L’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata priva di data certa
L’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata priva di data certa
Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6985 del l’11/03/2019
Con ordinanza dell’11 marzo 2019, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che ai fini della decisione circa l’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, il giudice di merito, quando voglia darsi la prova del momento in cui il negozio è stato concluso, ove sia dedotto un fatto diverso da quelli tipizzati nell’art. 2704 c.c., ha il compito di valutarne, caso per caso, la sussistenza e l’idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, il quale non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità.
Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 6985 del l’11/03/2019
L’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata priva di data certa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso __ proposto da:
B. S.p.A. – ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –
avverso la sentenza n. __ del TRIBUNALE di NAPOLI, del __;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal cons. __. La Corte:
Svolgimento del processo
che:
- S.p.A. chiedeva l’ammissione al passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. del credito di Euro __, composto da Euro __, quale saldo debitore del conto n. (OMISSIS), già conto n. (OMISSIS), con interessi alla data del fallimento; e da Euro __, quale saldo debitore del conto n. (OMISSIS), già conto n. (OMISSIS), con interessi alla data del fallimento.
Il G.D. respingeva la domanda, ritenendo la mancanza di data certa del contratto n. (OMISSIS) e la mancata produzione del contratto n. (OMISSIS), ed in considerazione del conteggio, nel saldo finale del primo conto, della commissione di massimo scoperto, che non trovava riscontro nelle pattuizioni contrattuali.
L’opposizione proposta da B. S.p.A. è stata rigettata dal Tribunale con il decreto del __.
Nello specifico, e per quanto rileva, il Tribunale:
ha ritenuto che, a seguito della riforma fallimentare, è venuto meno il potere di acquisizione d’ufficio del fascicolo della fase della verifica, ed ha conseguentemente concluso per l’inammissibilità della richiesta di acquisizione del fascicolo contenente la domanda di ammissione al passivo e la relativa documentazione (da cui ulteriormente la tardività del fascicolo contenente la domanda di ammissione al passivo ed i relativi allegati, depositati dall’opponente successivamente al deposito del ricorso), così limitando i documenti valutabili solo a quelli allegati tempestivamente al ricorso in opposizione;
ha ritenuto altresì inammissibile la documentazione allegata al ricorso in opposizione, della quale la Cancelleria aveva attestato la produzione solo in data __, pur facendo presente che per la carenza di organico e l’elevato numero di atti, non era stato possibile apporre tempestivamente il depositato in alcune produzioni L. Fall., ex art. 98, richiamando altresì il principio di autoresponsabilità della parte;
nel merito, “per mero spirito di completezza”, ha ritenuto privo di data certa il contratto di conto corrente n. (OMISSIS), non riconducibile con certezza ai documenti di cui al foliario del fascicolo del monitorio (vi si indicava genericamente “lettera contratto e specimen di firma”), sul quale era stato apposto il timbro di cancelleria;
ha rilevato altresì la mancanza di sottoscrizione della Banca nel detto contratto di conto corrente, non potendosi applicare il principio della equipollenza con la produzione in giudizio, stante la posizione di terzietà del Curatore;
sempre “per spirito di completezza”, ha respinto la tesi della ricorrente, dell’estensione automatica della disciplina del contratto di conto corrente n. (OMISSIS) del __ al diverso rapporto di conto corrente acceso sotto il n. (OMISSIS), data la prescrizione della forma scritta ex art. 117 TUB ed ancora prima, della L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 1, stante la possibilità di prevedere modalità alternative solo per la disciplina dei servizi accessori, da cui la mancanza di forma scritta e l’impossibilità di verificare la corrispondenza della data recata sull’atto alla data della prima operazione contabile annotata sull’estratto integrale di conto corrente;
ha ritenuto non sufficiente ai fini della prova del credito la produzione degli estratti integrali di conto corrente, vidimati ex art. 50 TUB, stante che il curatore non è stato parte del rapporto in precedenza, da cui l’impossibilità di far valere nei suoi confronti la valenza preclusiva derivante dall’approvazione anche tacita dei detti estratti conto.
Ricorre avverso detta pronuncia sulla base di dodici motivi B. S.p.A.
