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La spedizione per posta ordinaria di un assegno – concorso di colpa del mittente

La spedizione per posta ordinaria di un assegno costituisce condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente

Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 9769 del 26/05/2020

Con sentenza del 26 maggio 2020, la Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, in merito di recupero crediti ha stabilito che la spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola di intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gli interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, configurandosi, dunque, come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore.


Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 9769 del 26/05/2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Primo Presidente –

Dott. __ – Presidente di sez. –

Dott. __ – Presidente di sez. –

Dott. __ – Presidente di sez. –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da:

B. S.p.A. – ricorrente –

contro

U. S.p.A. – intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. __, depositata il __;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;

uditi gli Avv.ti __ e __;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. __, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. M. S.p.A. convenne in giudizio B. S.p.A., per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro __, oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla negoziazione di tre assegni di traenza non trasferibili, emessi da S. S.p.A., su incarico di essa attrice, all’ordine di C., D. e R..

Premesso che i predetti titoli, inviati ai beneficiari a mezzo di plichi postali semplici, erano stati sottratti prima di pervenire a destinazione e posti all’incasso presso le agenzie della convenuta, previa esibizione di documenti d’identità falsificati, l’attrice sostenne di aver dovuto effettuare un nuovo pagamento in favore dei beneficiari.

Si costituì la convenuta, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del __, il Tribunale di Roma rigettò la domanda.

  1. L’impugnazione proposta da U. S.p.A. (già M. S.p.A.) è stata accolta dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del __ ha condannato B S.p.A. al pagamento della somma richiesta, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

A fondamento della decisione, la Corte ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la banca che abbia effettuato il pagamento di un assegno non trasferibile in favore di chi non era legittimato a riceverlo ne risponde, ai sensi del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 43, comma 2, indipendentemente dalla configurabilità di un errore colposo nell’identificazione del prenditore, dal momento che la predetta disposizione detta una disciplina autonoma che deroga sia a quella prevista dall’art. 1992 c.c. per il pagamento dei titoli a legittimazione variabile, sia a quella generale delle obbligazioni prevista dall’art. 1182 c.c.. Ha affermato che tale disciplina si applica anche alla banca negoziatrice, la quale si limita ad anticipare la valuta acquistando la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare, precisando che, nel caso dell’assegno di traenza, la responsabilità della stessa, giustificata dall’impossibilità per B. trattaria di verificare l’autenticità delle firme e dall’esigenza di tutela dei terzi interessati alla circolazione del titolo, ha natura contrattuale e trova fondamento in un obbligo professionale di protezione, volto ad assicurare che l’assegno sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. Ha escluso l’applicabilità dell’art. 1227 c.c., in relazione al comportamento imprudente dell’attrice consistente nell’invio degli assegni tramite corrispondenza ordinaria, osservando che tale circostanza non aveva spiegato alcuna efficacia causale nella produzione del danno, determinato esclusivamente dal sopravvenuto inadempimento dell’istituto di credito, il quale aveva interrotto il nesso di causalità tra la predetta condotta l’evento dannoso. Ha ritenuto infine che la prova del danno emergesse dallo stesso indebito pagamento degli assegni, il quale aveva comportato la mancata liberazione della compagnia assicuratrice dall’obbligazione nei confronti dei beneficiari dei titoli.

  1. Avverso la predetta sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. U. non ha svolto difese scritte.

Con ordinanza del __, la Prima Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il quale ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, concernente la possibilità di ravvisare un concorso del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, nella spedizione di un assegno a mezzo posta (sia essa ordinaria, raccomandata o assicurata), con riguardo al pregiudizio patito dal debitore che non sia liberato dal pagamento, in quanto il titolo venga trafugato e pagato a soggetto non legittimato in base alla legge cartolare di circolazione.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del R.D. n. 1736 del 1933, artt. 43 e 73 dell’art. 81 c.p.c. e dell’art. 1223 c.c., sostenendo che la legittimazione all’esercizio dell’azione di pagamento fondata sugli assegni non spettava alla compagnia assicuratrice, ma esclusivamente ai beneficiari dei titoli. Contesta inoltre la configurabilità di una concorrente azione risarcitoria, in quanto non ricollegabile alla mera persistenza dell’obbligazione a carico dell’attrice, la quale costituiva una conseguenza del contratto di assicurazione, ma a rapporti ulteriori, contrattuali ed extracontrattuali, con la banca trattaria ed i presentatori degli assegni, aventi un collegamento indiretto e complesso con il danno lamentato.

