L’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone, invero, in irrimediabile contrasto con la volontà di avvalersi dell’impugnazione
Corte di Appello di Catania, Sezione I Civile, Sentenza del 26/07/2019
Con sentenza del 26 luglio 2019, la Corte di Appello di Catania, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che la manifestazione dell’intento di procedere ad esecuzione, espressa attraverso la notifica dell’atto di precetto, non rappresenta, per l’intimante parzialmente soccombente, un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. L’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone, invero, in irrimediabile contrasto con la volontà di conseguire, attraverso il gravame, quanto non ottenuto nelle pregresse fasi processuali.
Corte di Appello di Catania, Sezione I Civile, Sentenza del 26/07/2019
L’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone, invero, in irrimediabile contrasto con la volontà di avvalersi dell’impugnazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CATANIA
Prima Sezione Civile
composta dai magistrati:
- __ – Presidente
- __ – Consigliere
- __ – Consigliere rel./est.
riunito in camera di consiglio ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n.__ R.G. promossa
DA
C., S., D., C. e F., quale erede di M. deceduta in data __, O., E., D., questi ultimi tre quali eredi di F. deceduta in data __ ed erede di M. – APPELLANTI
CONTRO
Comune di P. – APPELLATO
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data __, gli attori come indicati in epigrafe convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Caltagirone sezione distaccata di Grammichele, il Comune di P. premettendo di essere comproprietari, per successione legittima di M., di un vasto appezzamento di terreno sito nel territorio del comune convenuto, al catasto foglio (…) particella (…), dell’estensione di mq. __. Deducevano che, nel __, il Comune di P. aveva occupato illegittimamente una porzione di tale particella al fine di realizzare un’opera di urbanizzazione primaria e che tale occupazione era avvenuta in assoluta carenza di titolo, non essendo mai stata emanata la dichiarazione di pubblica utilità né adottato alcun provvedimento di occupazione e, tantomeno, di espropriazione.
Ciò premesso, chiedevano l’accoglimento delle seguenti domande: 1) condannare il Comune di P. alla restituzione dei terreni in questione agli attori ed alla riduzione in pristino degli stessi; 2) condannare il Comune di P. a risarcire agli attori i danni patiti consistenti nel mancato godimento del bene illecitamente sottratto ed al risarcimento degli altri danni subiti, come sopra descritti, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; 3) in assoluto subordine, ove per qualsiasi motivo non fosse possibile eseguire la materiale restituzione dei beni occupati, condannare il comune convenuto al risarcimento dei conseguenti danni derivanti dalla perdita della proprietà e dal deprezzamento del fondo residuo, oltre al risarcimento degli altri danni subiti come sopra descritti, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; 4) condannare il comune convenuto alle spese processuali.
Si costituiva in giudizio il Comune di P. che, negando di avere abusivamente occupato parte del terreno di proprietà degli attori e, comunque, sostenendo che nessuna responsabilità potesse farsi risalire al comune nel caso che erroneamente la direzione dei lavori avesse permesso o effettuato l’occupazione di parte di terreno non prevista in progetto, chiedeva il rigetto della domanda siccome pretestuosa ed infondata con condanna degli attori al pagamento delle spese processuali.
