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La sentenza che accoglie la domanda di revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale

La sentenza che accoglie la domanda di revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale

Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 30416 del 23/11/2018

Con  Sentenza del 23 novembre 2018 la Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, in tema di procedure concorsuali ha stabilito che la sentenza che accoglie la domanda di revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto; con la conseguenza che la situazione giuridica vantata dalla massa ed esercitata dal curatore non integra un diritto di credito (alla restituzione della somma o dei beni) esistente prima del fallimento (né nascente dall’atto della dichiarazione dello stesso) e indipendentemente dall’esercizio dell’azione giudiziale, ma rappresenta un vero e proprio diritto potestativo all’esercizio dell’azione revocatoria, rispetto al quale non è configurabile l’interruzione della prescrizione a mezzo di semplice atto di costituzione in mora.


Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 30416 del 23/11/2018

La sentenza che accoglie la domanda di revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __- Primo Presidente f.f. –

Dott. __ – Presidente di Sezione –

Dott. __- Presidente di Sezione –

Dott. __- rel. Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

Dott. __- Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso __proposto da:

M., rappresentata e difesa dall’avv. __;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO __, in persona del Curatore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. __;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. __della CORTE D’APPELLO di __, depositata il __;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __dal Consigliere __;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale __, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. __.

Svolgimento del processo

  1. M. nella veste di assuntrice del concordato del Fallimento __, ricorre per cassazione, avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di __ in data __ nel giudizio tra la prima procedura e il Fallimento __, svolgendo due motivi d’impugnazione.

1.1. Con tale decisione, la Corte d’Appello ha accolto l’appello presentato dalla seconda procedura (il Fallimento __) contro la sentenza resa nel (primo grado del) giudizio dal Tribunale di __, il __, respingendo la domanda originaria perché “improponibile” (p. 2 della sent.), a differenza di quanto aveva statuito il primo giudice che aveva accolto la domanda revocatoria, intentata L. __ Fall., ex art. 66, dall’allora Fallimento __ nei confronti del Fallimento della __, con riferimento all’atto – del __- di alienazione di un’azienda a prezzo (assunto come) vile, a suo tempo intercorsa tra le due società, entrambe in bonis, essendo state dichiarate ambedue fallite solo nell’anno __.

1.2. Secondo la Corte territoriale, l’azione revocatoria ordinaria intrapresa dal primo fallimento, qualificata come azione esecutiva individuale, incorreva nel divieto di cui alla L. Fall., art. 51, disposizione che, a seguito della dichiarazione di fallimento, non ne consentirebbe l’esercizio per l’assoggettamento dei beni alla massa fallimentare della società cessionaria.

1.3. In ragione della natura dichiarativa (e non recuperatoria) dell’azione de qua, il soggetto passivo (anch’esso, al pari dell’attrice) sottoposto alla dichiarazione di fallimento ne ostacolerebbe la proposizione sicché la curatela attrice non avrebbe l’interesse concreto ed attuale, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., in ordine al suo esercizio poiché essa mai potrebbe pervenire al recupero del complesso aziendale ceduto.

1.4. Contro il ricorso ha resistito il Fallimento della __, che ha depositato controricorso e memoria illustrativa.

  1. I motivi di impugnazione deducono: a) la “violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 345 c.p.c.”, il primo; b) la “violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 51, Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”, il secondo.

2.1. Entrambi investono il punto in cui la sentenza della Corte territoriale ha accolto l’eccezione di “improponibilità e/o inammissibilità dell’azione revocatoria esercitata”, sollevata dai Fallimento della Società Turistica, in relazione al fatto che l’azione è stata per l’appunto rivolta verso una procedura concorsuale.

2.2. Il primo, assume che l’eccezione sollevata dal fallimento appellante è da ritenere tardiva, in quanto svolta solo con l’atto di citazione in appello, con spregio della norma dell’art. 345 c.p.c.