Il Fallimento si difende con controricorso, illustrato con la memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Che:
Col primo mezzo, la ricorrente denuncia i vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5; si duole dell’avere il Tribunale ritenuto che tutti i documenti prodotti da B. S.p.A. e di cui all’indice di parte del ricorso L. Fall. ex art. 98 non fossero stati depositati insieme al ricorso il __, e che anche la dichiarazione del Cancelliere del __ non potesse valere a provare il contestuale deposito.
Col secondo, si duole dell’avere il Tribunale rilevato d’ufficio l’eccezione di tardività dei documenti allegati al ricorso, che spettava alla Curatela sollevare e col terzo mezzo denuncia che tale eccezione è stata accolta dal Tribunale senza assegnare il termine ex art. 101 c.p.c., comma 2, da cui la nullità della pronuncia.
Col quarto mezzo, in subordine o in alternativa, si duole dell’avere il Tribunale ritenuto che la produzione dei documenti dovesse avvenire unitamente al ricorso, con ciò violando la L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, che prescrive l’indicazione in ricorso dei documenti senza prevedere a pena di decadenza anche il deposito degli stessi.
Col quinto, si duole del non avere il Tribunale considerato che nel provvedimento di comparizione del curatore il Presidente del Tribunale aveva onerato la Cancelleria di depositare la domanda di ammissione al passivo della banca.
Con i motivi dal sesto al dodicesimo, la Banca, pur ritenendo svolta dal Tribunale ad abundantiam la valutazione nel merito, per tuziorismo sottopone a censura gli argomenti svolti nel merito.
Col sesto, si duole del non avere il primo Giudice attribuito data certa al contratto di conto corrente di cui alla lettera contratto del __, contenuta in originale nel fascicolo di parte del procedimento monitorio, con il relativo indice sottoscritto e datato dal Cancelliere il __, e quindi antecedente al fallimento del __ (la parte aveva anche esibito il decreto ingiuntivo concesso in data __ nel cui corpo è indicato tra gli allegati la lettera contratto e tra l’altro, oggetto del decreto è proprio il contratto n. (OMISSIS)).
Col settimo, denuncia la nullità del decreto impugnato, per avere il Tribunale sollevato d’ufficio l’eccezione di nullità del contratto n. (OMISSIS) ex artt. 117 e ss. TUB, senza neppure provocare sul punto il contraddittorio, ex art. 101 c.p.c., comma 2; con l’ottavo motivo, si duole del rilievo d’ufficio della detta nullità relativa, posta a tutela dell’esclusivo interesse del cliente, e sostiene che la prescrizione della forma scritta a pena di nullità dei contratti bancari può ritenersi rispettata quando il contratto sia sottoscritto dal cliente, nel cui interesse è prescritta la forma scritta.
Col nono motivo, la ricorrente, in subordine, denuncia che il Tribunale ha omesso di verificare che dal doc. esibito risultava la sottoscrizione da parte della Banca, sia pure su atto separato.
Col decimo, sempre in relazione al motivo di ricorso sub 7, si duole dell’omessa verifica da parte del Tribunale del fatto che non vi era stata alcuna revoca, né avrebbe potuto esserci, dato che il contratto era stato eseguito.
Con l’undicesimo motivo, la Banca si duole del non avere il Tribunale ritenuto la idoneità del contratto di conto corrente n. (OMISSIS) a disciplinare tutti i rapporti instaurati ed instaurandi e quindi l’estensione automatica della disciplina del primo anche al diverso rapporto di anticipazione acceso sotto il n. (OMISSIS).
Secondo la ricorrente, la S.C., con le pronunce 144790/2005 e 19941/2006, analizzando proprio il modulo contrattuale esibito da B. S.p.A., ha concluso nel senso della previsione anche dell’ipotesi delle aperture di credito.
Con il dodicesimo motivo, B. S.p.A. si duole della valutazione del Tribunale in ordine alle schede integrali dei conti, recanti l’indicazione di tutte le operazioni svolte nel corso del rapporto, in relazione alle quali è stata fatta valere non l’approvazione della correntista, ma la mancata contestazione della Curatela.
Prima di passare all’esame dei motivi, è opportuna la seguente premessa.
