Leasing finanziario: in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato
Leasing finanziario: in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato
Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 8980 del 29/03/2019
Con sentenza del 29 marzo 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della legge 124/2017 (art. 1 commi 136-140), sono regolati dalla disciplina dell’art. 72-quater legge fall., applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore. In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. La vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito sulla base della stima su menzionata, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante-fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione. Eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto.
Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 8980 del 29/03/2019
Leasing finanziario: in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso __ proposto da:
A. S.r.l., già H. S.r.l., già H. A. S.r.l. – ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –
avverso il decreto del __, del __;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __dal cons. Dott. __;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato __, per il controricorrente, che ha chiesto l’inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso L. Fall., ex art. 98 A. S.r.l. (già H. S.r.l.), esponeva che:
– in data __ era stato stipulato un contratto di locazione finanziaria con P. S.n.c., con consegna dell’immobile all’utilizzatrice, in data __;
– il contratto di leasing prevedeva una maxi rata iniziale, pari ad __ Euro e n. __ rate successive, dell’importo di __ Euro ciascuna, oltre ad un’opzione d’acquisto di __ Euro, alla data del __;
– in data __ il contratto era stato ceduto a (OMISSIS) S.r.l. e nell’atto di cessione era stato rideterminato il piano finanziario del contratto;
– nel corso del rapporto contrattuale (OMISSIS) S.r.l. aveva interrotto il versamento dei canoni pattuiti ed a seguito del suo perdurante inadempimento, H. S.r.l., con raccomandata del __, aveva comunicato all’utilizzatrice la risoluzione del contratto, intimandole la restituzione dell’immobile ed il pagamento delle residue somme dovute;
– (OMISSIS) S.r.l. aveva spontaneamente consegnato il bene;
– al momento del rilascio risultavano non pagati da (OMISSIS) S.r.l. n. __ canoni di locazione oltre ad indicizzazione ed interessi, come da fatture già emesse, per un importo di complessivi __ Euro.
Tanto premesso A. S.r.l. già H. S.r.l. presentava tempestiva istanza di ammissione al passivo per l’importo di __ Euro, deducendo che tale importo era dovuto in forza dell’art. 8 del contratto di leasing. Tale clausola prevedeva che, in caso di risoluzione anticipata per inadempimento dell’utilizzatore, i canoni versati fino al momento della risoluzione restassero acquisiti al concedente e che l’utilizzatore dovesse corrispondere i canoni scaduti sino alla data della risoluzione;
veniva inoltre pattuita la possibilità per il concedente di richiedere il pagamento dei canoni ancora a scadere (ed attualizzati), dedotto l’eventuale importo ricavato dalla vendita del bene (o da altra forma di ricollocazione) ovvero il valore del bene ricavato da perizia di stima.
Il G.D. rigettava la domanda di insinuazione al passivo, deducendo che, ai sensi dell’art. 1526 c.c. la domanda proposta avrebbe dovuto essere completa in tutte le richieste ex art. 1526 c.c. prevedendo quindi l’offerta di restituzione dei canoni all’utilizzatore, con possibilità di pretendere, a titolo risarcitorio, la differenza tra corrispettivo contrattuale a carico dell’utilizzatore e valore del bene secondo i prezzi correnti al tempo della liquidazione, fermo il diritto del fallimento alla restituzione dei canoni, per il quale veniva fatta riserva di agire in separata sede.
Il tribunale di Mantova, con decreto del __ rigettava l’opposizione L. Fall., ex art. 98 proposta dalla ricorrente e confermava la pronuncia di rigetto della relativa insinuazione al passivo del fallimento.
Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, A. S.r.l.
Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS) S.r.l.
Con ordinanza interlocutoria del __, questa Corte, rilevata la particolare rilevanza della questione relativa alla risoluzione del contratto di leasing, anche alla luce della disciplina introdotta dalla L. 4 agosto 2017 n. 124 (art. 1, commi 136-140), ha rinviato la causa alla pubblica udienza.
In prossimità dell’odierna udienza collegiale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 codice di rito.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 c.c., degli artt. 1322, 1362, 1363 e 1382 c.c.in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere il tribunale erroneamente applicato la disposizione dell’art. 1526 c.c. ed aver ritenuto che la relativa disciplina prevalesse sulle clausole del contratto di leasing concluso dalle parti.
Con il secondo mezzo si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per assenza di motivazione del decreto impugnato.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non avere il Tribunale considerato il contenuto della clausola penale statuita nel contratto di leasing tra le parti.
I motivi, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono fondati.