2.3. Il secondo, contesta invece la stessa fondatezza del merito dell’eccezione in quanto tale, atteso che l’art. 51 legge fall. non potrebbe trovare applicazione ad un’azione, quale quella proposta, avente natura dichiarativa, in quanto destinata a concludersi con l’accertamento dell’inefficacia dell’atto di cessione e l’automatico rientro dei beni nella massa attiva dell’attrice, quale conseguenza meccanica di una sentenza di accoglimento.

  1. La causa, già fissata all’adunanza camerale della sesta sezione civile di questa Corte è poi stata rimessa alla pubblica udienza della prima sezione che, con ordinanza interlocutoria n. __ del __, ne ha disposto la trasmissione al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite civili.
  2. Secondo la Corte remittente, anzitutto, sarebbe ipotizzabile un contrasto di giurisprudenza tra il più recente orientamento, espresso da due pronunce che hanno ritenuto inammissibile detta azione (il riferimento è a Cass. nn. 10486 del 2011 e 3672 del 2012) ed un più risalente indirizzo, a termini del quale l’azione, se proposta anteriormente al fallimento della parte convenuta in revocatoria, potrebbe essere proseguita; in secondo luogo, ha ritenuto comunque la questione “di massima di particolare importanza”, ove l’ipotizzato contrasto non fosse ravvisato né fossero reputati persuasivi gli argomenti svolti a conforto dell’orientamento più recente, peraltro svolti in riferimento ad una diversa fattispecie (quella dell’azione revocatoria fallimentare), di cui si sollecita una rinnovata meditazione.

4.1. L’ordinanza di rimessione, infatti, compiendo una ricognizione delle linee interpretative nella materia concorsuale ha rilevato come recenti pronunce di questa Corte siano giunte ad affermare che “non è ammissibile un’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento” (in particolare, la sentenza 12 maggio 2011, n. 10486, a cui ha poi fatto seguito l’ordinanza 8 marzo 2012, n. 3672) atteso che la proponibilità della revocatoria contro un Fallimento urterebbe contro il “principio di cristallizzazione della massa passiva alla data di apertura del concorso”, così come sarebbe stabilito dalle norme di cui alla L. Fall., artt. 51 e 52: “posto che l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce soltanto a seguito della sentenza che accoglie la domanda”, per il “carattere costitutivo” della detta azione.

4.2. Di contro la stessa ordinanza ha rilevato che – secondo altro orientamento di questa Corte, risalente nel tempo – il giudizio revocatorio ben potrebbe “proseguire” (avanti allo stesso giudice) pur se sopravvenga, nelle more di questo, il fallimento del soggetto che è stato convenuto in revocatoria.

Si tratterebbe di un orientamento assai condiviso e tradizionale (si richiamano, tra gli altri interventi, Cass., 14 ottobre 1963, n. 2746 (con una Procedura attrice originaria); Cass., 30 agosto 1994, n. 7583 (id.); Cass., 21 luglio 1998, n. 7119 (riguardante un’azione svolta da singolo creditore); Cass., 28 febbraio 2008, n. 5272 (i.d.); Cass., 19 marzo 2009, n. 6709 (un Fallimento attore originario); Cass., 27 ottobre 2015, n. 21810 (un’azione promossa dal singolo creditore); Cass., 4 ottobre 2016, n. 19795 (ancora un Fallimento attore originario), nonché, e in modo particolare, la pronuncia delle Sezioni Unite, 17 dicembre 2008, n. 29421 (un singolo creditore nelle vesti di attore), che tra l’altro ha affermato: “che sia consentito al curatore proseguire il giudizio intrapreso prima del fallimento dal singolo creditore, subentrando nella posizione processuale di costui, è affermazione sulla quale… non vi è alcun contrasto nella giurisprudenza”).