1.1. Il motivo è infondato.

In caso di pagamento dell’assegno non trasferibile in favore di un soggetto diverso da quello effettivamente legittimato, la domanda di rimborso del relativo importo proposta dal traente o dal richiedente nei confronti della banca trattaria o negoziatrice si distingue da quella avente ad oggetto il pagamento dell’assegno, non avendo natura cambiaria, ma risarcitoria, in quanto trova fondamento non già nell’inadempimento del debito incorporato nel titolo, al cui pagamento la banca è tenuta esclusivamente nei confronti del prenditore, ma nella violazione dell’obbligo di procedere all’identificazione di colui che ha presentato il titolo all’incasso, previsto dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 a tutela di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo (cfr. Cass., Sez. Un., 26/06/2007, n. 14712; Cass., Sez. III, 22/05/2015, n. 10534). L’accoglimento di tale domanda presuppone ovviamente la prova del danno, che tuttavia, nel caso dell’assegno di traenza, emesso dalla banca trattaria a fronte della costituzione della relativa provvista da parte del richiedente, non postula la dimostrazione dell’avvenuta effettuazione di un nuovo pagamento in favore del prenditore, potendo essere ravvisato nella mera perdita dell’importo versato o addebitato, a causa dello indebito pagamento del titolo; l’emissione e la spedizione di quest’ultimo non comportano infatti il trasferimento della titolarità del predetto importo in favore del beneficiario, il quale ne acquista la disponibilità giuridica soltanto a seguito del pagamento o dell’accreditamento effettuato dalla banca (cfr. Cass., Sez. III, 10/03/2008, n. 6291).

  1. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione del D.M. 9 aprile 2001, art. 6 emesso in attuazione del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 22, comma 2, e della direttiva n. 97/67/CE, nonché degli artt. 1227, 1228 e 2049 c.c., del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 28 e della Delib. dell’AGCOM 20 giugno 2013, osservando che, nel ritenere irrilevante il comportamento tenuto dall’attrice, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della nuova disciplina del servizio postale, introdotta dal predetto decreto ministeriale in sostituzione di quella di cui al D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156. Afferma infatti che, mentre quest’ultimo prescriveva l’obbligo di spedizione mediante plico assicurato soltanto per i valori esigibili al portatore, in tal modo escludendo la possibilità d’imputare al mittente le conseguenze dell’invio di assegni non trasferibili tramite plico raccomandato, l’art. 6 cit., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, estende il predetto obbligo a tutti i valori, consentendo quindi di ravvisare un rapporto di causalità tra l’omessa assicurazione del plico ed il danno derivante dalla perdita del valore nello stesso contenuto.
  2. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1175 e 1176 c.c., dell’art. 43 c.p., comma 1, e dell’art. 2 Cost., rilevando che, nell’escludere l’apporto causale del comportamento tenuto dall’attrice, la sentenza impugnata non ha considerato che la spedizione degli assegni mediante plico assicurato o quanto meno raccomandato, anziché tramite corrispondenza ordinaria, rappresentava una cautela suggerita da elementari regole di prudenza e diligenza, nonché da un doveroso riguardo per la sfera giuridica dei destinatari. Richiama in proposito la L.R. Sicilia 8 luglio 1977, n. 47, art. 15, il D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602, art. 42-bis e il D.Lgs. 26 febbraio 1994, n. 46, art. 42-bis, comma 5, che prescrivono la spedizione a mezzo raccomandata di titoli di credito, rimborsi IRPEF e rimborsi dovuti dagli esattori delle imposte, anche di minimo importo, osservando che, a dispetto delle regole di prudenza cui s’ispirano tali disposizioni e degl’innumerevoli casi di sottrazione da parte di falsari, è proseguita nel tempo la prassi dell’invio di assegni circolari a mezzo di corrispondenza ordinaria, laddove criteri di elementare cautela avrebbero consigliato di effettuare il pagamento mediante bonifico o consegna diretta dei titoli, o quanto meno attraverso l’invio in plico raccomandato. Aggiunge che l’abbandono della predetta prassi era imposto anche dalle disposizioni generali desumibili di cui agli artt. 1175 e 1176 c.c., nonché dai principi desumibili dall’art. 2 Cost. e dall’art. 43 c.p., aventi carattere inderogabile.
  3. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 41 c.p. e dell’art. 1227 c.c., osservando che, nel ritenere che il comportamento da essa tenuto nella negoziazione degli assegni avesse comportato l’interruzione del nesso causale tra il danno e la condotta dell’attrice, la sentenza impugnata non ha considerato che i fatti sopravvenuti in tanto possono costituire causa esclusiva dell’evento dannoso, in quanto, oltre ad essere di per sé soli idonei a produrlo, presentino carattere di assoluta imprevedibilità ed eccezionalità. Tali caratteri risultano completamente assenti nel caso della sommaria negoziazione degli assegni, la quale costituisce un fatto piuttosto frequente, già verificatosi per altri titoli risultati successivamente sottratti, e comunque inidoneo a determinare l’incasso degli assegni, in mancanza dell’incauta spedizione degli stessi tramite corrispondenza ordinaria. Secondo la ricorrente, il ricorso a tale mezzo di trasmissione deve considerarsi di per sé sufficiente a giustificare l’affermazione del nesso causale tra il danno lamentato e il comportamento colposo dell’attrice, avendone quest’ultima accettato i prevedibili rischi, al fine di evitare le spese postali, nella convinzione di poter riversare sulla banca le conseguenze dell’eventuale sottrazione degli assegni.
  4. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini dell’esclusione del nesso causale tra l’evento dannoso ed il comportamento dell’attrice, ha omesso di prendere in esame le considerazioni svolte nella comparsa di costituzione in appello, in cui essa appellata aveva insistito sui rischi connessi al sistema adottato dall’attrice per la spedizione degli assegni, ed aveva evidenziato la possibilità di provvedere al pagamento mediante accredito informatico sui conti correnti dei beneficiari, consegna diretta dei titoli o bonifico bancario, nonché la possibilità di adottare ulteriori cautele, quali l’annotazione degli estremi degli assegni in un file da trasmettere alle banche, al fine di evitarne l’indebito pagamento.
  5. Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nella valutazione del comportamento tenuto dall’attrice, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della disastrosa esperienza anteriore ai fatti di causa, contraddistinta dal pluriennale ricorso della compagnia assicuratrice alla spedizione degli assegni tramite corrispondenza ordinaria, e dalla sistematica sottrazione di un ingente numero di titoli, successivamente negoziati presso tutte le banche da esperti falsari.
  6. I cinque motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, concernenti rispettivamente a) l’obbiettiva configurabilità di un rapporto di causalità tra la riscossione dell’assegno non trasferibile da parte di un soggetto non legittimato e la spedizione del titolo mediante posta ordinaria, b) l’individuazione delle regole d’imputazione giuridica dell’evento al mittente, e c) la compatibilità della responsabilità di quest’ultimo con quella della banca trattaria o negoziatrice per l’omissione della dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo. Pur riguardando l’accertamento del nesso causale, il cui riscontro si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, la questione non può ritenersi estranea all’ambito del giudizio di legittimità, in quanto, coinvolgendo l’individuazione del criterio da adottare per la selezione, tra tutte le possibili concause dell’illecito, degli antecedenti in concreto rilevanti per la produzione del danno, ed in particolare la verifica della conformità della scelta operata dal giudice di merito alle norme sostanziali che disciplinano la fattispecie accertata, attiene alla sussunzione di quest’ultima nell’ipotesi normativa, il cui controllo rientra nei poteri di questa Corte, ferma restando la spettanza al giudice di merito della valutazione delle conseguenze derivanti dall’adozione del predetto criterio di selezione (cfr. Cass., Sez. III, 10/04/2019, n. 9985; 25/02/2014, n. 4439; 7/12/ 2005, n. 26997).

