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Opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo o fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo

Opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo o fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo

Corte d’Appello Trento Bolzano, Sezione lavoro, Sentenza del 29/03/2019

Con sentenza del 29 marzo 2019, la Corte d’Appello di Trento Bolzano, Sezione lavoro in tema di recupero crediti, ha stabilito che l’opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è quella con cui si contesta la mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo.


 

Corte d’Appello Trento Bolzano, Sezione lavoro, Sentenza del 29/03/2019

Opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo o fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Trento

Sezione Distaccata di Bolzano

Sezione per le controversie di lavoro e previdenza

riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

dott. __ – Presidente

dott. __ – Consigliere estensore

dott. __ – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di II grado iscritta sub n. __ R.G.P. promossa da

L. S.r.l. – appellante –

contro

I. – appellato –

Oggetto: Appello avverso sentenza del Giudice del Lavoro di Bolzano n. __ di data __ – obbligo contributivo del datore di lavoro –

Causa decisa all’udienza del __ con lettura del dispositivo di sentenza sulle seguenti

Svolgimento del processo

L’oggetto della vertenza nell’esordio della motivazione della sentenza impugnata si trova descritto come segue:

“Col ricorso ex art. 24 comma 5 del D.Lgs. n. 46 del 1999 introduttivo della causa n. __, alla quale è stata riunita la causa n. __, la ricorrente società L. S.r.l. propone opposizione all’avviso di addebito n. (…) del __ per l’importo complessivo di Euro __ afferente contributi della Gestione Aziende con Lavoratori Dipendenti Commercianti relativi al periodo __ – __, domandando l’accertamento della nullità dell’avviso medesimo per nullità del verbale ispettivo (…) del __ che ha originato l’avviso di addebito e che sarebbe implicata dalla mancata conoscenza della lingua italiana da parte dei lavoratori interrogati dagli ispettori e per infondatezza della pretesa contributiva dell’I.

Col ricorso ex art. 618 bis c.p.c. introduttivo della causa __ la società ricorrente deduce nuovamente la nullità del citato verbale ispettivo per la ragione anzidetta, deducendo che ciò comporterebbe l’assenza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo e domanda per tale ragione l’accertamento dell’inesistenza, o in via subordinata, l’annullamento ex art. 618 bis c.p.c. dell’avviso di addebito impugnato col ricorso introduttivo della causa __”.

L’adito Tribunale di Bolzano in funzione di Giudice del lavoro definiva il procedimento con la sentenza n. __ del __, con la quale dichiarava inammissibili entrambe le opposizioni proposte dalla società ricorrente, che veniva condannata a rifondere a I. le spese di lite.

Contro la sentenza L. S.r.l. interponeva appello con ricorso depositato il __ adducendo i seguenti motivi di impugnazione:

“Motivo I: violazione ed erronea applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 615, 618 bis c.p.c., 24, 29 D.Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999. Illegittimità della sentenza impugnata dalla pagina 5 (dalle parole “Entrambe le opposizioni”) alla  pagina 7 (fino alle parole “causa 859/2016”)”

La società impugnante esponeva di avere proposto due diversi mezzi di impugnazione, ovvero un ricorso volto a far valere l’assoluta mancanza del titolo esecutivo da proporsi nelle forme e nei termini di cui all’art. 615 c.p.c. e 618 c.p.c. e un ricorso ex art. 24 D.Lgs. n. 46 del 1999, per far valere l’infondatezza nel merito della pretesa contributiva, quest’ultimo solo sottoposto ai termini ed alle condizioni previste da detta norma.

Deduceva che nel ricorso proposto ai sensi degli artt. 618 bis c.p.c. e 29 comma 2 D.Lgs. n. 46 del 1999 essa aveva chiesto di “dichiarare, previa sospensione dell’esecutività del ruolo, l’inesistenza o in via subordinata, annullare ex art. 618 bis c.p.c. l’avviso di addebito indicato in epigrafe per mancanza di titolo legittimante l’iscrizione a ruolo” proponendo argomentazioni difensive dirette a dimostrare non l’infondatezza della pretesa di I., bensì l’inesistenza del potere dell’Istituto appellato di agire in via esecutiva in ragione della mancanza di un valido accertamento ispettivo.

