descrizione delle prove) o da indicare nell’IPE (quali ad es. l’indicazione delle possibilità spettanti al convenuto ai sensi all’art. 12, commi 3 e 4), l’uso di una lingua non ammessa davanti al giudice adito per l’ingiunzione”.

b1) l’ipotesi dell’ingiunzione Europea “emessa manifestamente per errore (….) a causa di eventi eccezionali” è “conseguente a circostanze eccezionali (evidentemente non assimilabili alle ipotesi di rimessione in termini previste dal comma 1, lett. b) (e) deve intendersi riferita, come suggerito anche dall’esempio fatto nel par. __ considerando, a vizi patologici intervenuti nella formazione del procedimento, simili a quelli che possono giustificare la revocazione straordinaria ex art. 656 c.p.c.”.

Sulla base di queste precisazioni le sezioni Unite hanno concluso che “Qualunque altra contestazione, sul merito e/o sull’ammissibilità del provvedimento” debba ricondursi “all’ambito di operatività dell’art. 16 del Regolamento e, quindi, al giudizio di cognizione ordinaria conseguente all’opposizione tempestiva (salvo i casi di rimessione in termine di cui all’art. 20, comma 1)”, il che ha appunto giustificato l’esclusione della questione di giurisdizione dall’ambito dell’art. 20, comma 2.

5.3. La richiesta di riesame oggetto di lite risultava pacificamente basata su ragioni, che, quanto a quelle che la ricorrente ha inteso riproporre con i primi quattro motivi, ne identificavano la riconducibilità alla fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 20 e segnatamente a quella della sua lettera a) (come, del resto suggerisce l’espressa evocazione in essi dell’art. 14 del Regolamento e, in particolare, nell’illustrazione del primo l’espressa affermazione che l’IPE venne notificato ai sensi dell’art. 14), in quanto esse prospettavano “vizi” inerenti al procedimento di notificazione dell’IPE, i quali risultavano sostanzialmente addotti come determinativi di una situazione che le aveva precluso la proposizione di una tempestiva opposizione “ordinaria”.

Viceversa, la ragione esposta nel quinto motivo, relativa al difetto di giurisdizione, di per sé prospettava una doglianza che, non solo non implicava una circostanza idonea a determinare anche solo astrattamente una preclusione della possibilità di proporre tempestivamente l’opposizione di cui all’art. 16 alla stregua del comma 1 dell’art. 20, ma neppure poteva rilevare come motivo alla stregua del comma 2 della stessa norma.

  1. Ne consegue allora che la questione della tempestività o meno del ricorso per riesame deve qui esaminarsi con riferimento alla fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 20, mentre non rileva la questione della tempestività riguardo all’ipotesi di cui al comma 2 della norma e ciò perché nessuna delle ragioni giustificative della richiesta di riesame era riconducibile ad essa.

Peraltro, mette conto di rilevare che l’individuazione del termine per il riesame nella fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 20 deve, necessariamente, essere fatta unitariamente, giacché quella norma, nella sua ultima proposizione, dicendo che il diritto di chiedere il riesame sussiste, “purché in entrambi i casi (il convenuto) agisca tempestivamente”, impone di considerare il problema in modo unitario (e tanto rende anche irrilevante la riconduzione delle ragioni riproposte con i primi quattro motivi, alla lettera a) o alla lettera b) del comma 1.

  1. Tanto premesso, ritiene il Collegio, ancorché la ricorrente non l’abbia prospettata, di dover disattendere una tesi che, ai fini dell’individuazione del detto termine, è stata enunciata proprio facendosi leva sul riferimento al dovere il convenuto “agire tempestivamente”.

Si è creduto – in ragione della circostanza che tanto la situazione sub a) quanto quella sub b) implicano che in un certo momento l’impossibilità di proporre l’opposizione ai sensi dell’art. 16 del Regolamento, derivante dalle situazioni descritte dalle due lettere, ad un certo momento cessa, sì da rendere possibile la reazione contro l’IPE – di poter ipotizzare che il termine per il riesame decorra da tale cessazione e che l’imposizione del dover agire tempestivamente significhi che da quel momento decorra quello stesso termine di trenta giorni, che il convenuto avrebbe avuto per proporre l’opposizione “ordinaria”.

