Nelle opposizioni agli atti esecutivi la necessità di integrare il contraddittorio con tutti i soggetti controinteressati rispetto all’azione spiegata dall’opponente deve essere verificata con riferimento al momento della proposizione della domanda
Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 17441 del 28/06/2019
Con sentenza del 28 giugno 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione III, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nelle opposizioni agli atti esecutivi, la necessità di integrare il contraddittorio con tutti i soggetti controinteressati rispetto all’azione spiegata dall’opponente, nel rispetto della regola del litisconsorzio necessario, deve essere verificata con riferimento al momento della proposizione della domanda. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha escluso che il contraddittorio tra il debitore opponente, il creditore procedente e quelli intervenuti, dovesse essere esteso anche all’aggiudicatario, essendo l’aggiudicazione intervenuta dopo la proposizione dell’opposizione.
Corte di Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n. 17441 del 28/06/2019
Nelle opposizioni agli atti esecutivi la necessità di integrare il contraddittorio con tutti i soggetti controinteressati rispetto all’azione spiegata dall’opponente deve essere verificata con riferimento al momento della proposizione della domanda
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. __ – Presidente –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – Consigliere –
Dott. __ – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28922-2016 proposto da:
C. – ricorrente –
contro
B., C. S.p.A., S., P., V., E. – intimati –
avverso la sentenza n. __ della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il __;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del __ dal Consigliere Dott. __;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. __ che ha concluso per il rigetto dell’opposizione dell’esecuzione e inammissibilità degli atti esecutivi perché tardivamente proposti;
udito l’Avvocato __.
Svolgimento del processo
che:
avversava l’esecuzione immobiliare promossa nei suoi confronti da P., introducendo, dopo l’esito negativo delle richieste di sospensione, il giudizio di merito e con esso deducendo, per quanto qui rileva:
– l’invalidità delle notificazioni a lei dirette di tutti gli atti della procedura, in riferimento alle quali aveva anche avanzato, in via autonoma e principale presso il medesimo tribunale, querele di falso delle relative sottoscrizioni;
– la carenza di titolo a procedere esecutivamente in specie del creditore intervenuto B. che, dando impulso alla procedura dopo la rinuncia del creditore procedente, si era illegittimamente avvalso della decadenza dal beneficio del termine relativo al contratto di mutuo fondiario speso in esecuzione, e il cui distinto e successivo decreto ingiuntivo la deducente aveva impugnato in altro giudizio, sempre presso lo stesso tribunale;
in sede di precisazione della domanda l’istante deduceva, in senso ostativo alla possibilità di procedere alla vendita coattiva del cespite staggito, di essere assegnataria dell’immobile pignorato quale coniuge separato e affidatario dei figli minori;
il tribunale rigettava l’opposizione con pronuncia confermata dalla corte di appello secondo cui, in particolare:
– non era necessaria l’integrazione del contraddittorio con il sopravvenuto aggiudicatario, sollecitata con richiesta di rimessione al primo giudice, poiché al momento dell’introduzione dell’opposizione non era ancora avvenuta l’aggiudicazione;
– l’opposizione era in parte all’esecuzione, in parte agli atti esecutivi, e le deduzioni afferenti alle carenze notificatorie erano da qualificare ai sensi dell’art. 617 c.p.c., sicché, parte qua, la sentenza avrebbe dovuto essere oggetto di ricorso per cassazione, non essendo appellabile;
– la domanda relativa all’assegnazione della casa coniugale era nuova perché avanzata solo nelle memorie per la precisazione delle allegazioni;
– B., non il solo intervenuto munito di titolo idoneo alla prosecuzione delle vie coattive, si era avvalso della decadenza dal beneficio del termine prevista da una specifica clausola contrattuale, tenuto conto che il ricevimento dell’avviso di cui all’art. 498 c.p.c., legittimava alla revoca degli affidamenti;
avverso questa decisione ricorre per cassazione C. articolando sette motivi e depositando memoria;
non hanno svolto difese gli intimati.