Con la sentenza n. __ pubblicata in data __, il Tribunale di Caltagirone (previo espletamento di c.t.u. volta ad accertare lo stato dei luoghi, il valore venale del fondo e i danni subiti dal fondo residuo) osservava che la domanda è fondata e meritevole di accoglimento entro i limiti di seguito indicati. Il comune convenuto ha occupato illegittimamente dal dicembre __ una porzione di terreno estesa mq. __, parte della particella (…) del foglio (…) del Catasto Terreni, realizzandovi un’opera di urbanizzazione primaria (sede stradale), e tale occupazione -in assenza di dichiarazione di pubblica utilità- va qualificata come usurpativa. Per tale ragione, accoglieva la domanda subordinata di risarcimento dei danni derivanti da perdita della proprietà, ritenendo non accoglibile la domanda principale di restituzione per via dell’intervenuta costruzione dell’opera pubblica che ha comportato l’irreversibile trasformazione del terreno occupato, preclusiva della tutela in forma specifica. Ostano, infatti, proseguiva il decidente, alla tutela in forma specifica il limite dell’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 c.c. e l’ulteriore limite del pregiudizio all’economia nazionale di cui all’art. 2933 c.c. In punto di quantificazione del danno per la perdita della proprietà del fondo illegittimamente occupato, riteneva che lo stesso fosse liquidabile in Euro __ così come determinato dalla consulenza tecnica d’ufficio, oltre rivalutazione ed interessi a decorrere dal __. Al riguardo, riteneva infondati i rilievi sollevati dagli attori avverso la c.t.u. considerato che il valore del terreno occupato è stato stimato previa qualificazione dello stesso come edificabile talché non può farsi luogo al risarcimento dei danni per l’estirpazione degli alberi di agrumi. Né può ritenersi che il terreno residuo abbia subito una perdita di valore trattandosi di terreno in stato di abbandono e privo di varchi, e non risultando alcuna richiesta di parte attrice (né prima né dopo la costruzione della strada) di autorizzazione all’apertura di varchi per consentire l’accesso al terreno per la coltivazione dello stesso. Pertanto, in parziale accoglimento della domanda subordinata proposta dagli attori, condannava il Comune di P. al pagamento della somma di Euro __ in favore di questi ultimi, con rivalutazione monetaria dal __ ad oggi e con gli interessi legali su tale somma siccome annualmente rivalutata fino al soddisfo. Condannava, altresì, il comune convenuto al pagamento in favore degli attori delle spese processuali.
Gli odierni appellanti, avverso la detta sentenza proponevano appello, con atto di citazione notificato in data __, specificatamente lamentando: 1) la nullità parziale della sentenza per violazione dell’art.101 comma 2 c.p.c. per omesso contraddittorio su questioni rilevate d’ufficio nella fase decisoria e non sottoposte al previo contraddittorio delle parti, quali quella relativa all’eccessiva onerosità per il debitore di cui all’art. 2058 c.c. e quella relativa al pregiudizio all’economia nazionale di cui all’art.2933 c.c.; 2) l’erroneità della motivazione per quanto attiene al mancato accoglimento della domanda principale di restituzione del terreno: le motivazioni del giudice non sono condivisibili perché in contrasto con la giurisprudenza che ha più volte chiarito che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, talché il giudice avrebbe dovuto disporre la restituzione del fondo previa rimessione in pristino dello stato dei luoghi; 3) l’erroneità della motivazione per quanto attiene al mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni per mancato uso del terreno agricolo: con riferimento a tale domanda, il giudice di primo grado ha ritenuto che gli attori non abbiano subito alcun danno per il mancato utilizzo del fondo condividendo a riguardo, in modo acritico, le conclusioni del c.t.u., mentre avrebbe dovuto riconoscere i danni per mancato utilizzo sia del fondo occupato, sia del terreno residuo rimasto intercluso, avendo gli attori di fatto perduto la disponibilità dell’intero compendio che, sino al momento della costruzione della strada, era occupato da un agrumeto produttivo; 4) l’omessa motivazione sulla domanda risarcitoria per la perdita di valore del fondo residuo sia per l’interclusione, sia per la modifica del comparto edilizio: il giudice di primo grado, una volta affermato che il terreno in oggetto non poteva essere restituito dall’amministrazione agli odierni appellanti, avrebbe dovuto accogliere, come logica conseguenza, anche la domanda risarcitoria per la perdita di valore del terreno residuo, derivante sia dall’interclusione causata dall’asse stradale, sia dalla modifica del comparto edificabile del vigente PRG con conseguente minor possibilità edificatoria.
Concludevano chiedendo di: 1) condannare il Comune di P. alla restituzione dei terreni in esame agli attori previa riduzione in pristino degli stessi ovvero, nell’ipotesi in cui l’effettivo ripristino non possa essere realizzato, condannare l’amministrazione anche al risarcimento dei relativi danni consistenti nel costo necessario per ricondurre il terreno all’originaria situazione; 2) condannare il Comune di P. a risarcire agli attori i danni patiti consistenti nel mancato godimento del bene illegittimamente appreso dalla data dell’occupazione illegittima (__) fino all’effettiva restituzione, secondo i criteri indicati ovvero nella misura ritenuta equa dall’adita Corte, ed al risarcimento degli altri danni patiti come indicati nella narrativa del presente atto; 3) nell’ipotesi subordinata che la domanda di restituzione del terreno non possa essere accolta, confermare la sentenza di primo grado nella parte in cui condanna il comune convenuto a risarcire agli attori i danni derivanti dalla perdita della proprietà nella misura di Euro __, come determinata dal c.t.u., oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data dell’occupazione al saldo; condannare il comune al risarcimento dei danni per il mancato godimento del fondo, come sopra indicato, ovvero nella misura che l’adita Corte riterrà equa; condannare il comune convenuto al risarcimento dei danni per il deprezzamento del terreno residuo a causa della modifica del comparto edificabile, nonché a causa dell’interclusione, che ammonta ad Euro __.