È noto l’indirizzo espresso nella pronuncia Sez. U. 30/10/2013, n. 24469, secondo cui, qualora il giudice che abbia ritenuto inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, così spogliandosi della potestas iudicandi sul relativo merito, proceda poi comunque all’esame di quest’ultimo, è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di impugnazione della sentenza da lui pronunciata che ne contesti solo la motivazione, da considerarsi svolta ad abundantiam, su tale ultimo aspetto (e in senso conforme, tra le ultime, la pronuncia, resa a sezione semplice, del 19/12/2017, n. 30393).
Ora, detto principio postula che la pronuncia sia stata resa decidendosi su di una preliminare di merito, ed a maggior ragione su di una pregiudiziale di rito, mentre è diversa l’ipotesi di decisione basata su distinte questioni di merito, anche se una pregiudiziale all’altra.
Ed infatti, per detta ipotesi, la pronuncia del 17/4/2015, n. 7838 ha affermato che il giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa (nella specie, la dedotta invalidità della notifica dell’atto impositivo impugnato), a differenza di quanto avviene qualora dichiari l’inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione o competenza, non si priva della potestas iudicandi in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicché ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano “obiter dicta”, ma ulteriori rationes decidendi, che la parte ha l’interesse e l’onere d’impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il decisum.
Ed è questo il caso che qui rileva, di talché occorre valutare tutte le censure rivolte nei confronti della pronuncia impugnata.
I primi cinque motivi possono essere valutati unitariamente stante la stretta connessione tra gli stessi, e vanno accolti nei limiti e per le ragioni che si vanno ad illustrare.
Quanto all’acquisizione del fascicolo della fase dell’ammissione al passivo, va resa applicazione del principio reso nella pronuncia del 18/5/2017, n. 12549, secondo cui, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l’opponente, a pena di decadenza L. Fall., ex art. 99, comma 2, n. 4), deve soltanto indicare specificatamente i documenti, di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicché, in difetto della produzione di uno di essi, il tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo d’ufficio della procedura fallimentare ove esso è custodito; detto principio è stato ulteriormente specificato, con riguardo al fascicolo d’ufficio informatico del Fallimento, dalla pronuncia del 18/05/2017, n. 12549, che ha affermato che in tema di verifica dello stato passivo, i documenti trasmessi dal creditore al curatore tramite posta elettronica certificata e da questo inviati telematicamente alla cancelleria del giudice delegato entrano a fare parte del fascicolo d’ufficio informatico della procedura, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011, art. 9, comma 1, sicché, proposta opposizione allo stato passivo, il tribunale deve disporre l’acquisizione dei documenti specificatamente indicati nel ricorso dall’opponente, L. Fall., ex art. 99, comma 2, n. 4), che siano custoditi nel detto fascicolo informatico.
Quanto alla documentazione prodotta col ricorso (diversa ed ulteriore rispetto alla doc. prodotta con la domanda di ammissione al passivo è la documentazione costituita dalle schede integrali di conto, mod.174 e fatture: vedi pag. 2 del decreto), va ritenuto l’omesso esame del fatto risultante dall’attestazione apposta il __ dal Cancelliere all’indice delle produzioni di parte, che esplicitamente ammette la mancata apposizione della stampigliatura “depositato” in data __ all’indice del ricorso, fatto sostanzialmente non considerato dal Tribunale, che ha considerato la successiva attestazione, di carattere generico, del Direttore di Cancelleria; inoltre, la Curatela si era costituita il __ con comparsa del __, contestando nel merito quanto dedotto e fatto valere dalla controparte, e tale fatto corroborava il previo deposito dei documenti.
Vale infine il richiamo al principio espresso, tra le altre, nella pronuncia del 20/10/2011, n. 21704, secondo il quale, quando la data del deposito di un atto in cancelleria deve risultare dall’annotazione del cancelliere sull’atto medesimo e dal suo inserimento nell’apposito registro cronologico, l’eventuale omissione o assoluta incertezza di tali annotazioni non può tradursi in prova del mancato o tardivo deposito, non potendosi escludere che, nonostante la menzionata omissione o incertezza, la parte abbia provveduto a depositare l’atto nel termine stabilito qualora quest’ultima circostanza risulti avvalorata da emergenze documentali oggettive.
Restano assorbite le ulteriori doglianze fatte valere nei motivi dal primo al quinto.
Il sesto motivo è fondato.