I predetti profili hanno costituito per lo più oggetto di cumulativa considerazione da parte della giurisprudenza di questa Corte, la quale è pervenuta ad esiti alquanto differenziati, proprio in virtù dell’avvenuta valorizzazione, nei singoli casi, dell’uno o dell’altro aspetto.

Alcune pronunce hanno infatti attribuito un rilievo preminente (se non esclusivo) alla responsabilità della banca trattaria o negoziatrice, affermando che il titolo e la configurazione giuridica della stessa assorbono totalmente (pur in presenza di altri mezzi bancari utilizzabili per il trasferimento di valuta) le modalità di trasmissione delle quali il richiedente si sia avvalso per l’invio dell’assegno al prenditore beneficiario (cfr. Cass., Sez. I, 16/05/ 2003, n. 7653): a sostegno di tale affermazione, è stato richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 nel regolare l’adempimento dell’assegno non trasferibile, detta una disciplina autonoma, che deroga sia a quella dei titoli di credito a legittimazione variabile prevista dall’art. 1992 c.c., comma 2, sia a quella generale delle obbligazioni prevista dall’art. 1189 c.c., stabilendo che la banca che abbia eseguito il pagamento in favore di chi non era legittimato non è liberata dall’originaria obbligazione finché non paghi al prenditore esattamente individuato (o al banchiere giratario per l’incasso), e ciò indipendentemente dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione dello stesso prenditore (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 22/02/2016, n. 3405; 9/02/1999, n. 1098). Un altro orientamento ha invece escluso la stessa configurabilità del nesso di causalità, sostenendo che la condotta del mittente che abbia inserito l’assegno non trasferibile in una corrispondenza non assicurata, quand’anche qualificabile come colposa o imprudente, non assume alcuna rilevanza causale rispetto all’evento dannoso, il quale si verifica esclusivamente in conseguenza del comportamento colposo posto in essere dall’istituto di credito negoziatore, emittente o trattario, comportamento valutabile alla stregua di un fatto sopravvenuto rispetto alla trasmissione del titolo per corrispondenza ordinaria, ed idoneo ad interrompere il nesso di causalità (cfr. Cass., Sez. III, 22/08/2018, n. 20911; Cass., Sez. VI, 4/11/2014, n. 23460; Cass., Sez. I, 31/03/2010, n. 7949). Ai predetti argomenti si accompagna spesso il rilievo, talora svolto anche in via autonoma, secondo cui la responsabilità del mittente non è ricollegabile neppure all’inosservanza del divieto, posto dal D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 di includere nella corrispondenza ordinaria denaro, preziosi e carte di valore esigibili al portatore, trattandosi di una disposizione operante esclusivamente nei rapporti tra il mittente ed il gestore del servizio postale, e comunque non riferibile agli assegni, che non sono titoli al portatore (cfr. Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 12984; 4/11/2014, n. 23460; Cass., Sez. III, 30/03/2010, n. 7618).

