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Impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato ed inadempimento dei debiti concorsuali

Nell’ipotesi di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, ed in caso di inadempimento dei debiti concorsuali, il creditore insoddisfatto può senz’altro avanzarne istanza di fallimento

Corte d’Appello di Messina, Sezione I Civile, 20/02/2020

Con sentenza del 20 febbraio 2020, la Corte d’Appello di Messina, Sezione I Civile, in tema di recupero crediti, ha stabilito che nell’ipotesi di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, ed in caso di inadempimento dei debiti concorsuali, il creditore insoddisfatto può senz’altro avanzarne istanza di fallimento, ai sensi dell’art. 6 L.F., a prescindere dall’intervenuta risoluzione del detto concordato, essendo ormai venuto meno – dopo la riforma dell’art. 186 L.F. introdotta dal D.Lgs. n. 169 del 2007 – ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento e dovendo l’istante proporre la domanda di risoluzione, anche contestualmente a quella di fallimento, solo quando faccia valere il suo credito originario e non nella misura già falcidiata.


Corte d’Appello di Messina, Sezione I Civile, 20/02/2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI MESSINA

PRIMA SEZIONE CIVILE

La Corte d’ Appello di Messina, composta dai Signori Magistrati:

1) dott.ssa __ – Presidente

2) dott.ssa __ – Consigliere rel.

3) dott. __ – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento iscritto al n. __ R.G., avente ad oggetto: reclamo ex art. 18 L.F., posto in decisione all’udienza del __, vertente tra:

Società – Reclamante

e

Fallimento società – Reclamata

e nei confronti di

Banca – Reclamata

Con l’intervento del P.G.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso depositato il __ la Società, in persona del Liquidatore, ha proposto reclamo a norma dell’art.18 L.F. avverso la sentenza del Tribunale di Messina. n. __, pubblicata il __ e comunicata il __, che ha dichiarato il fallimento di essa società, già in concordato preventivo, su istanza della Banca, la quale ha fatto valere l’omesso soddisfacimento del proprio credito nella misura falcidiata dopo l’omologazione del concordato.

La società reclamante, sulla scia della sentenza n. 1148/2019 della Corte di Appello di Firenze, che si pone in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale richiamato in sentenza, censura la sentenza laddove è stata dichiarata ammissibile la declaratoria di fallimento in assenza della preliminare risoluzione del concordato preventivo omologato ex art. 186 L.F. ed è stato ritenuto che i debiti falcidiati costituiscono nuove obbligazioni rispetto al medesimo debito ammesso al concordato, con la possibilità di ritenere l’insolvenza al patto concordatario come nuova insolvenza del debitore imprenditore rispetto a quella originaria valutata con la omologa del concordato preventivo.

Al fine di escludere la possibilità della dichiarazione di fallimento omisso medio, la reclamante invoca, infine, l’art. 168 L.F., che riconosce ai creditori ammessi al concordato la possibilità di agire esecutivamente una volta che il concordato sia stato omologato e sia divenuto definitivo.

Ha concluso, quindi, per la riforma della sentenza impugnata e la revoca del fallimento.

Si sono costituiti in giudizio il Fallimento della società, e la Banca, che hanno contestato la fondatezza del reclamo, chiedendone il rigetto, con la rifusione delle spese processuali.

RAGIONI DELLA DECISIONE

L’infondatezza del primo motivo è del tutto evidente ove si consideri che il Tribunale di Messina, che ha ritenuto possibile per il creditore avanzare domanda di fallimento, ai sensi dell’art. 6 L.F., nei confronti dell’impresa, già ammessa al concordato preventivo omologato, a prescindere dall’intervenuta risoluzione del detto concordato, non ha fatto altro che aderire all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità e di merito (Cass. ord. n. 17703/2017; sent. 29632/2017; sent. n. 26002/2018; Tribunale Arezzo n. 28/2018) ormai consolidato in materia, al quale anche questa Corte ritiene di aderire, secondo il quale non sussistono preclusioni alla dichiarazione di fallimento di società con concordato preventivo omologato ove si faccia questione – come è nella fattispecie (in cui la Banca ha fatto valere l’omesso soddisfacimento del proprio credito nella misura falcidiata dopo l’omologazione del concordato) – dell’inadempimento di debiti già sussistenti alla data del ricorso ex art.160-161 L.F. e però modificati con detta omologazione, dovendosi verificare all’epoca della decisione così sollecitata i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 L.F. In tal caso l’azione esperita dal creditore costituisce legittimo esercizio della propria autonoma iniziativa ai sensi dell’art.6 L.F., non condizionata dal precetto di cui all’art.184 L.F. e dunque a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo, il cui procedimento andrebbe attivato – previamente o concorrentemente – solo se l’istante facesse valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria, circostanza non ricorrente, come sopra precisato, nella fattispecie (cfr. ordinanza n. 17703/2017 della S.C. sez. 6: Nell’ipotesi di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, ed in caso di inadempimento dei debiti concorsuali, il creditore insoddisfatto può senz’altro avanzarne istanza di fallimento, ai sensi dell’art. 6 L.F., a prescindere dall’intervenuta risoluzione del detto concordato, essendo ormai venuto meno – dopo la riforma dell’art. 186 L.F. introdotta dal D.Lgs. n. 169 del 2007 – ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento e dovendo l’istante proporre la domanda di risoluzione, anche contestualmente a quella di fallimento, solo quando faccia valere il suo credito originario e non nella misura già falcidiata).