Senonché, questa ipotesi esegetica suppone innanzitutto che all’avverbio “tempestivamente” si dia il valore di individuare il termine, ma ciò è in manifesta contraddizione con il suo significato, che, essendo quello di riferirsi ad un’azione compiuta in tempo utile, non si preoccupa di definire quando essa sia tale, dovendo risolversi tale problema aliunde ed essendo l’avverbio soltanto descrittivo di una qualificazione dell’azione appunto aliunde da ricercarsi e che suppone, naturalmente, l’individuazione del dies a quo per la presentazione della richiesta del riesame.

Ne segue allora che la tesi in discorso pretende di risolvere il problema non tanto valorizzando il suddetto avverbio, quanto reputando che, poiché la disciplina dettata dal Regolamento per l’opposizione in via ordinaria prevede un termine di trenta giorni, tale termine debba applicarsi anche alla richiesta di riesame, una volta che la sua proposizione sia divenuta possibile per il convenuto.

Suppone, dunque, che la disciplina del termine del riesame, nell’ipotesi dell’art. 20, comma 1, sia stata dettata in modo implicito.

7.1. Questa tesi sarebbe certamente sostenibile e valida, se nello stesso Regolamento non trovasse decisivo ostacolo in una norma dello stesso regolamento, quella dell’art. 26, la quale in tema di “rapporto con le norme nazionali”, prevede un criterio esegetico delle norme del Regolamento stesso, che si risolve, in buona sostanza, nel divieto di ricercare la soluzione interpretativa di una questione procedurale, emergente nell’esegesi delle sue norme, facendo ricorso a criteri come l’interpretazione sistematica, l’interpretazione estensiva o l’interpretazione analogica.

L’art. 26 – correttamente evocato, dunque, dalla corte territoriale – disponendo, sotto la rubrica “Rapporto con le norme processuali nazionali”, che “Tutte le questioni procedurali non trattate specificamente dal presente regolamento sono disciplinate dal diritto nazionale”, si connota, infatti, come una metanorma, cioè come una norma con cui si è inteso regolare l’attività interpretativa delle norme del Regolamento stesso. Il principio che esso esprime è che, in tutte le ipotesi in cui una questione inerente il processo nella materia del Regolamento non sia “trattata specificamente”, cioè espressamente regolata, da una norma di esso, la disciplina deve ricercarsi nel diritto nazionale.

Ebbene, attribuire all’avverbio “tempestivamente” il significato voluto dalla tesi in discorso non è accettabile: poiché, come s’è veduto, non sarebbe direttamente l’espressione “agire tempestivamente” ad individuare l’applicabilità della disciplina del termine di trenta giorni, previsto per l’opposizione ordinaria, ma un’operazione esegetica di carattere sistematico, innestata sul valore teleologico dell’uso dell’avverbio, è indiscutibile che tale operazione risulta vietata dall’art. 26.

È appena il caso di rilevare che la questione concernente il termine di proposizione del riesame è, del resto, certamente una “questione procedurale”, giacché inerisce al momento in cui il procedimento di riesame deve iniziare. Poiché il termine per un rimedio esperibile concerne indiscutibilmente una previsione relativa al procedimento, è del tutto infondata la tesi della ricorrente, che vorrebbe espungere il problema del termine dal concetto da quella questione.

  1. Se non fosse decisivo già quanto osservato, peraltro, la tesi in esame risulterebbe impercorribile anche per la ragione che nella successiva norma dell’art. 29, al comma 1, lett. b), venne disposto che “entro il 12 giugno 2008, gli Stati membri comunicano alla Commissione (….) il procedimento di riesame e i giudici competenti ai fini dell’applicazione dell’art. 20”.

È palese che, sempre per l’inerire della questione del termine al “procedimento”, la devoluzione alla comunicazione concerneva anche l’individuazione del termine per il riesame.

Lo Stato Italiano ha fatto tale comunicazione nei seguenti termini, che concernono sia il riesame ai sensi del comma 1, sia il riesame ai sensi del comma 2 dell’art. 20: “Art. 29(1)(b) – Procedimento di riesame. Il giudice competente per il riesame di cui all’art. 20, paragrafo 1, del regolamento n. 1896/2006/CE, e il relativo procedimento, è lo stesso giudice che ha emesso l’ingiunzione, ai sensi dell’art. 650 c.p.c. italiano. Il giudice competente per il riesame di cui all’art. 20, paragrafo 2, del regolamento n. 1896/2006/CE, e il relativo procedimento, è lo stesso giudice ordinario competente per l’ingiunzione, da adire secondo le regole ad esso comunemente applicabili”.