In tale panorama giurisprudenziale, prevalentemente convergente verso l’esclusione di una colpa concorrente del mittente, non mancano tuttavia voci dissonanti, costituite da pronunce che, pur non escludendo in linea di principio il predetto concorso, hanno dichiarato inammissibile la relativa questione, ritenendola attinente al merito (cfr. Cass., Sez. I, 11/03/2019, n. 6979; 2/12/2016, n. 24659; 22/02/2016, n. 3406), o da pronunce che hanno ritenuto applicabile il divieto di cui al D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 anche ai titoli all’ordine, in virtù di un’interpretazione analogica di tale disposizione (cfr. Cass., Sez. III, 21/12/2017, n. 30665).

7.1. Gli orientamenti indicati hanno il loro comune presupposto, non sempre chiaramente enunciato, ed anzi talvolta deliberatamente relegato in secondo piano (cfr. per tutte Cass., Sez. I, 16/05/2003, n. 7653, cit.), nella sottolineatura della funzione assegnata alla clausola d’intrasferibilità, consistente nel garantire il richiedente o il prenditore proprio contro il rischio del furto, dello smarrimento o della distruzione del titolo, e ritenuta quindi incompatibile con l’accollo sia pure parziale della relativa responsabilità al mittente; in quanto volta a dare l’assoluta sicurezza del pagamento al prenditore, tale funzione giustificherebbe inoltre un’interpretazione particolarmente rigorosa della disciplina dettata dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, in virtù della quale dovrebbe ritenersi che il pagamento dello assegno non trasferibile effettuato in favore di una persona diversa da quella indicata come prenditore non abbia effetto liberatorio nel confronti del solvens, nel senso che, essendo rimessa alla sua diligenza la realizzazione della predetta funzione, egli paga a suo rischio e pericolo, e se cade in errore è tenuto a pagare una seconda volta (cfr. Cass., Sez. I, 13/05/2005, n. 10118; 29/08/2003, n. 12698). Nella sua formulazione originaria, tale indirizzo escludeva la natura risarcitoria dell’obbligazione posta a carico della banca trattaria o negoziatrice, ravvisandovi invece la medesima obbligazione cambiaria originaria, che la banca era tenuta ad adempiere nuovamente mediante il pagamento in favore del soggetto legittimato, non potendosi considerare validamente effettuato quello eseguito in favore del presentatore (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2000, n. 1978; 9/02/1999, n. 1098; 7/10/ 1958, n. 3133): in quest’ottica, si escludeva anche la necessità di un’indagine in ordine all’imputabilità dell’errore commesso nell’identificazione del prenditore, affermandosi che la banca era tenuta al nuovo pagamento a prescindere dalla natura colposa del comportamento tenuto in occasione di quello precedente; e tale precisazione è rimasta ferma anche in seguito, nonostante la diffusione del diverso orientamento, divenuto poi prevalente, che riconosce la natura risarcitoria dell’obbligazione, ricollegandola non già all’inadempimento del debito cambiario, ma all’inosservanza del dovere, posto a carico della banca dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, di procedere all’identificazione del presentatore dell’assegno, mediante l’adozione di tutte le cautele e gli accorgimenti in concreto suggeriti dalla diligenza professionale (cfr. Cass., Sez. VI, 21/02/2017, n. 4381; Cass., Sez. I, 19/07/2016, n. 14777; 22/02/2016, n. 3405), Com’è noto, la predetta affermazione, tutt’altro che pacifica nella giurisprudenza di legittimità (cfr. in contrario Cass., Sez. 23/12/2016, n. 26947; 4/08/2016, n. 16332; 26/01/2016, n. 1377), ha costituito oggetto di revisione da parte di queste Sezioni Unite, che con una recente sentenza hanno enunciato il principio secondo cui la banca negoziatrice dell’assegno (bancario, di traenza o circolare) munito di clausola d’intrasferibilità, chiamata a rispondere del danno cagionato dal pagamento effettuato a persona diversa dall’effettivo beneficiario, per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2, (cfr. Cass., Sez. Un., 21/05/2018, n. 12477). A sostegno di tale conclusione, è stata richiamata la precedente sentenza delle stesse Sezioni Unite che, risolvendo il contrasto di giurisprudenza riguardante la responsabilità della banca, ne aveva escluso la natura extracontrattuale, ravvisandovi invece un’ipotesi di responsabilità contrattuale c.d. da contatto sociale, fondata sull’obbligo professionale di protezione (preesistente, specifico e volontariamente assunto), posto a carico della banca nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso (cfr. Cass., Sez. Un., 26/06/2007, n. 14712). Nel ribadire tale principio, la nuova pronuncia ne ha evidenziato l’incompatibilità con la natura oggettiva della responsabilità, predicabile soltanto in riferimento a fattispecie d’illecito extracontrattuale, precisando che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, la banca è tenuta a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve. E’ stato inoltre chiarito che lo scopo della clausola di intrasferibilità consiste non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma anche e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo: ed a conferma di tale assunto è stato richiamato il R.D. n. 1736 del 1933, art. 73 il quale esclude l’ammortamento dell’assegno non trasferibile proprio perché lo stesso non può essere azionato da un portatore di buona fede, conferendo nel contempo al prenditore, ma solo come conseguenza indiretta, la maggior sicurezza di poterne ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente.

