Nel caso di domanda cd. “supertardiva” o “ultratardiva” di cui all’art. 101, ultimo comma,L. Fall., il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì una causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto.
Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 16103 del 19/06/2018
Con Ordinanza del 28 giugno 2018 la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di ammissione al passivo nelle procedure di fallimento, ha stabilito che, nel caso di domanda cd. “supertardiva” o “ultratardiva” di cui all’art. 101, ultimo comma, L. Fall., il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì una causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto, ed il relativo giudizio implica un accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ha rigettato il ricorso avverso il decreto del tribunale che aveva ritenuto il ritardo nella proposizione della domanda di ammissione imputabile al creditore fondiario, perché quest’ultimo, nell’ambito di un processo di espropriazione immobiliare celebrato nei confronti dello stesso debitore poi fallito, nel quale era intervenuto anche il curatore, aveva avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento tramite il suo difensore, in tempo utile per far valere il suo credito, pur in mancanza della comunicazione ex art. 92 L. Fall.
Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 16103 del 19/06/2018
Nel caso di domanda cd. “supertardiva” o “ultratardiva” di cui all’art. 101, ultimo comma, L. Fall., il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì una causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. __ proposto da:
I. s.p.a., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato __ – ricorrente –
contro
FALLIMENTO __ s.r.l., in liquidazione, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato __ – controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BERGAMO depositato in data __;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal Consigliere Dott. __.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
- La I. s.p.a., quale procuratrice di C. s.p.a., ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, resistiti dalla curatela del fallimento __ s.r.l., avverso il decreto del Tribunale di Bergamo, depositato in data __, reiettivo dell’opposizione L. Fall., ex art. 98 dalla prima proposta, nella medesima qualità, contro la mancata ammissione al passivo della suddetta procedura del complessivo credito di Euro __, di cui Euro __ in via ipotecaria ed Euro __ in privilegio ex art. 2770 c.c. per spese sostenute nella procedura esecutiva immobiliare.
1.2 Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale ritenne che: i) la richiesta di insinuazione di I.s.p.a., nella indicata qualità, datata __, era stata depositata oltre il termine previsto dalla L. Fall., art. 101, comma 1.; ii) la curatela aveva dimostrato che detta società, benché non destinataria della comunicazione L. Fall., ex art. 92, fosse venuta comunque a conoscenza del fallimento __ s.r.l., risalente al __, fin dal __, allorquando il curatore era subentrato in una procedura esecutiva immobiliare, intrapresa contro la debitrice poi fallita da G. e proseguita proprio da I. s.p.a. D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 41 con udienze protrattesi fino al __.
- Con i formulati motivi, la ricorrente deduce:
- I) “Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 92 e 101 84 e art. 116 c.p.c., e art. 2697 c.c.”. Si assume che titolare del credito azionato esecutivamente nella descritta espropriazione immobiliare era la C. s.p.a., e solo in qualità di sua procuratrice/mandataria I. s.p.a. era ivi intervenuta avvalendosi del patrocinio dell’Avv. __: quest’ultimo, dunque, era l’unico soggetto da ritenersi a conoscenza dell’intervenuto fallimento della debitrice, essendo pacifico che il curatore non aveva inoltrato a C. alcun avviso ai sensi della L. Fall., art. 92, e rilevando lo stato soggettivo di quel difensore nell’ambito dello specifico rapporto procuratorio processuale intercorrente tra lui e I. s.p.a., e giammai nei diretti confronti di C. s.p.a.;
- II) “Omesso esame di fatti decisivi della controversia che sono stati oggetto di discussione tra le parti”. Si ribadiscono, sostanzialmente, le medesime circostanze di fatto del primo motivo, ascrivendo al tribunale di non aver adeguatamente valutato le corrispondenti risultanze istruttorie;
III) “Violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su motivo di opposizione”. Si sostiene che il tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sul formulato motivo di opposizione L. Fall., ex art. 98 con cui si era denunciato che, derivando il credito azionato da mutuo fondiario assistito da privilegio processuale ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41 il termine di dodici mesi per la presentazione della domanda di ammissione al passivo sarebbe iniziato a decorrere solo dal momento in cui si era effettivamente concretizzata la ragione di credito nel suo definitivo ammontare, circostanza verificatasi, nella specie, in epoca successiva al termine suddetto;
- IV) “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 101, e artt. 2855 e 2770 c.c., nonché, con riferimento alla condotta processuale e stragiudiziale della curatela, nuovamente dell’art. 2730 c.c., art. 116 c.p.c. e L. Fall., art. 101: omesso esame di fatti decisivi della controversia che sono stati oggetto di discussione tra le parti”. Si deduce che il credito ipotecario azionato esecutivamente acquisisce carattere di liquidità solo al momento della vendita del cespite cauzionale, e che esso, nel caso di specie, sarebbe divenuto liquido, in tutte le sue componenti, al momento del completamento del trasferimento effettivo del bene all’aggiudicatario. Si ribadisce, infine, che il termine annuale L. Fall., ex art. 101, comma 1, inizierebbe a decorrere dalla data in cui è sorto il diritto alla pretesa creditoria.