4.3.- L’ordinanza di rimessione prosegue segnalando che, nel negare la proponibilità dell’azione revocatoria in quanto tale contro una Procedura concorsuale, la sentenza di questa Corte n. 10486 del 2011 ha affermato che la proseguibilità dell’azione iniziata prima del fallimento della parte convenuta “può spiegarsi con la considerazione (generalmente accettata…) che gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione”. Ma, il collegio rimettente ha reputato di dover dubitare dell’effettiva forza persuasiva di simile rilevazione poiché la stessa si preoccuperebbe propriamente di reperire una giustificazione per la proseguibilità della revocatoria iniziata prima del fallimento del convenuto, là dove il tema – pur sempre centrale in questa decisione – sarebbe quello della predicata non proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti di un soggetto che sia già fallito, anche in ragione della “tendenziale opinabilità di una soluzione che intenda differenziare tra proseguibilità dell’azione verso il fallito e promuovibilità della stessa (…) resa manifesta proprio dalla norma della L. Fall., art. 51, che per l’appunto in modo espresso parifica in relazione alle azioni individuali di tipo esecutivo e cautelare – il proseguimento dell’azione al suo inizio”.

4.4. Andrebbe poi considerato che “secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio vittorioso dell’azione revocatoria ha effetto retroattivo: pur azioni che rimangono strutturalmente e funzionalmente distinte tra loro e separate. Nel caso di convenuto in revocatoria che sia fallito, le azioni esecutive successive all’esito vittorioso di questa – non risulteranno comunque esercitabili, giusta appunto il divieto di cui alla L. Fall., art. 51: lo sbocco naturale e proprio dell’esito vittorioso consistendo – come si è già visto essere insegnamento tradizionale di questa Corte nell’insinuazione del credito da restituzione (come in sostanza relativo al valore del bene di cui alla revoca) nel passivo fallimentare del convenuto perdente”.

4.5. Infine, andrebbe tenuto “in adeguato conto, sotto li profilo sistematico (..) la norma del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 91, dedicato alla regolamentazione della procedura di amministrazione straordinaria, che ammette la c.d. revocatoria aggravata nei confronti appartenenti al medesimo gruppo di quella dichiarata insolvente”.

4.6. Unita mente al segnalato “contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte” andrebbe ancora rilevato che il tema della proponibilità della revocatoria contro un convenuto fallito si pone come “questione di massima di particolare importanza”, ex art. 374 c.p.c., anche con riferimento ai casi, reputati frequenti, di “spostamenti patrimoniali intervenuti tra società facenti parte di un medesimo gruppo e in avanzato stato di decozione, con lo scopo di favorire, in prospettiva, una massa creditoria piuttosto che un’altra”.

  1. Con memoria ex art. 378 c.p.c., il Fallimento __, ha riproposto ed illustrato le sue eccezioni e le conclusioni svolte nel controricorso.
  2. Il P.G., nella persona dell’Avv. Gen., __, ha depositato memoria, illustrativa della propria requisitoria, concludendo affinché la Corte respinga il ricorso, “con le precisazioni dianzi svolte”.

Motivi della decisione

  1. Deve convenirsi con il P.G. circa il fatto che l’ordinanza interlocutoria n. 1894 della prima sezione civile di questa Corte, pubblicata in data __, abbia:

“a) in primo luogo, (….) ipotizzato l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza” tra il più recente orientamento, espresso da due pronunce, che hanno ritenuto inammissibile la revocatoria proposta da una verso un’altra curatela (Cass. n. 10486 del 2011 e n. 3672 del 2012) ed un più risalente indirizzo, secondo cui l’azione, se proposta anteriormente al fallimento della parte convenuta in revocatoria, possa essere comunque proseguita;

  1. b) in secondo luogo, (….) ritenuto che una tale questione (ovverosia quella della ammissibilità della detta azione revocatoria fra due procedure), appartenga al novero di quelle “di massima di particolare importanza”, “dimostrandosi in tal modo consapevole dell’inesistenza del pure adombrato contrasto, ma dubitando in definitiva della persuasività degli argomenti svolti a conforto dell’orientamento, sia pure in riferimento ad una diversa fattispecie (e cioè all’azione revocatoria fallimentare), di cui sollecita la rimeditazione”.