Viene in tal modo a cadere, definitivamente, il primo degli argomenti a favore della tesi che esclude il concorso di colpa del mittente, e precisamente l’affermazione dell’incompatibilità tra la responsabilità di quest’ultimo ed il titolo e la configurazione di quella della banca: argomento, questo, già fortemente indebolito, peraltro, dall’esclusione della natura cambiaria della obbligazione gravante sulla banca, e dalla conseguente individuazione della fonte della sua responsabilità nell’inadempimento di un’obbligazione ex lege o di un’obbligazione da contatto sociale. In quanto non ricollegabile all’inadempimento del debito cambiario, imputabile esclusivamente ai soggetti tenuti ad adempierlo, ma ad un’anomalia intervenuta nel processo di trasmissione e pagamento del titolo, non necessariamente addebitabile alla banca trattaria o negoziatrice, la responsabilità di quest’ultima non esclude infatti, in linea di principio, quella concorrente di altri soggetti eventualmente intervenuti nel predetto processo, che con il loro comportamento abbiano contribuito a cagionare il danno.

7.2. Quanto poi al nesso di causalità, occorre richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità civile, secondo cui tale materia è regolata dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in virtù dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), nonché dal criterio della c.d. causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno di una serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili (cfr. Cass., Sez. I, 23/12/ 2010, n. 26042; Cass., Sez. III, 30/04/2010, n. 10607; Cass., Sez. lav., 14/04/2010, n. 8885). E’ stato precisato in particolare che, in presenza di un evento dannoso riconducibile a più azioni od omissioni, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 40 c.p., in virtù del quale deve riconoscersi a ciascuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dall’art. 41 c.p., comma 2 in base al quale l’evento dannoso può essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta soltanto se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (cfr. Cass., Sez. III, 22/10/2013, n. 23915; 10/10/2008, n. 25028; 22/ 10/2003, n. 15789). L’interruzione del nesso causale può essere anche l’effetto del comportamento dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento dannoso, sì da privare di efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il comportamento dell’autore dell’illecito (cfr. Cass., Sez. III, 19/07/2018, n. 19180; 12/09/ 2005, n. 18094; 8/11/2002, n. 15704); quando invece il comportamento colposo del soggetto danneggiato non sia stato tale da interrompere il nesso di causalità tra il fatto del terzo e l’evento dannoso, ma abbia solo concorso alla produzione di quest’ultimo, trova applicazione l’art. 1227 c.c., comma 1, il quale afferma il principio secondo cui il danno che taluno arreca a sé medesimo non può essere posto a carico dell’autore della causa concorrente (cfr. Cass., Sez. III, 3/12/2002, n. 17152). Tali principi, enunciati con riguardo al comportamento del danneggiato sopravvenuto alla commissione del fatto illecito, sono stati ritenuti applicabili anche al comportamento coevo o anteriore, purché legato da nesso eziologico con l’evento dannoso, essendosi affermato che il fatto colposo cui fa riferimento l’art. 1227 c.c., comma 1, comprende qualsiasi condotta negligente o imprudente che abbia costituito causa concorrente dell’evento (cfr. Cass., Sez. III, 15/03/2006, n. 5677; 18/05/1979, n. 2861).