Motivi della decisione
che:
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., poiché la corte di appello avrebbe errato nel negare la rimessione al primo giudice per violazione del litisconsorzio necessario, sussistente con l’aggiudicatario, non rilevando, per la pronuncia della sentenza nei confronti di tutte le parti dovute, la circostanza che al momento dell’introduzione dell’opposizione l’aggiudicazione non fosse ancora avvenuta;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 615, 617 e 618 c.p.c., poiché la corte di appello avrebbe errato nel rilevare l’inappellabilità della pronuncia ritenuta resa in parte a fronte di un’opposizione agli atti, quando il tribunale aveva espressamente trattato e qualificato l’opposizione stessa come all’esecuzione, dovendo seguirsi, per il regime dell’impugnazione, il principio dell’apparenza indotta dalla indicata qualificazione giudiziale;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 139, 156, 157, 160 e 295 c.p.c., poiché la corte di appello avrebbe errato nell’omettere: di rilevare l’inesistenza o nullità assoluta insanabile delle notifiche degli atti della procedura, oggetto di istanze istruttorie non ammesse immotivatamente; e di sospendere per pregiudizialità il giudizio in pendenza, presso lo stesso tribunale, di querele di falso proposte avverso alcune firme risultanti dalle retate di notifica, che, se accolte, avrebbero travolto l’esecuzione;
con il quarto motivo si prospetta la violazione dell’art. 295 c.p.c., poiché la corte di appello avrebbe dovuto accogliere, invece di non esaminare affatto, la richiesta di sospensione del giudizio a fronte della pendenza, presso lo stesso tribunale, del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo pure azionato da B. in ragione di un saldo di conto corrente, esitato con un rigetto in prime cure, e un rigetto in secondo grado con pronuncia che sarebbe stata oggetto di ricorso per cassazione;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1186, 1819, 1820, 1833, 1845, 1855 e 1375 c.c., poiché la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che il mero avviso ex art. 498 c.p.c., per un’espropriazione promossa per un credito chirografario di poco più di __, non avrebbe potuto legittimare la decadenza dal beneficio del termine a fronte del valore dell’immobile di oltre __ Euro ipotecato dalla banca che così lo aveva valutato al momento dell’accensione della garanzia reale, in misura molto maggiore rispetto alla sottovalutazione erroneamente effettuata in sede esecutiva; nella censura si aggiunge che:
– la decadenza dal beneficio del termine al più avrebbe potuto perfezionarsi dal momento della comunicazione al debitore, che invece non era avvenuta nelle forme prescritte dal contratto di mutuo, mentre le altre comunicazioni al riguardo da parte di un mandatario della banca in parola, non avrebbero potuto ritenersi come tali idonee;
– i crediti derivanti dal mutuo e riportati dal decreto ingiuntivo opposto, pertanto non potevano essere considerati certi;
– B. non aveva mai depositato un valido titolo esecutivo che legittimasse l’esercizio dei poteri d’impulso esecutivo dopo l’intervenuta rinuncia del creditore procedente;
– non era stato motivato il diniego delle istanze istruttorie dirette, sul punto, a dimostrare la capienza e solvibilità della deducente e quindi l’illegittimità della pretesa decadenza dal beneficio del termine;
con il sesto motivo si prospetta la violazione dell’art. 163 c.p.c., 183, comma 6, art. 112 c.p.c., art. 345 c.p.c., commi 1 e 3, poiché la corte di appello avrebbe errato nel ritenere inammissibile per novità la domanda relativa all’assegnazione della casa coniugale avvenuta in sede di separazione, quindi con data certa opponibile anche in difetto della trascrizione e pure dopo l’avvenuto trasferimento del bene: l’allegazione, secondo la deducente, avrebbe costituito infatti emenda, formulabile nei termini per le memorie in questione;
con il settimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., poiché la corte di appello avrebbe errato nel non compensare le spese di lite nonostante la peculiarità della questione, la buona fede della deducente, la ragionevolezza della sua reazione a tutela della casa coniugale dove viveva con i figli minori;
parte ricorrente, dopo aver articolato i suddetti motivi, specifica che, per evitare effetti rinunciatari inerenti a questioni non oggetto della trattazione sopra riassunta, riportava, senza pertanto valenza di censura, le eccezioni formulate in sede di appello riguardo all’erronea affermazione del tribunale per cui l’esaurimento della procedura esecutiva, avvenuto con l’aggiudicazione, avrebbe eliso l’interesse all’opposizione.