1.1. E si deve pure convenire, con lo stesso P.G., in ordine alla precedenza logica della prima ipotesi contenuta nell’ordinanza di rimessione, rispetto alla seconda, sicché va verificata l’esistenza di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza della Corte, nei sensi come sopra sintetizzati, atteso che ove il Collegio rimettente abbia sollecitato alle S.U. un esame della questione controversa secondo entrambe le ipotesi stabilite dall’art. 374 c.p.c., comma 2, ed il Primo Presidente abbia disposto in conformità, le Sezioni Unite dovranno dapprima esaminarla alla luce dell’ipotizzata difformità delle pronunce delle sezioni semplici e poi procedere con l’esame della questione di massima di particolare importanza.

  1. Tale contrasto, tuttavia, come rettamente argomentato nella requisitoria del P.G., non è esistente, se è vero che le pronunce indicate dall’ordinanza interlocutoria, come espressive di un difforme orientamento (rispetto a quello più recente, rappresentato da Cass. n. 10486 del 2011 e dalla successiva Cass. n. 3672 del 2012), hanno deciso in ordine ai seguenti quesiti (che è opportuno richiamare visto lo sforzo compiuto dall’organo requirente ai fini della ricognizione degli orientamenti interpretativi di questa Corte e del dovere nomofilattico a cui Essa deve istituzionalmente attendere):

“a) se sia proseguibile l’azione revocatoria proposta dal Fallimento contro il convenuto in bonis, ma dichiarato fallito nei corso del giudizio, risolta positivamente;

  1. b) se permanga la legittimazione del creditore che abbia proposto azione revocatoria ordinaria a coltivarla, nel caso di sopravvenuto fallimento del debitore, negata da un orientamento e ritenuta invece da un difforme indirizzo, che aveva dato luogo ad un contrasto, poi composto da S.U. n. 20420 del 2008, pure richiamata dall’ordinanza interlocutoria;
  2. c) se il credito restitutorio del curatore fallimentare conseguente alla pronuncia di revoca del pagamento da questi ricevuto da parte di un debitore in seguito dichiarato fallito sia prededucibile, questione diversa da quella qui in esame (neppure esaminabile nel giudizio in cui poteva porsi, stante il giudicato che si era formato sull’azione revocatoria) e che, quindi, non ha richiesto di affrontare i profili approfonditi dall’orientamento espresso da Cass. n. 10486 del 2011 e n. 3672 del 2012;
  3. d) se l’azione revocatoria ordinaria proposta nei confronti di più soggetti, uno solo dei quali dichiarato fallito nel corso del giudizio, possa essere proseguita nei confronti delle parti rimaste in bonis”.

2.1. Nell’articolare la sua risposta, il P.G. ha condivisibilmente affermato che:

“La questione sub d) è, all’evidenza, diversa da quella in esame, con la quale non presenta nessuna interferenza, così da fare escludere ogni possibile contrasto di orientamenti.

Ad identica conclusione deve pervenirsi anche in riferimento alle pronunce sub a) e b), tenuto conto che la proseguibilità del giudizio promosso anteriormente al fallimento del convenuto – e l’ulteriore questione che da questa origina, in ordine al soggetto legittimato a proseguirlo – è giustificata dal principio che la durata del processo non può né deve recare danno a chi ha ragione, dalla retroattività alla data della domanda degli effetti restitutori e dall’opponibilità della trascrizione della domanda avvenuta anteriormente al fallimento, che rendono chiara la diversità delle fattispecie, a prescindere dalla pure preliminare considerazione che le pronunce non hanno avuto ad oggetto la proposizione dell’azione revocatoria ordinaria, che è invece la fattispecie che viene qui in rilievo.

Identico esito si impone, infine, quanto alla questione sub c): la constatazione che la stessa concerne il caso di un atto revocabile compiuto direttamente nei confronti del curatore è sufficiente infatti ad evidenziare che si tratta di una fattispecie strutturalmente differente da quella oggetto del presente giudizio”.

2.2. Si può, quindi, ancora condividere quanto Egli riassuntivamente osserva e cioè che la prima delle due prospettazioni svolte dall’ordinanza interlocutoria per l’esame della controversia da parte di queste Sezioni Unite non è convincente e, conseguentemente, difettano i presupposti di un intervento di ricomposizione dell’ipotizzato (ma, in realtà, inesistente) contrasto di giurisprudenza.

