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Recupero crediti: finanziamenti e domanda di ammissione in via privilegiata al passivo del fallimento

Recupero crediti: finanziamenti e domanda di ammissione in via privilegiata al passivo del fallimento

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 14915 del 31/05/2019

Con ordinanza del 31 maggio 2019, la Corte di Cassazione Civile, Sezione I, in tema di recupero crediti, ha stabilito che il termine finanziamento, come espresso dalla norma dell’art. 9, comma 5, del D.Lgs. n. 123 del 1998, non risulta assumere, nel contesto del diritto vigente, un significato unico e costante; soprattutto, non viene di certo a ridursi a formula equivalente di quella di “contratti di credito”. La normativa del citato D.Lgs. n. 123 non detta, o contiene, una definizione ad hoc del lemma “finanziamento”, con la conseguenza che il significato di questo termine, lungi dal porsi come strumento per risolvere i problemi applicativi della relativa disciplina, si manifesta frutto di una necessaria attività ricostruttiva. Le diverse forme di intervento pubblico di sostegno alle attività produttive individuate dal D.Lgs. n. 123 appaiono espressione di un disegno di impianto unitario, come inteso alla “razionalizzazione” e riorganizzazione dell’intero settore. In riferimento al privilegio di cui all’art. 9, comma 5, non sembrano profilarsi ragioni giustificatrici di trattamenti normativi differenziati a seconda delle diverse forme di intervento previste. In tutti i casi in cui divenga operativo il sistema di “revoca” e “restituzione” previsto dal predetto art. 9, si tratta comunque di assorbire, di “recuperare” il sacrifico patrimoniale che il sostegno pubblico ha in concreto sopportato in funzione dello sviluppo delle attività produttive.

 


 

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 14915 del 31/05/2019

Recupero crediti: finanziamenti e domanda di ammissione in via privilegiata al passivo del fallimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. __ – Presidente –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

Dott. __ – rel. Consigliere –

Dott. __ – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso __ proposto da:

E. S.p.A. – ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. – controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il __;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del __ dal consigliere Dott. __.

Svolgimento del processo

1.- E. S.p.A. ha presentato domanda di ammissione in via privilegiata D.Lgs. n. 123 del 1998, ex art. 9, comma 5 al passivo del fallimento della s.r.l. (OMISSIS).

A fondamento della domanda la richiedente ha enunciato di avere prestato garanzia personale – quale gestore del Fondo di garanzia per le PMI (istituito con L. n. 662 del 1996) per conto del Ministero dello Sviluppo Economico – per un finanziamento erogato da B. in favore della S.r.l. in bonis. Successivamente, la debitrice principale si è resa inadempiente agli assunti obblighi restitutori; la Banca ha quindi escusso la garanzia, con conseguente pagamento da parte del garante. Ha precisato che, pertanto, la domanda di ammissione viene a sostanziarsi come atto di esercizio della rivalsa spettante al garante che ha pagato l’altrui debito.

2.- Il giudice delegato ha ammesso la domanda al chirografo, così rilevando: “si esclude il privilegio… in quanto il privilegio invocato è stato solo successivamente introdotto dalla L. n. 33 del 2015, art. 8 bis”; “tale norma non ha valore di interpretazione autentica; inoltre le norme che disciplinano i privilegi non hanno efficacia retroattiva in quanto soggette al generale principio di cui all’art. 11 preleggi”.

3.- E. ha proposto opposizione ex art. 98 L. Fall. avverso l’esclusione del privilegio avanti al Tribunale di Ancona. Che la ha respinta con decreto depositato in data __.

4.- In proposito, la pronuncia ha osservato che “il dato letterale della norma istitutiva del privilegio”, quale costituita dal D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, “è preciso: il credito a cui si attribuisce la prelazione è quello da restituzione di un finanziamento erogato alla impresa beneficiaria del sostegno, a seguito della revoca del beneficio”. “Nessun riferimento è invece operato al caso del credito del garante pubblico che, dopo essere stato escusso dal finanziatore dell’impresa divenuta inadempiente, si rivalga sulla PMI per le somme pagate”. La struttura della norma è incompatibile con il caso di un intervento pubblico in funzione di garanzia ed è “anche in contrasto con il meccanismo della surroga legale ex art. 1203 c.c. richiamato dal D.M. 20 giugno 2005, perché comporterebbe che il garante escusso acquisisca una posizione più favorevole rispetto a quella del creditore garantito”.

