L’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo
L’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo
Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 3967 del 12/02/2019
Con sentenza del 12 febbraio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione III Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che l’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo, che deve essere denunciata nelle forme e nei termini di cui all’art. 617, comma 1, c.p.c., senza che la proposizione dell’opposizione determini l’automatica sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c. Tuttavia, in base ai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, il debitore opponente non può limitarsi, a pena di inammissibilità dell’opposizione, a dedurre l’irregolarità formale in sé considerata, senza indicare quale concreto pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo essa abbia cagionato.
Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 3967 del 12/02/2019
L’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. __ R.G. proposto da:
S. – ricorrente –
contro
I. S.r.l. – controricorrente –
C. – intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, depositata il __;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere __;
udito l’Avv. __, in sostituzione dell’Avv. __, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. __, che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia cassata senza rinvio quanto all’opposizione ex art. 617 c.p.c., e che il ricorso sia rigettato quanto all’opposizione ex art. 615 c.p.c..
Svolgimento del processo
- S.r.l., con atto di precetto notificato il __, ha intimato a S. il pagamento dell’importo di Euro __, quale residuo prezzo di una compravendita immobiliare stipulata con atto pubblico del notaio C. del __.
- ha proposto opposizione, lamentando la nullità della copia conforme del titolo esecutivo (il rogito notarile) notificatole unitamente all’atto di precetto, in quanto carente della formula esecutiva. Ha altresì dedotto, nel merito, che nulla era dovuto alla società intimante, in ragione di taluni vizi di costruzione dell’immobile acquistato.
- S.r.l. ha resistito all’opposizione, chiamando in causa il notaio C., da cui ha chiesto di essere manlevata qualora fosse accertata l’invalidità del titolo esecutivo.
Il Tribunale di Ancona ha accolto l’opposizione agli atti esecutivi, ritenuta di rilievo preliminare e quindi assorbente delle contestazioni di merito.
- S.r.l. ha proposto appello avverso la decisione di primo grado. S. e C. hanno resistito all’appello, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’appello di Ancona ha riformato la decisione del Tribunale, respingendo sia l’opposizione agli atti esecutivi, sia l’opposizione all’esecuzione. Quanto al primo profilo, ha ritenuto che la carenza della formula esecutiva costituisse un vizio sanato dalla proposizione dell’opposizione: tale attività difensiva, infatti, è stata ritenuta dimostrativa del raggiungimento dello scopo, ovvero della compiuta acquisizione, da parte dell’esecutata, delle ragioni del credito fatto valere nei suoi confronti. Quanto al merito, ha rilevato che S. non aveva tempestivamente denunciato i pretesi vizi costruttivi dell’immobile, sicché gli stessi non potevano essere validamente opposti alla società venditrice sub specie di eccezione di inadempimento.
La sentenza della Corte d’appello è stata fatta oggetto, da parte di S., di ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi e illustrato da successive memorie. I. S.r.l. ha resistito con controricorso. C. non ha svolto attività difensiva.
Ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380 bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), il ricorso è stato trattato in camera di consiglio non partecipata. All’esito della stessa, tuttavia, con ordinanza interlocutoria del __ è stata disposta la trasmissione del ricorso in pubblica udienza.
S. e I. S.r.l. hanno depositato ulteriori memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo S. denuncia la violazione dell’art. 475 c.p.c., da ravvisarsi nella mancata apposizione della formula esecutiva sulla copia del titolo notificato.
Si tratta della riproposizione di una questione già dedotta con i motivi di appello e che la corte territoriale ha ritenuto di risolvere invocando il principio generale della sanatoria dei vizi processuali per raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3).
Queste conclusioni vengono censurate in ricorso, in quanto “qualora la formula esecutiva non sia presente nella copia per il ricevente, questi non può svolgere appieno il suo legittimo diritto di difesa non avendo a disposizione il titolo nella sua integrità”.
La ricorrente osserva, inoltre, che il Tribunale aveva analiticamente argomentato sulla rilevanza specifica dell’omissione, concludendo che “una non corretta spedizione del titolo (in forma esecutiva) non sembra consentire al debitore una corretta verifica formale circa l’ontologia dello stesso titolo esecutivo”.