  1. Va, però, convenuto con la necessità di esaminare la seconda richiesta svolta dall’ordinanza di rimessione alle S.U., che considera la questione – da essa sottoposta come “di massima di particolare importanza” – con la quale, in sostanza, si auspica una diversa meditazione del principio di diritto enunciato dall’orientamento più recente, sopra richiamato, della cui esattezza l’ordinanza interlocutoria dubita e sulla cui particolare rilevanza interpretativa occorre convenire.

3.1. Alla richiesta di ripensamento dell’orientamento espresso dalle più volte richiamate pronunce di questa Corte nn. 10486 del 2011 e nn. 3672 del 2012, l’ordinanza di rimessione, come si è detto, offre tre ordini di considerazioni:

  1. a) quello relativo alla ritenuta efficacia retroattiva dell’azione revocatoria e al fatto che il debito restitutorio è un debito di valore, e che gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla data di costituzione in mora (quando vi sia stata e se, ovviamente, sia di data anteriore a quella della domanda giudiziale), con la conseguente incidenza di tali regole sul c.d. principio di cristallizzazione della massa passiva, secondo cui i crediti valevoli nella procedura concorsuale devono essere, di norma, quantificabili nella misura già maturata al momento della dichiarazione di fallimento del debitore;
  2. b) l’affermazione che l’azione revocatoria, “secondo una convincente opinione, emersa in dottrina”, costituirebbe una “azione di accertamento con effetti costitutivi” diretta a ricostituire la garanzia patrimoniale del debitore che, quindi, non incontrerebbe il divieto della L. Fall., art. 51, che impone di realizzare il credito con le forme e nell’osservanza del rito fallimentare;
  3. c) la rilevanza, sul piano sistematico, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 91, che disciplina la c.d. revocatoria aggravata infragruppo.
  4. Vanno esaminate assieme le prime due questioni, perché tra loro strettamente connesse, al cui centro si trova esposto il nodo relativo alla natura (costitutiva o dichiarativa) della sentenza conclusiva dell’azione revocatoria proposta (dalla curatela attrice), sia essa fallimentare o sia essa ordinaria, di cui si auspica una nuova e diversa meditazione in considerazione di una “convincente opinione, emersa in dottrina”.

4.1. Già a partire dalla sentenza n. 2754 del 1973, questa Corte ebbe ad affermare il principio secondo cui “l’azione revocatoria fallimentare, spiegata ai sensi della L. Fall., art. 67, dà luogo ad una sentenza costitutiva”; principio poi ribadito dalle sentt. nn. 3657 del 1984, 1001 del 1987 (in fattispecie di revocatoria fallimentare).

Con particolare chiarezza ricostruttiva, queste S.U., con la Sentenza n. 5443 del 1996 (e, negli stessi sensi: SU, Sentenza n. 6225 del 1996 e Sez. 1, Sentenza n. 5001 del 1998), affermarono il principio secondo cui “la sentenza che accoglie la domanda revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 cod. civ.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto; con la conseguenza che la situazione giuridica vantata dalla massa ed esercitata dal curatore non integra un diritto di credito (alla restituzione della somma o dei beni) esistente prima del fallimento (né nascente all’atto della dichiarazione dello stesso) e indipendentemente dall’esercizio dell’azione giudiziale, ma rappresenta un vero e proprio diritto potestativo all’esercizio dell’azione revocatoria, rispetto al quale non è configurabile l’interruzione della prescrizione a mezzo di semplice atto di costituzione in mora (art. 2943 c.p.c., u.c.)”.

4.2. Simili affermazioni vennero poi ribadite e argomentate dalle sentt. nn. n. 3155 del 1997, 10350 del 1998, 2909 del 2000, 437 del 2000, 11594 del 2001, 58 del 2003, 887 del 2006 e da molte altre ancora, a proposito della natura del debito da restituirsi e degli interessi da calcolarsi sullo stesso.