L’esistenza del valido accertamento ispettivo era dunque da considerare requisito di validità del titolo esecutivo, nel caso di specie dell’avviso di addebito, in assenza del quale nessun titolo esecutivo poteva dirsi validamente formato. In particolare gli ispettori si erano fondati quasi esclusivamente sulle dichiarazioni rese da X., giovane ragazza di nazionalità cinese, legale rappresentante della società, senza la necessaria previa verifica della comprensione dell’italiano da parte della medesima nonché da parte dei cinesi sottoscrittori delle altre dichiarazioni. Per il mancato rispetto delle prescrizioni di cui al D.M. 15 gennaio 2014 e relativa circolare attuativa era viziato l’accertamento ispettivo e, di conseguenza, invalido l’avviso di addebito.

“Motivo II: erronea applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 615, 618 bis c.p.c., 24, 29 D.Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999. Illegittimità della sentenza impugnata dalla pagina 7 (dalle parole “deve d’altra parte”) alla pagina 8 (fino alle parole “L. n. 122 del 2010”)”.

Contrariamente a quanto scritto nella sentenza di prime cure nessuna valida notifica dell’avviso di addebito era stata eseguita in data __ nei confronti di L. S.r.l. L’avviso di addebito allegato alla pec spedita da I. il __ era sprovvisto dei requisiti di integrità e delle garanzie sulla provenienza del documento, trattandosi di file con estensione “.pdf senza ulteriore estensione .p7m” – la sola che garantiva l’immodificabilità del documento informatico e l’identificabilità del suo autore – come già rilevato nelle Note autorizzate del __. Il primo giudice avrebbe pertanto dovuto rilevare la nullità della notifica dell’avviso di addebito e respingere l’eccezione di inoppugnabilità formulata dalla difesa avversaria. In via subordinata il Tribunale avrebbe dovuto sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 co. 4 del D.L. n. 78 del 2010 in relazione agli artt. 3, 24 e 97 Cost. ovvero, in via di ulteriore subordine, accogliere l’istanza di rimessione in termini formulata dalla società opponente.

L’avviso di addebito era pervenuto nella disponibilità di L. S.r.l. solo il giorno __ a seguito di una comunicazione via email da parte del proprio commercialista. La precedente comunicazione, nel mese di __, via pec alla casella di posta elettronica certificata “(…)” non era idonea a far decorrere il termine decadenziale, in quanto inviata a indirizzo non riferibile alla società, dal momento che gli unici accessi alla casella di posta suddetta erano stati effettuati dagli indirizzi IP dello studio del commercialista e solo in data __ L. S.r.l. era venuta in possesso delle credenziali (login e password) per accedere alla casella medesima. Peraltro la legale rappresentante della società era straniera e non comprendeva la lingua italiana. Al momento dell’avvio della sua attività essa aveva delegato gli adempimenti contabili e fiscali al commercialista dott. __, il quale non la aveva mai informata dell’apertura di una casella di posta elettronica certificata. Era dunque da ritenersi provato l’inadempimento incolpevole della legale rappresentante della società rispetto all’obbligo di tempestiva conoscenza dell’avviso di addebito opposto.

Motivo III: sulla insussistenza del debito contributivo (ricorso ai sensi dell’art. 24 D.Lgs. n. 46 del 1999)

Era illegittimo il metodo di accertamento utilizzato dagli ispettori, i quali, da un lato, avevano esaminato e raffrontato le esigenze lavorative ed i dati relativi al momento dell’accertamento (____) e, dall’altro, avevano esteso arbitrariamente l’esito di tale confronto al periodo __, senza tuttavia verificare se in tale distinto lasso temporale la società avesse avuto esigenze lavorative o forza occupazionale diverse rispetto a quella riscontrata nel __. Gli ispettori avevano, poi, ritenuto la sussistenza della pretesa omissione contributiva riferendola genericamente a tutti i lavoratori impiegati presso la società, senza dunque accertare la quantità della prestazione lavorativa da ciascuno svolta. Non era altresì condivisibile l’accertamento degli ispettori, laddove aveva ravvisato l’omissione contributiva sulla base di un ragionamento per induzione, basato cioè sull’assunto che la forza occupazionale in essere presso L. S.r.l. non fosse sufficiente a soddisfare le ipotizzate esigenze lavorative. Rilevava inoltre l’impugnante che tutti i lavoratori avevano regolarmente fruito dei permessi retribuiti prescritti.