Il significato di tale comunicazione è chiaro: quando, a proposito del comma 1 dell’art. 20, si dice che il procedimento è quello dell’art. 650 c.p.c. si è inteso fare riferimento anche al termine art. 650 c.p.c., ex comma 3, perché esso costituisce una previsione relativa al procedimento.

Qualora, dunque, dal combinato disposto dell’art. 26 e dell’art. 29 del regolamento, si volesse inferire che la questione dell’individuazione del termine per il riesame, pur non specificamente regolata, era stata dal legislatore comunitario sottratta all’operare della metanorma di cui all’art. 26, e ricondotta alla norma dell’art. 29, con la conseguente delega al legislatore nazionale del potere di individuare la disciplina procedimentale del riesame, evidentemente non vi sarebbe che da prendere atto che lo Stato Italiano ha individuato questa disciplina nell’art. 650 c.p.c. e, quindi, anche nel termine previsto da tale norma, che, si rileva, non è, come s’è sopra avvertito, solo quello di cui al comma 3, ma anche quello ordinario per l’opposizione al decreto ingiuntivo italiano, operante allorquando l’esecuzione non sia iniziata.

Mette conto di rilevare, per completezza ed a fini di nomofilachia: a1) che, con riferimento alle due ipotesi di riesame del comma 2, siccome individuate da queste Sezioni Unite, il termine per il riesame nelle ipotesi che si sono dette similari a quelle di cui all’art. 656 c.p.c. risulta individuabile in quello che opera con riguardo all’istituto disciplinato da tale norma, che deve ritenersi implicitamente evocato dalla comunicazione dello Stato Italiano; a2) con riguardo all’ipotesi dell’ingiunzione Europea “emessa manifestamente per errore, tenuto conto dei requisiti previsti dal presente regolamento” si deve ritenere che, una volta considerato che in tale ipotesi l’IPE è stato conosciuto, ma, per i suoi difetti intrinseci, i suoi vizi propri, è stata inficiata la possibilità per il debitore di contestare l’ingiunzione, risulta agevole, secondo il tenore della comunicazione fatta allo Stato Italiano, ritenere che il termine per il riesame decorra da quando l’IPE (non opposto in via ordinaria) venga utilizzato contro il convenuto e, dunque, dal primo atto di esecuzione, cui allude l’art. 650 c.p.c. e ciò perché la regola ivi dettata può reputarsi “comunemente applicabile” a maggior ragione quando si debba reagire pur essendosi conosciuta l’IPE, e restando, invece, inapplicabile il termine ordinario che rileva nel comma 1 della norma.

  1. Le considerazioni svolte bastano a giustificare il rigetto del sesto motivo, nella parte in cui sostiene che, in presenza di inizio dell’esecuzione sulla base dell’IPE non opererebbe il termine di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3, dovendosi osservare che l’esegesi del Regolamento, cui si è proceduto, è talmente chiara che non si configura, come il Pubblico Ministero in udienza ha prospettato (peraltro solo in linea del tutto subordinata) alcuna questione interpretativa, che imponga una rimessione alla Corte comunitaria, vertendosi in definitiva in tema di c.d. acte claire.
  2. Si deve a questo punto rilevare che, risultando la questione del termine per il riesame risolta dall’esegesi delle norme del Regolamento e, segnatamente, dall’art. 26, nonché, in ogni caso, dalla norma dell’art. 29, comma 1, lett. b), le argomentazioni enunciate dalla ricorrente, nel senso che l’applicazione del termine di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3 (si badi, prospettate, come s’è veduto, nel presupposto che un atto di inizio dell’esecuzione vi sia), si risolverebbe in una lesione del diritto di difesa in dipendenza della particolare regolamentazione dell’inizio dell’esecuzione forzata in Austria non potrebbero risultare rilevanti per giustificare una diversa interpretazione, ma soltanto – ancorché la ricorrente non si spinga a sostenerlo – l’ipotizzare una possibile questione di conformità al diritto comunitario, inteso come comprensivo della disciplina della Cedu, riguardo all’applicazione della normativa italiana sull’art. 650 c.p.c. con riferimento all’ipotesi di IPE notificato in un ordinamento di uno Stato membro, che, nella propria regolamentazione delle modalità di inizio dell’esecuzione forzata, non conosca un equivalente del nostro precetto, che, per la sua funzione di preavviso dell’esecuzione e di dilazione del suo inizio a dieci giorni dalla sua notificazione, assolva ad un’oggettiva funzione di assicurare uno spatium deliberandi prima di essa e, quindi, si risolva nell’assicurare un termine a difesa ulteriore rispetto a quello di dieci giorni dal primo atto di esecuzione di cui all’art. 650 c.p.c., comma 3.