4.3. A tale proposito – come ha notato il P.G. – le S.U., all’esito di questa complessa evoluzione, con le pronunce nn. 5443 e 6225 del 1996 e, altresì, con quella n. 437 del 2000, hanno superato l’esegesi offerta dall’orientamento precedente (divenuto del tutto minoritario e non più riproposto), quello enunciato da Cass. n. 164 del 1972 (ma subito contrastato da Cass. n. 2754 del 1973, che aveva accolto la tesi poi consolidatasi), con una conclusione condivisa e ribadita dalle Sezioni semplici anche quanto all’azione revocatoria ordinaria (Cass. n. 17311 del 2016; Cass. n. 3379 del 2007), ma particolarmente approfondita in riferimento a quella fallimentare (Cass. n. 13560 del 2012, n. 27804; n. 12736 e n. 11594 del 2011; n. 11097 del 2004), soprattutto per esplicitare le conseguenze derivanti dal principio dell’azione costitutiva in ordine alla natura del debito restitutorio (da ultimo, Cass. n. 12850 del 2018, secondo cui l'”obbligo restitutorio dell’accipiens soccombente in revocatoria (…) ha natura di debito di valuta e non di valore, in quanto l’atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva, avendo ad oggetto l’esercizio di un diritto potestativo e non di un diritto di credito” ed in questa ulteriori richiami) ed all’inapplicabilità dell’ipotesi di interruzione della prescrizione prevista dall’art. 2943 c.c., quarto comma, cod. civ., a seguito di atti di costituzione in mora del debitore (per tutte, da Cass. n. 8086 del 1996 fino a Cass. n. 58 del 2003, Cass. n. 22366 del 2007 e Cass. n. 18438 del 2010, orientamento rispetto al quale non è dissonante Cass. n. 13302 del 2012, che l’efficacia interruttiva ha riconosciuto solo al ricorso per sequestro giudiziario, in presenza delle condizioni puntualmente identificate).

4.4. Osserva, perciò, condivisibilmente il P.G. che un differente principio neppure è stato affatto enunciato:

  1. a) “da Cass. n. 13302 del 2012, la quale ha anzi espressamente ribadito che la sentenza che accoglie l’azione revocatoria fallimentare ha natura costitutiva ed è volta ad ottenere un mutamento della situazione giuridica del destinatario e, quindi, immuta una situazione giuridica in termini nuovi ed originali, in forza di una decisione del giudice, (che) assume invero carattere costitutivo in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente. La pronuncia si è infatti limitata soltanto a ricondurre l’azione nel novero di quelle non configurabili come necessariamente costitutive, in coerenza con il pacifico orientamento della dottrina che distingue appunto tra azioni costitutive necessarie e azioni costitutive non necessarie, caratterizzandosi le seconde perché l’effetto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico, può ottenersi anche senza ricorrere al giudice, mediante accordo con la controparte, vertendosi nell’ambito di diritti disponibili (come accade nei casi pure pacificamente di sentenze costitutive, tuttavia non necessarie, quali quelle di annullamento del contratto per vizio del volere, art. 1427 c.c., di rescissione del contratto per lesione, art. 1448 c.c., di risoluzione del contratto per inadempimento, art. 1453 c.c., o per eccessiva onerosità, art. 1467 c.c., o della pronuncia che produce gli effetti del contratto che la parte era obbligata a concludere, art. 2932 c.c.)”;
  2. b) né “da Cass. n. 16737 del 2011, la quale ha parimenti ribadito il carattere costitutivo della sentenza e la circostanza che la stessa produce effetti dalla data del passaggio in giudicato, solo limitandosi ad approfondire ed affermare l’ammissibilità dell’anticipazione provvisoria degli effetti, in conseguenza di una sentenza provvisoriamente esecutiva”.

4.5. La ricognizione degli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte induce pertanto a ritenere pacifico e stabilizzato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine alla natura costitutiva della sentenza in esame e, per tale considerazione, l’ordinanza interlocutoria non può essere seguita sul punto della prospettazione di adeguate ragioni giustificative che ne rendano possibile e necessaria una diversa considerazione.