Motivo IV: la condanna della società al pagamento delle spese di lite

Anche in ipotesi di soccombenza della società, era ingiusta la condanna della medesima alla integrale rifusione delle spese di lite.

Nel precisare le conclusioni in epigrafe riportate la società impugnante chiedeva altresì la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’avviso di addebito.

Si costituiva in giudizio per resistere I. che contestava la sussistenza del periculum in mora per la richiesta sospensione evidenziando “tutte le possibilità di rateizzazione ovvero di adesione agevolata presso il concessionario” (memoria difensiva depositata il __, pag. 21).

All’udienza di discussione, svoltasi il __, L. S.r.l. chiedeva un rinvio della stessa con concessione di un “termine per note”. Con successiva istanza depositata il __ l’appellante insisteva sulla proposta istanza di sospensione. Questa veniva disattesa con provvedimento reso all’udienza del 23.05.2018 sul rilievo che, ai sensi dell’art. 24 co. 6 D.Lgs. n. 46 del 1999 invocato dall’istante, era consentito al solo giudice di primo grado di sospendere l’esecuzione del ruolo e che, sotto il profilo del periculum in mora, la documentazione prodotta a dimostrazione della sua ricorrenza, era stata depositata tardivamente, solo il __.

All’udienza del __ la Corte definiva la causa come da dispositivo in calce riportato, di cui veniva data lettura.

Motivi della decisione

  1. Il Giudice del lavoro ha dichiarato inammissibili entrambi gli strumenti processuali azionati da L. S.r.l. avverso l’avviso di addebito n. (…) del __, ovvero sia l’opposizione ex art. 24 comma 5 del D.Lgs. n. 46 del 1999 (iscritta sub n. __ RG), sia il ricorso ex art. 618 bis (iscritto sub n. __ RG).

Sulla premessa che entrambi i procedimenti instaurati dall’odierna appellante sono da qualificarsi quali giudizi di opposizione all’avviso di addebito, la sentenza gravata ha evidenziato che quest’ultimo è stato notificato via pec in data __ all’indirizzo di posta elettronica della società, indicato quale indirizzo pec nella visura camerale prodotta da I., mentre i due ricorsi proposti da L. S.r.l. sono stati depositati in Cancelleria solo in data __, quindi ben oltre il termine di 40 giorni dalla suddetta notifica.

Nel disattendere l’istanza di L. S.r.l. di rimessione in termini ex art. 153 co. 2 c.p.c., il giudice di prime cure ha osservato che, risultando il predetto indirizzo di posta elettronica indicato nella predetta visura camerale, è del tutto ininfluente – rispetto alle risultanze della medesima su cui I. ha fatto legittimamente affidamento ai fini della notifica via pec dell’avviso di addebito, conformemente a quanto previsto dall’art. 30 co. 4 del D.L. n. 78 del 2010 – il rapporto tra la società ed il suo commercialista.

  1. Con il primo motivo di impugnazione L. S.r.l. imputa al primo giudice di non avere considerato che dei due strumenti processuali da essa azionati per contestare la pretesa di I., vale a dire l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. ed il ricorso ex art. 24 D.Lgs. n. 46 del 1999, solo quest’ultimo andava proposto nel termine di 40 giorni dalla notifica dell’avviso di addebito.

La censura investe evidentemente la statuizione di inammissibilità dell’opposizione di cui al “Ricorso ai sensi degli artt. 618 bis C.P.C. e 29, 2 comma, D.Lgs. n. 46 del 1999” introduttiva del procedimento iscritto sub RG n. 859/2016, che L. S.r.l. afferma di avere proposto al fine di dimostrare l’inesistenza del potere di I. di agire in via esecutiva avendo ivi richiesto di “dichiarare l’inesistenza o in via subordinata, annullare ex art. 618 bis c.p.c. l’avviso di addebito indicato in epigrafe per mancanza del titolo legittimante l’iscrizione a ruolo” (come ricordato in atto di appello, pag. 5 e pag. 12).

Fa valere, in particolare, l’impugnante la “assoluta mancanza del titolo esecutivo per ragioni non inerenti al merito della pretesa ma alla inesistenza del presupposto stesso del titolo” in “ragione della mancanza di un valido accertamento ispettivo (nullità del verbale) per violazione della procedura di acquisizione di dati/fatti” (atto cit., pagg. 11 e 12).