Ha poi rilevato che “il principio di tassatività dei privilegi impedisce il ricorso all’applicazione analogica di norme: come ricordato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, i privilegi integrano una deroga rispetto al principio generale della par conditio creditorum”.

Ha altresì aggiunto che la norma della L. n. 33 del 2015, art. 8 bis – che riconosce espressamente il privilegio anche ai terzi prestatori di garanzie – non può trovare applicazione nella fattispecie concreta, essendo entrata in vigore il 26 marzo 2015. “Come si evince dal testo della norma, non vi è alcuna previsione di deroga al principio di irretroattività della legge, né alcun segnale dell’intento interpretativo autentico del legislatore”.

5.- Avverso questa pronuncia è insorta E., che ha presentato ricorso, affidato a un motivo di cassazione.

Ha resistito il fallimento, con controricorso.

Motivi della decisione

6.- Il motivo di ricorso è stato intestato “violazione e falsa applicazione di norma – art. 360 c.p.c., n. 3: L. n. 662 del 1996, in particolare art. 2, comma 100; D.Lgs. n. 123 del 1998, in particolare art. 7, comma 1 e art. 9, commi 4 e 5; D.M. 20 giugno 2005, in particolare art. 2 comma 4; R.D. 16 marzo 1942, n. 262 (preleggi), art. 12; R.D. 16 marzo 1942 (Legge fallimentare), in particolare artt. 1 e 52; c.c., art. 2741; L. n. 33 del 2015, in particolare art. 8 bis”.

7.- Ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha errato nell’adottare una non giustificata interpretazione riduttiva del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5.

Nel contesto di tale legge – così si sostiene – il privilegio viene concesso “per le restituzioni di cui al comma 4; il quale comma 4 recita testualmente che nei casi di restituzione dell’intervento in conseguenza della revoca… comunque disposta per azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria… l’impresa stessa versa il relativo importo; con un percorso logico ermeneutico a ritroso, la norma va dunque interpretata nel senso che il privilegio è concesso ai crediti per le restituzioni dei benefici (qualsiasi), conseguenti alla revoca degli interventi (di qualunque genere)”.

La restituzione di somme cui è tenuta per legge la PMI inadempiente – così si prosegue – non può essere interpretata introducendo una illogica e certamente non voluta distinzione derivante dalla diversa causa del credito; il creditore della PMI può essere tale in virtù dell’obbligo di restituire sia un finanziamento, sia un contributo, sia una somma versata dal suo garante. Unica essendo la finalità del legislatore sia nella concessione dei benefici, sia nell’attribuire strumenti privilegiati per il ristoro delle somme erogate ai beneficiari ingrati, a prescindere dalla diversità del titolo del credito.

“Sarebbe parimenti contrario a ogni logica, non solo giuridica – si aggiunge in via ulteriore – privilegiare senza motivo alcuno creditori rispetto ad altri solo perché hanno erogato somme fin dall’inizio e non, ad esempio, successivamente, per effetto dell’escussione della garanzia prestata”.

A ciò segue pure – così si viene a concludere – che la L. n. 33 del 2015, art. 8 bis comma 3 “non deve ritenersi norma innovativa, né retroattiva (dunque, da applicarsi solo dopo la sua entrata in vigore), ma piuttosto una conferma interpretativa di un privilegio già in precedenza concesso”.

8.- Il motivo di ricorso dev’essere accolto, secondo i termini che qui di seguito si vengono ad illustrare.

Non può condividersi – va osservato prima di ogni altra cosa – l’assunto di fondo, da cui muove il decreto impugnato, che consiste nell’assegnare al termine finanziamento – come espresso dalla norma del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5;

– il significato pregnante di indicare in via esclusiva la tipologia negoziale dei c.d. contratti di credito; e quindi di designare – ai fini del privilegio di cui alla norma – solo gli interventi pubblici caratterizzati dall’erogazione diretta di una somma di danaro nelle mani del soggetto tenuto a restituirle.