Aggiunge, infine, che l’atto notificatole – dichiarato dal notaio come conforme all’originale – era invalido, in quanto delle due l’una: o neppure l’originale conteneva la formula esecutiva, con conseguente nullità del titolo esecutivo in quanto tale; oppure la formula esecutiva non era stata apposta solamente sulla copia notificatale, che quindi non era davvero conforme all’originale.
1.2 All’esame della censura è preliminare l’individuazione della natura del vizio dedotto, al fine dell’inquadramento dell’opposizione nelle fattispecie di cui all’art. 615 o 617 c.p.c., per le quali vale un diverso regime di impugnazione.
La questione, in sostanza, è se – riprendendo la tradizionale distinzione fra le diverse forme di patologia processuale recentemente riaffermata anche dalle Sezioni unite in tema di notificazioni (Sez. U, Sentenza n. 4916 del 20/07/2016, Rv. 640603) – l’omessa apposizione della formula esecutiva sul titolo ne determina l’inesistenza, ovvero dia luogo ad una mera irregolarità formale. Ciò in quanto, nel primo caso, la carenza dei presupposti dell’azione espropriativa potrebbe essere rilevata d’ufficio o denunciata dall’opponente fintanto che non sia stata disposta la vendita o l’assegnazione, a norma degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c., (art. 615 c.p.c., comma 2); nell’altra ipotesi, invece, il vizio sarebbe censurabile nelle forme e nei termini propri dell’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.).
Sul punto, occorre dare continuità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la denuncia dell’omessa apposizione della formula esecutiva configura un’opposizione agli atti esecutivi allorquando si faccia riferimento solamente alla correttezza della spedizione del titolo in forma esecutiva richiesta dall’art. 475 c.p.c., di cui non si ponga in dubbio l’esistenza, poiché in tal caso il difetto si concreta in una irregolarità del procedimento esecutivo o del precetto. Viceversa, allorché si contesti l’inesistenza del titolo esecutivo ovvero la mancata soddisfazione delle condizioni perché l’atto acquisti efficacia esecutiva, l’opposizione deve qualificarsi come proposta ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 13069 del 05/06/2007, Rv. 597293; conf. Sez. 3, Sentenza n. 24279 del 30/11/2010, Rv. 614900; Sez. 3, Sentenza n. 25638 del 14/11/2013, Rv. 628755).
Il ricorso – che omette completamente di considerare questo profilo – non offre alcuno spunto per rivedere i precedenti arresti giurisprudenziali.
1.3 Facendo applicazione di tali principi si deve pervenire alla conclusione che la doglianza della S. in relazione alla mancata apposizione della formula esecutiva dia luogo ad un’opposizione agli atti esecutivi.
Ed infatti, l’opponente non ha mai convincentemente dedotto l’inesistenza del titolo esecutivo ovvero la mancata soddisfazione delle condizioni perché l’atto acquisti l’efficacia di titolo esecutivo, essendosi limitata a contestare che l’omessa apposizione della formula esecutiva sulla copia che le era stata notificata determinasse l’improcedibilità dell’azione espropriativa per irreparabile pregiudizio dei suoi diritti di difesa.
Non rileva, ai fini della qualificazione dell’opposizione, neppure la pretesa invalidità del titolo perché recante la dicitura “prima copia in forma esecutiva”. La censura – che sembra essere stata prospettata per la prima volta solo in questo giudizio e, per ciò stesso, sarebbe inammissibile – è formulata in termini di non agevole comprensione. In ogni caso, non vi è dubbio che tanto l’erronea attestazione del numero di copie esecutive rilasciate dal notaio, quanto l’eventuale difformità fra l’originale e la copia attestata come conforme (difformità che, peraltro, si sarebbe dovuta denunciare nelle forme di rito, essendo relativa ad un atto fidefaciente) non determinano l’invalidità del titolo esecutivo, né la sua inidoneità ad acquisire efficacia esecutiva. Del resto, la spedizione in forma esecutiva deve farsi proprio della copia del titolo che va consegnata al creditore e che da questi viene notificata al debitore, sicché non è possibile comprendere neppure in cosa consista esattamente la lamentata divergenza fra l’originale e la copia.
1.4 Una volta chiarito che il Tribunale ha deciso su un’opposizione che, in parte qua, doveva essere qualificata ai sensi dell’art. 617 c.p.c., deve essere rilevata l’improponibilità dell’appello.