Questa prospettazione, però, si fonderebbe su un assunto erroneo: quello che l’inizio dell’esecuzione cui allude l’art. 650 c.p.c., comma 3, nell’ordinamento italiano, sia sempre dilazionato a dieci giorni per effetto della notificazione del precetto. Assunto erroneo, sol che si rifletta sulla possibilità che, a norma dell’art. 482 c.p.c., il giudice possa autorizzare l’esecuzione immediata, senza l’osservanza del detto termine dilatorio. Possibilità che può certamente verificarsi anche con riguardo al primo atto di esecuzione, cui allude l’art. 650 c.p.c..

10.1. Si deve, inoltre, rilevare, a questo punto, che la prospettazione della ricorrente che, pur identificandosi l’inizio dell’esecuzione con la notifica dell’ordinanza del Tribunale di Insbruck autorizzativa dell’esecuzione, tale notifica non sarebbe stata dimostrata dalla controparte, che l’avrebbe solo allegata, introduce una questione di fatto, di cui non v’è traccia nella motivazione della sentenza impugnata, senza individuare dove e come era stata prospettata nelle fasi di merito e, particolarmente, al giudice d’appello.

Comunque, tale prospettazione non risulta nemmeno essere stata fatta oggetto di una specifica e chiara censura e parte ricorrente nemmeno ha replicato alle deduzioni svolte sul punto nel controricorso.

  1. Va, inoltre, considerato che, giusta il precetto del secondo inciso del comma 3 dell’art. 20 del Regolamento l’istituto del riesame è costruito dal legislatore comunitario come un rimedio che ha natura meramente rescindente e, soprattutto, come rimedio che esplica tale funzione rescindente, espressa con la previsione della nullità dell’IPE, sulla base del mero riconoscimento da parte del giudice dell’esistenza della stessa situazione legittimante il riesame ai sensi dell’art. 20.

E’ palese, dunque, che l’applicazione del termine di cui all’art. 650 c.p.c. non può apparire, per la sua brevità, riduttiva delle possibilità di esercitare il diritto di difesa da parte dell’ingiunto, giacché il contenuto delle difese, a differenza di quanto accade per l’istituto dell’art. 650 c.p.c. nell’ordinamento italiano, quando sia esperito contro un decreto ingiuntivo nazionale, si sostanzia nella sola deduzione della situazione legittimante di cui all’art. 20, il che, all’evidenza, non comporta che si debba prendere posizione sulla fondatezza dell’IPE. Ne segue che anche per tale ragione il diritto di difesa non subisce la benché minima menomazione e ciò anche se si confronta la situazione del richiedente il riesame con quella di chi si oppone tardivamente a un decreto ingiuntivo nazionale.

  1. Il sesto motivo – ribadito che nella specie esso sollecitava lo scrutinio della questione di diritto con riferimento all’ipotesi che l’esecuzione dell’IPE fosse stata iniziata – è, dunque, rigettato sulla base del seguente principio di diritto: “In tema di ingiunzione di pagamento Europea, il termine per la proposizione del riesame nei casi di cui all’art. 20, comma 1, del Regolamento (CE) n. 1896/2006, essendo il relativo procedimento disciplinato in Italia dall’art. 650 c.p.c., si identifica in quelli desumibili da tale norma e, dunque, nel termine previsto dall’ordinamento italiano per l’opposizione tempestiva al decreto ingiuntivo, quando non sia iniziata l’esecuzione, ed in quello di cui al comma 3 di tale norma, che costituisce il termine finale, quando l’esecuzione sia iniziata”.

L’inammissibilità dei primi cinque motivi ed il rigetto del sesto comportano il rigetto del ricorso.

L’assoluta novità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

Cass_civ_Sez_Unite_Sent_n_7075_del_20_03_2017