Costituitosi in giudizio con comparsa di costituzione e risposta depositata il __, il comune odierno appellato preliminarmente eccepiva la tacita acquiescenza alla sentenza oggi impugnata da parte degli appellanti, ai sensi dell’art. 329 c.p.c. Nel merito, concludeva chiedendo di “rigettare integralmente l’appello confermando la sentenza di prime cure, operando al contempo una riduzione dell’indennizzo statuito dal giudice di prime cure attesa l’infondatezza del gravame, compensando le spese legali del giudizio di prime cure”, con vittoria di spese e compensi di causa. All’udienza del __ il Collegio, sulle conclusioni precisate dalle parti, poneva la causa in decisione con i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Motivi della decisione
Quanto alla preliminare eccezione di acquiescenza tacita ex art. 329 c.p.c. determinante l’inammissibilità del gravame sollevata dal comune appellato, se ne rileva l’infondatezza. È, infatti, consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui la manifestazione dell’intento di procedere ad esecuzione, espressa attraverso la notifica dell’atto di precetto, non rappresenta (per l’intimante parzialmente soccombente) un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione, in quanto l’intento di procedere ad esecuzione forzata non si pone in irrimediabile contrasto con la volontà di conseguire, attraverso il gravame, quanto non ottenuto nelle pregresse fasi processuali (ex multis, Cass. n. 13399/15). Nel caso di specie, pertanto, la circostanza che la sentenza di primo grado, munita della formula esecutiva, sia stata notificata dagli odierni appellanti in data __ al comune convenuto non integra i presupposti dell’acquiescenza tacita ai sensi dell’art. 329 c.p.c. e, dunque, non comporta l’effetto del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
Ne discende che l’eccezione di inammissibilità del gravame è infondata e va respinta.
Con i motivi di appello primo e secondo (che, per la stretta connessione esistente tra le questioni poste, è opportuno congiuntamente esaminare) gli appellanti in via preliminare deducono la parziale nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 101 comma 2 c.p.c., per avere il primo giudice posto a base della decisione questioni rilevate d’ufficio in fase decisoria e non sottoposte al previo contraddittorio delle parti, e, nel merito, l’erroneità della sentenza medesima nella parte in cui il giudice ha ritenuto non accoglibile la domanda principale di restituzione del bene illegittimamente appreso per via dell’avvenuta costruzione dell’opera pubblica adducendo quali fattori ostativi alla restituzione i limiti rispettivamente previsti dall’art. 2058 comma 2 c.c. e dall’art. 2933 comma 2 c.c.
Al riguardo, deve osservarsi che (come correttamente evidenziato dagli appellanti) la più recente giurisprudenza sia amministrativa che di legittimità, prendendo le mosse dai principi enunciati dalla CEDU (vedi sentenza 30 maggio 2000 in cui la Corte ha affermato che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisce impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità, occupazione acquisitiva o usurpativa, di acquisizione del terreno), ha ritenuto il previgente quadro normativo e giurisprudenziale nazionale non coerente con la Convenzione Europea (ed, in particolare, con il Protocollo addizionale n.1) ed ha, pertanto, enunciato il principio secondo cui l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso posto che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto non in grado di assurgere a titolo di acquisto della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi, rinunziativi o abdicativi che dir si voglia, della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi di cui appresso, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta. L’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie, strumenti ai quali va, altresì, aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, ed ora, successivamente alla sentenza della Corte Costituzionale n.293/10, nuovamente regolamentato dall’art. 42 bis del medesimo testo, come introdotto dall’art. 34 comma 1 del D.L. n. 98 del 2011 (in tal senso Consiglio di Stato, 2 settembre 2011, n.4970).