Infatti, qualora un’opposizione in materia esecutiva possa scindersi in un duplice contenuto, in parte qualificabile come opposizione agli atti esecutivi e in parte riconducibile ad una opposizione all’esecuzione, l’impugnazione della conseguente sentenza deve seguire il diverso regime previsto per i distinti tipi di opposizione (Sez. 3, Sentenza n. 18312 del 27/08/2014, Rv. 632102; Sez. 3, Sentenza n. 13203 del 31/05/2010, Rv. 613198).
Né può invocarsi, a giustificazione dello strumento impiegato dall’opponente per impugnare la decisione di primo grado, il principio dell’apparenza, in ragione del quale, quando la sentenza da impugnare contiene una esplicita qualificazione dell’azione è a questa che occorre far riferimento, indipendentemente dalla sua esattezza, per l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile (Sez. U, Sentenza n. 4617 del 25/02/2011, Rv. 616599; v., fra le ultime, Sez. L, Sentenza n. 13381 del 26/05/2017, Rv. 644992), perché non risultai né è stato dedotto; che il Tribunale avesse espressamente qualificato l’opposizione come proposta ex art. 615 c.p.c.. Al contrario, la stessa Corte d’appello evidenzia la doppia natura dell’opposizione proposta dalla S. e chiarisce che “il Tribunale ha accolto l’opposizione agli atti esecutivi”.
In conclusione, la corte territoriale, accogliendo il gravame, ha riformato una sentenza non appellabile.
L’improponibilità dell’appello è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di legittimità, trattandosi di questione che determina l’accertamento dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, non ritualmente impugnata.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, in quanto l’appello non poteva essere proposto.
1.5 Tale conclusione determina l’assorbimento del primo motivo, con il quale si propongono censure di legittimità relative alla decisione indebitamente pronunciata dalla Corte d’appello su una domanda che non le poteva essere devoluta.
2.1 Sebbene la censura illustrata con il primo motivo sia, dunque, assorbita, appare comunque opportuno pronunciarsi sulla stessa, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, in quanto essa pone una questione di particolare importanza, ovvero quali siano le conseguenze della mancata apposizione della formula esecutiva sul titolo notificato al debitore.
La premessa, su cui ci siamo già soffermati (par. 1.2), è che tale vizio attiene alla regolarità formale del titolo esecutivo e, pertanto, la relativa opposizione deve essere proposta nel termine di venti giorni fissato dall’art. 617 c.p.c.. In particolare, poiché la notificazione del titolo esecutivo (a sé stante o unitamente al precetto) precede l’inizio dell’espropriazione forzata, entro il termine anzidetto deve essere notificato l’atto di opposizione previsto dall’art. 617 c.p.c., comma 1.
Pertanto, circoscrivendo ulteriormente la questione di rilievo nomofilattico, il quesito è se la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, da parte del debitore cui sia stata notificata una copia del titolo esecutivo sprovvisto della formula di cui all’art. 475 c.p.c., determina la sanatoria del vizio – come afferma la Corte d’appello – per raggiungimento dello scopo.
2.2 La verifica dell’esattezza delle conclusioni cui è approdata la corte di merito presuppone la preventiva individuazione dello scopo effettivo per il quale l’art. 475 c.p.c., impone la spedizione del titolo in forma esecutiva.
Secondo la dottrina più risalente – formatasi già sotto il codice del 1865 – l’apposizione della formula esecutiva (che costituisce un unicum inscindibile con la spedizione in forma esecutiva) è non altro che un’affermazione esteriore e solenne d’una efficacia che già è inerente al titolo esecutivo in sé considerato. Si tratterebbe, quindi, di un residuo storico, di un requisito più formalistico che formale.