In effetti, quest’assunto non risulta per nulla giustificato. La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato, invero, che il termine finanziamento non risulta assumere, nel contesto del diritto vigente, un significato unico e costante; soprattutto, non viene a senz’altro a ridursi a formula equivalente di quella di contratti di credito (cfr., in particolare, Cass. 31 gennaio 2019, n. 3017, ove pure l’analisi dei dati normativi di riferimento; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2664; Cass., 15 maggio 2018, n. 11878).

D’altro canto, la normativa dettata nel D.Lgs. n. 123 del 1998 non detta, o contiene, una definizione ad hoc del lemma finanziamento. Sì che, nello specifico contesto in discorso, il significato di questo termine, lungi dal porsi come strumento per risolvere i problemi applicativi della relativa disciplina, si manifesta frutto di una necessaria attività ricostruttiva (cfr., ancora, Cass., n. 2664/2019).

9.- Il D.Lgs. n. 123 del 1998 prevede, secondo quanto descritto nella disposizione dell’art. 7, un set articolato di forme di intervento pubblico: credito d’imposta, bonus fiscale, concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato.

Ora, come ha puntualizzato la già citata pronuncia di Cass., n. 2664/2019, tutte queste diverse forme di intervento pubblico di sostegno alle attività produttive individuate dal D.Lgs. n. 123 del 1998 appaiono espressione di un disegno di impianto unitario, come inteso alla razionalizzazione e riorganizzazione dell’intero settore (cfr., tra l’altro, la norma dell’art. 1 del decreto legislativo in discorso). E, soprattutto, di un segno portatore di una disciplina di tratto unitario delle diverse forme di intervento pur nel rispetto delle differenze rilevanti che tra le stesse possano eventualmente manifestarsi.

“Con specifico riferimento al tema del privilegio di cui all’art. 9 comma 5 – prosegue la richiamata pronuncia non sembrano profilarsi ragioni giustificatrici di trattamenti normativi differenziati a seconda delle diverse forme di intervento previste. In tutti i casi in cui divenga operativo il sistema di revoca e restituzione previsto dalla norma dell’art. 9, infatti, si tratta comunque di assorbire, di recuperare il sacrifico patrimoniale che il sostegno pubblico ha in concreto sopportato in funzione dello “sviluppo delle attività produttive” (cfr. Cass., 20 settembre 2017, n. 21841); in tutti i casi si tratta, in pari tempo, di procurare la provvista per lo svolgimento di ulteriori e futuri sostegni allo sviluppo delle attività produttive, secondo quanto significativamente dispone il comma 6 del medesimo art. 9 (le somme restituite ai sensi del comma 4 sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per incrementare la disponibilità di cui all’art. 10, comma 2; l’importanza di questa disposizione si trova segnalata dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass., 24 agosto 2015, n. 17111; Cass., 20 aprile 2018, n. 9926).

10.- Nemmeno condivisibile si manifesta l’idea – che il decreto impugnato viene a svolgere in via ulteriore – per cui la struttura della norma dell’art. 9, comma 5 sarebbe “incompatibile… con il caso del garante che agisce in surroga”.

In realtà, la norma in questione non discorre proprio di surroga, né in qualche modo richiama la relativa ipotesi (questo il testo della disposizione del comma 5 dell’art. 9: per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’art. 2751 bis c.c. e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi; per completezza è bene aggiungere che neppure il successivo L. n. 33 del 2015, art. 8 bis fa riferimento a una surroga).

Né si vede perché mai la surroga dovrebbe essere – in sé – un medio (logicamente o strutturalmente) necessario per potersi legare il privilegio all’intervento pubblico di sostegno in forma di garanzia.

11.- Secondo il principio espresso dalla norma dell’art. 2745 c.c., infatti, il privilegio trova comunque fonte nella legge, in ragione della peculiare causa che lo viene a sorreggere, per via del fatto, cioè, che l’ordinamento assume – in conformità ai valori espressi dalla Costituzione – una data ragione di credito come portatrice di interessi particolarmente meritevoli di tutela e protezione.

