L’imprenditore che cessa volontariamente l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale
Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza n. 4329 del 20/02/2020
Con sentenza del 20 febbraio 2020, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, in merito di recupero crediti ha stabilito che l’imprenditore il quale volontariamente cessi l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale. Nel caso di specie, rigettando il ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la pronuncia impugnata con la quale la corte territoriale aveva respinto il reclamo proposto dal ricorrente avverso il decreto con il quale era stata dichiarata l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, in quanto formulata da soggetto non legittimato, ossia da imprenditore individuale che aveva cessato l’attività d’impresa, e la conseguente sentenza con la quale il Tribunale ne aveva dichiarato il fallimento.
Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza n. 4329 del 20/02/2020
L’imprenditore che cessa volontariamente l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso __ proposto da:
T. – ricorrente –
contro
U. S.p.A. – controricorrente –
e contro
Fallimento di T., ditta individuale (OMISSIS) – controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
B. S.p.A., C. S.c.a.r.l., F. S.r.l., M. S.p.A., Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello Brescia, Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Cremona, S. S.p.A. – intimati –
avverso la sentenza n. 998/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, pubblicata il 24/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2019 dal cons. DE MARZO GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __, che si riporta alle conclusioni scritte già depositate e comunicate alle parti: rigetto del ricorso principale; assorbimento di quello incidentale;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato __ che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale; rigetto dell’incidentale;
udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale Fallimento, l’Avvocato __, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale; accoglimento dell’incidentale.
Svolgimento del processo
- Con sentenza depositata il __ la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto da T. avverso il decreto con il quale era stata dichiarata l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, in quanto formulata da soggetto non legittimato, ossia da imprenditore individuale che aveva cessato l’attività d’impresa, e la conseguente sentenza con la quale il Tribunale di Cremona ne aveva dichiarato il fallimento.
- Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che la cancellazione di T., imprenditore individuale, dal registro delle imprese in data __ rappresentava ragione sufficiente per presumere l’estinzione dell’attività imprenditoriale, salva la prova contraria della sua concreta prosecuzione; b) che il reclamante non aveva fornito elementi per superare detta presunzione e, anzi, aveva dedotto – ciò che, del resto, era confermato dalle visure camerali – di essersi spogliato del patrimonio aziendale, avendolo ceduto ad A. S.a.s. di nuova costituzione; c) che non era assimilabile la fattispecie della cessazione dell’attività da parte dell’imprenditore individuale a quella della morte dell’imprenditore; d) che neppure poteva essere condivisa la tesi della prosecuzione dell’attività da parte di T. attraverso la società, dal momento che, a seguire la prospettazione del reclamante, si sarebbero dovuti registrare due soggetti distinti (la persona fisica e la società) contemporaneamente svolgenti la stessa attività imprenditoriale.
- Avverso tale sentenza T. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui hanno resistito con controricorso il curatore del fallimento, che ha proposto, altresì, ricorso incidentale condizionato, e U. S.p.A. Non hanno svolto attività difensiva la F. S.r.l., C. S.c.a.r.l., S. S.p.A., M. S.p.A. e B. S.p.A.
In vista della pubblica udienza, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.
Motivi della decisione
- Con l’unico motivo del ricorso principale, si lamenta violazione e falsa applicazione della L.F., artt. 10, 160 e 161.
Rileva il ricorrente: a) che la L.F., artt. 10 e 11 non hanno natura eccezionale, ma speciale, giacché hanno la funzione di ampliare, al di là del periodo temporale di esercizio dell’impresa, la possibilità di dichiarare il fallimento dell’imprenditore, in modo da conservare ai creditori la possibilità della tutela concorsuale della quale disponevano al momento dell’assunzione dell’obbligazione; b) che, pertanto, tali previsioni sono suscettibili di applicazione analogica o, almeno, di interpretazione estensiva; c) che la prevalenza della procedura concordataria su quella fallimentare, alla luce dell’interesse dei creditori ad essere soddisfatti in misura apprezzabile e in un lasso di tempo ragionevolmente breve, rende irragionevole la contraria soluzione adottata dalla Corte territoriale; d) che, in difetto di limiti normativi, deve piuttosto essere prospettata un’interpretazione costituzionalmente orientata della L.F., artt. 10 e 161, nel senso che la presentazione della domanda di concordato sarebbe idonea a sospendere il termine annuale per la dichiarazione di fallimento; e) che siffatta conclusione sarebbe confermata dal mancato richiamo, da parte della L.F., art. 162, comma 2, del precedente art. 10; f) che, del resto, una attenta lettura della disciplina della procedura concordataria non consentirebbe di cogliere alcun ostacolo normativo alla soluzione prospettata; g) che, infine, non sarebbe dato cogliere quale interesse il legislatore avrebbe inteso tutelare escludendo dalla procedura concordataria l’imprenditore cessato, giacché quest’ultimo è comunque tenuto a rispondere dei debiti contratti e i creditori conservano l’interesse a concordare con l’ex- imprenditore le modalità del rientro.