È, tuttavia, preferibile l’opinione di chi osserva che per l’individuazione dell’effettiva funzione della formula esecutiva occorre considerare stessa va apposta all’esito di un controllo sulla “perfezione formale” del titolo prescritto dall’art. 153 disp. att. c.p.c., sicché l’adempimento in questione vale a sugellare la rilevanza dell’atto come idoneo a sostenere l’azione esecutiva (a tal proposito è stato affermato che il diritto a procedere ad esecuzione forzata sarebbe soggetto ad una condicio iuris impropria – l’apposizione della formula – il cui avveramento soltanto ne consente l’esercizio). Dunque, mediante la spedizione in formula esecutiva si verifica: (a) l’esistenza di una norma che conferisca all’atto la qualità di titolo esecutivo, giusta la riserva di legge contenuta nell’art. 474 c.p.c.; (b) l’esigibilità del diritto, che – secondo la chiara lettera dell’art. 474 c.p.c., comma 1, – costituisce un presupposto dell’azione esecutiva distinto dalla valenza astratta dell’atto come titolo esecutivo; (c) trattandosi di credito di somme di denaro o di cose determinate secondo il genere, la sussistenza del requisito della liquidità, anch’esso richiesto dell’art. 474 c.p.c., comma 1; (d) trattandosi di scritture private autenticate, che esse contengano una obbligazione di somme di denaro (art. 474 c.p.c., comma 2, n. 2).
Pertanto, qualora si ponga in esecuzione un provvedimento giudiziario, la spedizione del titolo in forma esecutiva postula l’accertamento che non ne sia stata disposta la sospensione della provvisoria esecutività o che lo stesso non sia stato revocato, annullato o cassato. Ed ancora, non potrà provvedersi alla spedizione se non siano provati l’avveramento della condizione sospensiva, l’esecuzione della controprestazione, l’avvenuta scelta nell’obbligazione alternativa.
Altra funzione della spedizione in forma esecutiva è quella di individuare la parte che ha diritto ad utilizzare il titolo, alla quale soltanto può esserne dato il possesso (art. 475 c.p.c., comma 2).
Infine, la spedizione in forma esecutiva consente il controllo del numero delle copie del titolo esecutivo in circolazione, giacché l’art. 476 c.p.c., dispone che non può spedirsi “senza giusto motivo” più di una copia in forma esecutiva alla stessa parte. Tale previsione, unitamente a quella secondo cui solo il presidente del tribunale o il giudice dell’esecuzione possono autorizzare il creditore a ritirare il titolo esecutivo, sostituendolo con copia autentica (art. 488 c.p.c., comma 2), valgono a mantenere sotto il controllo dell’autorità giudiziaria l’esercizio della facoltà di cumulo dei mezzi di espropriazione (art. 483 cod. proc. civ.).
2.3 Deve, pertanto, escludersi che la funzione della spedizione del titolo in forma esecutiva serva semplicemente – come afferma la Corte d’appello – a consentire all’intimato di avere piena cognizione della pretesa fatta valere nei suoi confronti. Anzi, tale funzione sembra del tutto estranea alla spedizione in forma esecutiva, spettando semmai all’atto di precetto assolvere a tale scopo.
Di conseguenza, la conoscenza del titolo esecutivo comunque avuta dal debitore non basta a sanare, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, il vizio dell’omessa spedizione in forma esecutiva della copia a lui destinata, in quanto non è questa la finalità dell’adempimento imposto dall’art. 475 c.p.c.
Allo stesso modo, non produce alcun effetto sanante la proposizione di un’opposizione agli atti esecutivi volta a far valere il predetto vizio formale.
2.4 La questione, tuttavia, può essere scrutinata sotto un profilo parzialmente diverso.
La sanatoria dell’atto nullo che abbia comunque raggiunto il suo scopo si determina tutte le volte in cui non risulta concretamente leso lo specifico interesse tutelato dalla norma processuale che regola la fattispecie. Si tratta, dunque, di un’ipotesi particolare di carenza di interesse (a dedurre la nullità processuale).
Questa Corte ha tuttavia chiarito che il tema dell’effettività della lesione dei diritti di difesa (e quindi della concretezza di un interesse effettivamente pregiudicato dall’atto processuale nullo) ha un ambito di rilevanza più ampio: qualsiasi denuncia di un error in procedendo deve essere accompagnata dalla enucleazione di un concreto pregiudizio subito dalla parte, poiché non esiste un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria. I principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire impongono che l’impugnazione basata sulla violazione di regole processuali possa essere accolta solo se in tal modo la parte ottiene una pronuncia diversa e più favorevole (fra le più recenti: Sez. 5, Ordinanza n. 3805 del 16/02/2018, Rv. 647092; Sez. 1, Sentenza n. 19759 del 09/08/2017, Rv. 645194; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17905 del 09/09/2016, Rv. 641403; Sez. 3, Sentenza n. 26157 del 12/12/2014, Rv. 633693). La parte che intende far valere la nullità processuale deve quindi indicare quale attività processuale gli sia stata preclusa per effetto della denunciata nullità.