La pronuncia 3/8/2012, n. 13943 ha affermato che, in tema di data della scrittura privata, qualora manchino le situazioni tipiche di certezza contemplate dall’art. 2704 c.c., comma 1, ai fini dell’opponibilità della data ai terzi è necessario che sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento; ne consegue che tale dimostrazione può anche avvalersi di prove per testimoni o presunzioni, ma solo a condizione che esse evidenzino un fatto munito della specificata attitudine, non anche quando tali prove siano rivolte, in via indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento.
E in senso conforme, con specifico riguardo ai limiti della prova, in materia di opposizione allo stato passivo, le pronunce del 2/11/2017, n. 26115 e del 1/10/2015, n. 19656, hanno affermato che, ai fini della decisione circa l’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, il giudice di merito, quando voglia darsi la prova del momento in cui il negozio è stato concluso, ove sia dedotto un fatto diverso da quelli tipizzati nell’art. 2704 c.c. ha il compito di valutarne, caso per caso, la sussistenza e l’idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, il quale non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità.
Ora, il Tribunale (a cui spettava d’ufficio la verifica dell’opponibilità del contratto alla Curatela, stante la rilevabilità d’ufficio della mancanza di data certa: così la pronuncia Sez. U. 20/2/2013, n. 4213) non ha reso corretta applicazione di detto principio: ha ritenuto che nell’elenco dei documenti del fascicolo del monitorio, timbrato dal cancelliere, è indicata una generica “lettera contratto e specimen di firma”, da cui la non diretta e certa corrispondenza tra l’indicazione nel foliario munita di timbro e la documentazione allegata al fascicolo, dovendo risultare con certezza, ai fini dell’equipollenza, che si tratti di quel determinato contratto, con quelle specifiche clausole.
Così opinando, il Tribunale ha del tutto incongruamente sostanzialmente postulato l’inserimento del contratto di cui si tratta nel fascicolo del monitorio a dispregio del timbro del Cancelliere, mentre il fatto rilevante ai fini della datazione certa dell’atto nei confronti del Fallimento è dato dalla corrispondenza del contratto azionato in sede monitoria e contenuto nel fascicolo di parte di detto procedimento, depositato il __, e quindi in data antecedente al fallimento, dichiarato il __, col contratto posto a base della domanda di ammissione al passivo, tanto più considerata l’indicazione di detta lettera contratto nel decreto ingiuntivo concesso in data __.
Il settimo motivo è infondato.
Ed infatti, come affermato nella sentenza Sez. U. del 12/12/2014, n. 26242 il rilievo “ex officio” di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale.
E detta pronuncia ha specificamente ritenuto la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali anche di quelle cosiddette di protezione, dato che queste si configurano, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una “species” del più ampio “genus” rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo (e conforme la successiva Sez. U. 26243/2014).
Nella specie, inoltre, la Curatela aveva contestato la validità del contratto di conto corrente n. (OMISSIS) e delle sue clausole, a valere anche in ordine al diverso rapporto n. (OMISSIS), visto quanto dedotto al par.__ della comparsa di costituzione e risposta e, come affermato, tra le ultime, nella pronuncia del 5/12/2017, n. 29098, l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, ha lo scopo di evitare le decisioni c.d. “a sorpresa” o “della terza via”; tale obbligo, pertanto, vale solo per le questioni che il giudice rilevi effettivamente d’ufficio per non essere state dedotte dalle parti e non vale, invece, per le questioni che – pur rilevabili d’ufficio – siano state introdotte dalle parti sotto forma di eccezione c.d. “in senso lato”, in quanto tali questioni fanno già parte del “thema decidendum”.
È fondato invece l’ottavo motivo.
Come affermato nella pronuncia Sez. U. 8/1/2017, n. 898, in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti.
In applicazione di detto principio, la successiva pronuncia del 4/6/2018, n. 14243 ha affermato che i contratti bancari soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, così come i contratti di intermediazione finanziaria, non esigono ai fini della valida stipula del contratto la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili, sicché la conclusione del negozio non deve necessariamente farsi risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa, potendo la certezza della data desumersi da uno dei fatti espressamente previsti dall’art. 2704 c.c. o da altro fatto che il giudice reputi significativo a tale fine, nulla impedendo che il negozio venga validamente ad esistenza prima della produzione in giudizio della relativa scrittura ed indipendentemente da tale evenienza.