Rilevato che:
il primo motivo è infondato;
secondo l’indirizzo di questa Corte la necessità del litisconsorzio deve verificarsi al momento della proposizione della domanda oltre che in relazione alla formulazione della stessa (Cass., 16/04/1988, n. 2998, Cass., 03/08/1977, n. 3448), come mostra anche la fattispecie dei creditori intervenuti, la cui partecipazione al giudizio di opposizione esecutiva è vincolata in base agli interventi spiegati al momento in cui il processo viene instaurato e non a quelli successivi, non potendo neppure in astratto configurarsi, a seconda dello sviluppo del procedimento esecutivo cui quello appena detto di cognizione si correla, un litisconsorzio processuale appunto sopravvenuto (Cass., 05/09/2011, n. 18110);
una diversa conclusione entrerebbe in un’inevitabile frizione con il principio di ragionevole durata del processo, che dovrebbe retrocedere, anche di grado, in forza di eventi sopraggiunti ed eventuali, a seconda del tempo del loro casuale accadimento;
in questa cornice l’aggiudicatario viene necessariamente quanto coerentemente a integrare una posizione dipendente dalla procedura nello stato in cui la stessa si trova al momento dell’aggiudicazione;
il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
in primo luogo il ricorso risulta aspecifico, e in violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, con riferimento alla deduzione di pretesa qualificazione dell’opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., da parte del tribunale, non riportando, se non lacunosamente e con mero rimando all’atto processuale, le affermazioni del giudice di prime cure rilevanti;
in ogni caso, dall’esame della prodotta sentenza del tribunale, non emerge l’esplicita qualificazione, pretesa dalla deducente, dell’opposizione relativa ai pretesi vizi di notificazione degli atti esecutivi: essendo stati sollevati sia profili di opposizione ex art. 615 c.p.c., che profili di opposizione ex art. 617 c.p.c., nulla sul punto possono dire, inequivocamente, le invece generiche indicazioni, introduttive della parte narrativa o incidentali, della decisione di primo grado (pag.__, cui rinvia il ricorso, ma anche pag. __) ovvero la sintesi del dispositivo pure richiamata (pag. __ della sentenza del tribunale);
nulla si dice, al contrario, nella parte della motivazione specificatamente dedicata alla trattazione delle deduzioni in parola (pag. __), sicché la corte di appello poteva qualificare, ai fini del regime impugnatorio, la decisione parte qua, facendo così corretta applicazione del principio per cui qualora un’opposizione in materia esecutiva possa scindersi in un duplice contenuto, in parte riferibile a un’opposizione agli atti esecutivi e in parte riferibile a un’opposizione all’esecuzione, l’impugnazione della conseguente sentenza deve seguire il diverso regime previsto per i distinti tipi di opposizione (cfr., ad esempio, Cass., 27/08/2014, n. 18312);
per completezza va aggiunto che le deduzioni afferenti ai vizi di notifica sarebbero risultate per altro verso anch’esse in parte inammissibili, in parte infondate;
infatti:
– non si specifica a quali atti tali notificazioni si sarebbero riferite, mentre solo dalla sentenza del tribunale emerge si sarebbe trattato degli atti di precetto, pignoramento e del decreto di fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c., trattandosi quindi di opposizione agli atti esecutivi (di cui, peraltro, parte ricorrente non aveva dimostrato neppure la tempestività, come osservato dal pubblico ministero);
– questa Corte ha chiarito che anche la deduzione del vizio di notifica del titolo esecutivo integra un’opposizione formale ex art. 617 c.p.c., eccetto il caso del decreto ingiuntivo non opposto in relazione al quale qualora si alleghi l’inesistenza della notifica è possibile reagire ex art. 615 c.p.c., mentre ogni altra tipologia di vizio rientra nella cornice dell’art. 650 c.p.c. (Cass., 31/08/2015, n. 17308); quanto poi alla mancata sospensione in relazione ai giudizi di querela di falso, va precisato che:
– qualora davanti al medesimo ufficio giudiziario pendano più cause connesse per pregiudizialità, il giudice della causa pregiudicata non può sospenderla ex art. 295 c.p.c., ma deve rimetterla al presidente del tribunale ai sensi dell’art. 274 c.p.c., perché questi valuti l’opportunità di assegnarla al giudice della causa pregiudicante, anche se i due giudizi siano soggetti a riti diversi, soccorrendo, in tal caso, la regola dettata dall’art. 40 c.p.c. (cfr., ad es., Cass., 17/05/2017, n. 12436): nell’ipotesi, in prime cure le cause avrebbero potuto essere riunite con conseguente applicazione dell’art. 225 c.p.c.;