A tale riguardo L. S.r.l. allega (atto cit., pagg. 13 e ss.) che l’accertamento compiuto dagli ispettori estensori del “Verbale Unico di accertamento e notificazione” del __ n. (…) (doc. 6 di I.) sarebbe consistito nell’acquisire le dichiarazioni sia della legale rappresentante della società, sig. ra X., che dei lavoratori, senza previa verifica della comprensione dell’italiano da parte dei medesimi, tutte persone di nazionalità cinese, e senza avvalersi di un interprete. All’accertamento dell’invalidità del verbale conseguirebbe, prosegue la società appellante, “il venir meno del presupposto di validità dell’avviso di addebito” (atto cit. pag. 19). L’impostazione dell’impugnante non è condivisibile.

Preliminarmente va ricordato che il vigente sistema di tutela giurisdizionale per le entrate previdenziali (ed in genere per quelle non tributarie) prevede le seguenti possibilità di tutela per il contribuente:

  1. a) proposizione di opposizione al ruolo esattoriale per motivi attinenti al merito della pretesa contributiva ai sensi dell’art. 24 del D.Lgs. n. 46 del 1999, ovverosia nel termine di giorni 40 dalla notifica della cartella di pagamento, davanti al giudice del lavoro e con il rispetto degli artt. 442 e ss. c.p.c.;
  2. b) proposizione di opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. per questioni attinenti non solo alla pignorabilità dei beni, ma anche a fatti estintivi del credito sopravvenuti alla formazione del titolo (quali ad esempio la prescrizione del credito contenuto nella cartella esattoriale ritualmente notificata, la morte del contribuente, l’intervenuto pagamento della somma precettata) sempre davanti al giudice del lavoro nel caso in cui l’esecuzione non sia ancora iniziata (art. 615, comma 1, c.p.c.) ovvero davanti al giudice dell’esecuzione se la stessa sia invece già iniziata (art. 615, comma 2, e art. 618-bis c.p.c.). Questa opposizione non è soggetta ad alcun termine, se non quello rappresentato dal compimento dell’esecuzione;
  3. c) proposizione di una opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., ovverosia “nel termine perentorio di venti giorni dalla notifica del titolo esecutivo o del precetto” per i vizi formali del titolo (quali ad esempio quelli attinenti la notifica e la motivazione) ovvero della cartella di pagamento, anche in questo caso davanti al giudice dell’esecuzione o a quello del lavoro a seconda che l’esecuzione stessa sia già iniziata (art. 617, comma 2 c.p.c.) o meno (art. 617, comma 1 c.p.c.): il suddetto termine, originariamente di cinque giorni, è stato elevato a venti giorni per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80.

I motivi di opposizione che attengono al merito dell’iscrizione a ruolo (quali contestazioni sull’an e sul quantum; eventi estintivi, impeditivi o modificativi del credito avvenuti prima della notifica della cartella o dell’avviso di addebito; eventi che impediscono l’iscrizione al ruolo) vanno qualificati come motivi di opposizione all’iscrizione a ruolo, soggetti al termine di cui all’art. 24 D.Lgs. n. 46 del 1999 ed aventi quale unico legittimato passivo l’ente impositore. I motivi che riguardano il difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo (ad esempio inesistenza giuridica della cartella, sospensione del ruolo da parte del giudice del lavoro, fatti estintivi della pretesa successivi alla formazione del titolo esecutivo quali prescrizione o pagamento successivi alla notifica alla notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di addebito) vanno qualificati come motivi di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (in virtù del richiamo alle forme ordinarie di opposizione contenuto nell’art. 29 D.Lgs. n. 46 del 1999), non sottoposti a termini decadenziali. I motivi inerenti la regolarità formale del titolo esecutivo, degli atti della riscossione e della stessa procedura di riscossione vanno qualificati come motivi di opposizione agli atti esecutivi ex art. 29 D.Lgs. n. 46 del 1999 (come tali sottoposti al termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c.).

Ciò premesso non convince il tentativo dell’appellante di sottrarsi alle conseguenze della rilevata mancanza di un’opposizione tempestiva ai sensi dell’art. 24 D.Lgs. n. 46 del 1999 attraverso la prospettazione della tesi, secondo cui la contestazione della validità del “Verbale Unico di accertamento e notificazione” del 10.11.2015 n. (…) non atterrebbe al merito della pretesa contributiva.