- La questione posta dai motivi di ricorso concerne l’applicabilità al caso di specie della disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. per regolare la risoluzione del contratto di leasing, ritenuta dal prevalente indirizzo della giurisprudenza di carattere inderogabile, in quanto posta da una norma imperativa diretta a correggere e ripristinare l’equilibrio sinallagmatico mediante l’affermazione di una regola operativa di carattere generale, che prevale sulla diversa disciplina pattuita dalle parti.
Nel caso di specie l’art. 8 del contratto prevedeva la seguente clausola, riportata nel corpo del ricorso:
“(…) in ogni caso i corrispettivi periodici comunque pagati resteranno acquisiti al locatore per l’intero loro ammontare. All’utilizzatore sarà fatto obbligo di pagare i corrispettivi periodici maturati fino alla risoluzione del contratto, oltre agli interessi di mora nella misura convenzionalmente pattuita (…). Il locatore ha altresì la facoltà di richiedere all’utilizzatore il pagamento di un importo pari alla somma dei corrispettivi periodici a scadere, attualizzati al tasso base (…).
Dall’importo così determinato sarà dedotto l’eventuale ricavato della vendita del bene, ovvero l’importo assunto a base di calcolo nell’ipotesi di diversa riallocazione del bene (…). In caso di bene invenduto o non ricollocato – purché effettivamente riconsegnato al Locatore – sarà dedotto il valore attribuito a tale bene secondo stima commerciale, compiuta dal locatore (…).” 1.1 Il Tribunale, premessa la pacifica qualificazione del contratto in oggetto come “leasing traslativo”, ha escluso l’ammissione allo stato passivo del fallimento dei crediti insinuati dall’odierna ricorrente e corrispondenti ai canoni già scaduti fino alla risoluzione del contratto, ritenendo che l’applicazione, seppure in via analogica, della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto dall’art. 1526 c.c. al leasing traslativo, non sia sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, bensì inderogabile, comportando, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti, salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni, oltre al risarcimento dei danni.
Da ciò l’esclusione del diritto del concedente al pagamento dei canoni scaduti, non potendo farsi applicazione della disciplina pattizia che, con la clausola contenuta all’art. 8 prevedeva la possibilità di trattenere, da parte della società di leasing, i canoni di locazione già pagati.
Nella memoria ex art. 378 c.p.c. la ricorrente ripropone la questione, già sollevata nella memoria ex at. 380 bis.1 c.p.c., dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens costituito dalla disciplina del contratto di leasing contenuta dalla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140 e ciò sotto due profili:
– l’applicabilità diretta della nuova disciplina, che regola in modo specifico la risoluzione negoziale per inadempimento dell’utilizzatore, al contratto per cui è causa, seppure concluso e risolto in data anteriore all’entrata in vigore della novella, in quanto non sarebbero del tutto esauriti gli effetti derivanti dal fatto generatore (risoluzione del contratto);
– l’applicabilità in via analogica della novella e dei suoi principi ispiratori alla fattispecie in esame, in assenza di una disciplina legislativa che regolasse i contratti di leasing pregressi.
Ritiene il Collegio che vada senz’altro presa in esame tale seconda opzione, fondata sulla generale portata della novella ai fini dell’interpretazione sistematica, pure in assenza di una diretta applicabilità della stessa.
- Già questa Sezione, con la recente pronuncia n. 8503 del 2018, aveva segnalato una possibile interferenza nel dibattito sulla portata della L. Fall., art. 72 quater e sulla natura del leasing finanziario della L. n. 124 del 2017. In tale occasione, tuttavia, la questione non era stata presa in esame perché estranea alla materia del contendere.
- La L. n. 124 del 2017, com’è noto, ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione unitaria del contratto di leasing finanziario, senza recepire la tradizionale distinzione di matrice giurisprudenziale tra leasing “di godimento” e leasing “traslativo”, disciplinando altresì presupposti ed effetti della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore.
Prima di tale tipizzazione non esisteva nel nostro ordinamento una definizione e disciplina di portata generale del contratto di leasing finanziario: non si pone, dunque, in relazione a tale fattispecie negoziale un problema di successione, in senso stretto, di leggi nel tempo.
Si tratta piuttosto di stabilire se, ed in che misura, il paradigma normativo ed i principi recati dalla novella legislativa possano trovare ingresso, pur in assenza di una loro diretta applicabilità, nel presente giudizio.
3.1. Conviene premettere che, come questa Corte ha ripetutamente affermato, i principi della rilevabilità, anche d’ufficio, dello ius superveniens e della sua applicabilità nei giudizi in corso non operano indiscriminatamente ma devono essere coordinati con quelli che regolano l’onere dell’impugnazione e le relative preclusioni, con la conseguenza che la loro operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazione alle questioni, su cui avrebbe dovuto incidere (a vario titolo) la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punti (Cass.6101 del 17 marzo 2014).