Né può l’amministrazione validamente opporre l’eccessiva onerosità della rimozione delle opere nel frattempo realizzate. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che, in tema di occupazione usurpativa, nell’ipotesi in cui il proprietario del bene illecitamente occupato faccia ricorso alla tutela reale, mediante azione di restituzione ancorché accompagnata dalla richiesta di riduzione in pristino, non sono predicabili i limiti intrinseci alla disciplina risarcitoria, come l’eccessiva onerosità prevista dall’art. 2058 comma 2 c.c. (Cass. n. 14609/12), atteso che, stante il carattere assoluto dei diritti reali, la tutela degli stessi mediante reintegrazione in forma specifica non è soggetta al limite ex art. 2058 comma 2 c.c., tranne che lo stesso titolare danneggiato chieda il risarcimento per equivalente (così Cass. S.U., del 2016 n. 10499; cfr. Cass. n. 1607/17). Nemmeno in tema di occupazione usurpativa può trovare applicazione il limite previsto dal comma 2 dell’art. 2933 c.c. ove non risulti che la distruzione della res indebitamente edificata sia di pregiudizio all’intera economia del Paese ma abbia, al contrario, riflessi di natura individuale o locale (in tal senso Cass. n. 14609/12 cit.). Nel caso in esame, non è desumibile dagli atti di causa alcun elemento che consenta di affermare che la demolizione della strada per cui è causa possa recare nocumento all’economica nazionale dovendosi la norma di cui all’art. 2933 comma 2 c.c. intendere, come più volte affermato dalla giurisprudenza, con riferimento alle soli fonti di produzione o distribuzione della ricchezza dell’intero paese (Cass. n. 25890/17, Cass. n. 12557/92). Una volta chiarita la non applicabilità nel caso in esame dei limiti previsti dalle norme sopra richiamate, e rilevata la conseguente censurabilità sotto tale profilo della motivazione adottata dal primo giudice, rimane assorbita la questione sollevata da parte appellante relativa alla violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 comma 2 c.p.c. sulle questioni fattuali sottese a tali norme.
Ne consegue che, in accoglimento delle doglianze degli appellanti, la domanda di restituzione da essi riproposta in sede di gravame deve trovare accoglimento.
Quanto alla connessa domanda di riduzione in pristino del fondo illegittimamente occupato, gli odierni appellanti chiedono che il Comune di Palagonia venga condannato, oltre che a rimuovere le opere stradali ed accessorie eseguite sul fondo, anche a ricostruire la recinzione demolita, riaprire i varchi di accesso preesistenti rimasti chiusi a seguito della costruzione della strada, ripristinare le colture esistenti al momento dell’occupazione. Deve, tuttavia, osservarsi che non si rinviene in atti alcuna prova relativa allo stato dei luoghi preesistente alla realizzazione dell’asse stradale abusivamente costruito, dal momento che il c.t.u. (il cui sopralluogo è avvenuto nel __) ha preso visione del fondo già modificato dalla costruzione dell’opera pubblica e che manca del tutto, stante il carattere ab origine illegittimo dell’occupazione di cui si discute, un verbale di immissione in possesso e di consistenza (i verbali di immissione in possesso presenti in atti come allegati della relazione di c.t.u., recanti data __, attengono invero a particelle diverse da quella oggetto di causa, talché le descrizioni ivi contenute non sono in alcun modo riferibili alla particella n. __ occupata sine titulo nel dicembre __). Ne consegue che il comune odierno appellato va condannato alla restituzione del fondo illegittimamente occupato e all’integrale demolizione delle opere ivi realizzate.
Il secondo motivo di appello è, pertanto, fondato e va accolto nei termini sopra indicati.