Se, infatti, l’opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è quella con cui si contesta la legittimità dell’iscrizione a ruolo per omessa notifica della stessa cartella, e quindi per la mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo (Cassazione civile sez. lav., 03/07/2018, n.17361; Cassazione civile sez. lav., 19/01/2016, n.835; Cassazione civile sez. III, 17/11/2009, n.24215; Cassazione civile sez. lav., 26/03/2004, n.6119), deve rilevarsi che le questioni sollevate in ordine alla validità della procedura di accertamento configurano vizi che introducono un’opposizione al ruolo, diretta alla verifica del diritto alla pretesa contributiva e, quindi, non possono non far parte del merito della causa.

A conferma di tale conclusione si richiama l’insegnamento di Cassazione civile sez. III, 18/10/2012, n.17903: “La pretesa esecutiva fatta valere dal creditore può essere neutralizzata soltanto con la deduzione di fatti modificativi o estintivi del rapporto sostanziale consacrato dal giudicato, fatti che si siano verificati successivamente alla formazione dello stesso, e non anche sulla base di quelle circostanze che, in quanto verificatisi in epoca precedente, avrebbero potuto essere dedotte nel giudizio di cognizione preordinato alla costituzione del titolare del titolo giudiziale e che, risulterebbero conseguentemente in contrasto con l’accertamento ivi contenuto. Peraltro, al fine di paralizzare un titolo giudiziario formatosi nel 1995 non può invocarsi il fatto modificativo sopravvenuto costituito dalla promulgazione della L. n. 108 del 1996 in tema di interessi usurari. Gli interessi pretesi in forza del titolo giudiziario in questione, infatti, non sono suscettibili di alcuna valutazione in termini di usurarietà alla stregua dei parametri fissati dalla legge sopravvenuta” (conformi Cassazione civile sez. lav., 14/02/2013, n.3667; Cassazione civile sez. lav., 22/07/2015, n.15392).

In definitiva non vi è ragione di discostarsi dalla valutazione del primo giudice, per cui l’esame delle contestazioni riguardanti il verbale di accertamento deve considerarsi precluso dalla rilevata definitività della posizione debitoria contributiva dell’appellante per effetto del mancato esercizio nei termini della relativa opposizione ex art. 24 D.Lgs. n. 46 del 1999.

  1. Con il secondo motivo di impugnazione L. S.r.l. fa valere che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza gravata, la notifica eseguita via pec in data __ alla casella di posta elettronica certificata “(…)” non sarebbe idonea a far decorrere il termine decadenziale.

Da un lato, sostiene l’impugnante, la notifica sarebbe stata effettuata ad indirizzo non riferibile alla società, trattandosi della casella di posta elettronica “(…)”, predisposta a sua insaputa dal commercialista della società dott. __ “al solo fine di svolgere gli adempimenti contabili-tributari” (atto di appello, pag. 26), mentre solo in data __ essa sarebbe venuta in possesso delle credenziali (login e password) per accedervi. Dall’altro lato, in difetto dell’estensione “.p7m, il file inviato – con estensione .pdf” – non potrebbe considerarsi immodificabile e garantire l’identificabilità del suo autore.

La sentenza di primo grado si sottrae anche a tali critiche.

Quanto al vizio di notificazione via pec dell’avviso di addebito oggetto di opposizione, perché avvenuta tramite messaggio di posta elettronica certificata contenente il file della cartella con estensione “.pdf anziché .p7m”, deve preliminarmente osservarsi che, inerendo la questione la regolarità formale del titolo esecutivo (afferma l’appellante riguardo all’avviso di addebito allegato alla pec, spedita il __ e pervenuta al suo commercialista, che “trattavasi di file non firmato digitalmente”), l’opposizione pare doversi qualificare come opposizione agli atti esecutivi ex art. 29 D.Lgs. n. 46 del 1999, con conseguente applicabilità del termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c. e non impugnabilità della sentenza sulla stessa pronunciata (art. 618 c.p.c., co. 3).

Anche in disparte tale aspetto, la stessa società impugnante dà atto di avere dedotto l’argomento tardivamente, appena “a pag. 19 delle Note autorizzate del __” (atto di appello, pag. 24).