- I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, non possono essere accolti per le ragioni di seguito esposte.
3.1. E’ assolutamente pacifico tra le parti che la curatela fallimentare non inviò a C. s.p.a. la comunicazione L. Fall., ex art. 92, sicché deve trovare applicazione il principio, già affermato da questa Corte, per cui il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dalla citata norma, integra sì la causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, ma il curatore ha facoltà di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento, indipendentemente dalla ricezione dell’avviso predetto (cfr. Cass. n. 23302 del 2015; Cass. n. 4310 del 2012).
3.2. E’ noto, poi, che il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41, comma 2, nel prevedere che il creditore fondiario può iniziare o proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati anche successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore, deroga al divieto di azioni esecutive individuali previsto dalla L. Fall., art. 51, ma non anche alla norma imperativa di cui alla L. Fall., art. 52, secondo la quale ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o esentato dal divieto di azioni esecutive, deve essere accertato nelle forme previste dalla legge fallimentare. L’insinuazione al passivo costituisce, pertanto, un onere per la banca mutuante (sancito espressamente, a seguito della riforma della legge fallimentare, anche per i creditori esentati dal divieto di cui alla L. Fall., art. 51) al fine dell’esercizio del diritto di trattenere definitivamente, nei limiti del quantum spettante a ciascun creditore concorrente all’esito del piano di riparto in sede fallimentare, le somme provvisoriamente percepite a titolo di anticipazione in sede esecutiva (cfr. Cass. n. 6377 del 2015).
3.2.1. Nella specie è incontroverso che la odierna ricorrente, quale procuratrice di C. s.p.a., aveva proseguito, avvalendosi del privilegio processuale spettantele D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. art. 41 una espropriazione immobiliare (n. __ r.g.e., innanzi al Tribunale di Bergamo), originariamente intrapresa contro la debitrice poi fallita da G., e che in tale procedura, le cui udienze si erano protratte fino al __, era intervenuta anche, il __, la curatela del fallimento __ s.r.l., risalente al __, con il patrocinio dell’Avv. __. Da tali circostanze fattuali, il decreto impugnato ha tratto la conclusione che “il Curatore ha provato, ai fini della inammissibilità della domanda, che il creditore aveva avuto notizia del fallimento, indipendentemente dalla ricezione dell’avviso l. fall., ex art. 92, e che, pertanto, il creditore medesimo avrebbe potuto procedere tempestivamente all’insinuazione del credito in oggetto” (cfr. pag. 5).
3.2.1. “Posto, dunque, che nell’ipotesi di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi della L. Fall., art. 101, u.c. (c.d. supertardiva o ultratardiva, cioè proposta – come nel caso – oltre il termine, di legge o fissato dal tribunale, di cui al comma 1 della medesima norma, computato rispetto al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e pacificamente superato anche nella fattispecie de qua), la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità” (cfr. Cass. n. 19017 del 2017; Cass. n. 23302 del 2015; Cass. n. 20686 del 2013), ritiene il Collegio che la riportata conclusione del tribunale bergamasco sia immune dalle censure ad essa ascritte.
3.2.2. Invero, non è ragionevolmente dubitabile che il citato difensore (Avv. __) di I. s.p.a. abbia avuto conoscenza del fallimento __ s.r.l. quanto meno dal __, cioè da quando nella menzionata procedura esecutiva immobiliare n. __ r.g.e., innanzi al Tribunale di Bergamo, era intervenuta anche la curatela di quel fallimento. Inoltre, la circostanza che alle udienze successive di tale procedura prese parte, come peraltro accade normalmente, il legale suddetto, e non il soggetto da lui rappresentato, è priva di significato, atteso che costituisce principio di carattere generale quello per cui quanto avviene in udienza deve considerarsi noto alle parti (attraverso la mediazione del difensore), che, per quanto qui interessa, sono, nel processo di esecuzione, il creditore (nella specie, giova ricordarlo, C. s.p.a. aveva nominato propria procuratrice/mandataria, in quella procedura esecutiva, I. s.p.a.) ed il debitore, ricordandosi, altresì, che, ai sensi dell’art. 40 del Codice Deontologico Forense approvato il 17 aprile 1997 e vigente fino al 15 dicembre 2014 (qui utilizzabile, dunque, ratione temporis), l’avvocato è tenuto ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli quando lo reputi opportuno (ed ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta); deve comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione; deve riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi (disposizioni affatto analoghe sono contenute nell’art. 27, commi 7 ed 8, del medesimo Codice approvato il 31 gennaio 2014 ed entrato in vigore il 16 dicembre 2014).