Applicando i predetti principi alla fattispecie in esame, risulta oggettivamente difficile negare che, in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità prescelte per la trasmissione del titolo possano spiegare un’efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato: se è vero, infatti, che il pagamento dell’assegno è subordinato al riscontro della corrispondenza tra il soggetto indicato come prenditore e colui che presenta il titolo all’incasso, e quindi all’identificazione di tale soggetto, alla quale la banca deve procedere mediante l’adozione di tutte le cautele e gli accorgimenti suggeriti dalla diligenza professionale, è anche vero, però, che tale pagamento non può aver luogo in mancanza della materiale disponibilità dell’assegno, la cui presentazione alla banca ne costituisce un presupposto indispensabile. Il possesso del documento rappresenta infatti una condizione essenziale per l’esercizio del diritto in esso incorporato, allo stesso modo della qualità di prenditore di colui che presenta il titolo all’incasso: qualora pertanto la sottrazione sia stata cagionata o comunque agevolata dall’adozione di modalità di trasmissione inidonee a garantire, per quanto possibile, che l’assegno pervenga al destinatario, non può dubitarsi che la scelta delle predette modalità costituisca, al pari dell’errore nell’identificazione del presentatore, un antecedente necessario dell’evento dannoso, che rispetto ad esso non si presenta come una conseguenza affatto inverosimile o imprevedibile.

Le stesse parti, nella specie, hanno fatto ripetutamente cenno alla preoccupante frequenza con cui, in caso di trasmissione degli assegni per posta ordinaria, si verificano siffatte sottrazioni, a fronte delle quali il gestore del servizio postale non è in grado di fornire adeguate garanzie di buon esito della spedizione, se è vero che, come si è detto, lo stesso regolamento del servizio vieta d’inserire nella posta ordinaria denaro ed altri oggetti di valore. Il conseguente rischio che l’assegno cada in mani diverse da quelle del destinatario, e sia quindi presentato all’incasso da un soggetto diverso dallo effettivo prenditore, non può ritenersi d’altronde scongiurato né dalla clausola d’intrasferibilità, la cui funzione precipua non consiste, come si è detto, nell’evitare il predetto evento, ma nell’impedire la circolazione del titolo, né dall’imposizione a carico della banca dell’obbligo di procedere all’identificazione del presentatore, dal momento che il puntuale adempimento di tale obbligo è reso sempre più difficoltoso dallo sviluppo di perfezionate tecniche di contraffazione dei documenti, la cui falsificazione spesso non è rilevabile neppure mediante un controllo accurato, ai fini del quale, com’è noto, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’escludere la necessità del ricorso ad attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile reperimento o del possesso da parte dell’impiegato addetto delle qualità di un esperto grafologo (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. VI, 19/06/2018, n. 16178; Cass., Sez. I, 4/08/2016, n. 16332; 26/01/2016, n. 1377).

In tale contesto, la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso: quest’ultima, infatti, non è identificabile esclusivamente con il segmento terminale del processo che ha condotto al verificarsi dell’evento, ma dev’essere individuata tenendo conto dell’intera sequenza dei fatti che lo hanno determinato, escludendo ovviamente quelli che non hanno spiegato alcuna incidenza su di esso, per essere stati superati da altri fatti successivi di per sé soli sufficienti a cagionarlo. Tale esposizione volontaria al rischio, o comunque la consapevolezza di porsi in una situazione di pericolo, è stata ritenuta da questa Corte sufficiente a giustificare il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, in virtù della considerazione che la riduzione della responsabilità del danneggiante è configurabile non solo in caso di cooperazione attiva del danneggiato nel fatto dannoso posto in essere dal danneggiante, ma in tutti i casi in cui il danneggiato si esponga volontariamente ad un rischio superiore alla norma, in violazione di norme giuridiche o di regole comportamentali di prudenza avvertite come vincolanti dalla coscienza sociale del suo tempo, con una condotta (attiva od omissiva che sia) che si inserisca come antecedente necessario nel processo causale che culmina con il danno da lui subito. Premesso infatti che lo svolgimento di qualsiasi attività sociale ed economica comporta inevitabilmente l’assoggettamento ad un certo livello di rischio, al quale è impossibile sottrarsi senza andare incontro a limitazioni incompatibili con una normale partecipazione alla convivenza civile, e la cui accettazione non consente di porre a carico del soggetto le conseguenze dannose della propria condotta, non potendosi pretendere in ogni situazione il rispetto di regole di massima prudenza, si è affermato invece che costituisce fonte di responsabilità non solo la condotta tenuta in violazione di precise norme giuridiche, ma anche quella che comporti l’esposizione volontaria o comunque consapevole ad un rischio che, secondo regole di prudenza comportamentale avvertite come vincolanti dalla comunità, si ponga al di sopra della soglia della normalità, dal momento che in tal caso il comportamento tenuto dal danneggiato si inserisce nel processo eziologico che conduce all’evento dannoso, divenendo un segmento della catena causale (cfr. Cass., Sez. III, 6/12/2018, n. 31540; 26/05/ 2014, n. 11698; 23/05/2014, n. 15332).