In particolare, nel giudizio di legittimità, la rilevanza dello ius superveniens presuppone che la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per Cassazione – e segnatamente quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c. regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, afferenti ad un profilo che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass. 19617 del 24.7.2018).
Nel caso di specie la novella incide direttamente sugli effetti della risoluzione del contrato di leasing e sulla disciplina applicabile, questione proposta dalla ricorrente sin dall’atto introduttivo del presente giudizio ed oggetto del suo ricorso per cassazione.
3.2. La censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in particolare, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove applicabili al rapporto dedotto, atteso che il giudizio di legittimità non ha ad oggetto l’operato del giudice, ma la (perdurante) conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (Cass. Sez.U. 21691/2016).
3.3. Inoltre, anche avuto riguardo alla tutela del contraddittorio, si osserva che la questione dell’applicabilità della novella recante la disciplina del leasing finanziario al caso di specie, riproposta nella memoria ex art. 378 c.p.c., era stata già sollevata dal ricorrente, con precedente memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., nel procedimento in camera di consiglio, all’esito del quale, considerata la rilevanza nomofilattica della causa, ne è stata disposta la trattazione alla pubblica udienza.
- Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, occorre verificare, in assenza di giudicato interno sul punto, se la statuizione del provvedimento impugnato che ha affermato l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. (e la sua natura di norma inderogabile, prevalente sulla disciplina pattizia) sia conforme all’ordinamento giuridico anche alla luce delle disposizioni emanate successivamente alla pubblicazione del provvedimento impugnato e dei principi da esse introdotti.
4.1. Conviene premettere che il contratto in esame deve senz’altro qualificarsi come leasing finanziario (o locazione finanziaria), che va tenuto distinto dal c.d. leasing operativo, fattispecie che ricorre quando è lo stesso produttore a concedere verso corrispettivo in godimento il bene per un periodo tendenzialmente inferiore alla vita economica del bene, estranea al presente giudizio.
4.2. Occorre partire dalla considerazione che, come già evidenziato, fino all’emanazione della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140 non esisteva nel nostro ordinamento una disciplina organica del contratto di leasing o locazione finanziaria, benché esso fosse oggetto di numerose disposizioni legislative settoriali, a partire dalla L. n. 183 del 1976, art. 17 (relativa all’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980).
Da ciò la conclusione che, fino alla recente novella, il leasing dovesse qualificarsi come contratto atipico o innominato.
4.3. In assenza di una disciplina organica del leasing, com’ è noto, a partire dalle sentenze della Cassazione n. 5570, 5572 e 5573 del 13 dicembre 1989, confermate con la sentenza delle Sez. U. n. 65/1993, si è affermato in giurisprudenza un orientamento fondato sulla distinzione tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo”, quest’ultimo relativo a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, ed i cui canoni scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale).
4.4. Si è inoltre consolidato l’indirizzo interpretativo secondo cui, nel leasing traslativo la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. in materia di risoluzione del contratto ha carattere inderogabile, trattandosi di norma imperativa con valore di principio generale di tutela di interessi omogenei e strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti (Cass. 19732/2011).
4.5. Pure a seguito dell’introduzione nell’ordinamento (tramite il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 59) della L. Fall., art. 72 quater, che ha dettato un’unica disciplina per la locazione finanziaria, valevole sia per il leasing di godimento che per quello traslativo (Cass.1.3.2010 n. 4862), questa Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi superata la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (Cass. n. 8687/2015; 2538/2016), affermando che la disposizione dell’art. 72 quater si applicava ad una situazione particolare (scelta del curatore di sciogliersi dal contratto pendente alla data di fallimento) e la sua disciplina non aveva incidenza al di fuori della materia fallimentare e dei rapporti giuridici pendenti.
La disciplina della L. Fall., art. 72 quater, tuttavia, ha una particolare rilevanza sul piano sistematico, in quanto, nonostante sia stata emanata successivamente all’affermarsi dell’indirizzo giurisprudenziale fondato sulla bipartizione del leasing finanziario in due fattispecie negoziali distinte e riconducibili a due diversi tipi contrattuali, riconduce ad unità tale contratto. Il leasing viene specificamente distinto dalla vendita con riserva di proprietà (il cui scioglimento è disciplinato dal successivo art. 73, mediante rinvio alla disciplina dell’art. 1526 c.c.), valorizzandone la causa di finanziamento, peraltro già desumibile dalla previsione degli artt. 1 e 106 TUB, i quali riservano alle banche ed agli altri intermediari finanziari la posizione di concedente nelle operazioni di locazione finanziaria.