Le doglianze sono infondate.
Questa Corte ha già ritenuto che il combinato disposto dell’art. 2495 c.c. e L.F., art. 10 impediscano al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l’anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, di richiedere il concordato preventivo. Quest’ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima, che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l’intervenuta e consapevole scelta di cessare l’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto l’utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare (Cass. 20 dicembre 2015, n. 21286).
In definitiva, il dato cruciale è rappresentato dalla persistente esistenza o non di una realtà imprenditoriale rispetto alla quale possa porsi l’esigenza di assicurare, attraverso la procedura concordataria, la risoluzione della crisi con le modalità previste dal legislatore.
Con tali conclusioni non collide affatto Cass. 21 dicembre 2018, n. 33349, la quale ha ritenuto che le iniziative complessivamente assunte dall’imprenditore individuale (nella specie, presentazione di una proposta concordataria), pur cancellato dal registro delle imprese, rendano evidente il compimento di operazioni economiche di tipo liquidatorio, dirette alla regolazione concordataria di una attività di impresa, per ciò stesso di fatto proseguita.
La soluzione si coordina con l’orientamento espresso da Cass. 21286/2015 cit., dal momento che, per le società di capitali (quale era quella che veniva in rilievo nella decisione appena citata), l’art. 2495 c.c. fa discendere dalla cancellazione della società la sua estinzione.
Ciò posto, la ricostruzione di Cass. 33349/2018 muove dalla premessa che, in generale la presentazione della proposta di concordato – al netto di ipotesi di abuso, non processualmente emergenti nel caso di specie possa rappresentare un atto di prosecuzione dell’attività di impresa. Tuttavia, si tratta di una conclusione basata sulla valutazione operata, nel caso deciso, dai giudici di merito, quanto al superamento della presunzione di cessazione dell’attività collegata alla cancellazione.
Al contrario, nella vicenda che si esamina, la sentenza impugnata muove da un diverso accertamento in fatto e cioè che la proposta di concordato non esprimeva alcun atto di impresa, dal momento che T. si era spogliato del patrimonio aziendale, in tal modo cessando l’attività imprenditoriale individuale.
La Corte territoriale ha anche condivisibilmente aggiunto che, a fronte di un’unica attività imprenditoriale, non può ritenersi che essa sia riconducibile a due distinti soggetti giuridici.
In definitiva, deve ribadirsi che l’imprenditore il quale volontariamente cessi l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale.
Siffatta soluzione è, peraltro, stata recepita per il futuro dal codice della crisi di impresa.
A norma del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 33, u.c. che reca la disciplina della cessazione dell’attività in relazione a tutte le procedure, è inammissibile la domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese.
- Al rigetto del ricorso principale segue l’assorbimento di quello incidentale condizionato con il quale si lamenta violazione della L.F., artt. 18, 162 e 163, rilevando che il decreto di inammissibilità della domanda di concordato preventivo è reclamabile, ai sensi della L.F., art. 162, comma 3 e art. 18 solo quando quest’ultima sia inscindibilmente connessa alla contestuale o successiva dichiarazione di fallimento. Nel caso di specie, al contrario, siffatta connessione, argomentativa ed effettuale, non sarebbe sussistente.
- Il rigetto del ricorso principale comporta, altresì, la condanna del T. al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonché delle questioni trattate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020.
Cass. civ. Sez. I 20_02_2020 n. 4329
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