Neppure nel merito, in ogni caso, la doglianza coglie nel segno, essendo la tesi di L. S.r.l. smentita dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 27/04/2018, n.10266, per le quali: “Secondo il diritto dell’UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni ‘.p7m’ e ‘.pdf’, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna” (letteralmente conforme Cassazione civile sez. II, 29/11/2018, n.30927; v, inoltre, con riferimento all’orientamento della giurisprudenza tributaria, fortemente valorizzata da parte appellante, Comm. trib. reg., (Lombardia) sez. XIX, 06/11/2018, n.4754: “La notifica della cartella di pagamento via pec, ricevuta regolarmente dal contribuente, deve ritenersi perfezionata in piena aderenza al disposto di cui all’art. 26 D.P.R. n. 602 del 1973. Infatti, l’art. 3 del D.P.R. n. 68 del 2005 stabilisce che l’atto trasmesso per via telematica si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato. Nella fattispecie, trattandosi di notifica della cartella di pagamento, è del tutto irrilevante anche l’estensione del file pdf, non essendo prevista la necessità del formato p7m, la cui obbligatorietà riguarda le sole ipotesi di notificazione di atti giudiziari”.

Ritiene, ad ogni buon conto, il Collegio che le disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale richiamate dall’appellante non possano certamente valere ad innovare al regime dell’atto in punto di necessità e di regime della sottoscrizione. Con specifico riferimento alle cartelle esattoriali, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non si rinvengono valide ragioni per discostarsi (tra le altre, Cassazione civile sez. trib., 05/12/2014, n.25773): “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell’art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice”. Nel caso di specie, L. S.r.l. non contesta la provenienza dall’organo titolare del potere di formare il ruolo, indicato nell’avviso di addebito notificato. La validità della stessa, allora, non può essere revocata in dubbio sulla base dell’omessa sottoscrizione.

Si duole poi l’impugnante del rigetto, da parte del primo giudice, della propria istanza di rimessione in termini per la proposizione di tempestiva opposizione ex art. 24 D.Lgs. n. 46 del 1999, fondata sul rilievo che, per causa ad essa non imputabile, solo il __ essa era venuta a conoscenza dell’avviso di addebito di cui si discute.

La decisione del Giudice del lavoro va confermata.

È la stessa società appellante a spiegare di avere “delegato gli adempimenti contabili e fiscali al Dott. ­­” (atto di appello, pag. 31), commercialista della società, che aveva attivato la casella di posta elettronica certificata “(…)” (atto cit., pag. 32), indirizzo risultante anche dalla visura della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bolzano (doc. 3 I.).

Ciò premesso non è possibile sostenere che il predetto indirizzo di posta elettronica (presso il quale si è pacificamente perfezionata la notifica dell’avviso di addebito in data __, come ricostruito nella sentenza di primo grado) non sia riferibile a L. S.r.l., trattandosi di dato comunicato da parte della stessa società – o, comunque del professionista di sua fiducia – al Registro delle Imprese (v. la visura citata, sub “Dati anagrafici- Indirizzo PEC”).

Indubbia dunque la conoscibilità dell’indirizzo pec da parte dell’impugnante ed incontestata la possibilità di ottenere, in ogni momento, le credenziali di accesso, perde consistenza la tesi della decadenza involontaria.

  1. Rimangono assorbite, per effetto del mancato accoglimento delle precedenti censure, le successive contestazioni mosse nel merito avverso la pretesa contributiva di I.
  2. Gli argomenti già sopra spesi possono essere richiamati anche a confutazione del motivo di appello afferente le spese di lite di primo grado.
  3. L’appello deve essere così disatteso, con le sequele di legge del raddoppio del contributo unificato e della condanna dell’appellante alla rifusione all’appellato delle ulteriori spese del grado.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da L. S.r.l. contro I. avverso la sentenza del Giudice del Lavoro di Bolzano n. __ di data __, così provvede:

disattende l’appello;

condanna l’appellante L. S.r.l. alla rifusione a parte appellata I. delle spese di lite, liquidate in Euro __ per la fase di studio, Euro __ per quella introduttiva ed Euro __ per quella decisionale nonché Euro __ per spese generali, complessivamente quindi in Euro __, oltre cpa ed iva sulle poste soggette;

dà atto che sotto il profilo della soccombenza sussistono i presupposti per il versamento da parte dell’appellante L. S.r.l. ai sensi del co. 1-quater dell’art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002, inserito con l’art. 1 co. 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

Così deciso in Bolzano, il 13 marzo 2019.

Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2019.

 

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