Nel caso concreto, fonte del privilegio è la norma di legge di cui all’art. 9, comma 5. Che lo riconosce appunto in ragione del sostegno pubblico che viene dato alle attività produttive, consegnandolo al garante, che ha pagato la banca garantita, in ragione del credito che questi vanta verso il debitore principale, in quanto destinatario finale del depauperamento patrimoniale connesso all’estinzione della relativa obbligazione.

È bene puntualizzare altresì: nella fattispecie tipo, che risponde al caso concretamente in esame, la banca creditrice, se si avvantaggia dell’intervento pubblico – della garanzia così prestata potendo appunto profittare – non prende in alcun modo parte allo svolgimento di quest’intervento.

Non avrebbe perciò nessun senso che del privilegio in questione venisse a beneficiare, per l’ipotesi in qualche modo occorrente, (anche) la banca creditrice. Il che appunto comporta – senza peraltro produrre alcun tipo di stortura – ciò che il garante, che interviene nell’interesse pubblico, viene a godere di una posizione diversa da quella del creditore garantito (per quanto nel complesso non più favorevole di quella del creditore garantito, come sembra per contro opinare il Tribunale marchigiano).

12.- Non condivisibili si manifestano, del resto, neppure il rilievo fondante e la lettura che il decreto impugnato intende consegnare alla norma del D.M. 20 giugno 2005, art. 2, comma 4, (per cui, in caso di inadempimento delle piccole e medie imprese, i soggetti richiedenti possono rivalersi sul Fondo per gli importi da esso garantiti, anziché continuare a perseguire il debitore principale. Ai sensi dell’art. 1203 c.c., nell’effettuare il pagamento, il Fondo acquisisce il diritto a rivalersi sulle piccole e medie imprese inadempienti per le somme da esso pagate).

Si tratta, in effetti, di una norma di rango secondario e di tratto meramente attuativo. In quanto tale, si tratta di disposizione priva della stessa capacità di produrre degli interventi di taglio innovativo e che, piuttosto, va interpretata e ricostruita alla luce, e in sintonia, con la normativa primaria che viene a completare.

13.- D’altra parte, questa disposizione, se richiama la norma elencativa delle ipotesi di surroga legale, qualifica la posizione del garante, che ha pagato, in termini di semplice rivalsa (ovvero di regresso, si può anche dire). Così facendo generico riferimento alla posizione del garante che ha pagato: e che, in quanto tale, ha comunque diritto di recuperare dal debitore finale quanto per lui pagato (posto appunto che è su quest’ultimo – non già sul garante solvens – che non può non ricadere il depauperamento patrimoniale conseguente alla rilevata sussistenza di un debito).

È appena il caso di aggiungere, poi, che il richiamo alla norma dell’art. 1203 c.c. (che in questa prospettiva può anche completarsi con l’indicazione del n. 3 della disposizione) non potrebbe mai far cadere un diritto proprio del solvens, perché estraneo alla posizione del creditore accipiens. La norma dell’art. 1203 c.c. è univoca nel dichiararsi a vantaggio, e non già a danno, del solvens: la stessa, perciò, non potrebbe comunque togliere a questi dei vantaggi, che risultano connessi alla propria posizione di questo (per il rilievo che il senso finale della figura della surroga è quello di dar vita a uno strumento idoneo a apportare al solvens eventuali vantaggi e tutele ulteriori rispetto a quelli propriamente connessi al regresso, v. Cass., n. 2664/2019).

14.- Come correttamente ha rilevato il ricorrente, la norma della L. n. 33 del 2015, art. 8 bis non va considerata né come una disposizione di interpretazione autentica, e dunque retroattiva, né come disposizione innovativa. Si tratta, semplicemente, di una disposizione ripetitiva, e confermativa, del regime già vigente.

15.- In conclusione, il ricorso va accolto.

All’accoglimento del ricorso segue che il decreto impugnato dev’essere cassato e la controversia rinviata al Tribunale di Ancona, che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia al Tribunale di Ancona che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 25 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2019

 

Cass_civ_Sez_I_Ord_31_05_2019_n_14915