4.6.- Punto fermo di questo itinerario è pertanto quello secondo cui la sentenza costitutiva produce effetti, dal momento in cui la stessa passa in giudicato (ex nunc), che possono retroagire alla data della domanda (opponibile al fallimento, se trascritta, come previsto dalla L. Fall., art. 45), salvi i casi in cui la legge prevede espressamente che gli effetti retroagiscono al momento in cui è sorto il rapporto che viene modificato (per esempio, l’art. 1458 c.c.), previsione inesistente con riguardo alla fattispecie in esame.

4.7.- Dalla natura costitutiva della sentenza che accoglie la domanda revocatoria consegue che, poiché gli effetti tipici della stessa sono quelli della creazione di una situazione giuridica nuova, l’inammissibilità dell’azione de qua appare saldamente fondata sulla regola della cristallizzazione della massa passiva alla data del fallimento sicché deve essere corretta la motivazione contenuta nella sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, laddove fonda tale sanzione processuale sulla natura di azione esecutiva della revocatoria.

4.8. E’ proprio la regola della cristallizzazione della massa passiva che impedisce di invocare nei confronti del fallimento una pretesa giuridica che si produce soltanto a seguito della sentenza di accoglimento della domanda. L’effetto dell’inefficacia dell’atto revocando, che è propriamente il centro della pronuncia di accoglimento dell’azione revocatoria, si costituisce esclusivamente con la pronuncia giudiziale di revoca, sicché si può parlare di “diritto quesito” alla revoca solo se la causa sia stata promossa prima del fallimento e se la domanda sia stata trascritta anteriormente al fallimento del terzo che subisce l’azione revocatoria ordinaria.

4.9.- La disciplina è, peraltro, del tutto analoga a quella esplicitata dalla legge fallimentare, all’art. 72, comma 5, con riguardo all’azione costituiva di risoluzione per inadempimento, evidenziandosi in tal modo una precisa coerenza di sistema.

4.10. Né tale conclusione è poi in contrasto con la disciplina dettata dalla L. Fall., art. 64, che, in corrispondenza di quei presupposti ivi elencati, prevede una forma di inefficacia degli atti automatica e discendente direttamente dalla dichiarazione di fallimento.

4.11. Inoltre, la pronuncia giudiziale che si renda necessaria per consentire al curatore l’apprensione e la vendita dei beni oggetto dell’atto inefficace ha natura meramente dichiarativa, tant’è che la relativa azione, da qualificare di accertamento negativo, è (diversamente dall’azione revocatoria sia ordinaria sia fallimentare) imprescrittibile (Cass. n. 6929 del 1983, n. 4608 del 1987, n. 1831 del 2001, n. 6918 del 2005, S.U. n. 6538 del 2010). Analogamente è a dirsi quanto alla natura del debito restitutorio che questa stessa Corte ritiene di valuta (da ultimo Cass. n. 12850 del 2018).

  1. Va tuttavia compiuta una ulteriore verifica per stabilire se l’azione revocatoria, quanto alla natura, possa dividersi nei due segmenti dell’azione cd. ordinaria (ove s’ipotizzi dar luogo ad una pronuncia di tipo dichiarativo) rispetto a quella fallimentare (di cui si è detto circa la consolidata affermazione della sua conclusione con pronuncia costitutiva) cosicché, per il caso esaminato in questa sede, si potrebbero superare le argomentazioni richiamate, principalmente riguardanti l’azione revocatoria fallimentare.

5.1. Con riferimento a tale esame, va ricordato che in dottrina le due azioni revocatorie (quella ordinaria e quella fallimentare) vengono ascritte ad una comune natura, conseguente alla circostanza che entrambe sono preordinate alla funzione di assicurare la tutela conservativa del diritto di credito e, quindi, della garanzia patrimoniale, che viene salvaguardata incidendo non sulla validità dell’atto ma sulla sua efficacia nei confronti del (o dei) creditore(i).