Con il terzo motivo di appello parte appellante lamenta il mancato accoglimento da parte del tribunale, che avrebbe sul punto acriticamente recepito le considerazioni svolte dal c.t.u., della domanda di risarcimento danni derivanti dal mancato godimento del fondo per tutta la durata dell’occupazione illegittima. Sostengono gli appellanti che il giudice di primo grado avrebbe dovuto riconoscere i danni da mancato utilizzo sia della porzione di fondo abusivamente occupata sia del terreno residuo, rimasto intercluso avendo la realizzazione dell’asse stradale chiuso le stradelle interpoderali (che consentivano l’accesso al fondo con i mezzi agricoli) ed eliminato le condotte dell’irrigazione, così costringendo i proprietari all’abbandono dell’agrumeto ivi esistente coltivato fino al momento della costruzione della strada. Deducono che, in ogni caso, verrebbe nella specie in rilievo un danno in re ipsa individuabile di per sé nella perdita della disponibilità del bene da parte del titolare e nell’impossibilità, per questi, di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene, in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso.
Al riguardo, in materia di illegittima occupazione di beni immobili, deve darsi atto della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, talché all’indirizzo interpretativo recentemente invalso nella giurisprudenza di legittimità evocato da parte appellante (secondo cui, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario è in re ipsa discendendo dal solo fatto della perdita di disponibilità del bene, così Cass. n.20545/18, Cass. n.21239/18) si contrappone l’orientamento secondo cui il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento di fatto produttivo del danno ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., costituisce pur sempre un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di avere subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non avere potuto, ad esempio, locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per avere perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per avere sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può, peraltro, al riguardo pur sempre avvalersi di presunzioni gravi precise e concordanti (così Cass. n. 378/05; in senso analogo Cass. n. 13071 del 25.05.18 ove si precisa che “il danno da occupazione sine titulo, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tal natura non può includere anche l’esonero dall’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto”).
Orbene, anche a voler accedere all’interpretazione secondo cui, in caso di abusiva occupazione di un immobile, il danno subito dal proprietario sia correlato al solo fatto della perdita della disponibilità del bene dall’inizio dell’occupazione sino all’effettiva restituzione (c.d. danno in re ipsa), e ritenuto dunque provato l’an, rimane il problema della quantificazione di tale danno da mancato godimento, in relazione al quale deve rammentarsi che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità ma ad un giudizio di diritto che, pertanto, presuppone non solo che il danno sia provato nella sua esistenza ma anche che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, fornire la prova del danno nel suo preciso ammontare (ex multis, Cass. n. 10607/10, Cass. n. 4310/18). La Suprema Corte ha, come è noto, altresì precisato che, in tema di liquidazione equitativa del danno, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità economica del danno e gli elementi su cui ha basato la propria decisione in ordine al quantum (Cass. n.2327/18, Cass. n.16595/19).
Ciò premesso, si osserva che, nel caso di specie, l’assunto degli attori (che essi avrebbero utilizzato il fondo come agrumeto sino al momento dell’abusiva costruzione della strada e che sul detto fondo esistesse, quindi, sino a tale momento, un agrumeto coltivato e produttivo) è rimasto privo di adeguato supporto probatorio non avendo gli attori prodotto né documentazione fotografica riproducente lo stato del fondo preesistente all’inizio dell’occupazione, né documentazione comprovante ad es. i costi sostenuti e la produttività dell’agrumeto. Invero, quanto allo stato del fondo antecedente all’inizio dell’occupazione, gli appellanti fanno riferimento (vedi pag.8 dell’atto di appello) a stralci di riprese aeree del __ ove sono evidenti l’accesso al fondo e la preesistente stradella di accesso poderale, circostanza questa che dimostrerebbe come prima della realizzazione dell’opera abusiva da parte del comune fosse possibile l’accesso al fondo dalla pubblica strada con i mezzi agricoli a fini di coltivazione. Trattasi, tuttavia, di documenti (indicati come allegati della consulenza tecnica di parte attrice del __) non prodotti dagli attori in sede di gravame e, perciò, non consultabili da parte Corte. Ciò che emerge dalle risultanze istruttorie è, dunque, unicamente quanto desumibile dall’accertamento svolto dal c.t.u. il quale, preso atto dell’avvenuta costruzione della strada sulla particella n.