4.6. Successivamente, la L. n. 208 del 2015 (legge di stabilità del 2016) ha introdotto nell’ordinamento la figura del leasing immobiliare abitativo (che contempla una serie di agevolazioni fiscali e di garanzie dirette a favorire l’utilizzo del leasing per l’acquisizione dell’abitazione principale) prevedendo anche in tal caso un’unica figura negoziale, caratterizzata dalla finalità di finanziamento.
Anche in questo caso, peraltro, si tratta di una figura particolare, che ha specifici presupposti ed un particolare ambito applicativo.
4.7. Da ultimo, però, come sopra evidenziato, la Legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, all’art. 1, ha introdotto una definizione del leasing finanziario ed ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale.
4.8. La nuova normativa ha dunque tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia ed in particolare alla disciplina prevista dalla L. Fall., art. 72 quater.
Il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha dunque disatteso il tradizionale indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge.
4.9. In tale prospettiva, la nuova normativa si pone in linea di diretta continuità con la previsione della L. Fall., art. 72 quater e con la particolare disciplina dello scioglimento del contratto di leasing, che, come già evidenziato, è ivi delineata secondo un paradigma unitario.
Da ciò consegue l’applicabilità alla fattispecie in esame, in via analogica, della disciplina dettata dalla L. Fall., art. 72 quater, in conformità ad un indirizzo interpretativo che, pur disatteso da questa Corte, era stato affermato da larga parte della giurisprudenza di merito.
Tale norma, pur dettata in relazione all’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo ritenersi definitamente superato il ricorso in via analogica alla disciplina recata dall’art. 1526 c.c. 4.10. Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla L. n. 124 del 2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità.
E ciò, a maggior ragione quando, come nel caso di specie, l’ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo “tipo” negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nel nostro caso locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica che, pur riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è quello proprio del formante giurisprudenziale.
Tale indirizzo è dunque destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite.
- Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti.
La disciplina della L. n. 124 del 2017 ed il procedimento di realizzazione sul bene ivi regolato consente di superare i dubbi interpretativi sorti in ordine al trattamento, in ambito concorsuale, del credito del concedente all’esito della risoluzione negoziale per inadempimento del l’utilizzatore.
5.1. Come già rilevato nella pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, l’applicazione della disciplina della L. Fall., art. 72 quater anche al caso di risoluzione del contratto verificatasi prima della dichiarazione di fallimento implica che anche in questo caso il concedente dovrà evidentemente insinuarsi al passivo fallimentare per poter allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato.
Alla stregua di quanto previsto per i crediti pignoratizi e per quelli garantiti da privilegio speciale L. Fall., ex art. 53, la vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene, disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo.
Sulla base del valore di mercato del bene sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, corrispondente all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data di fallimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale(in coerenza con la previsione della L. Fall., art. 55), oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione; eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto.
Alla luce della chiara indicazione della novella, del tutto coerente con l’indirizzo già sostenuto dalla citata pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, va dunque esclusa, in quanto del tutto superflua, l’insinuazione in via tardiva della differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e la minore somma ricavata, pure affermato da un precedente arresto di questa Corte (Cass. 21213 del 2017) o l’ammissione di detto credito con riserva.
5.2. Anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 pubblicato nella G.U. del 14 febbraio 2019) all’art. 177 detta una disciplina della locazione finanziaria pienamente coerente con la disciplina della L. Fall., art. 72 quater e della L. n. 124 del 2017, prevedendo che nella liquidazione giudiziale del patrimonio dell’utilizzatore, in caso di scioglimento del contatto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela fallimentare l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita a valori di mercato, dedotta una somma pari all’ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto.
5.3. La medesima disposizione, al comma 2, prevede che il concedente ha diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal giudice delegato.
Viene dunque espressamente prevista la stima del giudice delegato quale necessario presidio per determinare il valore di mercato del bene, già desumibile dall’attuale sistema della legge fallimentare, seppure non esplicitata nella disposizione della L. Fall., art. 72 quater.
5.4. Anche la nuova regolazione della crisi d’impresa, che nonostante la (ampia) vacatio legis, fa ormai parte dell’ordinamento vigente, conferma dunque la scelta del legislatore, che ha trovato costante espressione in tutti i più recenti interventi in materia, univocamente ispirati alla configurazione unitaria del leasing finanziario e della previsione di una disciplina sostanzialmente omogenea della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e dello scioglimento (per scelta del curatore) di quello che è ormai, a tutti gli effetti, un contratto tipico.
6.Può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto:
“Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136 – 140), sono regolati dalla disciplina della L. Fall., art. 72 quater, applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.
In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato.
La vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo.
Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito sulla base della stima su menzionata, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante-fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione.
Eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto”.
- Il ricorso va dunque accolto ed il decreto impugnato va cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Mantova, che si conformerà al principio di diritto sopra enunciato.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Mantova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019