5.2. E’ stato notato, però, che le due azioni, benché abbiano taluni caratteri in comune, presentano anche marcate differenze che devono essere mantenute distinte perché: quella fallimentare è caratterizzata da un percorso probatorio agevolato mentre in quella ordinaria è valorizzato lo stato soggettivo del debitore (scientia damni o consilium fraudis) oltre che quello del terzo (la partecipatio fraudis), sicché proprio la peculiarità dell’azione revocatoria ordinaria hanno evidentemente indotto il legislatore a ritenere palesemente insufficienti le utilità dalla stessa derivanti nel caso di sopravvenienza di una procedura concorsuale onde la previsione di un’azione revocatoria di tipo “speciale”.

5.3. Differenti profili, tra l’altro, caratterizzano poi le azioni quanto alla revocabilità dei debiti scaduti, al trattamento del creditore revocato rispetto agli altri, al novero degli atti revocabili; ma, soprattutto, si afferma tra gli studiosi che la revocatoria ordinaria presenta una spiccata caratteristica indennitaria, diversamente dalla revocatoria fallimentare (avente, invece, secondo la ricostruzione prevalente, una natura antindennitaria).

5.4. Osserva la Corte che la diversità delle due azioni, pur se incontroversa e pacifica, anche quando quella ordinaria sia esperita dal curatore fallimentare, perché “giova a tutti i creditori, e non solo a colui che agisce, con effetto sostanzialmente recuperatorio” (Cass. n. 2055 del 1978, S.U. n.10233 del 2017, Cass. n. 13306 del 2018 e Cass. n. 614 del 2016), non valgono tuttavia a modificarne natura e caratteri, qualora sia proposta dal curatore fallimentare, poiché essa comunque tenderà ad una pronuncia costitutiva del credito (Cass. n. 17311 del 2016), con ogni conseguenza già ravvisata a proposito della revocatoria fallimentare.

5.5. Infatti, per quanto gli oneri probatori siano stati attenutati nella revocatoria fallimentare, operando decise agevolazioni in favore del ceto creditorio, comunque non occorre confondere il profilo probatorio (effettivamente differenziato) con la realtà soggettiva comunque riscontrabile anche all’esito dell’accertamento giudiziale nella revocatoria ordinaria (quantomeno nella forma della scientia decoctionis) sicché un tale aspetto comune (per quanto non completamente sovrapponibile tra i due segmenti della revocatoria) induce alla riconferma dell’esistenza di una matrice unitaria che si esprime, particolarmente, nella natura unitariamente costitutiva dell’azione in esame.

5.6. Vanno pertanto enunciati i seguenti principi di diritto:

  1. A) la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o sia fallimentare, in forza di un diritto potestativo comune, al di là delle differenze esistenti tra le medesime, ma in considerazione dell’elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, quantomeno nella forma della scientia decoctionis, ha natura costitutiva, in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto.
  2. B) Non è ammissibile un’azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa.
  3. Va, infine, esaminata l’ultima considerazione svolta per sostenere la nuova e diversa considerazione dell’azione revocatoria verso una ulteriore procedura concorsuale, quella che fa richiamo alla previsione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 91.

6.1.- Essa non appare pertinente poiché riguardante una procedura “speciale”, ancorata a presupposti specifici (con i connessi problemi di tutela dei gruppi di creditori che, per quanto tra di loro autonomi e distinti, sono comunque tutti favoriti o penalizzati da un’unica strategia di gestione del gruppo e della sua crisi, onde la necessità di una previsione regolatrice particolare) che non consentono di invocare ragioni di coerenza normativa e sistematica in grado di giustificare l’applicazione della regola dalla stessa posta anche alla procedura fallimentare, oltre il caso dalla stessa disciplinato (che è quello del compimento di atti tra imprese facenti parte di uno stesso gruppo).

  1. Il ricorso, che è infondato, va respinto con la correzione motivazionale di cui si è detto sopra (p. 4.7) e la compensazione delle spese in considerazione della complessità delle questioni esaminate.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa le spese giudiziali tra le parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

Cass_civ_Sez_Unite_n_30416_del_23_11_2018