(…) oggetto di causa, ha rilevato che il terreno residuo è occupato (come evidenziato dalle foto allegate alla relazione del __) da un agrumeto in stato di totale abbandono, sprovvisto di recinzione nonché di varchi pedonali e/o carrai per l’accesso, con l’ulteriore precisazione che la documentazione acquisita al giudizio non offre positivo riscontro all’assunto degli attori che vi fossero varchi di accesso dalla pubblica via al fondo preesistenti all’abusiva occupazione (giacché detti varchi ove esistenti avrebbero dovuto, come ovvio, essere regolarmente autorizzati dalle autorità competenti). Né (come sembra il caso di soggiungere) alcun riferimento a varchi di accesso dalla strada pubblica (la cui chiusura a seguito della costruzione dell’opera abusiva avrebbe impedito ai proprietari di proseguire proficuamente l’attività di coltivazione del fondo per l’impossibilità di accesso da parte dei mezzi agricoli) si rinviene nel verbale in contraddittorio del __ prodotto da parte attrice, in cui la ditta proprietaria segnala al comune l’avvenuta abusiva occupazione, nel corso dei lavori per la costruzione della strada (oggetto di un progetto regolarmente approvato), della particella n.(…) non facente parte del piano particellare di esproprio, senza nulla rilevare in ordine all’avvenuta chiusura di varchi. Pertanto, il solo dato relativo all’esistenza sul fondo residuo di un agrumeto, in stato di totale abbandono già nel __ (ossia a distanza di soli quattro anni dall’inizio dell’occupazione illegittima), non appare sufficiente a ritenere provata l’esistenza anteriormente all’inizio dell’occupazione medesima di un agrumeto coltivato e produttivo, alla cui produttività parametrare la quantificazione del chiesto danno. Ne consegue che, in assenza di qualsivoglia ulteriore elemento che era onere di parte attrice fornire, non sussistono le condizioni per l’esercizio del potere discrezionale di liquidazione in via equitativa del danno.
Né risulta applicabile la norma di cui all’art.42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 invocata dagli odierni appellanti (con particolare riguardo al criterio ivi sancito per la liquidazione dell’indennizzo dovuto per l’occupazione senza titolo) essendo tale norma riferibile alla fattispecie (del tutto diversa) in cui la p.a. abbia adottato un provvedimento di acquisizione sanante che ha determinato un effetto traslativo in favore della stessa. La domanda di risarcimento del danno da mancato godimento del fondo illecitamente occupato non può, dunque, trovare accoglimento.
Ne consegue che il terzo motivo di appello è infondato e va respinto.
Con il quarto motivo di appello gli appellanti lamentano l’omessa motivazione da parte del primo giudice sulla domanda risarcitoria per la perdita di valore del fondo residuo, sia per l’interclusione, sia per la modifica del comparto edilizio. Tale motivo, subordinatamente formulato da parte appellante, non va preso in esame in relazione all’accoglimento della domanda principale di restituzione del bene.
Conclusivamente, l’appello va parzialmente accolto con conseguente riforma della sentenza di primo grado.
Quanto alle spese del doppio grado di giudizio (liquidate come in dispositivo secondo i parametri dettati dal D.M. n. 55 del 2014 per il giudizio di primo grado e dal D.M. n. 37 del 2018 per il giudizio di appello, tenuto conto del valore della causa e dell’attività difensiva concretamente svolta), le stesse vanno poste, avuto riguardo all’esito finale della controversia (che deve il parziale accoglimento della domanda attorea), a carico del comune appellato in favore di parte appellante nella misura dei 2/3 e, per il resto, compensate.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Catania, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. __ resa in data __ dal Tribunale di Caltagirone proposto, con atto di citazione notificato in data __, dagli odierni appellanti, così provvede:
– in parziale accoglimento dell’appello e riforma della sentenza di primo grado, condanna il Comune di P., in persona del Sindaco pro tempore, a restituire agli odierni appellanti la porzione di terreno catastalmente individuata al foglio (…) particella (…) del N.C.T. del Comune di P., previa demolizione (a cura e spese del comune) delle opere ivi realizzate;
– condanna il Comune di P. al rimborso, in favore di parte appellante, delle spese processuali che liquida (nella misura già dei 2/3), per il giudizio di primo grado, in Euro __ per compensi, oltre rimborso spese, Iva e Cpa come per legge, e per il giudizio di appello, in Euro __ per compensi, oltre rimborso spese, Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte d’Appello in data 22 luglio 2019.
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2019.
Corte_Appello_Catania_Sez_I_Sent_26_07_2019
Recupero crediti a Catania con ROSSI & MARTIN studio legale
0 Comment