I motivi nono e decimo restano assorbiti.
Il motivo undicesimo è fondato.
Va a riguardo applicato l’orientamento di recente ribadito nella pronuncia 27836/2017, secondo il quale, in tema di disciplina della forma dei contratti bancari, la L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e successivamente il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 2, abilitano la Banca d’Italia, su conforme delibera del C.I.C.R. a stabilire che ”particolari contratti” possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta, “in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto”, va inteso nel senso che l’intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l’indicazione nel “contratto madre” delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il “contratto figlio”; e la successiva pronuncia 14249/2018, aderendo a detto orientamento, che consente quindi la stipulazione di un contratto in forma diversa da quella scritta (come già affermato nelle pronunce 20726-14 e Cass. n. 23597-17), ha aggiunto che questa sezione, in relazione all’art. 117 del T.u.b. e alle possibili confermate eccezioni al regime generale della nullità dei contratti bancari non stipulati per iscritto ove il C.i.c.r., mediante apposite norme di rango secondario, consenta che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, siano stipulabili in forma diversa da quella scritta (come avvenuto con la successiva delibera 4-3-2003), ha condivisibilmente ritenuto comunque necessaria una stretta connessione funzionale e operativa tra il contratto di apertura di credito e quello di conto corrente e una sostanziale regolamentazione del contratto accessorio desumibile da quello già formato per iscritto (v. in particolare Cass. n. 7763-17); questo perché – si è detto – l’intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta ma solo una relativa sua attenuazione, che, in particolare, salvaguardi l’indicazione nel “contratto madre” delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il “contratto figlio” (cfr. Cass. n. 26836-17)”.
Nel caso che qui interessa, il Tribunale, pur ammettendo la possibilità di prevedere modalità alternative alla forma scritta, le ha erroneamente circoscritte alla sola disciplina dei servizi accessori, mentre avrebbe dovuto valutare il contratto di conto corrente e le norme generali, al fine di verificare se nel contratto fossero state previste aperture di credito e sovvenzioni.
Il motivo dodicesimo è fondato.
Il Tribunale ha concluso per la inidoneità della documentazione prodotta da B. S.p.A. al fine di provare il credito, ritenendo necessaria la produzione di tutta la documentazione relativa allo svolgimento del conto; nel resto, ha richiamato la valenza probatoria attribuita agli estratti conto, idonei a richiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo, ma non sufficienti a fornire la prova piena del credito ai fini dell’ammissione al passivo.
Detta conclusione non è corretta, dato che il Tribunale ha omesso di esaminare i documenti prodotti, che costituiscono schede integrali di conto(nelle quali sono riportate tutte le operazioni effettuate dall’inizio del rapporto, prima operazione saldo o, alla chiusura, avvenuta alla data del fallimento) e non già semplici estratti conto e, richiedendo a B. S.p.A. la produzione di tutta la documentazione idonea a giustificare le singole operazioni rappresentata nell’estratto conto, si è discostata dal principio secondo il quale il credito della Banca va provato con l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere, che comporta l’indicazione di tutte le operazioni, a partire dalla prima operazione sino alla chiusura, mentre è insufficiente il riferimento al saldo registrato alla data di chiusura del conto ed alla documentazione relativa all’ultimo periodo del rapporto, dal momento che quest’ultima non consente di verificare gli importi addebitati nei periodi precedenti per operazioni passive e quelli relativi agl’interessi, la cui iscrizione nel conto ha condotto alla determinazione dell’importo che costituisce la base di computo per il periodo successivo (così, tra le altre, le pronunce 21597/2013, 23974/2010 e 10692/2007).
E specificamente la recente pronuncia 22208/2018 ha affermato che in tema di ammissione al passivo fallimentare, nell’insinuare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha, a sua volta, l’onere ulteriore di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito avuto riguardo alle contestazioni in parola; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio.
Conclusivamente, va accolto il ricorso per i motivi sopra indicati e, cassata la pronuncia impugnata, la causa va rimessa al Tribunale di Napoli in diversa composizione, che si atterrà ai motivi ed ai profili accolti nella presenta pronuncia e che provvederà anche a decidere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2019