7.3. Il richiamo alla necessità che l’esposizione a rischio non si risolva nell’adozione di una condotta genericamente imprudente, ma si traduca in una violazione di norme giuridiche o comportamentali ritenute socialmente vincolanti, trova riscontro nella lettera dell’art. 1227 c.c., comma 1, che, subordinando la riduzione del risarcimento alla riconducibilità del danno a un fatto colposo del danneggiato, si riferisce ad un comportamento che si ponga in contrasto con una regola di condotta. Si giustifica in tal senso l’affermazione della dottrina e della giurisprudenza secondo cui, nell’ambito della predetta disposizione, la colpa non costituisce un mero criterio d’imputazione soggettiva del fatto, ma la misura della rilevanza causale dello stesso, nel senso che, in mancanza di tale requisito, il comportamento del danneggiato non può considerarsi causa o concausa del danno.

Nella specie, occorre dunque chiedersi se, al di là della sua oggettiva idoneità ad innescare la sequenza causale che conduce al pagamento dello assegno in favore di un soggetto diverso da quello effettivamente legittimato, la trasmissione del titolo per posta ordinaria, che comporta l’esposizione del mittente al rischio della sottrazione o dello smarrimento, si ponga in contrasto con norme giuridiche o con regole di condotta suggerite dalla comune prudenza.

In proposito, pur dovendosi dare atto dell’ormai ampia diffusione di strumenti bancari ben più rapidi e sicuri, e non necessariamente più costosi, dell’assegno, occorre rilevare l’inesistenza di norme giuridiche che escludano l’utilizzazione di tale mezzo per i pagamenti a distanza, spesso imposta, peraltro, dall’indisponibilità da parte del beneficiario di un conto corrente o di un deposito bancario sul quale poter fare affluire l’accredito. Va inoltre confermata l’impossibilità di attribuire efficacia giuridicamente vincolante alle norme che disciplinano il servizio postale, le quali, in quanto operanti esclusivamente nei rapporti tra il gestore del predetto servizio ed i soggetti che se ne avvalgono per la spedizione della propria corrispondenza, non possono costituire un riferimento normativo utile, almeno in via diretta, ai fini della disciplina dei rapporti con i terzi. La mera inosservanza del divieto, posto dal D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 d’includere denaro, oggetti preziosi e carte di valore esigibili al portatore nella corrispondenza ordinaria o in quella raccomandata, così come quella dell’art. 84 medesimo D.P.R., il quale impone di assicurare le lettere ed i pacchi contenenti i predetti beni, non costituisce dunque una ragione sufficiente a fondare l’affermazione del concorso di colpa del mittente. Per la medesima ragione, deve ritenersi non pertinente il richiamo alle analoghe disposizioni dettate, a seguito della privatizzazione dell’Ente Poste, dalla Carta della qualità del servizio pubblico postale (nelle diverse versioni, susseguitesi nel tempo, emanate con D.M. 9 aprile 2001 e con D.M. 26 febbraio 2004) e dalle Condizioni generali di servizio per l’espletamento del servizio universale postale di Poste italiane, approvate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con Delib. 20 giugno 2013, n. 385/13/CONS. Ai fini che qui interessano, occorre prendere invece in esame le modalità di prestazione del servizio postale, così come disciplinate dal predetto testo unico e dalle successive modificazioni, in modo da verificare se, in relazione all’oggetto della spedizione ed alle garanzie di sicurezza previste per ciascuna modalità di trasmissione, possa ritenersi giustificata l’affermazione che la scelta effettuata dal mittente ne abbia comportato l’esposizione ad un margine di rischio superiore a quello ritenuto accettabile alla stregua delle regole di comune prudenza. Nella specie, va richiamata la disciplina dettata dal D.M. 26 febbraio 2004, vigente all’epoca della spedizione dell’assegno il cui pagamento costituisce oggetto del presente giudizio, la quale, nel delineare le caratteristiche dei prodotti forniti dal servizio postale, si limita a stabilire, per la posta ordinaria, che la stessa consente la spedizione di corrispondenza verso qualsiasi località del territorio nazionale o estero, nonché a richiedere, per la puntualità del recapito, il rispetto degli orari di impostazione e l’indicazione del codice di avviamento postale, laddove, relativamente alla posta raccomandata ed assicurata, aggiunge che la stessa consente al mittente di ottenere una certificazione della spedizione con valore legale e di richiedere un avviso di ricevimento, nonché di assicurare il contenuto del plico, prevedendo inoltre la tracciatura elettronica della spedizione, ovverosia la possibilità di ottenere informazioni su dove la stessa si trova, sia per telefono che attraverso internet. Tali disposizioni vanno integrate con quelle, anch’esse vigenti ratione temporis (e superate solo dalla dettagliata disciplina introdotta dalle Condizioni generali approvate dall’AGCOM), del D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655, recante il regolamento di esecuzione dei libri I e II del codice postale, il quale prevede, all’art. 38, che la corrispondenza ordinaria è recapitata mediante immissione nelle apposite cassette domiciliari, consegna a persone di famiglia del destinatario o al portiere dello stabile o consegna presso negozi, stabilimenti, uffici, manifatture e simili, cui il destinatario sia addetto, mentre la corrispondenza raccomandata può essere recapitata soltanto mediante consegna alle predette persone, e quella assicurata soltanto mediante consegna al destinatario; gli artt. 100 e 105 dispongono inoltre che il destinatario di oggetti raccomandati o assicurati o chi sia ammesso ad agire in suo nome non può ritirarli senza averne rilasciato ricevuta all’agente incaricato del recapito.