Né vale invocare il carattere prevalentemente privatistico del concordato rispetto a quello pubblicistico del fallimento, atteso che all’autonomia privata è pur sempre riconducibile, oltre che il ricorso per risoluzione o annullamento del concordato, anche l’istanza di fallimento proposta dai creditori o dallo stesso debitore.

Col secondo motivo la società reclamante censura la sentenza laddove il Tribunale ha ritenuto che i debiti falcidiati costituiscono nuove obbligazioni rispetto al debito ammesso al concordato e l’inadempimento al patto concordatario nuova insolvenza del debitore imprenditore rispetto a quella originaria valutata con la omologa del concordato preventivo.

Sostiene di contro la reclamante, sulla scia della sentenza della Corte di Appello di Firenze citata, che l’inadempimento delle obbligazioni concordatarie non costituisce nuova insolvenza, dal momento che la causa del debito sarebbe sempre rappresentata dal titolo originario, stante che la falcidia attiene solo alla quantificazione e non anche alla causa petendi.

In effetti, è agevole replicare che ciò che muta non è il titolo originario del credito concordatario, bensì la capacità (rectius: l’incapacità) del debitore di far fronte ai debiti concordatari, nonostante la loro riduzione a fronte della falcidia di cui all’accordo omologato.

Nel caso di specie non vi è dubbio che la società, successivamente al concordato preventivo, si è trovata di fronte ad una nuova insolvenza, in quanto incapace, a prescindere dall’imputabilità della causa, di soddisfare i creditori nei termini e nei modi convenuti nella proposta concordataria, così come validamente e puntualmente argomentato dal Giudice di prime cure.

Con l’ultimo motivo la reclamante si duole del fatto che il Tribunale di Messina non abbia tenuto conto della possibilità del creditore, dopo l’omologa ed una volta scaduto il termine annuale per la risoluzione del concordato, di intraprendere individualmente l’esecuzione su beni del concordato stesso ai sensi di quanto disposto dall’art. 168 L.F..

Anche tale censura è priva di pregio.

Il fatto che il creditore concordatario possa avvalersi, per la tutela del proprio credito, della possibilità di intraprendere l’esecuzione sui beni del concordato (nella specie la vendita dell’unico cespite immobiliare rimasto invenduto), non esclude che lo stesso creditore possa optare per la presentazione dell’istanza di fallimento.

Peraltro, non riconoscere la possibilità di promuovere istanza di fallimento omisso medio comporterebbe la necessità per i creditori di promuovere azioni esecutive individuali con conseguente alterazione del sistema concordatario, in ordine alle modalità solutorie e al rispetto dell’ordine dei diritti di prelazione.

In conclusione, il Giudice di primo grado ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla S.C., sicché la sentenza impugnata, che non è contestata per il resto, va integralmente confermata, previo rigetto del reclamo.

Sulla società reclamante, in quanto soccombente, grava il pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano, tenuto conto della non complessità delle questioni trattate, come in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico di parte reclamante, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per l’impugnazione, trattandosi di procedimento iniziato dopo il 1° febbraio 2013.

P.Q.M.

rigetta il reclamo proposto da Società, in liquidazione, in persona del liquidatore, con ricorso depositato il __ e conferma la sentenza impugnata.

Condanna la società reclamante al pagamento delle spese del giudizio, liquidate, in favore della curatela del fallimento, in Euro __, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA, e nella stessa misura di Euro __ in favore di Banca, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA, nonché al pagamento dell’ulteriore contributo in misura pari a quello versato.

Così deciso in Messina, il 7 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2020.

Corte d'Appello Messina Sez. I Sent. 20_02_2020

 

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