3.2.3. I. s.p.a., dunque, nella indicata qualità, certamente doveva considerarsi a conoscenza, quanto meno dal __, della sopravvenuta dichiarazione di fallimento __ s.r.l. (risalente al __), né ad essa giova sostenere che la conoscenza di detta circostanza dovesse essere in capo (anche) all’effettiva creditrice (C. s.p.a.): l’odierna ricorrente, invero, ha agito spendendo la medesima qualità anche nel formulare la domanda L. Fall., ex art. 101, comma 4, sicché non può certo invocare giustificazioni di cui avrebbe, al più, potuto avvalersi solo la menzionata C. s.p.a. formulando in proprio (e non tramite quella procuratrice) la richiesta di insinuazione di cui oggi si discute. Da ciò consegue la inammissibilità della domanda L. Fall., ex art. 101, comma 4, proposta dalla prima, nella suddetta qualità, solo il __, pacificamente oltre il termine, di legge o fissato dal tribunale, di cui al comma 1 della medesima norma, computato rispetto al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento predetto.
- Il terzo ed il quarto motivo possono parimenti esaminarsi congiuntamente, benché denuncianti (il terzo) anche un preteso error in procedendo del Tribunale di Bergamo per non essersi asseritamente pronunciato su uno dei proposti motivi di opposizione L. Fall., ex art. 98. Il loro denominatore comune, infatti, va sostanzialmente individuato nell’assunto secondo cui, derivando il credito azionato da mutuo fondiario assistito da privilegio processuale ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41 il termine di dodici mesi per la presentazione della domanda di ammissione al passivo sarebbe iniziato a decorrere solo dal momento in cui si era effettivamente concretizzata la ragione di credito nel suo definitivo ammontare, circostanza verificatasi (nella specie, in epoca successiva al termine di cui alla L. Fall., art. 101, comma 1) solo con la vendita del cespite ipotecato, con la conseguenza che quel credito sarebbe divenuto liquido, in tutte le sue componenti, al momento del completamento del trasferimento effettivo del bene all’aggiudicatario.
4.1. Un siffatto assunto è, però, privo di fondamento, con conseguente irrilevanza dell’esistenza, o meno, in concreto, dell’invocato error in procedendo.
4.1.1. E’ sufficiente, invero, considerare che, come condivisibilmente osservato dalla curatela controricorrente, il credito derivante (come nella vicenda in esame) da mutuo fondiario diviene liquido, quanto alla sorta capitale che ne costituisce componente primaria, ben prima della vendita del bene ipotecato, concretizzandosi fin dal verificarsi dell’inadempimento del debitore, sicché esso diviene esigibile già da tale momento, se del caso tramite la domanda di ammissione al passivo del sopravvenuto fallimento del debitore/mutuatario. Altro è, invece, il fatto che, una volta effettuata l’insinuazione al passivo fallimentare, il limite del soddisfacimento di quel credito è sostanzialmente rappresentato dal ricavato della vendita del bene ipotecato in sede di procedura esecutiva.
4.1.2. Inoltre, le altre componenti di tale credito, ossia le spese e gli interessi, non sono affatto “infrazionabili” parti del primo. Invero, circa gli interessi, opera il disposto dell’art. 2855 c.c. (che costituisce, notoriamente, un’eccezione alla regola per la quale la dichiarazione di fallimento ne sospende il corso), ma ciò non richiede certo che debbano essere presentate nuove domande ogni volta che un rateo di interessi sia maturato, atteso che l’ammissione al passivo del capitale comporta il riconoscimento degli interessi nei limiti fissati dalla suddetta disposizione. Quanto, invece, alle spese liquidate dal Giudice dell’esecuzione immobiliare, quand’anche si voglia ritenere che tale indicazione abbia effetto definitivo nei confronti del fallimento, il creditore, presentando tempestivamente la domanda per l’ammissione dei propri crediti, si potrà riferire anche alle spese della procedura esecutiva come liquidate dal Giudice dell’esecuzione.
- Va, infine, ritenuta l’inammissibilità, postulando, a tacer d’altro, accertamenti in fatto impossibili nel giudizio di legittimità, delle ulteriori censure esposte da I. s.p.a. nel quarto motivo (cfr. pag. 21 e ss. del ricorso) relativamente ad una lamentata condotta emulativa del curatore nei suoi confronti.
- In definitiva, il ricorso va respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2018
Cass_civ_Sez_I_Ord_19_06_2018_n_16103
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