La semplice lettura di tali disposizioni pone in risalto le particolari cautele apprestate dalla normativa per la spedizione, la trasmissione e la consegna della posta raccomandata ed assicurata, rispetto alle corrispondenti modalità previste per la posta ordinaria, rendendo altresì evidenti le motivazioni poste a fondamento del divieto imposto al mittente d’immettere in quest’ultima denaro od oggetti di valore. In particolare, la possibilità di seguire in tempo reale lo stato di lavorazione del plico ed il percorso dallo stesso compiuto dal momento della spedizione a quello della consegna, nonché la previsione che quest’ultima abbia luogo a mani del destinatario o di persona di famiglia o addetta al suo servizio, anziché mediante la semplice immissione nella cassetta, se non possono considerarsi di per sé sufficienti ad impedire lo smarrimento o la sottrazione del plico, consentono però al mittente, in caso di ritardo prolungato nella consegna, di attivarsi tempestivamente per evitarne il pagamento o quanto meno per segnalare l’anomalia alla banca trattaria, affinché adotti le necessarie precauzioni. Per converso, l’utilizzazione della posta ordinaria implica la perdita di ogni controllo in ordine alla fase della trasmissione, della quale il mittente non è in grado di conoscere né il percorso né lo stato di avanzamento, essendosi privato della possibilità di verificarne l’esito, almeno fino a quando il destinatario del plico non ne segnali la mancata ricezione.

Ciò comporta, nel caso in cui il servizio di posta ordinaria venga utilizzato per la spedizione di un assegno, l’assunzione da parte del mittente di un evidente rischio, consistente nella sottrazione del titolo e nella sua presentazione all’incasso da parte di un soggetto non legittimato, che lo espone all’obbligo di effettuare un nuovo pagamento in favore del beneficiario rimasto insoddisfatto, impedendogli nel contempo di rivalersi nei confronti della banca trattaria o negoziatrice, ove la stessa abbia incolpevolmente provveduto al pagamento dell’assegno. Si tratta di un rischio non solo ingiustificato, avuto riguardo al valore economico dell’oggetto spedito ed alla possibilità di avvalersi di forme di corrispondenza che offrono adeguate garanzie (oltre che di strumenti di pagamento più sicuri), ma idoneo anche ad accrescere la probabilità di pagamenti a soggetti non legittimati, e quindi a comportare un aggravamento della posizione della banca trattaria o negoziatrice, maggiormente esposta alla possibilità di andare incontro a responsabilità, e quindi costretta a munirsi di strumenti tecnici sempre più sofisticati e costosi per l’identificazione dei presentatori ed il contrasto dell’uso di documenti falsificati. In quest’ottica, pertanto, l’utilizzazione della posta ordinaria si pone in contrasto non solo con le regole di comune prudenza, le quali suggerirebbero di avvalersi di modalità di trasmissione più idonee ad assicurare il controllo sul buon esito della spedizione, ma anche con il dovere di agire in modo da preservare gl’interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico, e ciò in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 c.c., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù nell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 c.c., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 c.c. in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto (cfr. Cass., Sez. Un., 21/11/2011, n. 24406; Cass., Sez. III, 26/05/2014, n. 11698; 5/03/2009, n. 5348).

7.4. In conclusione, la questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite dev’essere risolta mediante l’enunciazione del seguente principio di diritto: “La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.

  1. Alla stregua di tale principio, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, dopo aver affermato l’obbligo della banca negoziatrice degli assegni di risarcire alla compagnia assicuratrice il danno derivante dal pagamento eseguito in favore di soggetti diversi da quelli effettivamente legittimati, in virtù dell’accertata violazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 ha escluso la configurabilità del concorso di colpa dell’attrice, in relazione all’avvenuta spedizione degli assegni per posta ordinaria, attribuendo all’inadempimento dell’obbligo posto a carico della banca un’efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento dannoso, e ravvisandovi pertanto un fatto sopravvenuto idoneo a determinare l’interruzione del nesso di causalità con la condotta della mittente.
  2. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020.

Cass. civ. Sez. Unite 26_05_2020 n. 9769