– per un verso, quindi, in primo grado non può essere stato violato l’art. 295 c.p.c., per altro verso, seppure in appello avrebbe potuto farsi applicazione di tale norma o dell’art. 337 c.p.c., comma 2, qualora fosse stata adottata una pronuncia potenzialmente pregiudicante (Cass., 22/05/2017, n. 12773, Cass., 09/07/2018, n. 17936), rimane ostativa la circostanza che non si indica né dimostra idoneamente, neppure in questa sede (a nulla rilevando, quindi, la riproposizione della querela medesima indicata in memoria), la pendenza o gli esiti del processo per querela di falso, rendendo impossibile apprezzare l’interesse della parte alla deduzione;
il quarto motivo è inammissibile;
la deducente – che solo in altra parte del ricorso (pag. __) indica che anche in appello l’opposizione al decreto ingiuntivo di B. era stata respinta, preannunciando ricorso per cassazione di cui si dimostra la proposizione in memoria – non supporta idoneamente il perché tale sospensione avrebbe dovuto accordarsi a fronte della disponibilità di ulteriori titoli esecutivi per procedere all’esecuzione, residuando, se del caso, solo un riflesso in sede distributiva;
anche in memoria parte ricorrente deduce, infatti, che non vi erano altri titoli esecutivi idonei per procedere coattivamente stante la fondatezza del quinto motivo di cui si sta per dire: atteso, però, l’esito dello scrutinio di tale motivo, la deduzione si rivela inidonea;
il quinto motivo è, difatti, in parte inammissibile, in parte infondato;
per un verso non si riporta il contenuto dell’art. __ del contratto di mutuo fondiario invocato, con violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6; per altro verso si prospetta, mescolata nel corpo del motivo, una censura motivazionale che si traduce in rilettura istruttoria e, prim’ancora, neppure si dimostra esulare dal divieto ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, non chiarendosi il mese del __ in cui è stato introdotto l’appello (Cass., 11/05/2018, n. 11439); per ulteriore verso, infine, si allude a un impulso del processo esecutivo venuto da B. che non avrebbe depositato idoneo titolo, introducendo una questione nuova e come tale qui inammissibile; il sesto motivo è infondato;
correttamente la corte di appello ha valutato nuovo il motivo di opposizione afferente all’assegnazione della casa coniugale, essendo basato su fatti costitutivi diversi rispetto a quelle proprie della domanda introduttiva, come tali determinanti nuovi temi d’indagine incidenti anche sullo sviluppo del contraddittorio (cfr., Cass., Sez. U., 15/06/2015, n. 12310);
va ribadito che nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., l’opponente ha veste sostanziale e processuale di attore; pertanto, le eventuali eccezioni da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda, sicché l’opponente non può mutare la pretesa modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, né il giudice può accogliere l’opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo (cfr., ad esempio, Cass., 20/01/2011, n. 1328);
il settimo motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1;
secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, sicché il sindacato di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, ed esula da tale sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti minimi, ove previsti ovvero massimi, fissati dalla normativa applicabile (Cass., 04/08/2017, n. 19613);
non deve provvedersi sulle spese in mancanza di svolgimento di difese da parte degli intimati;
non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater stante l’ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato (Cass., 12/04/2017, n. 9538);
unitamente alla memoria il difensore di parte ricorrente ha depositato istanza di liquidazione dei compensi inerenti al deliberato patrocinio a spese dello Stato: sul punto questa Corte ha chiarito che, nella disciplina di cui ai D.P.R. n. 115 del 2002, la competenza sulla liquidazione dei compensi al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. n. 25 del 2005, art. 3 al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione (Cass., 31/05/2018, n. 13806).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019
Cass_civ_Sez_III_Sent_28_06_2019_n_17441
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