Questo principio resta fermo anche in materia esecutiva, dove per la deduzione degli errores in procedendo è prevista un’apposita azione (art. 617 c.p.c.). Infatti, la disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25900 del 15/12/2016, Rv. 642319), sicchè con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c., non possono farsi valere i vizi sanati per raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., u.c.) e neppure quelli rispetto ai quali il debitore non indichi quale interesse ad agire in concreto egli abbia. L’opponente, pertanto, non può limitarsi a lamentare l’esistenza dell’irregolarità formale in sé considerata, senza dedurre che essa abbia davvero determinato un pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19105 del 18/07/2018, Rv. 650240).
In conclusione, a prescindere dall’assolvimento delle molteplici funzioni propria della spedizione in forma esecutiva (par. 2.2), il debitore che intenda opporre, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., la mancanza sul titolo della formula prevista dall’art. 475 c.p.c., deve contestualmente indicare quale effettivo pregiudizio dei suoi diritti di difesa sia derivato da tale omissione. In mancanza, l’opposizione dovrà essere dichiarata inammissibile per carenza di interesse.
2.5 In conclusione, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, va affermato il seguente principio di diritto:
“L’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo, che deve essere denunciata nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c., comma 1, senza che la proposizione dell’opposizione determini l’automatica sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3. Tuttavia, in base ai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, il debitore opponente non può limitarsi, a pena di inammissibilità dell’opposizione, a dedurre l’irregolarità formale in sé considerata, senza indicare quale concreto pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo essa abbia cagionato”.
- Il secondo, il terzo e il quarto motivo si riferiscono alla opposizione all’esecuzione. La questione controversa riguarda la tempestività della denuncia di taluni vizi costruttivi dell’immobile che S. avrebbe inteso opporre al proprio creditore sotto forma di eccezione di inadempimento.
Il quinto motivo concerne il regolamento delle spese processuali adottato dalla Corte d’appello.
Come abbiamo già detto, il Tribunale non si è mai pronunciato sui motivi di opposizione all’esecuzione, ritenendo che le contestazioni relative al rapporto giuridico sottostante al titolo esecutivo fossero assorbite dall’accoglimento della denuncia di invalidità formale dello stesso. L’appello proposto dal creditore, soccombente in primo grado, ha avuto ad oggetto – dunque – una sentenza che provvedeva unicamente sull’opposizione agli atti esecutivi.
Non ricorrevano, quindi, le condizioni alle quali I. S.r.l. avrebbe dovuto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato (par. 1.4), esperire due distinti mezzi di impugnazione: l’appello per quanto concerne l’opposizione all’esecuzione e il ricorso per cassazione in relazione all’opposizione agli atti esecutivi. Al contrario, l’unico mezzo di impugnazione che, in concreto, si sarebbe dovuto esperire era quello del ricorso per cassazione. Solo dopo aver conseguito l’eventuale cassazione della pronuncia sull’opposizione agli atti esecutivi, nel giudizio di rinvio il tribunale avrebbe dovuto esaminare nel merito l’opposizione all’esecuzione (inizialmente ritenuta assorbita) e avverso tale pronuncia la parte interessata avrebbe potuto proporre appello.
L’appello era dunque improponibile, anche con riferimento ai motivi di opposizione all’esecuzione. Il punto, infatti, non aveva costituito oggetto di pronuncia da parte del Tribunale, avendo quest’ultimo accolto la questione preliminare ed assorbente di nullità formale del titolo esecutivo.
Alla rilevata improponibilità dell’appello corrisponde, anche in questo caso, l’assorbimento dei motivi in esame.
- La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata senza rinvio, anche con riferimento alla pronuncia sulle spese.
Considerando le ragioni della decisione e, in particolare, la circostanza che la sentenza impugnata viene cassata per effetto del rilievo ex officio dell’improponibilità dell’appello, che tuttavia non rientra fra le censure dedotte dalla ricorrente, si ravvisano giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Poiché il ricorso non è stato respinto, non ricorrono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
cassa senza rinvio la sentenza impugnata perché l’appello non poteva essere proposto. Compensa interamente le spese processuali fra le parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2019